Basta proselitismo, è tempo
di "Silence".
Anche per le missioni cattoliche
Dal 12 gennaio nelle sale cinematografiche dell'Italia e di altri paesi sarà proiettato l'atteso ultimo film di Martin Scorsese, "Silence", già mostrato in anteprima a Roma un mese fa a un pubblico scelto composto in buona misura da gesuiti, dopo l'udienza accordata il 30 novembre da papa Francesco al celebre regista (vedi foto).
La trama del film è ripresa dal romanzo con lo stesso titolo dello scrittore cattolico giapponese Shusaku Endo (1923-1996). Ambientato nel XVII secolo, nel pieno delle persecuzioni anticristiane, ha per protagonisti due gesuiti inviati in Giappone in cerca di un loro confratello, Christovao Ferreira, già provinciale della Compagnia di Gesù, sul quale era giunta voce che aveva apostatato. In effetti così era avvenuto. E alla fine anche uno dei due, Sebastian Rodrigues, arriverà ad abiurare, con la volontà di salvare da una morte atroce altri cristiani.
Il "silenzio" del titolo è quello di Dio, di fronte al martirio di quei primi cristiani giapponesi. E in effetti il libro, prima ancora del film, è un groviglio di domande capitali sulle ragioni del tener ferma o no la fede in un'epoca di martirio estremo. I gesuiti che abiurano lo fanno per misericordia nei confronti di quei semplici cristiani che invece sono pronti a sacrificare la loro vita per fedeltà a Cristo. E da apostati, sono ricompensati con un ruolo di prestigio nella società giapponese dell'epoca, alla quale si sottomettono. Le questioni sollevate sono di grande densità e profondità. E sono bene messe in luce dalla recensione del romanzo di Endo scritta dal gesuita Ferdinando Castelli nel 1973, ripubblicata integralmente sull'ultimo numero de "La Civiltà Cattolica".
Colpisce però che tali questioni restino chiuse entro il confine di una critica letteraria, pur apprezzabile. Perché di esse poco affiora negli altri interventi del grande "battage" che "La Civiltà Cattolica" ha orchestrato per l'uscita del film.
Sul penultimo numero della rivista dei gesuiti di Roma – che per statuto è stampata con il previo controllo della Santa Sede ed è divenuta lo specchio del pensiero di papa Francesco – il direttore padre Antonio Spadaro ha pubblicato un suo colloquio con Martin Scorsese che occupa ben 22 pagine, nel quale però a "Silence" è dedicata poco più di una pagina e il personaggio che il regista definisce per lui più "affascinante" è Kichjjiro, l'accompagnatore dei due gesuiti protagonisti, "costantemente debole" e portato a tradirli, eppure alla fine ringraziato come "maestro" proprio dal gesuita che abiura:
A questo impoverimento delle questioni capitali sottese a "Silence", il vescovo ausiliare di Los Angeles Robert Barron ha dedicato questo suo commento critico, in un post sul blog "Word on Fire":
"Ciò che mi preoccupa è che tutto questo concentrarsi sulla complessità e la polivalenza e l'ambiguità della vicenda sia al servizio dell'élite culturale di oggi, che non è molto diversa dall'élite culturale giapponese [di quattro secoli fa] messa in scena nel film. Quello che voglio dire è che l'establishment laico dominante preferisce sempre i cristiani che sono vacillanti, incerti, divisi e ansiosi di privatizzare la loro religione. Ed è viceversa fin troppo portato a squalificare le persone ardentemente religiose come pericolose, violente e, lasciatemelo dire, neppure tanto intelligenti. Basterebbe riascoltare il discorso di Ferreira a Rodrigues sul presunto semplicismo del cristianesimo dei laici giapponesi, per fugare ogni dubbio su ciò che dico qui. Mi chiedo se Shusaku Endo (e forse anche Scorsese) in realtà non ci abbia invitato a distogliere lo sguardo dai sacerdoti e a volgerlo invece verso quel meraviglioso gruppo di laici coraggiosi, devoti, dediti, che hanno sofferto a lungo e hanno mantenuto viva la fede cristiana nelle condizioni più inospitali immaginabili e che, nel momento decisivo, hanno testimoniato Cristo con la propria vita. Mentre Ferreira e Rodrigues, con tutta la loro formazione specialistica, diventavano i cortigiani a libro paga di un governo tirannico, quella gente semplice rimaneva una spina nel fianco della tirannia.
"Lo so, lo so, Scorsese mostra il cadavere di Rodrigues, dentro la sua bara, che stringe un piccolo crocifisso, il che dimostra, suppongo, che il sacerdote fosse rimasto in qualche senso cristiano. Ma ancora una volta, questo è proprio il tipo di cristianesimo che piace alla cultura odierna: completamente privatizzato, nascosto, innocuo. Allora d'accordo, forse un mezzo evviva per Rodrigues, ma un hip hip urrà a pieni polmoni per quei martiri crocifissi sulla riva del mare".
*
Ma tornando a "La Civiltà Cattolica", ciò che più colpisce è l'attualizzazione che essa fa della vicenda storica di "Silence".
Sull'ultimo numero della rivista c'è un articolo su ciò che dovrebbe essere oggi "la missione nel Giappone secolarizzato" in cui l'autore, il gesuita giapponese Shun'ichi Takayanagi, dà per obbligato "un mutamento di paradigma nei confronti del concetto di missione e dei modi di esercitarla".
A giudizio di padre Takayanagi, infatti, il tipo di missione in uso anche in Giappone fino a pochi decenni fa, che "mirava a risultati visibili e concreti, cioè a un gran numero di battezzati", oggi non solo "non è più possibile", ma è superato e da sostituire in blocco.
Egli scrive:
"Anche se la 'missione' ha ottenuto un grande risultato nel Giappone del XVI secolo, non è più possibile raggiungere un simile successo nei tempi odierni, caratterizzati da un rapido progresso della cultura materiale e da un elevato livello di vita. Proprio per questo l’antiquata concezione della missione, che proviene dall’epoca coloniale occidentale del XIX secolo e sopravvive nel subconscio di molti missionari, stranieri e autoctoni, deve essere sostituita da una nuova concezione del popolo con il quale e per il quale si lavora. La nuova strategia dell’annuncio del Vangelo deve diventare espressione del bisogno di religione degli uomini di oggi. Il dialogo deve approfondire la nostra concezione delle altre religioni e della comune esigenza umana di valori religiosi".
Secondo "La Civiltà Cattolica", dunque, all'"antiquato" concetto di missione, cioè "fare proseliti e procurare convertiti alla Chiesa", va sostituito il "dialogo". Tanto più in un paese come il Giappone in cui è normale "andare a un santuario scintoista e prendere parte a feste buddiste, e anche partecipare, a Natale, a una liturgia cristiana", senza più lo "strano obbligo di seguire un determinato credo religioso" e "in un’atmosfera culturale vagamente non monoteista".
Sul finire del suo articolo padre Takayanagi sottolinea che i giapponesi, pur apertissimi al pluralismo religioso, "rimangono sconvolti da qualche episodio brutale che può essere ricondotto a radici religiose", islamiche ma non solo.
E così commenta:
"Certamente la religione può far crescere e maturare gli uomini, ma in casi estremi l’appartenenza a una religione può anche pervertire la natura umana. Il cristianesimo è in grado di impedire il fanatismo e questa sorta di perversione? Questo è per noi un interrogativo assillante, che dobbiamo porci nell’esercizio della nostra attività missionaria. La storia passata del cristianesimo, a questo riguardo, non è certo ineccepibile. […] In particolare, alcuni intellettuali giapponesi, sebbene in maniera vaga e quasi inconscia e ispirandosi alla cultura politeistica giapponese, cominciano a chiedersi se le religioni monoteiste, in ultima analisi, possano mostrarsi veramente tolleranti verso i membri di altre religioni. […] Questi intellettuali ritengono che il terreno culturale politeista dello scintoismo giapponese possa assicurare un approdo morbido alle altre religioni".
Il 4 gennaio ampi stralci di questo articolo de "La Civiltà Cattolica" sono usciti anche su "L'Osservatore Romano".
Il che non deve sorprendere. Perché già altre volte "L'Osservatore Romano" ha fatto l'apologia di un paradigma di missione finalizzato alla "comune esigenza umana di valori religiosi", come quello ora propugnato dalla rivista diretta da padre Spadaro.
In particolare, il 26 aprile dello scorso anno il giornale del papa ha pubblicato a firma di Marco Vannini la recensione di un libro di Jan Assmann, "Il disagio dei monoteismi", che muoveva proprio in quella direzione.
Vannini non è cattolico. E su di lui la stessa "Civiltà Cattolica" aveva scritto nel 2004 che "esclude la trascendenza, sopprime le verità essenziali del cristianesimo e per via neoplatonica approda inesorabilmente a una moderna gnosi".
Quanto ad Assmann, famoso egittologo e teorico delle religioni, la sua tesi capitale è che i monoteismi, tutti, in testa il giudeocristianesimo, sono per essenza esclusivi e violenti nei confronti di ogni altro credo, all'opposto degli antichi politeismi, per essenza pacifici.
Ebbene, su "L'Osservatore Romano" Vannini non prese minimamente le distanze da Assmann, anzi:
"Nel nostro mondo globalizzato la religione può trovare posto solo come 'religio duplex', ovvero religione a due piani, che ha imparato a concepirsi come una tra le tante e a guardarsi con gli occhi degli altri, senza nondimeno perdere mai di vista il Dio nascosto, 'punto trascendentale' comune a tutte le religioni".
Insomma, è tempo di "Silence" anche per le missioni cattoliche.
Con buona pace del decreto "Ad gentes" del Concilio Vaticano II, dell'esortazione apostolica "Evangelii nuntiandi" di Paolo VI e dell'enciclica "Redemptoris missio" di Giovanni Paolo II.
Settimo Cielo di Sandro Magister09 gen
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/01/09/basta-proselitismo-e-tempo-di-silence-anche-per-le-missioni-cattoliche/
La storia della settimana – da Actuall di HazteOir – Giornale spagnolo di informazione online – 24 dicembre 2016
La persecuzione dei cristiani in Cina
29 dicembre 2016La storia della settimana – da Actuall di HazteOir – Giornale spagnolo di informazione online – 24 dicembre 2016
Buon giorno, amico!
In questo tempo natalizio esce in Spagna il film “Silenzio” di Martin Scorsese, che parla della persecuzione dei Gesuiti in Giappone nel XVII secolo. Una storia terribile, nella quale non mancano le apostasie, e che prende il titolo dal romanzo con lo stesso titolo, scritta da Susaku Endu, un giapponese convertito al cristianesimo.
Il film e il romanzo si ispirano a fatti reali. I signori feudali del Giappone volevano distruggere il seme cristiano, seminato 100 anni prima da San Francesco Saverio, e fecondato da Paolo Miki e dai suoi amici autoctoni, martirizzati assieme a lui. A quel tempo i gesuiti erano i primi evangelizzatori. Molti a quel tempo erano di fronte a un grave dilemma: o apostati dalla fede o uccidiamo i tuoi parrocchiani.
Non è facile essere cristiano quando hai una sciabola di Samurai sopra la tua testa, o quando devi nasconderti per praticare la tua fede. Succedeva anche nell’antica Roma, così come nel Giappone descritto sullo schermo da Scorsese. E succede anche nel nostro XXI secolo in Siria, Iraq, Egitto, Nigeria, sotto la costante minaccia dello jihadismo.
Non si parla invece della gigantesca catacomba dove 12 milioni di cattolici cercano di rimanere fedeli a Cristo in mezzo alla ferrea dittatura cinese. I fedeli clandestini di Shanghai ci ricordano i cristiani nascosti nel Giappone del XVII secolo. Anch’essi hanno vescovi e sacerdoti incarcerati e torturati o sottomessi a una fortissima pressione perché aderiscano all’Associazione Patriottica, che è una falsa Chiesa Cattolica, controllata dal Partito Comunista. Anche tra di loro ci sono dei martiri, dei quali però, nessuno parla. E ci sono anche fedeli che devono camminare per ore per poter giungere alla casa in cui si celebra la messa clandestina, a cui possono accedere solo con un contrassegno, in modo che le autorità non mettano in carcere i responsabili.
Non parliamo per sentito dire, ma come testimoni dei fatti. Ve lo raccontiamo attraverso il reportage della nostra Cristina Lanzarote, che ha vissuto per alcuni mesi a Shanghai, conoscendo di prima mano diverse storie appassionanti, come quella di Padre Feng, di 84 anni, che è stato per 15 anni fra le grate delle carceri maoiste e che ora celebra tutti i giorni una messa clandestina.
Ti consigliamo vivamente la lettura del romanzo di Susaku Endo, “Silenzio”, dura però allo stesso tempo bellissima, che ci fa pensare. Non si tratta di un passatempo banale, ma che riesce a catturare l’attenzione del lettore, tanto che quando giunge all’ultima pagina, egli non è più lo stesso di quando era all’inizio.
Ti raccomando anche il reportage testimonianza di Cristina Lanzarote per capire come molti cristiani celebrano questo tempo di Natale in situazioni difficili, in “Betlemme” clandestine e in luoghi tanto umili e apparentemente insignificanti come un Presepio.
Buon Natale e Felice Anno Nuovo assieme ai tuoi familiari, caro lettore di Actuall!
Alfonso Basallo e la redazione di Actuall
Essere cristiani sotto le grinfie del dragone comunista. Così sono le messe clandestine in Cina.
Quasi nessuno parla dei 12 milioni di cattolici che si trascinano nelle carceri e della loro morte per aver testimoniato la loro fede. Vivono nella gigantesca catacomba, che è la Cina. Una reporter di Actuall ci racconta come sono le messe clandestine a Shanghai, la città in cui ha vissuto alcuni mesi.
Di Cristina Lanzarote
Ho vissuto a Shanghai, la cosiddetta perla dell’Oriente, una città colossale di 18milioni di abitanti, in cui il cittadino è come un granellino di sabbia in mezzo al deserto, che cammina come un automa trovandosi davanti a una tribuna che cambia a una velocità vertiginosa.
In Cina Dio non esiste. Lì milioni di anime vagano cercando un senso per la loro vita. E se esiste? Questo non importa, perché il solo cercarlo è in pratica un delitto.
(Riprendo la mia traduzione il 28 dicembre, giorno in cui la Chiesa ricorda i Santi Innocenti: i bimbi di Betlemme fatti uccidere da Erode nella speranza di eliminare il Messia, il futuro Re di Israele, per lui scomodo concorrente. Da qui si vede come fin dall’inizio della vita di Gesù si avveri la profezia di Giovanni: “Le tenebre – rappresentate dai, ricchi dai potenti, da coloro che credono di essere intelligenti, dai dominatori di questo mondo – non riescono a vedere e accogliere questa splendida Luce”. Per questo uccidono, emarginano e torturano gli umili, che hanno – secondo loro – il torto di accoglierla come verità che dà un senso alla loro vita. Anche nel nostro Occidente, che si crede più intelligente, c’è una nuova “strage degli innocenti” nei milioni di bambini uccisi ancor nel seno delle loro madri, col permesso delle leggi degli stati. Anche la Cina paga ora lo scotto dell’imposizione del figlio unico, che ha causato la morte di milioni di piccoli concepiti e un enorme divario tra i maschi e le femmine, che sono molto meno. Ndt).
Non ho provato su di me la persecuzione vicina, o meglio, non ho sentito l’oppressione della persecuzione, ma ho saputo che cosa vuol dire sentirsi come un delinquente per il semplice fatto di voler esser libero. Sono cattolica, e la facilità e libertà con cui posso assistere alla messa era per me qualcosa di naturale. Per questo la mia esperienza a Shanghai è stata una avventura. Se volevo seguire Dio, dovevo farlo in forma clandestina.
In Cina il diritto all’espressione religiosa non è dell’individuo, ma appartiene allo Stato, e questo diritto è concesso solamente a coloro che sono registrati nella Chiesa Patriottica dei Cattolici Cinesi, quale strumento del Partito Comunista per gestire il controllo della Chiesa Cattolica. L’appartenenza ad essa è volontaria, però in pratica chi non la accetta è considerato un cittadino illegale.
Nella città di Shanghai viene celebrata ufficialmente ogni giorno, alle 7 del mattino, una sola messa cattolica, e un’altra in inglese ogni domenica alle 12 nella cattedrale, e tutto ciò in una città con 18milioni di abitanti.
Se qualcuno suona il campanello di Isabel, lei apre la porta sconfortata, mentre finge di augurare educatamente la buona sera, chiedendovi di che cosa avete bisogno. Coloro che partecipano a questa messa sanno che il segnale di riconoscimento consiste nel battere col pugno sulla porta, invece di suonare il campanello.
Isabel necessita di varie referenze prima di ammettere i fedeli alla celebrazione. In seguito ci avverte di entrare e uscire rapidamente, al fine di non destare sospetti o creare disturbi ai vicini, i quali non riescono a capire come mai ogni giorno si raduni li così tanta gente straniera.
La coppia che accoglie per la messa clandestina ha sempre il the pronto per i fedeli. Si accede alla parte superiore salendo una scala che permette di sentire lo scalpiccio dei passi. “Non vogliamo rimetterle a nuovo perché ci danno la fantastica possibilità di sentire che qualcuno sta salendo.
In quel luogo si trova la cappella clandestina, che non è altro che una stanza della casa in cui la coppia di sposi ha posto un tavolo di legno coperto da una tovaglia bianca che Isabel inamida settimanalmente. Una dozzina di sgabelli sono disposti attorno all’altare improvvisato. Ci sono giorni in cui la metà di essi è vuoto, mentre in altri è necessario aggiungere altre sedie. Molti cattolici europei e latinoamericani, che sono di passaggio a Shanghai, si rifugiano in questo umile focolare strapieno di immagini religiose, per partecipare alla Santa Messa. Per Padre Feng, 84 anni, che è stato prigioniero per 15 anni nelle carceri maoiste: “Essere perseguitato per Cristo è fonte di vera gioia”.
Pilar è una taiwanese con ascendenti spagnole, però vive a Shanghai da anni, perché il marito lavora lì. È cattolica, però non va a messa perché ha paura. A differenza dei turisti, che passano nella capitale brevi periodi di tempo, lei deve vivere li ancora per molto tempo. Per questo teme che il Governo la scopra e la deporti. “Sono unita a voi nella preghiera e nella Comunione dei Santi, però non me la sento di assistere alla messa clandestina, perché se mi beccano possono cacciarmi dal paese”, dice, con un lamento.
Il resto sono una decina di cittadini cinesi tra i 70 e gli 80 anni che, ben consci delle conseguenze, preferiscono essere condannati per seguire Cristo che vivere per nulla.
Padre Feng è colui che celebra la messa di ogni giorno. Ha 84anni, fa fatica a camminare e ha un udito ridotto, ma la sua vita “è Cristo”, ci dice con orgoglio. È stato imprigionato per 15 anni per aver diffuso la fede, ma lui non ha paura.
Un’altra fedele è Joana, argentina che si è stabilita a Shanghai, la quale è convinta che “il Governo cinese sa dove sono i cristiani fedeli a Roma, ma non vuole por fine alla nostra attività. Lo fa perché vuole che le due chiese esistano, sia quella della Associazione Patriottica che quella fedele a Roma, e che litighino fra di loro, così che nessuna delle due prevalga sull’altra, tanto da rimanere entrambe deboli.
Vescovi, sacerdoti e religiosi sono stati esiliati, condannati ai lavori forzati, fucilati e assassinati in modo inumano. Un esempio di questa divisione è il vescovo di Shanghai, Taddeus Ma Daquin, che è stato posto agli arresti domiciliari negli ultimi 4 anni per aver lasciato l’Associazione Patriottica, volendo continuare ad essere fedele ai dettami di Roma.
Il giorno dopo la sua ordinazione ha affermato che non poteva “lavorare con una organizzazione che sfida regolarmente la Santa Sede ordinando i propri sacerdoti e vescovi senza il permesso del Papa. È inoltre accusata per essere circondata dalla corruzione. Da quel giorno non ha più celebrato alcuna messa, e la polizia cinese è rimasta giorno e notte davanti alla porta della sua abitazione per evitare che uscisse e diffondesse la fede. (Altre fonti cattoliche ci dicono che invece i rapporti con la Santa sede e con Papa Francesco sono buoni. Ndt).
Finalmente, nel giugno di quest’anno, in una strana circostanza, ha ritrattato pubblicamente la sua decisione di abbandonare la “chiesa di Stato cinese”, esprimendo il desiderio di tornare a far parte della Associazione Patriottica.
Questa è la realtà di una chiesa perseguitata e costretta a nascondersi nelle catacombe per poter sopravvivere. Il 26 dicembre si celebra la festa di Santo Stefano, primo martire della Chiesa cattolica e uno dei primi discepoli di Gesù che fu lapidato a Gerusalemme. Per questo con la testimonianza dei cristiani perseguitati in Cina, ricordiamo tutti coloro che con tanto coraggio non si rassegnano, non tacciono e non si vendono.
Victor Hugo diceva che: “Dio è l’evidenza invisibile”. Così, nel vuoto e nella disumanizzazione del regime cinese, l’evidenza è irrefutabile. “Sopprimete Dio e si avrà la notte nell’anima dell’uomo”. (Anche nel nostro Occidente si avverte sempre più opprimente questo vuoto creato dalle moderne ideologie nichiliste. Mi auguro che non venga riempito dall’islam, ma da un ritorno a quel Dio che ci guarda con occhi di bimbo dai nostri presepi, ma ancor più dalla sua presenza reale in coloro che, come Lui, danno la vita perché l’Amore trionfi sull’odio e la Vita sulla morte. Ndt).
Traduzione di Claudio Forti
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2016/12/la-persecuzione-dei-cristiani-in-cina/
"Riguardo alla Nona Assemblea, la Santa Sede attende di giudicare in base a fatti comprovati. Nel frattempo, Essa è certa che tutti i cattolici in Cina attendono con trepidazione segnali positivi, che li aiutino ad avere fiducia nel dialogo tra le Autorità civili e la Santa Sede e a sperare in un futuro di unità e di armonia".
Strano Natale in Cina. È la festa dei vescovi scomunicati
Nel discorso d'inizio anno che Francesco rivolgerà il 9 gennaio al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, l'attesa maggiore è su che cosa egli dirà o non dirà riguardo alla Cina.
L'ultimo pronunciamento ufficiale del Vaticano risale allo scorso 20 dicembre, quando il direttore della sala stampa Greg Burke così si espresse sulle ordinazioni episcopali avvenute tre settimane prima a Chengdu e Xichang e sull'imminente nona assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi, in programma subito dopo Natale:
"La presenza, nelle due suddette ordinazioni episcopali, di un vescovo, la cui posizione canonica è ancora allo studio della Sede Apostolica a seguito della sua ordinazione illegittima, ha creato disagio agli interessati e turbamento nei cattolici cinesi. La Santa Sede comprende e condivide questo loro dolore.
Questa dichiarazione vaticana fu commentata con parole insolitamente pacate dalle autorità di Pechino, per la bocca della portavoce del ministero degli esteri Hua Chunying.
Ma fu accolta come una doccia gelata da una larga parte dei cattolici cinesi, che si aspettavano da Roma una presa di posizione più energica e meno sottomessa, specie riguardo all'annunciata imminente assemblea. Il cardinale Zen Zekiun non mancò di far notare che nel 2010, alla vigilia della precedente assemblea, la Santa Sede aveva chiesto ai vescovi cinesi di non parteciparvi, in quanto "incompatibile con la dottrina cattolica", mentre questa volta non ha rinnovato tale richiesta:
In effetti, sia l'assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi, sia l'associazione patriottica dei cattolici cinesi, sia il cosiddetto consiglio dei vescovi cinesi sono le macchine di asservimento e di controllo del regime comunista sulla Chiesa.
E il vescovo illegittimo, scomunicato, al quale la dichiarazione vaticana ha fatto riferimento – Lei Shiyin, vescovo di Leshan, nel Sichuan – non solo aveva partecipato illecitamente, per imposizione del regime, alle due ordinazioni episcopali di Chengdu e Xichang, ma era appunto anche vicepresidente dell'associazione patriottica. Al pari del vescovo che aveva presieduto entrambe le ordinazioni – Fang Xingyao, vescovo di Linyi, nello Shandong –, che era presidente della medesima associazione e vicepresidente della conferenza episcopale fantoccio.
Nel frattempo la nona assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi si è svolta, dal 26 al 29 dicembre, in un hotel di Pechino. Con uno svolgimento e un esito vistosamente preordinati.
Gli eletti ai vertici delle organizzazioni di regime sono stati quasi tutti gli stessi di sei anni fa, con larga presenza di vescovi scomunicati.
Presidente del consiglio dei vescovi è stato rieletto Ma Yinglin, vescovo di Kunming, nello Yunnan, scomunicato.
Con vicepresidenti i seguenti vescovi:
Guo Jincai di Chengde, (Hebei), che è anche segretario generale, scomunicato;
Fang Xingyao di Linyi (Shandong);
Shen Bin di Haimen (Jiangsu);
Zhan Silu di Mindong (Fujian), scomunicato;
Fang Jianping of Tangshan (Hebei);
Pei Junmin di Liaoning;
Li Shan di Beijing;
Yang Xiaoting di Yulin (Shaanxi);
He Zeqing di Wanzhou (Chongqing);
Yang Yongqiang di Zhoucun (Shandong).
Fang Xingyao di Linyi (Shandong);
Shen Bin di Haimen (Jiangsu);
Zhan Silu di Mindong (Fujian), scomunicato;
Fang Jianping of Tangshan (Hebei);
Pei Junmin di Liaoning;
Li Shan di Beijing;
Yang Xiaoting di Yulin (Shaanxi);
He Zeqing di Wanzhou (Chongqing);
Yang Yongqiang di Zhoucun (Shandong).
Presidente dell'associazione patriottica è stato rieletto Fang Xingyao, vescovo di Linyi, nello Shandong.
Con vice presidenti i seguenti vescovi:
Ma Yinglin di Kunming (Yunnan), scomunicato;
Shen Bin di Haimen (Jiangsu);
Lei Shiyin di Leshan, (Sichuan), scomunicato;
Huang Bingzhang di Shantou (Guangdong), scomunicato;
Yue Fusheng di Harbin (Heilongjiang), scomunicato;
Meng Qinglu di Hohhot (Mongolia Interna).
Shen Bin di Haimen (Jiangsu);
Lei Shiyin di Leshan, (Sichuan), scomunicato;
Huang Bingzhang di Shantou (Guangdong), scomunicato;
Yue Fusheng di Harbin (Heilongjiang), scomunicato;
Meng Qinglu di Hohhot (Mongolia Interna).
Più tre laici e una suora:
Liu Yuanlong, laico, che è anche segretario generale;
Shu Nanwu, laico, del Jiangxi;
Shi Xueqin, laica, del Fujian;
Wu Lin, suora, di Wuhan (Hubei).
Shu Nanwu, laico, del Jiangxi;
Shi Xueqin, laica, del Fujian;
Wu Lin, suora, di Wuhan (Hubei).
Di tutti questi, i nuovi eletti sono appena due: He Zeqing e Yang Yongqiang, entrambi nella conferenza episcopale fantoccio.
Mentre tre dei riconfermati sono stati eletti in tutti e due i direttivi: i vescovi Ma Yinglin, scomunicato, Fang Xingyao e Shen Bin.
Questi tre sono anche quelli che hanno presieduto le tre messe dei tre giorni dell'assemblea. E il primo, scomunicato, ha presieduto l'adorazione e la benedizione finale nella cattedrale di Pechino.
Non sorprende quindi che il regime cinese – come per esibire la sua intransigenza – abbia imposto la partecipazione dei primi due di questi suoi campioni alle consacrazioni episcopali del 30 novembre a Chengdu e del 2 dicembre a Xichang, proprio mentre erano in corso le trattative con la Santa Sede su come scegliere e ordinare i nuovi vescovi.
“Indipendenza”, “autonomia”, “autogestione” sono state le parole d'ordine continuamente martellate durante l'assemblea. Nella quale ha preso la parola anche Wang Zuoan, direttore dell’amministrazione statale per gli affari religiosi, per ribadire la necessità che il Vaticano sia “flessibile e pragmatico” nell'accettare che siano il suo ufficio e l'associazione patriottica a decidere le nomine dei vescovi e la "politica generale" della Chiesa in Cina.
Al termine dei lavori i 360 rappresentanti cattolici dell'assemblea, tra i quali 59 vescovi, sono stati ricevuti da Yu Zhengsheng, membro del comitato permanente del Politburo del partito comunista cinese, e da altri esponenti della nomenklatura (vedi foto). A loro, Yu ha citato il discorso del presidente Xi Jinping sulle religioni, tenuto lo scorso aprile, che assegnava al partito l'obiettivo di “aderire e sviluppare le teorie religiose con caratteristiche cinesi”, aderendo al principio di “indipendenza” e adattando le religioni alla società socialista.
Nella dichiarazione del 20 dicembre, in vista dell'assemblea, la Santa Sede diceva di "attendere di giudicare in base a fatti comprovati".
Ma l'esito dell'assemblea pare non aver prodotto nessuno degli auspicati "segnali positivi".
Basti notare che il consiglio dei vescovi cinesi al quale – secondo la soluzione in corso di studio tra il Vaticano e Pechino – dovrebbe spettare il compito di proporre al papa i nomi dei futuri vescovi, non solo continua a rimanere privo dei circa trenta vescovi fedeli a Roma ma non riconosciuti dal regime e quindi trattati come "clandestini", ma ha avuto riconfermati come presidente e come segretario generale due vescovi scomunicati.
*
Su "Avvenire" del 4 gennaio, Agostino Giovagnoli ha dato dell'assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi una valutazione più ottimistica, da "scampato pericolo":
> Cina-Santa Sede: qualcosa sta cambiando
> Cina-Santa Sede: qualcosa sta cambiando
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Tutti i precedenti articoli di Settimo Cielo e www.chiesa sul tema:
> Focus su CINA
> Focus su CINA
*
Settimo Cielo
05 gen
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/01/05/strano-natale-in-cina-e-la-festa-dei-vescovi-scomunicati/
Ecco perché la Cina vuole una chiesa socialista e autocefala
(Mauro Faverzani) I cattolici cinesi devono formare una Chiesa «indipendente» e contribuire attivamente al «socialismo»: a dirlo, è stato Yu Zhengsheng, presidente del Comitato nazionale della Cpcpc, Conferenza politico-consultiva del popolo cinese, infischiandosene degli ammiccamenti giunti nei mesi scorsi dal Vaticano e tesi ad una politica di progressivo avvicinamento.
Il suo intervento è risuonato nella sede della nona Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici cinesi, svoltasi dal 27 al 29 dicembre nella capitale: l’ultima assise si tenne sei anni fa. Nel corso della manifestazione, i vescovi presenti sono stati trattati come burattini dai membri del Partito. Non a caso le precedenti edizioni di queste riunioni furono sempre avversate dalla Santa Sede ed a ragione: i vescovi della Chiesa “sotterranea”, fedeli al Papa, erano costretti con la forza a parteciparvi. L’esito dei lavori ha dimostrato ancora una volta quanto fondati e concreti fossero i timori espressi a chiare lettere solo quattro mesi fa dal vescovo emerito di Hong Kong, card. Joseph Zen Ze-kiun, timori di un compromesso, che suoni come una resa della Santa Sede al potere comunista, gettando la Chiesa clandestina, fedele a Roma, nelle fauci dell’Associazione Patriottica, totalmente comandata dal regime.
Secondo quanto riportato dall’agenzia Nuova Cina, il partito vuole, infatti, far capire come l’unico avvicinamento ritenuto possibile sia quello di Roma verso Pechino e non l’inverso: si pretende che i cattolici abbiano ad «integrarsi meglio nella società» e ad «armonizzare il patriottismo col loro fervore per la Chiesa», quella Chiesa richiesta di «aderire al principio dell’amministrazione autonoma, di occuparsi degli affari religiosi in modo indipendente e di spingere gli stessi fedeli a far proprio il processo di “cinesizzazione” della religione», ha aggiunto l’alto dirigente incontrando i responsabili del culto nazionalizzato. Il che si scontra sia con il fallimento storico a livello internazionale del comunismo, sia con il suo carattere ateo, rigidamente mantenuto in questo Paese. Di fatto, oggi, la dozzina di milioni di cattolici presenti in Cina si trova divisa tra un’«Associazione patriottica», il cui clero viene scelto dal Partito Comunista al potere, e da una Chiesa non ufficiale, i cui Vescovi vengono nominati da Roma e “tollerati”, ma non riconosciuti da Pechino, che anzi, ovunque sia possibile, tende a sottoporli ad abusi ed angherie.
Resta, del resto, assolutamente valida la Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesidel 27 maggio 2007, in cui si afferma non corrispondere alla Dottrina cattolica la pretesa di «organismi voluti dallo Stato di porsi al di sopra dei Vescovi stessi e di guidare la vita della comunità ecclesiastica». Come l’Associazione patriottica, per l’appunto. Il regime comunista ha mantenuto un atteggiamento ostile, promuovendo da tempo una vasta campagna contro «l’influenza» esercitata, a suo dire, dalle idee e credenze occidentali: in quest’ottica ha esortato i cattolici a prendere le distanze dal Pontefice, benché questi cerchi di ricucire lo strappo del passato, quando, nel 1951, si interruppero le relazioni diplomatiche tra la Cina ed il Vaticano e si spalancarono le catacombe per i cattolici orientali, costretti a patire torture, carcere ed isolamento a causa della loro fede.
I vertici del partito van giù pesanti, auspicando l’adozione da parte della Santa Sede «di un approccio più flessibile e pragmatico, al fine di creare le condizioni favorevoli ad un miglioramento delle nostre relazioni attraverso azioni concrete», come spiegato da Wang Zuo’an, responsabile del governo per i culti, esortando Roma ad «un dialogo costruttivo». E, tanto perché il messaggio sia ancora più chiaro, a capo del Consiglio dei vescovi è stato riconfermato quello uscente, mons. Ma Yinglin, scomunicato, mentre a capo dell’Associazione patriottica è stato posto mons. Fang Xingyao, riconosciuto tanto dal Vaticano quanto dal governo: peccato però che, tra i suoi vice – oltre a tre laici ed una suora, facilmente gestibili –, figurino ben 4 vescovi illegittimi e solo 2 riconosciuti. Una minoranza schiacciante. Evidentemente a nulla ha portato la linea morbida perseguita nel corso dei quattro incontri (almeno) svoltisi tra la Cina e il Vaticano nel 2016 per cercare d’intendersi sulla spinosa questione delle nomine dei vescovi, peraltro senza nulla far sapere in merito da Roma ai diretti interessati.
Pochi giorni fa sono stati ordinati due nuovi vescovi, in Cina; uno di loro, senza il consenso del Papa. Che, dal canto suo, pur dicendosi rattristato, ha comunque dichiarato di confidare in una ripresa del dialogo. Il card. Zen Ze-kiun teme «lo spettro di una dichiarazione proveniente proprio dall’autorità della Chiesa». Il suo, ha precisato, è un appello «pieno di tristezza e di dolore per preparare gli animi ad una tale eventualità, la quale una volta sembrava impossibile, ora ci si presenta molto probabile». Specificando anche come, «nella nostra accettazione delle disposizioni da Roma» vi sia «un limite, il limite della coscienza. Non possiamo seguire quell’eventuale accordo in ciò che alla coscienza appare come chiaramente contrario all’autentica fede cattolica».
Una decisione, quella di Sua Eminenza, certo non assunta con disinvoltura: «Sarà per me una vera lacerazione del cuore, tra l’istinto salesiano di devozione al Papa e l’impossibilità di seguirlo fino in fondo nel caso, per esempio, incoraggiasse ad abbracciare l’Associazione Patriottica e ad entrare in una Chiesa totalmente asservita ad un governo ateo. Dovremo rifiutare di fare quel passo proprio perché esso è formalmente in contraddizione con l’autorità petrina. Sì, nel caso contemplato (ed in questo momento speriamo ancora fortemente che non si verifichi), noi vogliamo essere fedeli al Papa (al Papato, all’autorità del Vicario di Cristo), nonostante il Papa». Chiarissimo il card. Zen Ze-kiun. E chiarissimo anche il Partito comunista cinese. L’unica voce, al momento, a non esser chiara e ad apparire anzi alquanto confusa ed imbarazzata, è proprio quella vaticana (Mauro Faverzani.)
MALPENSA. CAPPELLA DELLA MADONNA DI LORETO AGLI ISLAMICI. UN GESTO DI BONTÀ RISCHIOSO.
E’ certamente un gesto di buona volontà, ma potrebbe essere anche uno sbaglio colossale. Parliamo dell’iniziative del cappellano di Malpensa, che ha deciso di mettere a disposizione dei fedeli dell’islam la cappella della Madonna di Loreto per le loro preghiere.
Abbiamo letto qui dell’iniziativa; e ci sembra frutto di buone intenzioni, ma forse non troppo saggia. E cerchiamo di spiegare perché.
Perché il luogo in cui cuna comunità musulmana prega, diventa Dar al-Islam, la casa dell’islam; un luogo per sempre di proprietà dei seguaci del Profeta. A differenza del resto del mondo, occidentale in particolare, che è Dar al-harb, la casa della guerra, cioè terreno da conquistare alla vera fede.
Ed è proprio per questo motivo che il Saladino, quando conquistò Gerusalemme, e visitò la Chiesa del Santo Sepolcro, si comprtò come si comportò. E cioè: fece abbattere la Croce, e spezzare le campane, ma non volle pregarvi dentro, proprio per evitare che il Sepolcro diventasse dar al-Islam. Volle infatti che restasse un luogo di pellegrinaggio cristiano (per ragioni anche economiche, sembra: i pellegrini portavano fior di affari).
Non è un caso che la Conferenza Episcopale Italiana, in un suo documento pastorale, abbia scritto:
“Le comunità cristiane, per evitare inutili fraintendimenti e confusioni pericolose, non devono mettere a disposizione, per incontri religiosi di fedi non cristiane, chiese, cappelle e locali riservati al culto cattolico, come pure ambienti destinati alle attività parrocchiali. Così pure, prima di promuovere iniziative di cultura religiosa o incontri di preghiera con i non cristiani, occorrerà ponderare accuratamente il significato e garantire lo stile di un rapporto interreligioso corretto, seguendo le disposizioni della chiesa locale”.
E infatti nei mesi scorsi, in una riunione ad altissimo livello del Papa con i suoi collaboratori, si è trattato del problema del dialogo con l’Islam, e dei suoi molteplici aspetti. Un capo dicastero importante, che ha una grande esperienza del problema, e del mondo islamico, ha detto che bisogna mettere in guardia i nostri operatori pastorali, che magari per ingenuità prestano chiese e locali. Nella memoria collettiva dei fedeli islamici quel dato resta registrato; e può diventare oggetto di rivendicazione in un futuro più o meno lontano.
Quindi forse se c’è un vescovo a Milano dovrebbe attivarsi per rimediare alla buona volontà del cappellano…
Marco Tosatti
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