«San Giovanni Rotondo 13 novembre 1958.
Cara Madre Pascalina! Ieri mattina ho ricevuto la Sua cara lettera del 9 novembre. Non so come fare a ringraziarla per avermi informato sulla meravigliosa morte del Santo Padre. Che Dio la ricompensi di cuore. Davvero “Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius” (Sal 116,15)!
Stiamo facendo gli esercizi spirituali e non ho ancora informato nessuno, eccetto Padre Pio. Ieri mattina egli ha ancora confessato, come di consueto. Poi si è sentito male, ha avuto anche un po’ di febbre, ed è stato costretto a riposarsi. Ieri sera, verso le ore 18:45, sono andato nella sua stanza. Non conosco il motivo, ma mi riceve sempre con una particolare amabilità. Mi sono inginocchiato accanto al suo letto e ho baciato la sua mano: lui ha tenuto la mia baciandola. Poi ha preso la mia mano tra le sue mani, premendola al suo petto, mentre parlavo con lui. All’inizio ha sorriso un po’ dicendomi: “Sono buoni esercizi spirituali!”.
Poi gli ho detto tutto ciò che Lei mi aveva comunicato: la pia morte del Santo Padre, il Magnificat, ecc. – e anche la convinzione Sua e di altri che Egli ora stia contemplando Dio. Padre Pio ha ascoltato tutto con grande commozione. Infine ho aggiunto ancora i Suoi saluti e la Sua richiesta di preghiera. Egli ha fatto un cenno benevolo, toccato anche dalle Sue parole “È ancora una ferita aperta e che fa male”.
Poi la Sua domanda: “Cosa direbbe Padre Pio?”. Ho posto la domanda in questo modo: “Madre Pascalina domanda: che pensa Padre Pio?”. Con un volto quasi trasfigurato egli ha risposto: “È in Paradiso. Lo ho visto nella Santa Messa”. Non mi sono fidato delle mie orecchie e ho chiesto: “Lo ha visto in Paradiso?”. “Sì!” mi ha risposto con un sorriso quasi celestiale.
Cara Madre Pascalina, siamo tutti convinti che il Santo Padre è un santo. E queste parole di Padre Pio sono una conferma gioiosa e piena di consolazione, non è vero? Come sono lieto di poterLe comunicare tutto questo. Lo sguardo di Padre Pio nell’eternità sia balsamo e sollievo per il Suo cuore addolorato! Prima di congedarmi da Padre Pio – era l’ora del Rosario e della conferenza – lui ha chiesto a me (un tale Frataccio!) di benedirlo. Ci siamo quindi benedetti a vicenda. Manda la sua benedizione anche a Lei. Stamattina si è alzato più tardi e ha celebrato la Santa Messa senza confessare dopo. Ancora una cosa vorrei menzionare: il giorno della morte, Padre Pio ha sentito la notizia appena prima della sua Santa Messa. Poiché ogni padre celebra una Santa Messa per un Papa defunto, ha potuto subito dire la Messa per Lui. Forse già lì ha visto il Santo Padre nella sua gloria. Durante tutta la Messa Padre Pio ha pianto. “Vedete come egli lo amava!”.
Ancora una volta: che Dio La ricompensi! Nel cuore di Gesù, P. Dominicus, OFM Capp.».
Questo è il documento che attesta la santità di Pio XII e la gloria a lui concessa già subito dopo la morte, che Padre Pio “vide” fin da allora e che la Chiesa gli sta riconoscendo solo ora. È una lettera (1) scritta a Suor Pascalina (2), segretaria di Papa Pacelli, da Padre Domenico Meyer. È evidente che questa missiva è la risposta a un’altra che la Religiosa deve aver fatto pervenire, in qualche modo, al Cappuccino. Di questa prima lettera, però, non è stata ancora trovata traccia. Il suo contenuto è, comunque, facilmente deducibile.
Padre Domenico (Enrico Luigi Mayer) nacque a Belleville, Illinois (USA), il 22 luglio 1892. Il 6 novembre 1948 venne a San Giovanni Rotondo come corrispondente di lingua inglese e tornò definitivamente negli USA il 22 agosto 1961. [...].
Chi lo ha conosciuto ricorda che Padre Domenico da Belleville non conosceva solo la sua lingua madre, ma anche il tedesco. È facile, quindi, immaginare che la sua presenza a San Giovanni Rotondo tornasse di grande utilità, sia per il servizio di Confessore con i pellegrini di lingua inglese e tedesca, che per rispondere alla copiosa corrispondenza dei devoti di quelle nazioni. Padre Pio era il suo Confessore e, al refettorio, mangiava sempre alla sua destra (3). Non solo. Poiché era l’unico che gli sedeva accanto, beneficiava sempre del piatto del santo Cappuccino, che notoriamente mangiava pochissimo e passava al vicino di mensa ogni pietanza, dopo qualche cucchiaiata o forchettata. Tuttavia sembra che il ruolo del Frate americano a San Giovanni Rotondo non fosse solo quello di aiuto nel rispondere alle lettere, ma anche quello di osservare e riferire al Ministro Generale. E spesso le segrete relazioni di Padre Domenico erano molto pesanti. Anche nei confronti di Padre Pio.
Grazie a questo Frate, comunque, sono giunte fino a noi le parole pronunciate dal santo Cappuccino a proposito di Pio XII. [...].
In realtà il contenuto del documento più che una novità rappresenta una conferma. Infatti Padre Agostino da San Marco in Lamis, uno dei direttori spirituali di Padre Pio, il 18 novembre 1958, riferendosi al discepolo, annotava nel suo Diario, pubblicato nel 1971: «Ha sentito tutto il dolore della sua anima per la morte del Papa Pio XII. Ma poi il Signore glielo ha fatto vedere nella gloria del Paradiso» (4).
Un’altra autorevole testimonianza era stata raccolta da Gherardo Leone e pubblicata nel 2003 sulla rivista La Casa Sollievo della Sofferenza. Il 26 maggio del 2002, Elena Pacelli Rossignani, figlia della sorella minore del Pontefice, Elisabetta Pacelli coniugata Rossignani, ha rivelato a Suor Margherita Marchione, biografa di Pio XII, che durante una delle sue visite a San Giovanni Rotondo «Padre Pio aveva confidato a lei e alla madre di essere stato destato verso le due e trenta della notte del 9 ottobre da un ticchettio, prodotto sui vetri della finestra da un uccellino bianco, cui aveva fatto seguito la chiara visione della morte di Pio XII e della sua salita al Cielo. Padre Pio aveva confidato inoltre di essere rimasto turbato e commosso da questa visione e di aver subito convocato i confratelli in cappella per una preghiera comune» (5).
Ma non si può disconoscere alla lettera di Padre Domenico a Suor Pascalina e ha chi l’ha rinvenuta anche un altro merito: aver riportato in luce un antico legame fra due grandi “santi”, fatto di venerazione reciproca.
Pio XII è stato certamente il Papa che più di ogni altro ha assunto «nella vita di Padre Pio una rilevanza straordinaria», poiché «amò e protesse il Cappuccino vivente sulle falde garganiche» ed «ebbe ed ha il grande pregio verso l’umanità di avere compreso lo spirito di Padre Pio, promosso le realizzazioni delle sue opere; verso il Signore, di aver protetto il suo servo prediletto e fedele» (6).
da Stefano Campanella,
Il Papa che Padre Pio “vide” in Paradiso,
in Studi su Padre Pio, vol. 3/2007
Note
1) Copia della missiva, scritta in tedesco e firmata a mano in calce è conservata a Roma, presso il Collegium Paulinum.
2) Suor Pascalina, al secolo Josephine Lehnert, nacque a Ebersberg, nei pressi di Monaco di Baviera, il 29 agosto 1894. A 23 anni entrò tra le Suore Insegnanti della Santa Croce. Pochi mesi dopo, nel 1918, venne chiamata a prestare servizio alla Nunziatura di Monaco all’arrivo del nunzio Eugenio Pacelli. Un servizio che continuò quando il Nunzio fu spostato a Berlino e poi a Roma quando il cardinale Pacelli fu nominato Segretario di Stato e anche dopo la sua elezione al Soglio Pontificio, che terminò solo dopo la morte di Pio XII. Suor Pascalina è morta a Vienna nel 1983.
3) Nel refettorio antico del convento di San Giovanni Rotondo, è esposta la fotografia in cui si vede, appunto, Padre Domenico che prende posto accanto a lui.
4) Agostino da San Marco in Lamis, Diario, San Giovanni Rotondo 2003, Ed. Padre Pio da Pietrelcina, p. 222.
5) Gherardo Leone, Padre Pio e Pio XII: un feeling durato vent’anni che ha consentito il sollievo della sofferenza e i gruppi di preghiera, in La Casa, 19 (2003), p. 12.
6) Felice Spaccucci, I cinque Papi di Padre Pio, Napoli, Laurenziana, pp. 57-58.
https://gloria.tv/article/SscV9frmCJMq3FjHFcdLNPaVb
Ma come si permette il cardinale Raymond Burke, di rilasciare certe interviste a La verità, e di criticare una decisione del papa? Chi crede di essere?
Lui, che si atteggia a tradizionalista, non dovrebbe obbedienza all’autorità “infallibile” del pontefice? Simili dichiarazioni abbondano sulla rete, ad opera soprattutto dei cattolici progressisti e dei loro zelanti fiancheggiatori laici.
Chi sino a ieri derideva il dogma dell’infallibilità pontificia come un rottame del passato, oggi si nasconde dietro la dottrina, dietro la legge, dietro l’autorità, per impedire non ad uno, ma a molti cardinali, di porre delle semplici domande. Domande, si badi bene, che hanno l’unico difetto di essere chiare, inequivocabili; di impedire a priori, a chi le riceve, per la loro stessa formulazione, una risposta ambigua, vaga, diciamolo pure, gesuitica.
Gesù, nel Vangelo, dedica al matrimonio poche, chiare parole, e invita chi lo ama, ad osservare i suoi comandamenti. Amoris laetitia, al contrario, è un documento verboso, inconcludente, in cui le novità dottrinali, per le quali è stato concepito, sono messe pudicamente in tre note (che vanno lette e rilette per capire cosa vogliano dire). Amoris laetitia è, ancora, un documento sinodale, non scritto dai padri sinodali ma da alcuni ghost writer scelti ab origine per le loro posizioni; redatto all’inizio, e non, come dovrebbe essere, alla fine del Sinodo; imposto da una minoranza interna alla Chiesa che ha voluto diventare maggioranza appoggiandosi ai media ostili alla dottrina cattolica sul matrimonio. Un po’ come l’alleanza tra Giuda, i farisei e Pilato, contro Gesù.
Bisogna dirsi la verità: è in atto una vera guerra, nella Chiesa, con due schieramenti sempre più definiti. I cardinali più vicini al magistero su vita e famiglia di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, da una parte; i vecchi contestatori alla Walter Kasper, dall’altra.
Nel campo giornalistico, lo schieramento è quello che ci si poteva aspettare: coloro che hanno sempre amato Benedetto, come Sandro Magister, Marco Tosatti, Antonio Socci, Giuseppe Rusconi, Lorenzo Bertocchi… a raccontare quanta poca dottrina, sinodalità, tolleranza, misericordia via sia nell’attuale gestione della Chiesa; il fronte progressista di Alberto Melloni, Luigi Accattoli, Marco Politi eccetera, a celebrare invece, con dosi massicce di incenso e appositi turiboli, “le magnifiche sorti e progressive” della nuova chiesa di Francesco. Con qualche sorpresa: l’ex destrorso Andrea Tornielli, un tempo contiguo agli ambienti più tradizionali della Chiesa, passato armi e bagagli ad esaltare ciò che ieri condannava o snobbava (lo vogliamo definire “governativo”?), e Aldo Maria Valli, vaticanista storicamente della sinistra ecclesiale moderata, oggi smarrito e leggermente adirato di fronte alla mutazione genetica in atto.
Ma, tornando a pesce al cardinal Burke e agli altri cardinali: possono, dei cattolici, criticare il papa?
La risposta, alla luce della teologia tradizionale, è scontata: certamente!
Anzitutto per un motivo semplicissimo: il loro ruolo, la loro carica. I cardinali non sono dei camerieri con eleganti calzette rosse, ma gli elettori e i più intimi collaboratori del papa. Se poi Francesco preferisce confrontarsi con Pannella, Bonino, Scalfari, Di Caprio e compagnia, diventa quasi obbligatorio, per i suddetti cardinali rimasti senza lo straccio di una risposta e di una udienza, rendere pubblici i loro dubbi; “resistere in faccia” a Pietro, come fece, provvidenzialmente, san Paolo nella Chiesa delle origini.
Si badi bene: i famosi “dubia” sono affidati al papa. Si chiede proprio a lui di rispondere. Nel 2017, a cinquecento anni dalla rivolta di Martin Lutero, dopo l’esaltazione del monaco ribelle proposta dallo stesso Francesco, Burke e gli altri cardinali non apostrofano il papa con gli appellativi luterani (“anticristo”, “impostore”, “servo del demonio” …); non delegittimano la sua autorità: gli chiedono di pronunciarsi, di parlare, finalmente, chiaramente. Forse convinti che il papa non abbia il coraggio di contraddire apertamente i suoi predecessori; oppure confidando nello Spirito Santo, che, secondo molti teologi, più che “scegliere” il papa, come spesso erroneamente si dice, impedisce che egli possa proclamare, solennemente, ex cathedra, un’eresia esplicita.
Il papa, questo è l’insegnamento tradizionale della Chiesa e della storia, può sbagliare sia nella vita personale, sia come teologo privato. Scriveva san Vincenzo da Lerino: “Dio alcuni papi li dona, altri li tollera, altri ancora li infligge”.
Proprio a seguito della proclamazione del dogma della infallibilità pontificia (1870), il beato cardinal John Henry Newman, nella Lettera al duca di Norfolk, volle chiarirne il significato, consapevole delle banalizzazioni e delle incomprensioni che ne sarebbero derivate: “Con tutto ciò sono lontano dall’affermare che i papi non abbiano mai torto; che non ci si debba mai opporre a loro, oppure che le loro scomuniche abbiano sempre effetto. Non sono tenuto a difendere la politica e gli atti di singoli Papi… Indubbiamente ci sono azioni di papi alle quali nessuno amerebbe aver avuto parte”. E aggiungeva che la Chiesa docente non è sempre stata, nella storia, “lo strumento più attivo dell’infallibilità: vedi il caso della crisi ariana”: “Fu forse Pietro infallibile, quando ad Antiochia Paolo gli si oppose a viso aperto? O fu infallibile san Vittore allorché separò dalla sua comunione le chiese dell’Asia, o Liberio quando, egualmente, scomunicò sant’Atanasio?…”.
Argomentando in questo modo, Newman ricordava di non dire nulla di nuovo, ma di essere nel solco del pensiero millenario della Chiesa.
La forza di Burke, Caffarra e degli altri cardinali, anche di quelli più timorosi e ondivaghi, come il cardinal Mueller, sta in questo: tutto ciò che fanno è per amore della Chiesa di Cristo.
Se cercassero successo, onori, vita tranquilla, starebbero al calduccio dall’altra parte.
La Verità, 14/1/2016
Quando il papa è infallibile, e perchè si può criticare
Antonio Righi16 gennaio 2017Ma come si permette il cardinale Raymond Burke, di rilasciare certe interviste a La verità, e di criticare una decisione del papa? Chi crede di essere?
Lui, che si atteggia a tradizionalista, non dovrebbe obbedienza all’autorità “infallibile” del pontefice? Simili dichiarazioni abbondano sulla rete, ad opera soprattutto dei cattolici progressisti e dei loro zelanti fiancheggiatori laici.
Chi sino a ieri derideva il dogma dell’infallibilità pontificia come un rottame del passato, oggi si nasconde dietro la dottrina, dietro la legge, dietro l’autorità, per impedire non ad uno, ma a molti cardinali, di porre delle semplici domande. Domande, si badi bene, che hanno l’unico difetto di essere chiare, inequivocabili; di impedire a priori, a chi le riceve, per la loro stessa formulazione, una risposta ambigua, vaga, diciamolo pure, gesuitica.
Gesù, nel Vangelo, dedica al matrimonio poche, chiare parole, e invita chi lo ama, ad osservare i suoi comandamenti. Amoris laetitia, al contrario, è un documento verboso, inconcludente, in cui le novità dottrinali, per le quali è stato concepito, sono messe pudicamente in tre note (che vanno lette e rilette per capire cosa vogliano dire). Amoris laetitia è, ancora, un documento sinodale, non scritto dai padri sinodali ma da alcuni ghost writer scelti ab origine per le loro posizioni; redatto all’inizio, e non, come dovrebbe essere, alla fine del Sinodo; imposto da una minoranza interna alla Chiesa che ha voluto diventare maggioranza appoggiandosi ai media ostili alla dottrina cattolica sul matrimonio. Un po’ come l’alleanza tra Giuda, i farisei e Pilato, contro Gesù.
Bisogna dirsi la verità: è in atto una vera guerra, nella Chiesa, con due schieramenti sempre più definiti. I cardinali più vicini al magistero su vita e famiglia di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, da una parte; i vecchi contestatori alla Walter Kasper, dall’altra.
Nel campo giornalistico, lo schieramento è quello che ci si poteva aspettare: coloro che hanno sempre amato Benedetto, come Sandro Magister, Marco Tosatti, Antonio Socci, Giuseppe Rusconi, Lorenzo Bertocchi… a raccontare quanta poca dottrina, sinodalità, tolleranza, misericordia via sia nell’attuale gestione della Chiesa; il fronte progressista di Alberto Melloni, Luigi Accattoli, Marco Politi eccetera, a celebrare invece, con dosi massicce di incenso e appositi turiboli, “le magnifiche sorti e progressive” della nuova chiesa di Francesco. Con qualche sorpresa: l’ex destrorso Andrea Tornielli, un tempo contiguo agli ambienti più tradizionali della Chiesa, passato armi e bagagli ad esaltare ciò che ieri condannava o snobbava (lo vogliamo definire “governativo”?), e Aldo Maria Valli, vaticanista storicamente della sinistra ecclesiale moderata, oggi smarrito e leggermente adirato di fronte alla mutazione genetica in atto.
Ma, tornando a pesce al cardinal Burke e agli altri cardinali: possono, dei cattolici, criticare il papa?
La risposta, alla luce della teologia tradizionale, è scontata: certamente!
Anzitutto per un motivo semplicissimo: il loro ruolo, la loro carica. I cardinali non sono dei camerieri con eleganti calzette rosse, ma gli elettori e i più intimi collaboratori del papa. Se poi Francesco preferisce confrontarsi con Pannella, Bonino, Scalfari, Di Caprio e compagnia, diventa quasi obbligatorio, per i suddetti cardinali rimasti senza lo straccio di una risposta e di una udienza, rendere pubblici i loro dubbi; “resistere in faccia” a Pietro, come fece, provvidenzialmente, san Paolo nella Chiesa delle origini.
Si badi bene: i famosi “dubia” sono affidati al papa. Si chiede proprio a lui di rispondere. Nel 2017, a cinquecento anni dalla rivolta di Martin Lutero, dopo l’esaltazione del monaco ribelle proposta dallo stesso Francesco, Burke e gli altri cardinali non apostrofano il papa con gli appellativi luterani (“anticristo”, “impostore”, “servo del demonio” …); non delegittimano la sua autorità: gli chiedono di pronunciarsi, di parlare, finalmente, chiaramente. Forse convinti che il papa non abbia il coraggio di contraddire apertamente i suoi predecessori; oppure confidando nello Spirito Santo, che, secondo molti teologi, più che “scegliere” il papa, come spesso erroneamente si dice, impedisce che egli possa proclamare, solennemente, ex cathedra, un’eresia esplicita.
Il papa, questo è l’insegnamento tradizionale della Chiesa e della storia, può sbagliare sia nella vita personale, sia come teologo privato. Scriveva san Vincenzo da Lerino: “Dio alcuni papi li dona, altri li tollera, altri ancora li infligge”.
Proprio a seguito della proclamazione del dogma della infallibilità pontificia (1870), il beato cardinal John Henry Newman, nella Lettera al duca di Norfolk, volle chiarirne il significato, consapevole delle banalizzazioni e delle incomprensioni che ne sarebbero derivate: “Con tutto ciò sono lontano dall’affermare che i papi non abbiano mai torto; che non ci si debba mai opporre a loro, oppure che le loro scomuniche abbiano sempre effetto. Non sono tenuto a difendere la politica e gli atti di singoli Papi… Indubbiamente ci sono azioni di papi alle quali nessuno amerebbe aver avuto parte”. E aggiungeva che la Chiesa docente non è sempre stata, nella storia, “lo strumento più attivo dell’infallibilità: vedi il caso della crisi ariana”: “Fu forse Pietro infallibile, quando ad Antiochia Paolo gli si oppose a viso aperto? O fu infallibile san Vittore allorché separò dalla sua comunione le chiese dell’Asia, o Liberio quando, egualmente, scomunicò sant’Atanasio?…”.
Argomentando in questo modo, Newman ricordava di non dire nulla di nuovo, ma di essere nel solco del pensiero millenario della Chiesa.
La forza di Burke, Caffarra e degli altri cardinali, anche di quelli più timorosi e ondivaghi, come il cardinal Mueller, sta in questo: tutto ciò che fanno è per amore della Chiesa di Cristo.
Se cercassero successo, onori, vita tranquilla, starebbero al calduccio dall’altra parte.
La Verità, 14/1/2016
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