PRINCIPIO DI IRRESPONSABILITA'
di Roberto Pecchioli
http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=10648:pirati-della-strada&catid=114:civiltaoccidentale&Itemid=145
Sarà il Natale con il suo carico di feste, ma anche, per molti, di tristezza esistenziale, sarà il tempo che fugge, ma ci sono alcune notizie che fanno soffrire e riflettere più che in altri periodi dell’anno. In questi giorni, ancora una volta, si è ripetuto il triste fenomeno dei pirati della strada. A Sottomarina, una giovane e bella ragazza è stata travolta ed uccisa sulle strisce pedonali. Il suo carnefice è fuggito, poi individuato, è stato denunciato a piede libero anche se omicida, giacché così prevede una delle tante leggi assurde, contrarie al senso comune. In Friuli, un altro mascalzone se l’è data a gambe dopo avere investito un piccolo di quattro anni. Brutte fratture, ma pare che il bimbo se la caverà. La spregevole corporazione dei pirati in automobile è in aumento, ma non è certo un caso. Talvolta si tratta di giovani o giovanissimi con in corpo alcool o sostanze stupefacenti, altre volte sono stranieri senza patente o dediti alla malavita, ma non è questione etnica, statistica, né materia per sociologia spicciola. Il problema è la diffusione del principio di irresponsabilità.
I pirati della strada altro non solo che la punta avanzata di una ritirata veloce e generale dell’idea di responsabilità personale, di senso del dovere, di rispetto di sé e degli altri.
Questo è, purtroppo, un tempo di corsari. La differenza tra pirati e corsari era data dal fatto che i primi esercitavano la loro sporca attività a rischio e pericolo. Esponevano, con fosca onestà, la bandiera nera con teschio e tibie e, se catturati, pagavano con la vita il conto di rapine e grassazioni. I corsari, al contrario, erano debitamente autorizzati, possedevano la cosiddetta lettera di corsa, rilasciata da un re o comunque da un potere legale, e poi, via per mare, ad arrembare, assaltare navi, rubare ed assassinare. Corsari al servizio della Corona britannica furono Francis Drake e Walter Raleigh, che ottennero anche il titolo di baronetti per i loro servizi: distruzione di galeoni spagnoli rapinati dell’oro e del carico, incursioni sulla costa per catturare prigionieri da vendere come schiavi, disturbo delle rotte commerciali dei concorrenti. In un mondo di corsari, protetti dalla politica o dai signori del mercato e del denaro, è normale la lettera che i Tre Moschettieri di Dumas sottrassero a Milady. Poche parole scritte di pugno dal cardinale Richelieu: “Il latore della presente fa quello che fa per ordine mio”.
I corsari sono, consapevolmente o meno, il modello di comportamento di legioni di pirati. Chi guida come un pazzo e spezza vite sconosciute ed innocenti è solo uno dei tanti: non si ferma a soccorrere perché odia le responsabilità e non intende pagare il conto delle sue condotte. Peggio per la vittima se si è trovata sulla sua strada. Figli legittimi del loro tempo, il pirata della strada e l’Irresponsabile Ignoto vivono ad alta velocità, spesso si ubriacano o sballano nei locali e nelle feste, sono gonfi di narcisismo, ripieni di cinismo da quattro soldi, egoismo ed egocentrismo perché quello è il modello vincente, comunque è l’unico che conoscono. Se possono Lapo e Balotelli, posso anch’io !
Il corsaro della vita ha imparato a capire che il conto da pagare non è poi così salato: le leggi e più ancora lo spirito del tempo lo proteggeranno e giustificheranno comunque. In questa folle democrazia da bassifondi fa inorridire lo scarto tra legale, o tollerato, e legittimo, giusto. Fermato, il pirata della strada come troppi altri criminali difficilmente trascorrerà la notte in cella, e comunque ne uscirà presto. Il resto lo faranno il tempo, gli avvocati, i periti delle assicurazioni, gli psicologi, ed un’eventuale condanna penale sarà così mite e tardiva da confermare quel vecchio detto secondo cui chi muore giace, chi vive si dà pace. Anzi, il reo farà il gesto dell’ombrello e, via, verso nuove avventure. Così fanno i membri delle élites che sono modello ed esempio, non c’è motivo perché indifferenza, egoismo, irresponsabilità, pirateria declinata in mille forme diverse ed eguali non si diffondano come un’epidemia.
Il Peter Pan letterario era solo un fanciullo, ma spiegò perfettamente la sua visione del mondo, consistente nel “desiderio di essere sempre un bambino e divertirsi per sempre”. Divertirsi, andare in vacanza, ascoltiamo ogni giorno parole simili, pronunciate da generazioni diseducate, vittime del mondo invertito che abbiamo loro imposto e che non hanno più gli strumenti culturali per contrastare. E’ vietato vietare, e tra qualche anno tale devastante programma esistenziale avrà mezzo secolo ed avrà dispiegato fino in fondo i suoi effetti. E’ severamente proibito stabilire limiti, esprimere un’idea di bene e di male che non sia il semplice piacere o gusto individuale. Una sorta di “me ne frego” globale, non quello del legionario sprezzante della propria vita, ma il motto banale e nichilista del moderno Homo Tecno- Sapiens con i paraocchi, l’Io ipertrofico e l’anima sigillata.
Anche l’agenzia morale più antica, la Chiesa, ha dichiarato bancarotta. Ora vige il perdono a prescindere, un dolciastro “volemose bene”, la preventiva assoluzione dagli antiquati peccati, che il confessore una volta impartiva in presenza di pentimento, proponimento di non proseguire nel male, e con l’avvertenza che l’assoluzione sacramentale cancella la colpa, ma non la pena. Tutto abolito, in parte in nome del principio di piacere ( lustprinzip) caro ai cascami della vulgata psicoanalitica, in parte in nome della misericordia della neo Chiesa, tutto sotto il grande ombrello del relativismo morale, civile e culturale. Chi sono io per giudicare ? Impongono da pulpiti traballanti di perdonare l’imperdonabile, ed è un aspetto in più dell’irresponsabilità e della fraudolenta bancarotta spirituale .
Hans Jonas, nel tentativo di offrire un bastione etico all’Occidente dominato dalla Tecnica, teorizzò un nuovo Principio Responsabilità, basato sul ragionevole timore delle conseguenze degli atti dell’uomo sulla natura e sugli altri uomini. Troppo poco, vano quanto nobile sforzo, quello del pensatore tedesco, in opposizione al precedente equivoco Principio Speranza espresso da Ernst Bloch, ateista militante e marxista “libertario” che scrisse il raggelante “vivendo, non ci vediamo vivere, ma trascorriamo “. Disgraziatamente, più vicino al vero fu Gunther Anders con il suo principio- disperazione dinanzi agli esiti della modernità e del cosiddetto progresso. La società individualista e di mercato, ostaggio del mito del progresso, esclude fini diversi da quelli della ragione calcolante e strumentale, accoglie il principio di piacere e respinge la responsabilità, sinonimo di limite e di giudizio morale.
Perché dunque stupirsi se troppi selvaggi ben vestiti ed azzimati, amorali quanto la società di cui sono figli, ignari della complessità della vita ed ignoranti nonostante e talora grazie a titoli accademici e master pigiano l’acceleratore e poi fuggono davanti al male fatto ? Non è la condotta corrente dell’intera classe dirigente, economica, politica, educativa ?
Depurata dalle formule giuridiche e dalle varie declinazioni legali della società contrattuale ( la responsabilità penale, quella civile di chi reca danno e quella amministrativa del pubblico ufficiale), la responsabilità è un’obbligazione morale, il dovere naturale ed accettato nei confronti degli altri ma innanzitutto rispetto agli atti compiuti sottoposti ad un codice etico ed al tribunale della coscienza. Non è un caso che sia parola tanto poco utilizzata con riferimento a se stessi e che sia accostata al dovere. Al contrario, la contemporaneità esige diritti, opportunità, comportamenti e modi di vita “comodi”, spigoli arrotondati, lassismo .
Poche settimane fa, è trapelata la notizia relativa alla sospensione di tre donne medico siciliane per avere procurato danni irreversibili ad un nascituro; pare non abbiano praticato un taglio cesareo per non proseguire il turno. Dimentichiamo il giuramento di Ippocrate e qualsiasi retorica sulla professione medica: se tuttavia il fatto è vero, il vero stupore è che episodi del genere siano circoscritti, tanto l’irresponsabilità è diffusa, contagiosa. Il caso descritto può essere estremo, ma non isolato. Intanto, a Natale, per lavarsi la coscienza a buon mercato, gli esponenti del partito radicale, quello dei diritti e del libertarismo, visitano le carceri. Bel gesto, i detenuti hanno diritto all’umanità di trattamento. Nessuno, tuttavia, neanche i vescovoni dal perdono facile, visita le vittime, coloro che soffrono ingiustamente per il male ricevuto e le irresponsabilità subite. Nella notte di una civilizzazione estenuata, tutti i gatti sembrano grigi, ma non è vero. Poi viene il giorno, annunciato dalla nottola di Minerva, e tutto dovrebbe apparire per quello che è. Non più, il rovesciamento di prospettiva è probabilmente giunto al punto di non ritorno. Ne abbiamo prova ogni sera alle venti su Raitrè, dove va in onda la santificazione della pseudofamiglia degli sposi invertiti nel più devastante silenzio dei parlamentari e dell’ineffabile Conferenza Episcopale.
Nelle piccole dispute quotidiane tra docenti ed allievi, i genitori della generazioni precedenti stavano dalla parte degli insegnanti. Oggi è il contrario, la promozione, il bel voto, la giustificazione per errori o mancanza di studio sono “diritti”. Negli ultimi anni di vigenza della leva militare, qualche povero ragazzo si è suicidato non per nonnismo ( anche quello, peraltro, entro certi limiti, va vissuto come fase dell’educazione alla vita), ma per mancanza delle cure materne. Forse, il vero maestro delle generazioni post 1968 è Max Stirner, il pensatore del XIX secolo teorico dell’individualismo più estremo e dell’egoismo “etico” . “Io rifiuto un potere conferitomi sotto la speciosa forma di diritti dell'uomo. Il mio potere è la mia proprietà, il mio potere mi dà la proprietà. Io stesso sono il mio potere (...) e per esso sono la mia proprietà. (...) Non cerchiamo la comunità più estesa, la società umana, ma vediamo negli altri unicamente mezzi e strumenti da adoperare come nostra proprietà.” E’ un brano di un ‘opera. L’unico e la sua proprietà, poco letto ma di enorme influenza .
Poi sono venute le scienze del sospetto e della giustificazione, specie la psicoanalisi e certa psicologia. La responsabilità è stata definitivamente screditata, allontanata in un angolo oscuro, ovvero lasciata ai giuristi, poiché l’unica obbligazione che la nostra società davvero esige è che si paghino i propri conti in denaro e, se vi è danno, l’unico ristoro è monetario, calcolato con acribia da un ramo apposito della matematica. Irreperibile altrove, il principio responsabilità è accuratamente applicato nel diritto civile societario: responsabilità limitata alle quote possedute.
E’ un uomo scisso, dunque schizofrenico, quello le cui obbligazioni sono rigidamente calcolate allorché si tratta di somme di denaro, ma decadono, evaporano quando si tratta delle responsabilità della vita vera. Se investiamo qualcuno in automobile, meglio allora fuggire. L’assicurazione non ci farà passare da bonus a malus, non dovremo perdere tempo ( perdere tempo…..) ad assistere il ferito ed accompagnarlo all’ospedale, eviteremo fastidiose spiegazioni . Se abbiamo bevuto troppo o assunto droghe, niente controlli. Al lavoro, se il turno sta finendo, meglio spegnere il computer o fermare la macchina, cacciando chi ha bisogno di noi. I sindacati ci difenderanno, i colleghi saranno dalla nostra parte.
Infatti, non si è più davvero “responsabili” di qualcosa. Chi scrive, ricorda che all’inizio della propria carriera di funzionario, i colleghi anziani consigliavano di negare, negare sempre, anche di fronte all’evidenza. Divenne anche il tormentone di un personaggio radiofonico e poi cinematografico, l’inetto e tronfio colonnello Buttiglione. Spesso, in ambito professionale, la ricerca della responsabilità per atti, procedure e comportamenti ha, paradossalmente, lo scopo opposto, quello cioè di allontanare ogni conseguenza dai vertici . Non si trova mai un responsabile, il rimpallo è lo sport più praticato. Alcuni anni fa, in una trasmissione televisiva, un chirurgo che aveva lasciato una pezza ospedaliera nel corpo di una paziente, affermò senza vergogna – presumiamo anche senza conseguenze – che la colpa era dell’infermiere.
La responsabilità è un principio verticale: designa e distingue chi sa affrontare i doveri e le difficoltà. Perciò, è diventato un sentimento di nicchia, aristocratico, poiché i più non solo sfuggono, ma rigettano con orrore e sdegno le responsabilità. Un mondo plebeo e straccione, in cui anche l’arte rifiuta i suoi doveri. Nell’anno che sta finendo, sono morti numerosi musicisti di grande successo. Pressoché tutti erano dipendenti da sostanze stupefacenti e i loro orientamenti sessuali – adesso si dice così, è scritto anche nel Trattato di Nizza – inclinavano all’inversione o alla perversione. Molte cose si perdonano all’arte, e l’artista è sovente persona eccentrica o difficile, ma il troppo stroppia, specie quando i comportamenti diventano modelli da imitare, idoli da seguire.
Perduta è anche la responsabilità verso le nuove generazioni, nelle forme dell’esempio e dell’educazione. Tacciamo per residuo pudore sugli esempi, ma lo spettacolo offerto dai docenti è desolante. Poiché essi non credono più né alla loro funzione, né a quello che dovrebbero insegnare, hanno interrotto la trasmissione non solo del sapere, ma della civiltà. Come può sopravvivere una nazione in cui insegnanti, presidi e direttori didattici rifiutano sistematicamente l’idea stessa di Natale, evitano come la peste di pronunciare il nome di Gesù, ed impongono ai ragazzi la censura persino sulle canzoni natalizie ? In provincia di Brescia Astro del Ciel è stato cantato a bocca chiusa, come il famoso coro del Nabucco, per evitare di nominare proprio colui che è nato a Betlemme, la cui figura potrebbe “turbare” i bambini atei o di altre religioni. Tutto potevamo pensare, ma nascondere la nascita di chi ha diviso il tempo in prima e dopo di lui è un gesto di stupidità, oltreché di irresponsabilità nei confronti dei bambini.
E’ andata anche peggio in un’altra scuola bresciana dove la canzone Merry Christmas ha subito una democratica e civilissima censura in nome del solito multiculturalismo: nelle fotocopie distribuite agli scolari per le prove di canto, si leggeva "canta perché è festa per te", anziché "canta perché è nato Gesù". Chissà perché, poi, sarebbe festa, senza l’evento della nascita. La dirigente scolastica professoressa Paola Bellini, cui paghiamo un lauto stipendio per assumersi la responsabilità di educare i bambini del suo paese, ha dichiarato “Nelle nostre classi abbiamo tanti Crocifissi e quadri che raffigurano la Madonna ma, accanto a questi simboli, devono coesistere pacificamente anche gli altri, o delle altre attenzioni nei confronti dei valori dell’ intercultura “. Speriamo di cuore che il virgolettato sia una forzatura giornalistica , sia per motivi grammaticali sia per quel richiamo – per metà incomprensibile, per l’altra metà capzioso - ad una non meglio identificata intercultura. La prestigiosa docente, attenti a non omettere i “tituli”, quando si parla di “buona scuola”, ha poi virtuosamente affermato che le polemiche degli adulti rovinano il lavoro degli insegnanti. Il quale sembra consistere nell’estirpare le radici della cultura comune, sostituendole con il nulla.
Se il catalogo è questo, non possiamo davvero indignarci se l’assenza di qualsiasi riferimento morale o radice culturale diversa dalla melassa del pacifismo e dalle intemerate su un’ astratta “legalità” sforna sballati, egocentrici , fanatici dei diritti propri indifferenti a quelli altrui e nemici dei doveri più elementari, sino a diventare pirati della strada e comunque concittadini pessimi intenti ad allontanare da sé obblighi, principi e responsabilità . Nominare il nome di Dio invano è una bestemmia, ma abolire Gesù è addirittura peggio. Prepariamoci a nuovi spropositi ed a nuove porcherie: il principio irresponsabilità è insito nel mondo corsaro. I fini eccedono i mezzi, se si tratta del tornaconto, della comodità, dell’entusiastica adesione alla religione che Marcello Veneziani chiamò, con licenza parlando, del Dio Kazzimiei.
Pirati della strada, corsari della vita in fuga perenne dai fastidi: è tutto molto chiaro, conseguente ed interno al sistema. Il nuovo Innominato è Gesù, Dio o uomo che fosse. Lo capì Dostojevski, che non era dirigente scolastico, ma concluse che se non c’è Dio, tutto è permesso. Anche travolgere bambini e non fermarsi, anche ingannare popoli interi, anche considerare cose le persone e dèi i minuti piaceri.
Che illuso Hans Jonas, che sul principio responsabilità pretendeva di fondare la morale nuova dell’uomo postmoderno razionale e illuminato, perfettino e sensibile alla natura !
Pirati della strada, corsari della vita. Il principio di irresponsabilità
di Roberto Pecchioli
In redazione il 28 Dicembre 2016
La mancata risposta di papa Francesco al problema del dolore
(di Cristina Siccardi) Papa Francesco è cosciente del dolore che provoca quando offre risposte laiche che inaridiscono religiosamente le anime? Più volte è accaduto in questi tre anni di suo governo della Chiesa. I suoi discorsi a braccio, le sue personali considerazioni appaiono avvelenate dal nichilismo filosofico e a buon mercato dei nostri apostati tempi. Così è avvenuto anche il 15 dicembre u.s., quando ha ricevuto, nell’aula Paolo VI, 20mila persone, fra malati e personale dell’Ospedale pediatrico Bambino di Gesù di Roma.
Nel dare resoconto di quell’udienza Avvenire ha titolato: «Il Papa: non c’è una risposta alla morte dei bambini», infatti, al semplice quanto non scontato, oggi come oggi, quesito di un’infermiera, «perché i bambini muoiono?», Francesco ha risposto in questi termini: «Io non ho una risposta, credo sia bene che questa domanda rimanga aperta». L’infermiera ha obiettato «Ma Padre, Lei non ha studiato teologia, non ha letto libri?», tuttavia il Papa non ha placato, con la saggezza della Chiesa, l’angosciante richiesta di aiuto spirituale di una donna che vede morire molti bambini in ospedale e ha detto: «Sì, ma guarda il Crocifisso: soffre, piange, questa è la nostra vita. Non voglio vendere ricette che non servono, questa è la realtà». In pochi attimi il Papa ha sbriciolato il patrimonio immenso della Chiesa.
La Chiesa, l’unica a dare risposta certa alla sofferenza e alla morte. Scriveva san Girolamo, Padre della Chiesa: «Ci rattristiamo per la morte di qualcuno: ma siamo forse nati per vivere eternamente qui? Abramo, Mosé, Isaia, Pietro, Giacomo e Giovanni, Paolo – il vaso d’elezione – e perfino il Figlio di Dio, tutti sono morti; e proprio noi restiamo indignati quando qualcuno lascia il suo corpo? (…) Piangiamoli. Sì, i morti; ma solo quelli che piombano nella gehenna, quelli divorati dall’inferno, quelli per i quali è acceso un fuoco eterno!» (Le Lettere, I, 39, 3, A Paola).
Gli Apostoli, tutto il clero di tutti i tempi, tutti i Pontefici hanno sempre saputo perché i bambini muoiono, lo sapeva anche Adamo, il primo uomo, come spiega san Crisostomo: «Dio volle anzitutto che il cuore dell’uomo fosse dominato dal terrore della morte, che questa gli apparisse come qualcosa di pauroso. Per questo fece che in primo luogo morisse Abele, affinché Adamo, che lo avrebbe seguito, imparasse da quella scena cosa sia la morte, quanto dura e opprimente (…) vide la morte dominare in un altro corpo, in quello di suo figlio, e così conobbe con più forza ed esattezza l’enormità del castigo (…) Dio volle (…) che il primo uomo che morì fosse precisamente un giusto (…) Come il peccato è l’alimento della morte, così la giustizia è la distruzione e l’annientamento della morte. Per questo Dio volle che il primo a morire fosse un giusto: in tal modo fin dall’inizio volle annunziare, volle risvegliare la speranza, volle dimostrare che non era stato stabilito per la nostra stirpe di restare sempre nella morte» (Omelia sulla traslazione delle reliquie dei martiri). Queste non sono “ricette”, sono gemme di sapienza divina, sono verità che la Chiesa ha sempre sostenuto, custodito e trasmesso. Il peccato originale è causa di sofferenza e di morte. Cristo, il Giusto per eccellenza, ha vinto il peccato, soffrendo e morendo in Croce. Tuttavia l’azione redentiva è permessa anche ai giusti della terra. Ben lo sapevano i Beati Francisco (1908-1919) e Jacinta de Jesus (1910-1920) Marto.
Lo scorso 17 gennaio, compleanno del Papa, la Santa Sede ha annunciato il viaggio del Pontefice a Fatima il 12 e 13 maggio 2017. E proprio Fatima ci ricorda che morirono due veggenti bambini. Perché se ne andarono prematuramente? La domanda non è aperta, ma chiusa. Francisco amava il silenzio e non mancava occasione per mortificarsi con atti di eroismo. Dopo le apparizioni di Maria Santissima – annunciatrice, qualora gli uomini non avessero cessato di offendere Dio, dei castighi divini – Francisco non ebbe più nessun interesse di tipo terreno.
Una volta la cugina Lucia gli domandò se preferisse consolare il Signore oppure convertire i peccatori ed egli rispose che desiderava innanzitutto consolare il Signore e poi convertire i peccatori, affinché non lo offendessero più. Ai tre bambini di Fatima fu concesso di vedere la gehenna. Quella spaventosa conoscenza sensibile intensificò la volontà dei veggenti di salvare anime. Spesso Francisco spariva durante il giorno, lo trovavano poi in ginocchio dietro ad un muro o ad una siepe in atto di orazione, triste a causa dei tanti peccatori. Pensando alla promessa di Maria Vergine di portarlo presto in Cielo, gioiva dicendo: «Lassù almeno potrò meglio consolare il Cuore di Gesù e di Nostra Signora».
La fede dominava i pensieri, le parole e le azioni dei tre bambini di Fatima. Nel 1919 anche il Portogallo, come il resto d’Europa, venne flagellato dalla “Spagnola”. Francisco e Jacinta caddero ammalati. Un giorno quest’ultima mandò a chiamare Lucia urgentemente e le disse: «La Madonna è venuta a vederci; dice che verrà molto presto a prendere Francisco per portarlo in Cielo. E a me chiese se volevo convertire ancora altri peccatori. Le dissi di sì. Mi disse che andrò in un ospedale, che là soffrirò molto. Che soffrissi per la conversione dei peccatori, in riparazione dei peccati contro il Cuore Immacolato di Maria, e per amore di Gesù. Le domandai se tu verrai con me. Disse di no. È questo che mi costa di più. Disse che la mamma mi porterà là, ma poi vi resterò da sola!» (Prima memoria, in A.M. Martins s.j., Documentos. Fátima, L.E. Rua Nossa Senhora de Fátima, Porto 1976, p. 71). Fu esattamente così. E tutte le loro sofferenze e la morte di Francisco e di Jacinta vennero offerte al Signore, al Cuore Immacolato di Maria per i peccatori e per il Papa, come più e più volte lo ricorda Lucia dos Santos.
I dolori e la fine della vita terrena di tanti innocenti rendono meno ingiusta l’ingiustizia e la cattiveria degli uomini, compresi quelli di Chiesa, e salvano moltissimi dall’Inferno, così come possono anticipare la beatitudine del Paradiso alle anime purganti. I sacrifici dei puri costituiscono il forziere del tesoro dell’azione riparatrice e corredentrice: mediante Cristo e con Cristo contribuiscono a liberare i peccatori. Dunque «Preziosa è agli occhi del Signore la morte dei suoi santi» (Sal. 115, 15).
Afferma invero sant’Agostino: «Cosa infatti è più prezioso della morte per la quale tutti i delitti vengono rimessi e i meriti aumentano a cumuli? (…) Così la preziosa morte dei santi – ai quali, con tanta grazia, precedette e per i quali fu pagata la morte di Cristo, così per guadagnare lui essi non dubitarono di abbracciare la propria morte – ha dimostrato come ciò che era stato costituito pena del peccato, può essere usato in modo da trarne un più ricco frutto di giustizia (…). La morte, quando i moribondi la soffrono, quando essa li priva della vita, non è un bene per nessuno, ma si sopporta lodevolmente per mantenere o ottenere un bene. Ma (…) è un male per i cattivi e un bene per i buoni. Infatti, separate dai loro corpi, le anime dei pii sono nella pace, quelle degli empi pagano la loro pena, fino a quando i corpi risorgeranno, dei primi per la vita eterna, dei secondi per la morte eterna (…)» (La città di Dio, 13, 6-8).
Se la domanda dell’infermiera del Bambino Gesù non ha potuto ottenere un riscontro soddisfacente da papa Francesco, dalla Chiesa di sempre lo può avere e in maniera certa ed esaustiva. Mai, nella storia dell’umanità, l’infanzia è stata calpestata e crudelmente assalita come in questi tempi, presentando multiformi e raccapriccianti realtà: il genocidio dei bambini mai nati, uccisi legalmente per mano delle loro madri e di medici criminali; la cultura occidentale che sfregia e sporca l’innocenza con la sua pornografia, il suo turpiloquio, la sua amoralità negli usi e nei costumi sfidante le leggi del Creatore; l’apostata civiltà che si accanisce sui propri figli, lacerando la loro affettività genitoriale perché divisi fra famiglie divise; l’Europa rinnegatrice delle proprie radici cristiane che travia il naturale percorso delle due distinte sessualità, femminile e maschile, favorendo nei minori squilibri e scompensi psicologici di spaventosa portata.
Attraverso tutta questa povera e martoriata infanzia negata, sia in corpo che in spirito, e grazie ai silenti sacrifici dei Santi di Dio, possa Nostra Signora di Fatima illuminare un Sommo Pontefice che, annaspando nel confuso pensiero secolarizzato e relativista, non riesce né ad evangelizzare, né a confermare i fedeli nella Fede. (Cristina Siccardi)
"Maria nel mio presepe ha il burqa perché la religione è dialogo"
Don Corbo spiega il suo gesto: "L'islam è sinonimo di pace"
Don Franco, da buon pastore «progressista» col cuore a sinistra, conosce l'aforisma di Marx, «La strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni».
Don Corbo spiega il suo gesto: "L'islam è sinonimo di pace"
Don Franco, da buon pastore «progressista» col cuore a sinistra, conosce l'aforisma di Marx, «La strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni».
Il parroco della chiesa di Sant'Anna di Potenza ha deciso di «lastricare» il presepe di buonismo filo islamico. I suoi parrocchiani nella capanna hanno trovato il Bambino con una Madonna velata e un San Giuseppe-tuareg. Cos'ha combinato don Franco Corbo, 75 anni, ex animatore anni '70 delle «comunità di base» con di concerti in chiesa degli Inti Illimani? Ha diviso, con un muro, presepe «orientale» e «occidentale»: nel primo ha inserito «regolarmente» Gesù, vuota la culla nella seconda mangiatoia.
Scusi don Franco, cosa le è saltato in mente? Non pensa che questa rappresentazione sia sacrilega per uno dei simboli più cari alla nostra tradizione cattolica?
«Nessun sacrilegio, anzi la volontà da parte mia di ribadire come la religione possa e debba rappresentare uno strumento di dialogo».«Dialogo» con chi?«Con tutte le altre fedi e tutte le etnie distrutte o ridotte in miseria dall'egoismo della società occidentale».
Sta scherzando o dice sul serio?
«Sono serissimo. Noi siamo in grado solo di costruire muri. Con questa logica di chiusura migratoria Gesù oggi non potrebbe mai arrivare da noi, resterebbe in Palestina».
È così lei ha deciso di farlo nascere in un presepe «arabo». Come se l'islam fosse un esempio virtuoso di tolleranza e solidarietà.
«L'islam, come tutte le religioni, è sinonimo di pace e fratellanza».
E come la mettiamo con i tagliagole, i kamikaze, i terroristi?
«Sono tutte aberrazioni che nulla hanno a che fare con le religioni».
Ma lei ogni tanto ci pensa al suo collega francese, monsignor Jacques Hamel, sgozzato sull'altare da due killer Isis dopo il rifiuto di inginocchiarsi ad Allah?
«Sì, ci penso e prego per lui. Come prego per i suoi assassini. Ma ribadisco: l'Isis non c'entra nulla con la religione islamica. E poi vorrei ricordarle una cosa...».
Dica.
«L'Isis semina morte con armi italiane che gli vendiamo attraverso l'Arabia Saudita».
E questo cosa significa?
«Che l'Occidente ha enormi responsabilità e che, invece dei muri, bisognerebbe costruire ponti, come dice Papa Francesco».
A fianco al suo presepe c'è una cartolina con il presepe di Marrakech. Anche lì la Madonna ha il burqa. Ma a lei l'iconagrafia sacra cattolica proprio non piace?
«Al contrario. Venga, le mostro la mia raccolta personale di presepi, divisi regione per regione».
A quale è più affezionato?
«A quello con le statuine che indossano i costumi tradizionali di Avigliano, il paese dove sono nato».
Altre preferenze?
«Il presepe con gli aborigeni e quello albanese con la statuina di San Giuseppe che beve da una botticella di grappa».
Nino Materi - Mer, 28/12/2016
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