Francesco: in poche parole, tanti errori
Dopo l’Angelus di Domenica 15 gennaio, papa Francesco ha voluto ricordare la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, dedicata al tema “Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce”.
E ha esordito dicendo:
“Questi nostri piccoli fratelli, specialmente se non accompagnati, sono esposti a tanti pericoli.”
Primo errore. Non è possibile sostenere che i minori non accompagnati siano dei “migranti”, ed è colpevole non ricordare la verità: e cioè che questi minori vengono mandati allo sbaraglio da qualcun altro che, non solo paga il loro viaggio clandestino, votandone tanti a morte certa, ma li catapulta in questa nostra terra ormai invasa perché sa perfettamente che questi “minori” non seguiranno la trafila più o meno ufficiale e verranno immediatamente inseriti in centri di assistenza eccezionali: protetti e trattati come fossero dei connazionali… anzi meglio, perché i nostri “minori” non li aiuta nessuno, nessuno li toglie dalla strada e dai pericoli della criminalità, né dà loro un lavoro e una sistemazione “in famiglia”… nemmeno le “caritas” vaticane, che hanno occhi e soldi solo per i clandestini.
“E vi dico che sono tanti! È necessario adottare ogni possibile misura per garantire ai minori migranti la protezione e la difesa, come anche la loro integrazione.”
Secondo errore. Non si può parlare di integrazione, se prima non si parla di inserimento nel tessuto sociale. E il primo l’elemento di inserimento è la conversione alla vera religione e l’educazione alle nostre leggi e ai nostri costumi. Diversamente, con una “integrazione” sui generis, non si farà altro che crescere dei disadattati e quindi dei potenziali terroristi.
Che le cose stanno così è confermato dal seguito della concione papale:
“Rivolgo un saluto speciale alle rappresentanze di diverse comunità etniche qui convenute. Cari amici, vi auguro di vivere serenamente nelle località che vi accolgono, rispettandone le leggi e le tradizioni e, allo stesso tempo custodendo i valori delle vostre culture di origine.”
Terzo errore. Qualcuno, che non sia un demagogo, dovrebbe spiegarci come si fa a rispettare le leggi e le tradizioni (!?) di un luogo che ti accoglie e “allo stesso tempo” custodire le proprie “culture di origine”. O si sta parlando dell’uso di mettere o non mettere il peperoncino nella minestra, o si sta enunciando una corbelleria.
Qualunque uomo della strada sa che quasi tutti i “migranti” che vengono da noi sono cresciuti in “culture” lontanissime dalle nostre “leggi e tradizioni”, com’è possibile, dunque, che “allo stesso tempo” un migrante “rispetti” le nostre leggi e tradizioni e custodisca la sua “cultura d’origine”.
Se non è demagogia pura, ci troviamo al cospetto del tentativo, anche maldestro, di confondere le idee e quindi di propagandare il falso e seminare la confusione e la discordia.
“L’incontro di varie culture è sempre un arricchimento per tutti!”
Quarto errore. Che se lo si pronuncia una volta è possibile che sia tale, ma se lo si ripete in continuazione, come fa Francesco, è certo che è una menzogna strumentale, mirante a far passare lucciole per lanterne.
Facciamo solo qualche veloce esempio: quando i Romani vollero arricchirsi con la decrepita “cultura” greca, il risultato fu la decadenza dell’Impero. Quando poi l’Impero venne invaso da tutte le “culture” barbare, nonostante la tolleranza romana il risultato fu la caduta dell’Impero. Che si risollevò, in parte, solo con l’evangelizzazione cristiana, l’affermazione della Cristianità e l’assorbimento delle diverse “culture” che, piuttosto che “arricchire”, vennero “cristianizzate” e rese innocue.
Dire il contrario, come fa il politicamente corretto voluto dal Nuovo Ordine Mondiale, significa votare il cattolicesimo alla corruzione e alla scomparsa, Dio permettendo; e significa altresì lavorare per il nemico, ossia tradire.
“Quante volte nella Bibbia il Signore ci ha chiesto di accogliere i migranti e i forestieri, ricordandoci che anche noi siamo forestieri!”
I versetti 31-46 del capitolo 25 del Vangelo di San Matteo, bisogna leggerli tutti per cogliere il senso completo del monito di Nostro Signore; e tuttavia non bisogna dimenticare che la Chiesa ha sempre annoverato tra le sette opere di misericordia corporale: “alloggiare i pellegrini”; accompagnando questa quarta opera con la seconda opera di misericordia spirituale: “insegnare agli ignoranti”, che significa “evangelizzare”.
Da qui il quinto errore. Il Signore, e la Chiesa, non hanno mai parlato di “migranti”, ma di “forestieri” e “pellegrini”, la prima categoria più generica della seconda, ma entrambe escludenti i facente parte di un flusso migratorio guidato e sovvenzionato, mirante ad imbastardire l’identità dei popoli cristiani. E’ colpevole confondere le cose, ed è ulteriormente colpevole dimenticare volutamente che è dovere del cristiano “ammaestrare” e “battezzare”, “insegnando ad osservare tutto ciò” che il Signore ha comandato (cfr. Mt. 28, 19-20).
E’ evidente che Bergoglio, appoggiandosi strumentalmente ad una parte del Vangelo, esalta la figura del moderno migrante, accomodandosi ai dettami del Nuovo Ordine Mondiale, mentre vanifica la figura del forestiero e ancor più del pellegrino, venendo meno ai comandi del Signore. Non solo, ma parlando solo di “migranti” da assistere e dimenticando di parlare di persone da convertire, fa opera di falsa misericordia e di corruzione delle menti e dei cuori.
Chi serve costui? Cristo o Beliar?
Dopo l’Angelus di Domenica 15 gennaio, papa Francesco ha voluto ricordare la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, dedicata al tema “Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce”.
E ha esordito dicendo:
“Questi nostri piccoli fratelli, specialmente se non accompagnati, sono esposti a tanti pericoli.”
“E vi dico che sono tanti! È necessario adottare ogni possibile misura per garantire ai minori migranti la protezione e la difesa, come anche la loro integrazione.”
Secondo errore. Non si può parlare di integrazione, se prima non si parla di inserimento nel tessuto sociale. E il primo l’elemento di inserimento è la conversione alla vera religione e l’educazione alle nostre leggi e ai nostri costumi. Diversamente, con una “integrazione” sui generis, non si farà altro che crescere dei disadattati e quindi dei potenziali terroristi. Che le cose stanno così è confermato dal seguito della concione papale:
“Rivolgo un saluto speciale alle rappresentanze di diverse comunità etniche qui convenute. Cari amici, vi auguro di vivere serenamente nelle località che vi accolgono, rispettandone le leggi e le tradizioni e, allo stesso tempo custodendo i valori delle vostre culture di origine.”
Terzo errore. Qualcuno, che non sia un demagogo, dovrebbe spiegarci come si fa a rispettare le leggi e le tradizioni (!?) di un luogo che ti accoglie e “allo stesso tempo” custodire le proprie “culture di origine”. O si sta parlando dell’uso di mettere o non mettere il peperoncino nella minestra, o si sta enunciando una corbelleria.
Qualunque uomo della strada sa che quasi tutti i “migranti” che vengono da noi sono cresciuti in “culture” lontanissime dalle nostre “leggi e tradizioni”, com’è possibile, dunque, che “allo stesso tempo” un migrante “rispetti” le nostre leggi e tradizioni e custodisca la sua “cultura d’origine”.
Se non è demagogia pura, ci troviamo al cospetto del tentativo, anche maldestro, di confondere le idee e quindi di propagandare il falso e seminare la confusione e la discordia.
“L’incontro di varie culture è sempre un arricchimento per tutti!”
Quarto errore. Che se lo si pronuncia una volta è possibile che sia tale, ma se lo si ripete in continuazione, come fa Francesco, è certo che è una menzogna strumentale, mirante a far passare lucciole per lanterne.
Facciamo solo qualche veloce esempio: quando i Romani vollero arricchirsi con la decrepita “cultura” greca, il risultato fu la decadenza dell’Impero. Quando poi l’Impero venne invaso da tutte le “culture” barbare, nonostante la tolleranza romana il risultato fu la caduta dell’Impero. Che si risollevò, in parte, solo con l’evangelizzazione cristiana, l’affermazione della Cristianità e l’assorbimento delle diverse “culture” che, piuttosto che “arricchire”, vennero “cristianizzate” e rese innocue.
Dire il contrario, come fa il politicamente corretto voluto dal Nuovo Ordine Mondiale, significa votare il cattolicesimo alla corruzione e alla scomparsa, Dio permettendo; e significa altresì lavorare per il nemico, ossia tradire.
“Quante volte nella Bibbia il Signore ci ha chiesto di accogliere i migranti e i forestieri, ricordandoci che anche noi siamo forestieri!”
I versetti 31-46 del capitolo 25 del Vangelo di San Matteo, bisogna leggerli tutti per cogliere il senso completo del monito di Nostro Signore; e tuttavia non bisogna dimenticare che la Chiesa ha sempre annoverato tra le sette opere di misericordia corporale: “alloggiare i pellegrini”; accompagnando questa quarta opera con la seconda opera di misericordia spirituale: “insegnare agli ignoranti”, che significa “evangelizzare”.
Da qui il quinto errore. Il Signore, e la Chiesa, non hanno mai parlato di “migranti”, ma di “forestieri” e “pellegrini”, la prima categoria più generica della seconda, ma entrambe escludenti i facente parte di un flusso migratorio guidato e sovvenzionato, mirante ad imbastardire l’identità dei popoli cristiani. E’ colpevole confondere le cose, ed è ulteriormente colpevole dimenticare volutamente che è dovere del cristiano “ammaestrare” e “battezzare”, “insegnando ad osservare tutto ciò” che il Signore ha comandato (cfr. Mt. 28, 19-20).
E’ evidente che Bergoglio, appoggiandosi strumentalmente ad una parte del Vangelo, esalta la figura del moderno migrante, accomodandosi ai dettami del Nuovo Ordine Mondiale, mentre vanifica la figura del forestiero e ancor più del pellegrino, venendo meno ai comandi del Signore. Non solo, ma parlando solo di “migranti” da assistere e dimenticando di parlare di persone da convertire, fa opera di falsa misericordia e di corruzione delle menti e dei cuori.
Chi serve costui? Cristo o Beliar?
Articolo di Belvecchio
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1811_Belvecchio_Francesco_poche_parole_tanti_errori.html
Parole, parole, parole. Sull’uso compulsivo di assolutamente. Noterelle di un linguista dilettante
«Stai bene?»
«Assolutamente».
«Stai male?»
«Assolutamente».
«Riuscirai a portare a termine il lavoro?»
«Assolutamente».
«Pensi di farcela a laurearti entro l’estate?»
«Assolutamente».
Arrogante e invadente, assolutamente si fa bello, si compiace del suo protagonismo e se la ride. Usato da solo, lascia tutti nel vago, perché tu non puoi mai sapere se è un assolutamente sì o un assolutamente no, ma lui non se ne preoccupa. Anzi. L’ambiguità lo diverte e lo fa sentire ancora più influente. È come se dicesse: io mi piazzo qua, dopo di che, se vuoi sapere qual è il mio vero significato, se è positivo o negativo, sono affari tuoi. A me non interessa. Assolutamente!
Alla radio (della quale sono un grande ascoltatore) l’utilizzo compulsivo di assolutamente domina ormai incontrastato. Difficile imbattersi in un discorso che ne sia privo. E molto spesso l’uso che se ne fa è proprio quello neutro.
«Scusi ministro, pensa che il fenomeno delle migrazioni abbia bisogno di soluzioni a lungo termine?»
«Assolutamente».
«Signor Rossi, complimenti, lei ha indovinato. È un nostro ascoltatore abituale?»
«Assolutamente!»
Giorni fa ascoltavo una conduttrice assai prodiga di assolutamente neutri e mi chiedevo: possibile che nessuno la richiami all’ordine facendole notare l’abuso? Poi, proprio mentre, al colmo dell’irritazione, stavo per cambiare frequenza, la gentile signora se n’è uscita con un iperbolico assolutamente in assoluto! Stava parlando di una canzone che le piace in modo particolare, e ha pensato che fosse il caso di rafforzare il rafforzativo. Sono rimasto assolutamente senza parole.
Comunque sia, mi colpisce il fatto che questo avverbio stia conoscendo una fase di protagonismo proprio adesso, in una cultura come la nostra, nella quale tutto ciò che è assoluto o, peggio ancora, Assoluto, è negletto e rifiutato.
Soggettivisti e relativisti come siamo, noi postmoderni abbiamo deciso che gli assoluti non ci appartengono. Una verità assoluta non c’è, così come non c’è un bene assoluto o un male assoluto. Per noi umani del primo scorcio del ventunesimo secolo ci sono soltanto verità parziali e valori barcollanti. L’assoluto non fa per noi, anzi ci fa paura. Lo accostiamo facilmente al fanatismo, al fondamentalismo, e preferiamo starne alla larga, tanto che chi ce lo propone, specie se il discorso è di tipo religioso, è guardato con sospetto, se non con aperta ostilità.
Se poi entriamo nel contesto teologico, vediamo che il rifiuto dell’Assoluto va alla grande. Per numerose correnti teologiche, l’Assoluto non può darsi nella storia. Al massimo, possiamo avere modelli ideali che fanno da richiamo, ma non ci restituiscono la dimensione dell’Assoluto. Perfino chi dice di credere in Dio oggi sostiene spesso che, comunque, nessun Dio può avere l’esclusiva della Verità e dunque ciò che occorre è il dialogo in funzione integrativa. E perfino chi dice di credere nella divinità di Gesù sostiene spesso che si tratterebbe in ogni caso di una divinità parziale, bisognosa di essere completata attraverso il ricorso ad altre fedi e altre religioni.
Insomma, per l’Assoluto non c’è posto. O, meglio, c’è posto solo nel segno del pluralismo: l’Assoluto non come unico principio necessario, ma come insieme di assoluti, tutti con nomi diversi e tutti ugualmente veri. Al punto che, per questi filoni teologici (che oggi sembrano predominanti) alla fine il vero assoluto sembra essere uno solo: il dialogo, ma senza alcuna pretesa, da parte di ciascun soggetto dialogante, di rivendicare per sé la Verità.
Capirete che, in un simile contesto, dominato dalla morte dell’Assoluto e dal divieto di cittadinanza per qualsivoglia assoluto, uno si aspetterebbe di vedere impiegata una lingua adeguata, all’insegna della modestia e del senso del limite. E invece ecco questa inusitata esplosione di assolutamente.
Buttato fuori dalla porta della filosofia, della teologia e, in generale, di un pensiero che si compiace della sua debolezza, l’assoluto rientra dalla finestra della lingua. Però non ci rientra in quanto aggettivo, né tanto meno in quanto sostantivo, ma come avverbio. Lo fa, insomma, sotto mentite spoglie, ma in realtà la funzione di avverbio gli è molto utile, perché è proprio così che riesce a infilarsi dappertutto.
Non vi sembra curiosa questa nostra cultura che rifiuta gli assoluti ma ha la bocca piena di assolutamente? Che cosa ci sarà sotto? Qualche forma di nostalgia? Oppure un malcelato senso di colpa, per cui, fatti fuori gli assoluti, cerchiamo di salvare la faccia con gli assolutamente? Siamo forse di fronte a una cultura che gioca il grande gioco del relativismo ma in realtà non riesce a fare a meno dell’assoluto, o addirittura perfino dell’Assoluto, e rivela il conflitto interiore ricorrendo in misura smodata all’assolutamente? Oppure l’unico grande assoluto, anzi Assoluto, è l’io, anzi l’Io, e l’assolutamente che gli esce dalla bocca è proprio il sintomo di un egocentrismo sconfinato?
Propenderei per quest’ultima ipotesi. In ogni caso, bisognerà pensarci su. Assolutamente !
Aldo Maria Valli
FRANCESCO: DAI CRITICI 'MALEVOLI' AI 'FURBONI' DEI BIGLIETTI
Florilegio di affermazioni estrapolate dagli ultimi interventi papali sugli argomenti più svariati, dalla riforma della Curia alla vendita dei biglietti per la partecipazione alle udienze…
LE RESISTENZE MALEVOLE (Auguri alla Curia Romana, 22 dicembre 2016): In questo percorso (NdR: di rinnovamento della Curia) risulta normale, anzi salutare, riscontrare delle difficoltà, che, nel caso della riforma, si potrebbero presentare in diverse tipologie di resistenze: le resistenze aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo sincero;le resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti che si alimentano dalle parole vuote del “gattopardismo” spirituale di chi a parole si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima; esistono anche le resistenze malevole, che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive (spesso “in veste di agnelli”). Questo ultimo tipo di resistenza si nasconde dietro le parole giustificatrici e, in tanti casi, accusatorie, rifugiandosi nelle tradizioni, nelle apparenze, nelle formalità, nel conosciuto, oppure nel voler portare tutto sul personale senza distinguere tra l’atto, l’attore e l’azione.
PICCOLO E’ BELLO (auguri ai dipendenti della Santa Sede e dello Stato e Città del Vaticano, 22 dicembre 2016): Da parte mia, oggi voglio ringraziare voi per il vostro lavoro. Ringrazio ognuno di voi, ognuno, per l’impegno che mette ogni giorno nel fare il suo lavoro e cercare di farlo bene, anche quando magari non sta tanto bene, o ci sono preoccupazioni in famiglia… Una cosa bella del Vaticano è che, essendo una realtà molto piccola, si riesce a percepirla nel suo insieme, con le diverse mansioni che formano il tutto, e ciascuna è importante. I vari settori di lavoro sono vicini e collegati, ci si conosce un po’ tutti; e si sente la soddisfazione di vedere un certo ordine, che le cose funzionano, con tutti i limiti, naturalmente, si può sempre migliorare e si deve, ma fa bene sentire che ogni settore fa la sua parte e l’insieme funziona bene a vantaggio di tutti. Qui, questo è più facile, perché siamo una realtà piccola, ma ciò non toglie nulla all’impegno e al merito personale; e pertanto sento il desiderio di ringraziarvi.
GIOVINEZZA IDOLATRATA E CONDANNATA (Te Deum di ringraziamento, 31 dicembre 2016): Abbiamo creato una cultura che, da una parte, idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna, ma, paradossalmente, abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono o che non permettono loro di proiettarsi in un domani. Abbiamo privilegiato la speculazione invece di lavori dignitosi e genuini che permettano loro di essere protagonisti attivi nella vita della nostra società. Ci aspettiamo da loro ed esigiamo che siano fermento di futuro, ma li discriminiamo e li “condanniamo” a bussare a porte che per lo più rimangono chiuse.
DOLORE: MEGLIO IL GESTO DELLA PAROLA (Udienza generale, 4 gennaio 2017, commento a un passo di Geremia, 31): Questo rifiuto di Rachele che non vuole essere consolata ci insegna anche quanta delicatezza ci viene chiesta davanti al dolore altrui. Per parlare di speranza a chi è disperato, bisogna condividere la sua disperazione; per asciugare una lacrima dal volto di chi soffre, bisogna unire al suo il nostro pianto. Solo così le nostre parole possono essere realmente capaci di dare un po’ di speranza. E se non posso dire parole così, con il pianto, con il dolore, meglio il silenzio; la carezza, il gesto e niente parole.
MANI PREZIOSE (Udienza ai fedeli delle zone terremotate del Centro Italia, 5 gennaio 2017): Raffaele (NdR: Raffaele Festa, sopravvissuto al terremoto di Amatrice) ha parlato delle “mani”: il primo abbraccio con le mani a sua moglie; poi quando prende i bambini per tirarli fuori dalla casa: le mani. Quelle mani che aiutano i famigliari a liberarsi dai calcinacci; quella mano che lascia il suo figlio in braccio, nelle mani di non so chi per andare ad aiutare un altro. “Poi c’era la mano di qualcuno che mi ha guidato”, ha detto. Le mani. Ricostruire, e per ricostruire ci vogliono il cuore e le mani, le nostre mani, le mani di tutti. Quelle mani con le quali noi diciamo che Dio, come un artigiano, ha fatto il mondo. Le mani che guariscono. A me piace, agli infermieri, ai medici, benedire le mani, perché servono per guarire. Le mani di tanta gente che ha aiutato a uscire da questo incubo, da questo dolore; le mani dei Vigili del Fuoco, tanto bravi, tanto bravi... E le mani di tutti quelli che hanno detto: “No, io do del mio, do il meglio”. E la mano di Dio alla domanda “perché?” – ma sono domande che non hanno risposta, la cosa è andata così.
ACCOGLIENZA DI MIGRANTI, PROFUGHI, RIFUGIATI /DIRITTI E DOVERI (Auguri al Corpo diplomatico, 9 gennaio 2017): Lo scorso anno la comunità internazionale si è confrontata con due importanti appuntamenti convocati dalle Nazioni Unite: il primo Vertice Umanitario Mondiale e il Vertice sui Vasti Movimenti di Rifugiati e Migranti. Occorre un impegno comune nei confronti di migranti, profughi e rifugiati, che consenta di dare loro un’accoglienza dignitosa. Ciò implica saper coniugare il diritto di «ogni essere umano […] di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse» e nello stesso tempo garantire la possibilità di un’integrazione dei migranti nei tessuti sociali in cui si inseriscono, senza che questi sentano minacciata la propria sicurezza, la propria identità culturale e i propri equilibri politico-sociali. D’altra parte, gli stessi migranti non devono dimenticare che hanno il dovere di rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti.
ACCOGLIENZA DI MIGRANTI, PROFUGHI, RIFUGIATI/SAGGEZZA E LUNGIMIRANZA (Auguri al Corpo diplomatico, 9 gennaio 2017) Un approccio prudente da parte delle autorità pubbliche non comporta l’attuazione di politiche di chiusura verso i migranti, ma implica valutare con saggezza e lungimiranza fino a che punto il proprio Paese è in grado, senza ledere il bene comune dei cittadini, di offrire una vita decorosa ai migranti, specialmente a coloro che hanno effettivo bisogno di protezione. Soprattutto non si può ridurre la drammatica crisi attuale ad un semplice conteggio numerico. I migranti sono persone, con nomi, storie, famiglie e non potrà mai esserci vera pace finché esisterà anche un solo essere umano che viene violato nella propria identità personale e ridotto ad una mera cifra statistica o ad oggetto di interesse economico.
IDOLATRIA E CARTOMANZIA ARGENTINA (Udienza generale, Salmo 115-False speranze negli idoli, 11 gennaio 2017): Fede è fidarsi di Dio – chi ha fede, si fida di Dio –, ma viene il momento in cui, scontrandosi con le difficoltà della vita, l’uomo sperimenta la fragilità di quella fiducia e sente il bisogno di certezze diverse, di sicurezze tangibili, concrete. (…) E allora siamo tentati di cercare consolazioni anche effimere, che sembrano riempire il vuoto della solitudine e lenire la fatica del credere. E pensiamo di poterle trovare nella sicurezza che può dare il denaro, nelle alleanze con i potenti, nella mondanità, nelle false ideologie. A volte le cerchiamo in un dio che possa piegarsi alle nostre richieste e magicamente intervenire per cambiare la realtà e renderla come noi la vogliamo; un idolo, appunto, che in quanto tale non può fare nulla, impotente e menzognero. Ma a noi piacciono gli idoli, ci piacciono tanto! Una volta, a Buenos Aires, dovevo andare da una chiesa ad un’altra, mille metri, più o meno. E l’ho fatto, camminando. E c’è un parco in mezzo, e nel parco c’erano piccoli tavolini, ma tanti, tanti, dove erano seduti i veggenti. Era pieno di gente, che faceva anche la coda. Tu, gli davi la mano e lui incominciava, ma, il discorso era sempre lo stesso: c’è una donna nella tua vita, c’è un’ombra che viene, ma tutto andrà bene … E poi, pagavi. E questo ti dà sicurezza? E’ la sicurezza di una – permettetemi la parola – di una stupidaggine. Andare dal veggente o dalla veggente che leggono le carte: questo è un idolo! Questo è l’idolo, e quando noi vi siamo tanto attaccati: compriamo false speranze. Mentre di quella che è la speranza della gratuità, che ci ha portato Gesù Cristo, gratuitamente dando la vita per noi, di quella a volte non ci fidiamo tanto.
I FURBONI DEI BIGLIETTI (Udienza generale, 11 gennaio 2017): Adesso devo dirvi una cosa che non vorrei dire, ma devo dirla. Per entrare alle udienze ci sono i biglietti nei quali è scritto in una, due, tre, quattro, cinque e sei lingue che “Il biglietto è del tutto gratuito”. Per entrare all’udienza, sia in aula sia in piazza, non si deve pagare, è una visita gratuita che si fa al Papa per parlare con il Papa, con il vescovo di Roma. Ma ho saputo che ci sono dei furboni, che fanno pagare i biglietti. Se qualcuno ti dice che per andare in udienza dal Papa c’è bisogno di pagare qualcosa, ti sta truffando: stai attento, stai attenta! L’ingresso è gratuito. Qui si viene senza pagare, perché questa è casa di tutti. E se qualcuno si fa pagare per farvi entrare all’udienza commette un reato, come un delinquente, e fa qualcosa che non si deve fare!
P.S. Al termine dell’udienza generale il Papa ha salutato tra gli altri la cantante siro-ortodossa Eliyo, che gli ha detto del suo recente concerto per i cristiani perseguitati di Siria nella chiesa del Camposanto Teutonico in Vaticano (vedi ampia intervista in questo stesso sito www.rossoporpora.org /Intervista a personalità), donandogli un dvd con il 'Padre nostro' cantato in aramaico. Il Papa l’ha ringraziata e benedetta, chiedendo di pregare per lui.
SEGUIRE GESU’ PUO’ COMPORTARE DEI RISCHI (Meditazione mattutina del 13 gennaio 2017 a Santa Marta sulle ‘Anime sedute’ – cronaca de ‘L’Osservatore Romano’ in data 14 gennaio 2017): Invece «la gente che seguiva Gesù rischiava» ha spiegato il Pontefice. Essa «rischiava per incontrare Gesù, per trovare quello che voleva». Basti pensare, ha proseguito, all’episodio che Marco racconta nel Vangelo odierno: «Non potendo portare il paralitico davanti a Gesù, a causa della folla», le persone che lo accompagnavano «scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella». Così facendo, ha aggiunto Francesco, «questi uomini hanno rischiato quando hanno fatto il buco sul tetto: hanno rischiato che il padrone della casa facesse loro causa, li portasse dal giudice e li facesse pagare: hanno rischiato, ma volevano andare da Gesù».
ANCHE LA POLIZIA E’ CONFRONTATA CON UN SERVIZIO RISCHIOSO (Udienza ai dirigenti e al personale dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano, 13 gennaio 2017): Desidero esprimere a ciascuno di voi la mia stima e la mia viva riconoscenza per il vostro generoso servizio, non privo di difficoltà e di rischi. So che voi rischiate. Voi siete, in un certo senso, gli “angeli custodi” di Piazza San Pietro. Ogni giorno, infatti, presidiate questo peculiare centro della cristianità, e altri luoghi di pertinenza del Vaticano, con grande sollecitudine, professionalità e senso del dovere. E specialmente in questi ultimi tempi, avete dimostrato competenza e coraggio nell’affrontare le tante sfide e i diversi pericoli, impegnandovi con generosità nella prevenzione dei reati. Così avete reso sicuro l’accesso dei pellegrini in Basilica, come anche agli incontri con il Successore di Pietro. Per tutto questo vi ringrazio tanto! Vi ringrazio; non sono parole, queste, è di cuore: grazie! Conosco la fatica del vostro lavoro e i sacrifici che ogni giorno dovete affrontare. Sappiate che vi apprezzo molto e spesso penso con sincera riconoscenza a voi e alla vostra preziosa opera.
DIBATTITO PUBBLICO CONDOTTO DA LUIGI ACCATTOLI E GIUSEPPE
RUSCONI SU PAPA FRANCESCO: PRIMO APPUNTAMENTO GIOVEDI’ 26
GENNAIO 2017, ORE 18, CENTRO RUSSIA ECUMENICA, BORGO PIO 141, ROMA
Qualche tempo fa il collega vaticanista Luigi Accattoli (a ‘Repubblica’ dal 1976 al 1981, poi al ‘Corriere della Sera’; in pensione dal 2008 continua a collaborare con il ‘Corriere’ e con ‘Il Regno’; scrittore prolifico su argomenti vaticani ed ecclesiali) mi ha proposto di condurre a due un ciclo di incontri pubblici sul pontificato di papa Francesco nei suoi svariati aspetti da svolgersi una volta al mese in librerie romane. Ho accettato volentieri, così che il primo appuntamento è stato fissato per giovedì 26 gennaio, con inizio alle ore 18 e si svolgerà presso il Centro Russia ecumenica, a Borgo Pio 141 (a pochi passi da Piazza San Pietro). L’entrata è libera.
La locandina del primo incontro:
Dubia e certezze su papa Francesco- Il dibattito nei media e nella realtà. Conducono Luigi Accattoli e Giuseppe Rusconi
Centro Russia Ecumenica – Via Borgo Pio 141
Giovedì 26 gennaio – ore 18.00
Centro Russia Ecumenica – Via Borgo Pio 141
Giovedì 26 gennaio – ore 18.00
Scrive tra l’altro Accattoli sul suo blog www.luigiaccattoli.it a proposito delle modalità dell’incontro:
Giuseppe Rusconi e io ci proponiamo incontri mensili, da tenere in varie librerie romane, mettendo a tema il dibattito sul Papa come si viene sviluppando lungo i giorni e le settimane. Dopo una beve introduzione di cronaca dei fatti correnti, affronteremo alcuni argomenti di stretta attualità, facenti riferimento a vicende in corso o appena concluse. Vicende preselezionate dai due conduttori. Sia l’introduzione, sia la presentazione degli argomenti sono a due voci: con procedura alternata, uno dei due propone e l’altro contropropone, con eventuali repliche. Poi si lascia la parola al pubblico per brevi richieste di chiarimenti o per osservazioni aggiuntive. Poniamo: un minuto per ogni intervento. Seguono le risposte dei conduttori.
FRANCESCO: DAI CRITICI ‘MALEVOLI’ AI ‘FURBONI’ DEI BIGLIETTI – di GIUSEPPE RUSCONI –www.rossoporpora.org – 13 gennaio 2017
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