CI VOGLIONO PRETI "SANTI"
Ci vogliono preti santi per santificare la Chiesa. Non di sacerdoti modernisti progressisti sindacalisti saccenti che ostentano virtù che non possiedono. Il sacerdote deve puntare in alto molto in alto al cielo dove troverà Dio
di Francesco Lamendola
Ci vogliono preti santi per santificare la Chiesa
La Chiesa ha bisogno di sacerdoti santi, non di sacerdoti progressisti e modernisti, non di sacerdoti colti e saccenti, non di sacerdoti che ostentano virtù che non possiedono; non ha bisogno di sacerdoti sindacalisti o di sacerdoti assistenti sociali, non ha bisogno di preti di strada, se con questo termine s'intende un sacerdote che non vive la dimensione della spiritualità, ma solo quella della partecipazione ai problemi immediati delle persone. Il sacerdote deve puntare in alto, molto in alto, e deve mostrare ai suoi parrocchiani la via delle altezze; il suo sguardo deve essere rivolto al cielo, deve pregare molto, deve pregare sempre, senza stancarsi mai: perché pregando e alzando lo sguardo al cielo troverà da Dio l'aiuto, il sostegno, il conforto per svolgere bene la sua missione, mentre se guarda in basso finirà per perdersi, per lasciarsi travolgere, per essere contaminato dallo spirito del mondo. Ci sono due modi, infatti, di essere contaminati dallo spirito del mondo: chiudersi nel proprio egoismo o gettarsi a testa bassa nel cuore dei problemi di tutti. Sembrano due maniere opposte di lasciarsi contaminare, ma in realtà sono simili e complementari: nel primo caso si fugge dalla realtà concreta, nel secondo ci si sprofonda senza discernimento, quasi per tacitare qualche oscuro senso di colpa; il risultato, però, è lo stesso: la perdita della prospettiva trascendente, la perdita della verticalità della fede.
La fede è un rapporto personale, da Dio all'uomo e dall'uomo a Dio: si svolge nella dimensione verticale, dall'alto al basso e dal basso all'alto. Dall'alto scende la grazia, dal basso sale il desiderio di Dio, la domanda a Dio, l'affidarsi a Dio. Il rapporto orizzontale è quello che s'instaura fra creature di pari statuto ontologico: fra uomo e uomo. La fede del sacerdote deve alimentarsi, come e più di quella di ciascun cristiano, della dimensione verticale: perché, senza alimentarsi quotidianamente della grazia di Dio, la vita dell'anima si atrofizza, s'impoverisce, si riduce a una povera e piccola cosa, mentre la fatica aumenta. La fatica è il risultato di una pastorale senza discernimento, di una frenesia attivistica, di una pretesa di amare gli altri senza prima essersi affidati interamente a Dio. Bisogna sempre ricordare l'ammonimento di Gesù: stando uniti a Cristo si produce molto frutto; ma, da soli, gli uomini non possono fare nulla. Gesù non ha detto: da soli potete fare poco; ma ha detto: da soli non potete fare nulla. È stato molto chiaro. Quei sacerdoti che, dimenticandosi di restare uniti a Cristo come il tralcio alla vite, si prodigano in cento e cento attività di solidarietà, di soccorso, ma su di un piano puramente terreno, come se egli dovesse sostituire il compito degli psicologi, o degli assistenti sociali, o degli operatori sanitari, si espongono a un doloroso fallimento e, a lungo andare, alla perdita completa della fede. Il loro atteggiamento, nato forse da buone intenzioni, alimenta la cattiva pianta dell'orgoglio, perché l'uomo che si abitua a far da sé finisce per dimenticarsi la raccomandazione di Cristo: quella di restare uniti a Lui, perché, da soli, non si può fare niente.
La fede è un rapporto personale, da Dio all'uomo e dall'uomo a Dio: si svolge nella dimensione verticale, dall'alto al basso e dal basso all'alto. Dall'alto scende la grazia, dal basso sale il desiderio di Dio, la domanda a Dio, l'affidarsi a Dio. Il rapporto orizzontale è quello che s'instaura fra creature di pari statuto ontologico: fra uomo e uomo. La fede del sacerdote deve alimentarsi, come e più di quella di ciascun cristiano, della dimensione verticale: perché, senza alimentarsi quotidianamente della grazia di Dio, la vita dell'anima si atrofizza, s'impoverisce, si riduce a una povera e piccola cosa, mentre la fatica aumenta. La fatica è il risultato di una pastorale senza discernimento, di una frenesia attivistica, di una pretesa di amare gli altri senza prima essersi affidati interamente a Dio. Bisogna sempre ricordare l'ammonimento di Gesù: stando uniti a Cristo si produce molto frutto; ma, da soli, gli uomini non possono fare nulla. Gesù non ha detto: da soli potete fare poco; ma ha detto: da soli non potete fare nulla. È stato molto chiaro. Quei sacerdoti che, dimenticandosi di restare uniti a Cristo come il tralcio alla vite, si prodigano in cento e cento attività di solidarietà, di soccorso, ma su di un piano puramente terreno, come se egli dovesse sostituire il compito degli psicologi, o degli assistenti sociali, o degli operatori sanitari, si espongono a un doloroso fallimento e, a lungo andare, alla perdita completa della fede. Il loro atteggiamento, nato forse da buone intenzioni, alimenta la cattiva pianta dell'orgoglio, perché l'uomo che si abitua a far da sé finisce per dimenticarsi la raccomandazione di Cristo: quella di restare uniti a Lui, perché, da soli, non si può fare niente.
Il sacerdote deve puntare in alto anche più del fedele laico, perché egli è il pastore del gregge. La sua missione è delicatissima, la sua vocazione è la più alta che si possa immaginare; al suo confronto impallidiscono tutte le altre. Né l'ingegnere che progetta la diga più alta del mondo, né lo scienziato che scopre un importantissimo reperto paleontologico, né il poeta che scrive i versi più sublimi, svolgono un'opera altrettanto preziosa, altrettanto importante, altrettanto meritoria. Il sacerdote opera in mezzo ai suoi parrocchiani per la santificazione delle anime. E come potrebbe mai anche soltanto sperare di farlo, se non s’impegna personalmente nella santificazione della propria anima? Un parroco santo è una semente di santità nella sua parrocchia; un parroco indegno è una infezione diabolica. La responsabilità dei sacerdoti indegni è gravissima: invece di santificare le anime, le scandalizzano; invece di mostrar loro la via del cielo, indicano la via della perdizione. Sarebbe stato meglio per loro che non fossero mai nati, potremmo dire, citando un’altra frase di Gesù: che sapeva essere estremamente severo, non era sempre e solo misericordioso, se per misericordia s’intende una qualità disgiunta dalla giustizia, e incurante dei cattivi esempi e dei tremendi effetti che questi possono provocare.
La decadenza della vita cristiana dipende da numerosi fattori, ma la prima radice, a nostro avviso, è proprio questa: la decadenza della spiritualità dei sacerdoti, la loro eccessiva attenzione per le cose di quaggiù e la loro negligenza per le cose di lassù. Il sacerdote deve occuparsi delle cose del Padre celeste, come ha insegnato Gesù, ancora bambino, ai suoi genitori: ogni buon cristiano deve occuparsi delle cose del Padre nostro che è nei cieli. Da alcuni decenni una cattiva teologia ha diffuso l'idea, aberrante e assolutamente non cristiana, che occuparsi delle cose del Padre sia una specie di fuga, una forma di astrazione, un ritrarsi davanti alla vita vera. Disgraziati i teologi che hanno insegnato simili cose, sciagurati i preti che le hanno dette, predicando durante la santa Messa. Ciò di cui ha bisogno il cristiano è la fede, la fede in Cristo incarnato, morto e risorto: e per alimentare in se stesso la fede, il cristiano deve continuamente meditare e pregare, continuamente immergersi nel'ascolto della parola di Dio. Dio parla nel silenzio delle anime, non nel rumore, non nei mille rumori della vita. Molti di questi rumori sono evitabili; sarebbe possibile fare un po' di silenzio anche nel tumulto della vita moderna, ma molti cristiani preferiscono immergersi nel fracasso. Dicono e pensano di farlo per amore del prossimo, e qualche volta è vero; ma più spesso, temiamo, non è così. Più spesso si tratta di smania di fare, talvolta di strafare: è smania di mostrare agli altri che il cristiano non vive sulle nuvole, che sa misurarsi con le cose concrete della vita quotidiana. In fondo, chi sente così ha un senso di colpa: si vergogna di essere cristiano. Se non si vergognasse, ricorderebbe sempre le parole del divino Maestro: Marta, Marta, tu si preoccupi e di dai da fare per molte cose, ma una sola cosa è necessaria; Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta. E la parte di Maria era l'ascolto della parola di Dio, la devozione, la preghiera. Allo stesso modo, molti sacerdoti pare che si vergognino di mostrarsi nella loro veste: si vestono in borghese, vanno in giro come cittadini qualsiasi: sono preti in incognito. Dicono e pensano di farlo per un senso di rispetto verso i sentimenti religiosi altrui, per evitare quello che papa Francesco addita continuamente, con disprezzo, come un pessimo vizio dei cattolici: il clericalismo. Disgraziati anche loro! L'abito da prete non è qualcosa di cui vergognarsi; tanto vale vergognarsi della propria missione sacerdotale. Il sacerdozio è un sacramento: è uno specialissimo dono di Dio agli uomini, per mezzo della grazia santificante. Che cosa si insegna, oggi, nei seminari cattolici? Forse la teologia della svolta antropologica? Forse una specie di contro-apologia della Chiesa? Una anti-storia della Chiesa? Una denigrazione sistematica di ciò che è cristiano, di ciò che è secondo il Vangelo? Si insegna a far concorrenza ai protestanti, a criticare tutto, a sbarazzarsi della Tradizione, a leggere ciascuno le Scritture come gli pare e piace? Oppure si parla ancora della spiritualità, del dialogo quotidiano con Dio, della fierezza e della responsabilità di essere cristiani, di essere ministri di Dio? Si insegna ancora, nei seminari, che il prete deve puntare alla santità, e che solo in tal modo riuscirà ad essere un modello di santificazione per le anime? Si dice ancora che lo scopo, la ragion d'essere della Chiesa è la salvezza delle anime? E si fa presente, ai futuri sacerdoti, che un prete il quale dà scandalo, sia sul piano morale, con un comportamento indegno, sia sul piano intellettuale, insegnando false dottrine e deformando la verità del Vangelo, rappresenta un pericolo gravissimo per la salvezza delle anime che gli sono affidate? Si fa comprendere ai futuri sacerdoti che non è lecito utilizzare il pulpito per dire tutto quel che passa per la testa, per abbandonarsi a intemperanze verbali, per strappare il facile consenso, per accarezzare i vizi e le viltà degli uomini; che non è lecito servirsi della propria funzione, ad esempio nel confessionale, per fornire una versione ridotta e corretta del Vangelo, una versione minimalista, dove Dio chiede poco agli uomini e dove ciascuno è invitato a fare quello che può, come può, e non quello che deve, quello che è necessario fare per piacere a Dio? Perché i sacerdoti, oggi, parlano così poco del timor di Dio? Perché parlano così poco del discernimento, del pudore, della castità, della purezza, della coerenza, del sacrificio? Perché presentano la via di Cristo come una via facile, quando sanno benissimo, o dovrebbero sapere, che è la più impervia che si possa immaginare? Infatti, è la via della croce: e Gesù non ha promesso ai suoi discepoli gioie e soddisfazioni, ma ha assicurato loro che avrebbero incontrato incomprensione, ostilità, disprezzo, persecuzioni e morte. Ha detto loro che sarebbero stati odiati a causa del suo nome. Come mai i sacerdoti che si dicono amici del popolo, che vanno sempre in televisione atteggiandosi a preti di strada, che mettono bocca su tutto ciò che non riguarda la vita cristiana - la politica, l'economia, la società, la cultura, perfino l'arte e la scienza - sono così poco odiati, anzi, sono così spesso invitati a parlare? Non si fanno mai questa piccola, semplice domanda? Un vero cristiano non può piacere al mondo: da come parla, da come agisce, da come vive, il mondo lo riconosce come uno che non è dei suoi; ne diffida, lo guarda storto, lo isola, lo calunnia, lo critica, cerca d'infangarne la reputazione, di sminuirne le qualità, di alterare il senso delle sue parole. Il mondo lo odia. Come mai i preti progressisti e modernisti si sforzano continuamente di piacere, di essere approvati, di ricevere l'applauso del pubblico? Perfino in chiesa, perfino durante la santa Messa, ve ne sono che, durante l'omelia, fanno la pausa ad effetto e attendono di ricevere l'approvazione dell'assemblea mediante un fragoroso applauso. Disgraziati! Hanno trasformato la casa di Dio nella casa del popolo, e il sacrificio della Messa in una assembla profana, dove si fanno le battute, si gigioneggia, si scherza, si fa della demagogia a buon mercato, si spara su tutto e su tutti, si denigra la cristianità, si criticano le persone di fede, si deride la pietà popolare, si scoraggiano e si disapprovano le pie abitudini dei fedeli, delle anziane parrocchiane che recitano il santo Rosario, che portano sempre i fiori freschi davanti all'altare di Maria. Codesti non sono veri preti cattolici: sono figli del demonio, insinuatisi nella Chiesa per corromperla e per distruggerla. Come mai non sono stati notati per tempo, come mai sono stati uniti con il sacramento dell'ordine sacro? E come mai i loro pastori, i vescovi, benché informati del loro modo di agire, non intervengono, non li riprendono, non li trasferiscono, non li mandano a passare un periodo in convento, a pregare e riflettere, sotto la guida di un padre spirituale? Come mai permettono loro di continuare nella loro opera nefasta, nello scempio delle anime, nello scandalo quotidiano? E di ciò abbiamo esperienza diretta: non stiamo parlando in via teorica, purtroppo. Ma tutti i cristiani, crediamo, hanno avuto la ventura d'imbattersi in preti di questa fatta; alcuni hanno anche la sventura di averli come parroci. Il danno che procurano, è immenso. E la responsabilità dei vescovi che non fanno nulla, è ancora più grande. Per questo pensiamo che il vescovo di Padova dovrebbe dimettersi, e che il papa, visto che non lo fa spontaneamente, dovrebbe imporglielo. Troppo grande è lo scandalo scoppiato nella sua diocesi, nella sua città, a causa del comportamento indegno di alcuni sacerdoti. In quel caso, si è trattato di uno scandalo morale; ma lo scandalo intellettuale, la falsificazione della vera dottrina cattolica, è, se possibile, ancora più grave. Ne va della salvezza delle anime! Possibile che una verità tanto evidente non appaia in tutta la sua urgenza a chi dovrebbe sorvegliare, consigliare, ammonire, e, se necessario,prendere anche severi provvedimenti? Gesù non era sempre mite, non era sempre "buono", cioè buonista; nel Tempio, prese un fascio di corde e scacciò con violenza i profanatori, rovesciò i loro banchi, con il sacro sdegno del suo zelo, fatto di amore infinito. Perché amare vuol dire anche sdegnarsi, e vuol dire anche essere severi, quando è necessario. Possibile che tutti questi vescovi e sacerdoti progressisti e modernisti non ci abbiano mai riflettuto neanche una sola volta? A loro volta, i sacerdoti, oggi, hanno bisogno di molto sostegno. Prima di tutto devono cercarlo in Dio; in secondo luogo, possono e devono riceverlo dalla comunità dei fedeli, dai religiosi e dalle religiose. Hanno bisogno di preghiere, perché la preghiera è il pane dell'anima e il sostegno dei vacillanti: di pregare essi, e di ricevere le preghiere rivolte a Dio perché non si smarriscano. Oggi, per un sacerdote, smarrirsi è più facile che un tempo. Ci sono molte maniere di smarrirsi; fra tutte, però, la più insidiosa è la lenta, silenziosa, semi-ufficiale apostasia dalla fede. Ed è una maniera che riesce tanto più facile, in quanto non si tratta più di casi individuali, ma di tutto uno scorrimento, uno slittamento della Chiesa, o di una parte significativa di essa, verso l'abbandono della genuina fede cattolica. Tutto ciò viene camuffato e ammantato sotto la veste di aggiornamento, approfondimento, rinnovamento, ma sono solo parole menzognere: il fatto è che dietro di esse si cela una vera e propria apostasia generalizzata, tanto più impudente in quanto non si presenta come tale, ma pretende di essere la nuova ortodossia. Ma è possibile che ai suoi alfieri non venga in mente che l'ortodossia non può essere nuova o antica, ma che la fede è sempre la stessa, così come la Rivelazione che non muta, né si aggiorna? Possibile che essi non ricordino le parole di Gesù, che dalla Legge non cadrà neanche la minima cosa, iota unum?
Ci vogliono preti santi per santificare la Chiesa
di Francesco Lamendola
http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=11083:ci-vogliono-preti-qsantiq&catid=70:chiesa-cattolica&Itemid=96
GIURAMENTO ANTI MODERNISTA
il giuramento richiesto dal Papa
Io sacerdote (nome e cognome), fermamente accetto e credo in tutte e in ciascuna delle verità definite, affermate e dichiarate dal magistero infallibile della Chiesa, soprattutto quei principi dottrinali che contraddicono direttamente gli errori del tempo presente.
Primo: credo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato con i lumi della ragione naturale nelle opere da lui compiute (cf Rm 1,20), cioè nelle creature visibili, come causa dai suoi effetti.
Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della rivelazione, cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e le profezie, come segni certissimi dell’origine soprannaturale della religione cristiana, e li ritengo perfettamente adatti a tutti gli uomini di tutti i tempi, compreso quello in cui viviamo.
Terzo: con la stessa fede incrollabile credo che la Chiesa, custode e maestra del verbo rivelato, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso vero e storico mentre viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia ecclesiastica, e sui suoi successori attraverso i secoli.
Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa a noi dagli apostoli tramite i padri ortodossi, sempre con lo stesso senso e uguale contenuto, e respingo del tutto la fantasiosa eresia dell’evoluzione dei dogmi da un significato all’altro, diverso da quello che prima la Chiesa professava; condanno similmente ogni errore che pretende sostituire il deposito divino, affidato da Cristo alla Chiesa perché lo custodisse fedelmente, con una ipotesi filosofica o una creazione della coscienza che si è andata lentamente formando mediante sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito.
Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente dichiaro che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dall’oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell’intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, creatore e signore nostro, ha detto, attestato e rivelato.
Mi sottometto anche con il dovuto rispetto e di tutto cuore aderisco a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni dell’enciclica Pascendi e del decreto Lamentabili, particolarmente circa la cosiddetta storia dei dogmi.
Riprovo altresì l’errore di chi sostiene che la fede proposta dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili con le reali origini della religione cristiana.
Disapprovo pure e respingo l’opinione di chi pensa che l’uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito difendere tesi che contraddicono alla fede del credente o fissare delle premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non siano positivamente negati.
Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di interpretare la sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della Chiesa, l’analogia della fede e le norme della Sede apostolica, ricorre al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura che audacia applica la critica testuale come regola unica e suprema.
Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che l’insegnamento di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per iscritto deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta sia sull’origine soprannaturale della tradizione cattolica sia dell’aiuto promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole verità rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su basi scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la stessa autonomia critica ammessa per l’esame di qualsiasi altro documento profano.
Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore dei modernisti, secondo cui nella sacra tradizione non c’è niente di divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico, riducendolo ad un evento puro e semplice analogo a quelli ricorrenti nella storia, per cui gli uomini con il proprio impegno, l’abilità e l’ingegno prolungano nelle età posteriori la scuola inaugurata da Cristo e dagli apostoli.
Mantengo pertanto e fino all’ultimo respiro manterrò la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e sempre sarà nella successione dell’episcopato agli apostoli (1), non perché si assuma quel che sembra migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa (2).
Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente, integralmente e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza mai discostarmene né nell’insegnamento né in nessun genere di discorsi o di scritti.
Riprovo altresì l’errore di chi sostiene che la fede proposta dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili con le reali origini della religione cristiana.
Disapprovo pure e respingo l’opinione di chi pensa che l’uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito difendere tesi che contraddicono alla fede del credente o fissare delle premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non siano positivamente negati.
Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di interpretare la sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della Chiesa, l’analogia della fede e le norme della Sede apostolica, ricorre al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura che audacia applica la critica testuale come regola unica e suprema.
Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che l’insegnamento di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per iscritto deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta sia sull’origine soprannaturale della tradizione cattolica sia dell’aiuto promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole verità rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su basi scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la stessa autonomia critica ammessa per l’esame di qualsiasi altro documento profano.
Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore dei modernisti, secondo cui nella sacra tradizione non c’è niente di divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico, riducendolo ad un evento puro e semplice analogo a quelli ricorrenti nella storia, per cui gli uomini con il proprio impegno, l’abilità e l’ingegno prolungano nelle età posteriori la scuola inaugurata da Cristo e dagli apostoli.
Mantengo pertanto e fino all’ultimo respiro manterrò la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e sempre sarà nella successione dell’episcopato agli apostoli (1), non perché si assuma quel che sembra migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa (2).
Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente, integralmente e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza mai discostarmene né nell’insegnamento né in nessun genere di discorsi o di scritti.
Così prometto, così giuro, così mi aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio.
GIURAMENTO ANTI MODERNISTA
(Acta Apostolicæ Sedis, 1910, pp. 669-672)
1 IRENEO, Adversus haereses, 4, 26, 2: PG 7, 1053.
2 TERTULLIANO, De praescriptione haereticorum, 28: PL 2, 40.
2 TERTULLIANO, De praescriptione haereticorum, 28: PL 2, 40.
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