Se Diogene cita Socrate contro Platone. Su un uso falso di citare Monsignor Lefebvre
Negli ultimi tempi è capitato soventemente di leggere lunghe citazioni dalle opere di Monsignor Lefebvre a riprova, nelle intenzioni dei compilatori di articoli e post, della sua oggettiva contrarietà a un accordo con le autorità romane.La redazione del sito Riscossa Cristiana ha recentemente fatto ricorso a questo espediente nel rispondere a un'affermazione recente di Monsignor Athanasius Schneider (vedi qui). Il coraggioso vescovo kazako in una recente intervista, dopo avere fatto la diagnosi della malattia grave che minaccia la Chiesa, ha infatti affermato di essere "convinto che nelle attuali circostanze Monsignor Lefebvre avrebbe accettato la proposta canonica di una prelatura personale senza esitazione". Benché questa dichiarazione sia evidentemente dominata da una visione soprannaturale e dall'esigenza di fare fronte comune all'eresia che si diffonde ogni giorno nel corpo della Chiesa, la redazione di RC vi sospetta la "cattiva abitudine di fare parlare i morti", e cerca di fare prevalere la realtà sulle ipotesi riportando un'omelia pronunciata a Lille nel 1976 da Monsignor Lefebvre.
Davvero l'omelia di Lille è un testo rappresentativo del pensiero di Monsignor Lefebvre e c'è da essere riconoscenti, almeno per questo, alla redazione di Riscossa Cristiana per averlo proposto ai lettori. In esso si toccano molti problemi ancora attuali, le responsabilità dei testi del Concilio Vaticano II nella genesi della profonda crisi della Chiesa, la perversione della dottrina, la corruzione della liturgia e delle formule sacramentali, l'affermazione di un vastissimo ceto eterodosso nella gerarchia ecclesiastica e la persecuzione del clero e del popolo cattolico.
Ciò che, tuttavia, alla fine proprio non si comprende è la contraddizione tra questo testo, le intenzioni di Monsignor Lefebvre, a quel tempo appena colpito dalla ingiusta sospensione a divinis da parte di Paolo VI, e gli auspici di Monsignor Schneider. Non si capisce, in sintesi, perché l'omelia parli contro la possibilità di un accordo. Monsignor Lefebvre, infatti, dopo avere descritto in tutta franchezza lo scempio della Chiesa cattolica, fa esattamente ciò che Riscossa Cristiana esclude, e si rivolge a Roma non per chiedere l'improbabile immediata riparazione di tutto ciò che è stato distrutto come prezzo della composizione dei rapporti tra la Fraternità e Roma, ma, nonostante la pena canonica appena comminatagli, conclude con parole, il cui significato, per urgenza di polemica o per semplice distrazione, non sembra essere stato considerato dalla Redazione di Riscossa Cristiana. Così afferma infatti Monsignor Lefebvre nella bella omelia di Lille:
Mi sembra di dovere concludere solo dicendo che dobbiamo veramente pregare, tutti insieme, affinché il buon Dio ci dia i mezzi per risolvere questi problemi. E pensare che sarebbe così semplice. Se solo ciascun vescovo nella sua diocesi mettesse a disposizione dei fedeli cattolici legati alla Tradizione una chiesa, che immensi benefici ne trarrebbero [...]! Quando si pensa che molti vescovi oggi non esitano a concedere chiese ai gruppi religiosi più disparati, non vedo perché non potrebbe esserci una chiesa per i cattolici fedeli alla Tradizione. Così tutto sarebbe risolto [!]. Sarebbe quello che domanderei al Papa, se il Papa mi ricevesse: "Santo Padre, ci lasci fare l'esperienza della Tradizione".Il testo riportato da RC rappresenta una traduzione abbastanza libera dell'originale francese (vedi qui). Per esempio Monsignor Lefebvre appare assai più concreto e realista quando, diversamente dalla versione italiana, afferma che "quand on pense que l'Évêque de Lille a donné une église aux musulmans je ne vois pas pourquoi il n'y aurait pas une église pour les catholiques de la Tradition". Più perplessi lascia l'omissione dell'ultima frase dell'omelia:
Laissez-nous faire, Trés Saint Père, l'experience de la Tradition. Au milieu de toutes les experiences qu'on fait actuellment qu'il y ait au moins l'expérience de ce qui a été fait pendant vingt siècles!ossia
Santo Padre, ci lasci fare l'esperienza della Tradizione. Che in mezzo a tutte le esperienze che si fanno attualmente ci sia almeno l'esperienza di ciò che è stato fatto durante venti secoli!Non è facile dire dove si trovasse la Redazione di Riscossa Cristiana nel 1976 (anche se ciascuno può farsi un'idea). Certamente tutto il tenore dell'ultima parte dell'omelia e, in particolare, quest'ultimo detto dell'Arcivescovo colpevolmente omesso denunciano, se messi soltanto a confronto con il commento introduttivo della Redazione, una grave incomprensione del pensiero e delle intenzioni del compianto Arcivescovo, e mettono allo scoperto la scorrettezza che si è stata appena ingenerosamente imputata ad altri, quella di "far parlare i morti".
É, invece, del tutto evidente che Monsignor Lefebvre ha una retta comprensione del Papato e della sua autorità, e che non cede alla tentazione di trarre conseguenze in merito all'autorità di Paolo VI che pure nel 1976 ha già incontrato Atenagora I, pronunciato il famoso discorso di fronte alle Nazioni Unite, abrogato l'Indice, continuato rovinosamente il Concilio Vaticano II, "abrogato" il Messale di San Pio V e la Liturgia antica. Il fondatore della FSSPX non ha mai cessato di denunciare l'errore e l'eresia nella Chiesa e, al contempo, ha conservato la consapevolezza cattolica che tale missione dovesse essere comunque orientata a Roma. Ciò che, nel 1976, a Lille, con uno sbalorditivo realismo e con senso perfettamente cattolico Monsignor Lefebvre chiedeva a Paolo VI era "che in mezzo a tutte le esperienze che si fanno attualmente ci sia almeno l'esperienza di ciò che è stato fatto durante venti secoli!". Si chiedeva la libertà della Tradizione, come momento concreto della libertas Ecclesiae, in mezzo alla Babele di tutte le altre "esperienze", e ciò fino al punto di rivendicare di fronte all'empio vescovo di Lille la par condicio con i musulmani. Tale e tanto profondo dovette essere il giudizio doloroso di Monsignor Lefebvre sulla disastrosa situazione della Chiesa! Non diversamente nel 1988, all'indomani dell'empietà di Assisi, il nostro grande Arcivescovo si rivolse a Giovanni Paolo II e in perfetta coerenza si rivolge Monsignor Fellay a Francesco, nonostante la attuale desolazione del Tempio.
I Diogene, che dalla botte in cui hanno deciso di cacciarsi e di pensare la Chiesa e la Tradizione cattolica, continuano a citare sediziosamente Socrate contro Platone e il bene comune della sua e nostra Repubblica, sono purtroppo entrati in una dimensione apocalittica nella quale la riduzione esplicita di un Papa all'anticristo e di Roma alla sede dell'Anticristo distrugge, almeno nelle loro menti, definitivamente il Papato secondo uno schema che fa pensare alla terribile Responsio di Lutero ad Ambrosio Catarino (una lettura imprescindibile per constatare l'analogia tra la disposizione attuale di alcuni cattolici e quella di Lutero vedi qui). Dopo l'apocalisse non c'è storia.
Su questi aspetti si dovrà ritornare soprattutto in considerazione del veemente articolo di Alessandro Gnocchi sulla FSSPX che oggi compare su Riscossa Cristiana dando seguito al posizionamento della Redazione. Basti qui ribadire quel che si è appena scritto in merito a un recente attacco ai superiori legittimi della Fraternità (vedi qui), che chiunque si rivolta all'autorità legittima, deve assumersi la responsabilità della possibilità della propria iniquità (2 Tess 2) oltre che quella della propria più autentica e profonda giustizia (così la clausula Petri in At 5, 29). In fondo è tutta questione di discernimento.
Pubblicato da Vigiliae Alexandrinae
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