Infallibile è la Cattedra di Pietro, non la persona Simone
Il titolo della nostra breve riflessione ci è di grande aiuto perché anche il Papa regnante deve obbedire alla “Cattedra di Pietro”. Se ci riflettiamo bene, infatti, la Chiesa non ha mai fatto una Festa liturgica per il papa regnante… ma c’è la festa della Cattedra di Pietro.
Si apprende così che l’infallibilità non riguarda i progetti personali di un Pontefice, la sua immagine di Chiesa, o i suoi desideri anche fossero buoni. L’infallibilità sta nella Cattedra di Pietro quando sedendovi sopra, il Successore dell’Apostolo Pietro, insegna infallibilmente la Dottrina di Gesù Cristo. Il dogma dell’infallibilità papale infatti (o infallibilità pontificia) afferma che il papa non può sbagliare quando parla ex cathedra, ossia come dottore o pastore universale della Chiesa (episcopus servus servorum Dei).
Curiosità vuole che c’è stato chi, ignorante del latino, ha pensato bene di tradurre quell’ “ex” come qualcosa “al di fuori”, al di fuori della Cattedra, mentre significa esattamente l’opposto: ex significa DALLA, e dunque è infallibile quando insegna “dalla cattedra”.
Così, il dogma della infallibilità vale solo quando il Successore di Pietro esercita il ministero petrino proclamando un nuovo dogma o definendo una dottrina in modo definitivo come rivelata, o quando il papa insegna sull’etica e sulla morale da tenersi in campo sociale, rifacendosi appunto alla dottrina della Chiesa (cfr. Ad tuendam fidem di Giovanni Paolo II). In definitiva un Pontefice non è mai garante di se stesso o delle proprie idee, al contrario, è fatto Vicario di Cristo per garantire continuità, stabilità, fermezza, conferma e dottrina alla Legge di Dio nel mondo, difenderla fino alla profusione del proprio sangue, ad imitazione del Capo, Cristo Gesù che ha dato la Sua vita per la nostra salvezza. Infallibile è Pietro, non Simone.
Il 18 luglio 1870, con la costituzione dogmatica Pastor aeternus (cliccate qui per il testo in italiano), il beato Pio IX proclama il dogma dell’infallibilità del Papa, quando come maestro della fede e della vita cristiana, parla, insegna santifica, e governa ex cathedracon l’autorità di Cristo. Occorre invocarlo per la Chiesa e per il mondo di oggi, vivendo con la sua certezza, così come egli diceva ai giovani di Azione cattolica, da lui avviata: “I nemici di Dio spariscono uno per uno, e la Chiesa resta. Saremo tribolati, ma vinti mai!”.
Un esempio concreto di questa infallibilità è da quanto Giovanni Paolo II ha scritto nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 22.5.1994: “Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa”.
Come possiamo ben comprendere, il Papa ha detto che tutti i fedeli devono ritenere in modo definitivo questo dottrina (sentenza) della Chiesa e nessun suo successore potrà MAI cambiare questo insegnamento. Spiega il domenicano Padre Angelo Bellon: “Il modo definitivo si ha quando il Papa esprime da solo impegnando direttamente il suo compito di confermare nella fede o in comunione con l’episcopato diffuso su tutta la terra la dottrina della Chiesa…”.
La Chiesa, così, ha tutto ciò che le serve per un’opera universale (cattolica) che si estende pure nell’intero cosmo, come ci indica la liturgia della Solennità di Cristo Re dell’universo. Da Roma la Chiesa si sarebbe irradiata ovunque e, a ragione, diceva Pio XII: «Roma sarebbe stata centro, non del potere, ma della fede» (radiomessaggio del 13.5.1942, in occasione del 25° anniversario della sua consacrazione episcopale e della prima apparizione mariana a Fatima).
Il Cardinale J.H. Newman supponeva che l’apostasia del popolo di Dio, in varie epoche e luoghi, avesse sempre preceduto la venuta degli “anticristi”, tiranni come Antioco e Nerone, Giuliano l’Apostata, i leader atei della Rivoluzione francese, ciascuno un “tipo” o “presagio” dell’anticristo, che sarebbe venuto alla fine della storia, quando il mistero di iniquità avrebbe manifestato la sua insensatezza finale e terribile. L’incapacità dei credenti di vivere la propria fede, ammoniva Newman, come nelle epoche precedenti, avrebbe condotto “al regno dell’uomo del peccato, che avrebbe negato la divinità di Cristo e innalzato se stesso al suo posto”(M.D. O’Brien, Il Nemico, Cinisello Balsamo 2006, pp. 175-176).
C’è il tentativo di ridurre la Chiesa ad una agenzia mondiale umanitaria e l’utopia che l’unità delle nazioni possa essere realizzata dagli organismi internazionali e non da Cristo. Ma il Signore, anche se dorme sulla barca in tempesta, nel momento finale si risveglierà e placherà i flutti. Poi tornerà da noi e ci chiederà perché abbiamo avuto così poca fede. Nel frattempo portiamo la croce. Osserviamo il tradimento. Soffriamo.
Scrive, infatti, ancora Newman: “Lo scopo del diavolo, quando semina la rivoluzione nella Chiesa è gettarla in confusione, perché la sua attenzione sia distratta e le sue energie disperse. In questo modo veniamo indeboliti proprio nel momento della storia in cui avremmo bisogno di essere più forti”. Facciamo notare che il beato Newman parla di “rivoluzione” e non di riforma dei Santi. Le rivoluzioni degli uomini sono opera del demonio, le riforme vere, nella Legge divina, sono opera divina.
Vogliamo concludere con le riflessioni dell’allora Ratzinger, ascoltiamolo:
«Il papa non è il signore supremo – dall’epoca di Gregorio Magno ha assunto il titolo di “servo dei servi di Dio” – ma dovrebbe essere – amo dire – il garante dell’obbedienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, escludendo ogni arbitrio da parte sua. Il papa non può dire: La Chiesa sono io, oppure: La tradizione sono io, ma al contrario ha precisi vincoli, incarna l’obbligo della Chiesa a conformarsi alla parola di Dio. Se nella Chiesa sorgono tentazioni a fare diversamente, a scegliere la via più comoda, deve chiedersi se ciò è lecito (ed è ovvio che non lo è). Il papa non è dunque un organo che possa dare vita a un’altra Chiesa, ma è un argine contro l’arbitrio. Faccio un esempio: dal Nuovo Testamento sappiamo che il matrimonio sacramentale è indissolubile. Ci sono correnti d’opinione che sostengono che il papa potrebbe abrogare quest’obbligo. Ma non è così. E nel gennaio del 2000, rivolgendosi ai giudici romani, il papa ha detto che, rispetto alla tendenza a voler vedere revocato il vincolo dell’indissolubilità del matrimonio, egli non può fare tutto ciò che vuole, ma deve anzi accentuare l’obbedienza, deve proseguire anche in questo senso il gesto della lavanda dei piedi» (Dio e il mondo, edizioni San Paolo, pag. 425, 2001).
una Messa senza Consacrazione?
Un documento “ecumenico” che tocca la dottrina sulla validita della Santa Messa
Il documento sull’anafora di Addai e Mari
Sì Sì No No n. 1 (15 Gennaio 2002 - Anno XXVIII)
Il fatto
Il 26 ottobre 2001 L’Osservator Romano ha pubblicato il documento del “Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani” che detta gli “Orientamenti per l’ammissione all’Eucarestia fra la Chiesa Caldea [cattolica] e la Chiesa Assira[nestoriana e scismatica] dell’Oriente”.
Il documento intende rispondere ad una richiesta motivata dal fatto che “numerosi fedeli caldei e assiri si trovano in una situazione di necessità pastorale per quanto riguarda l’amministrazione dei sacramenti”. «La principale questione per la Chiesa cattolica nei riguardi dell’accoglimento della richiesta – continua il documento – si riferiva al problema [sic] della validità dell’Eucarestia celebrata con l’anafora[canone] di Addai e Mari, una delle tre anafore tradizionalmente in uso nella Chiesa assira dell’Oriente».
“Problema”, questo, non da poco, dato che, come ci informa lo stesso documento, “l’anafora di Addai e Mari [detta anche «degli Apostoli»] è singolare in quanto, da tempo immemorabile, essa è adoperata senza il racconto dell’Istituzione”, presente, invece, nelle altre due anafore nestoriane.
Un “problema” inesistente
Diremo subito che il “problema” non esiste e, in ogni, caso è un problema già risolto. Il problema non esiste perché è evidente che un’anafora, cioè un canone, senza le parole consacratorie (“Questo è il Mio Corpo”; “Questo è il Mio Sangue”)non serve a nulla: senza consacrazione, non c’è Messa (v. DB. 1640).
È un problema, comunque, già risolto per i caldei tornati all’unione con Roma, per i quali o “si supplisce a questa mancanza gravissima prendendo il testo di una delle due altre anafore” , nelle quali le parole consacratorie ci sono (v. Enciclopedia Cattolicavoce caldei), oppure si inserisce nell’anafora di Addai e Mari la formula della consacrazione.
Una curva ad U
Questa soluzione, però, tanto elementare quanto ovvia, è stata di fatto rimessa in discussione dall’ecumenico “Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani”: «Poiché la Chiesa cattolica – continua il documento reso noto daL’Osservatore Romano – considera [sic! una semplice opinione?] le parole dell’Istituzione Eucaristica parte costitutiva e quindi indispensabile dell’ anafora
o Preghiera Eucaristica, essa [Chiesa cattolica]ha condotto uno studio lungo e accurato sull’ anafora di Addai e Mari da un punto di vista storico, liturgico e teologico, al termine del quale, il 17 gennaio 2001, la “Congregazione per la dottrina della Fede” è giunta alla conclusione che quest’anafora può essere considerata valida».
In breve: la “Chiesa cattolica” sarebbe giunta ad una conclusione diametralmente opposta a quella cui era giunta in passato, e questo grazie ad uno “studio lungo e accurato” condotto “da un punto di vista storico, liturgico e teologico”. Ma vediamo gli “argomenti” sui quali è fondata una siffatta curva ad U.
“Antica”, si, ma non necessariamente “integra”
“La conclusione a cui si è giunti – dice il documento – si basa su tre principali argomenti.
–In primo luogo l’anafora di Addai e Mari è una delle più antiche anafore, risalenti ai primordi della Chiesa. Essa fu composta e adoperata con il chiaro intento di celebrare l’Eucarestia in piena continuità con l’Ultima Cena e secondo l’intenzione della Chiesa. La sua validità non è mai stata ufficialmente confutata né nell’Oriente
né nell’Occidente”.
Cominciamo dall’ antichità.
Che l’anafora di Addai e Mari sia una delle più antiche anafore, risalenti ai primordi della Chiesa, nessun dubbio. È molto dubbio, però, anzi è certo che essa non è giunta fino a noi integra, qual era anticamente, ai primordi della Chiesa, anche se si discute tuttora sul perché, sul come e sul quando la formula consacratoria è scomparsa da quell’anafora. Per un errore dei copisti? perché il celebrante la recitava a memoria? per riflesso della controversia sull’epiclesi, a cui i nestoriani attribuiscono l’efficacia consacratoria invece che alle parole dell’Istituzione? Il problema rimane irrisolto per mancanza di documenti decisivi (v. Dictionnaire de Théologie catholique, voce Nestorienne/ l’Eglise col. 310).
Medesima incertezza sulla data della scomparsa della formula consacratoria da quel rito: alcuni la pongono intorno al XV secolo; altri in tempi più remoti (v.l’Eucarestia a cura di A. Piolanti, ed. 1957, pp. 514-516 e A. Raes Le recit de l’institution eucharestique dans l’anaphore chaldeenne et malabare des Apotres).
La lezione delle “antichita” guaste
Non ci fermiamo oltre sull’argomento. Sottolineiamo soltanto che anche altre anafore, tra “le più antiche” e tuttora in uso in comunità scismatiche orientali, presentano lo stesso guasto o perché prive affatto della formula consacratoria o perché questa vi appare mutilata (v. Dictionnaire de Théologie catholique t. XII /2° voce Orientale /Messe col. 1452 ss.).
Questa “antichità” pervenuta a noi così gravemente guasta non attesta affatto la validità di dette anafore, ma attesta soltanto i danni sostanziali apportati allecomunità orientali dallo scisma da Roma, danni che non hanno risparmiato neppure la validità del Santo Sacrificio dell’Altare.
Scrive giustamente dom Cabriol: «Ma il fatto più straordinario nel racconto dell’Istituzione nelle anafore orientali è che le parole di Nostro Signore, le quali hanno l’importanza che sappiamo nel sacramento eucaristico, alcune liturgie le amplificano e cambiano, senza però modificarne il senso, altre le alterano in tal modo che si può dubitare persino della validità della formula, altre ancora le omettono addirittura! [È il caso appunto dell’anafora di Addai e Mari]. Si vede con ciò, dal punto di vista dogmatico, la necessità d’un magistero che si eserciti sulle liturgie e il danno di lasciar alla fantasia formule di siffatta importanza. Sotto questo punto di vista – l’abbiamo detto –l’Occidente offre [invece] un’ uniformità pressoché completa» (Dictionnaire d’archéologie chretienne et de liturgie, t. I, 2a parte, col. 1914, Parigi 1907).
L’intenzione non basta
Parimenti, non mettiamo in dubbio che l’anafora di Addai e Mari “fu composta e adoperata con il chiaro intento di celebrare l’Eucarestia […] e secondo l’intenzione della Chiesa” come afferma il documento. Domandiamo, però, quando mai la Chiesa abbia insegnato che alla validità dei Sacramenti basta la sola intenzione. Al contrario. Essa ha sempre insegnato che per la validità dei Sacramenti occorrono, oltre all’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, anche la materia e la forma (o formula) e che “se uno di questi elementi manca, non si ha il sacramento” (Concilio di Firenze DS 1312).
Nell’anafora di Addai e Mari manca la forma dell’Eucarestia, costituita dalle parole con le quali Cristo la istituì, e perciò non c’è Santa Messa. E per cogliere questa evidenza non occorreva nessuno “studio lungo e accurato”; bastava semplicemente che gli “studiosi” della Congregazione per la Fede richiamassero alla mente il catechismo di San Pio X che dovrebbero aver studiato nella loro infanzia.
Un’affermazione insostenibile
La validità di quest’anafora –dice ancora il documento – «non è mai stata ufficialmente confutata né nell’Oriente né nell’ Occidente».
Per l’Oriente questo si può comprendere, visto il guasto in cui versano le liturgie e le teologie delle diverse sette orientali: perché mai sgomentarsi per l’assenza della formula consacratoria quando in Oriente per lo più l’efficacia consacratoria è attribuita principalmente all’ epiclesi o invocazione dello Spirito Santo?
Per l’Occidente, invece, l’ affermazione del documento non regge.
Il solo inserimento della formula consacratoria nell’anafora di Addai e Mari per i caldei ritornati all’unione con Roma è una condanna ufficiale di quella medesima
anafora priva delle parole della consacrazione, qual è in uso tuttora presso gli scismatici assiri. Perciò non può sostenersi che la validità di questa anafora senza la formula consacratoria “non è stata mai ufficialmente confutata” in Occidente. Tanto più che a confutarne la validità basta, anche in assenza di confutazioni “ufficiali”, la sola dottrina cattolica sulla validità dei Sacramenti che abbiamo sopra richiamato. Perché non si sfugge: o si condanna l’uso di un’ anafora priva delle parole del Signore o si condanna la dottrina cattolica, la quale insegna che le parole del Signore sono “la vera ed unica forma del Sacramento dell’ Eucarestia» (v. Eucaristiacit. p. 438): «Forma dell’ Eucarestia sono le parole del Salvatore con le quali Egli fece questo Sacramento; difatti il Sacerdote produce questo Sacramento parlando in nome di Cristo» (Concilio di Firenze Decreto per gli Armeni D 698).
Un secondo “argomento” che non argomenta nulla
Ed ecco il secondo “argomento” offerto dal documento: «In secondo luogo la Chiesa cattolica riconosce la Chiesa assira dell’Oriente [nestoriana e scismatica] come autentica Chiesa particolare [sic] fondata sulla fede ortodossa [sic] e sulla successione apostolica [sic]. La Chiesa assira dell’Oriente ha anche preservato la piena fede eucaristica nella presenza di Nostro Signore sotto le specie del pane e
del vino e nel carattere sacrificale dell’Eucarestia. Pertanto nella Chiesa assira dell’Oriente, sebbene essa non sia in piena [sic] mcomunione con la Chiesa cattolica, si trovano “veri sacramenti, soprattutto, in forza della successione apostolica, il sacerdozio e l’Eucarestia” (Unitatis Redintegration. 15)».
Sono qui condensate tutte le deviazioni ecclesiologiche della “dottrina ecumenica” rispetto alla dottrina costante della Chiesa: è promossa ad «autentica Chiesa particolare» una setta scismatica ed è dichiarata “fondata sulla fede ortodossa” una setta nestoriana (la “Dichiarazione comune cristologica”, cui fa cenno il documento, ha risolto – si ammette – solo “il principale problema dogmatico”, ma non tutti i problemi dogmatici); è riconosciuta fondata sulla “successione apostolica” una setta priva di continuità dottrinale con gli Apostoli e di legittima giurisdizione, dato che questa “viene ai Vescovi unicamente attraverso il Romano Pontefice” (Pio XII Ad Apostolorum Principis); è detta fornita di “veri Sacramenti” una setta in cui due Sacramenti di istituzione divina sono stati sostituiti da due “sacramenti” di istituzione umana e l’Eucarestia è resa invalida da un canone privo dell’essenziale (v. Dict. de Th. cath.voce Nestorienne / l’Eglise).
Per tutti questi punti rimandiamo a quanto già ampiamente confutato in sì sì no no15 dicembre 2000 pp. 1 ss. a proposito della Dichiarazione Dominus Iesus. Qui ci preme osservare che anche questo secondo “argomento”, così come il primo, non argomenta proprio un bel nulla in favore della validità del rito celebrato con la mutilata anafora di Addai e Mari. Che la «Chiesa assira dell’nOriente» abbia «preservato la piena fede eucaristica nella presenza di Nostro Signore sotto le specie del pane e del vino» è cosa dubbia e tuttora discussa e non basta scegliere, così semplicisticamente, la tesi più comoda all’«ecumenismo» per troncare una questione che tiene divisi gli studiosi degni di questo nome (v. Eucaristia cit. a cura di A. Piolanti pp. 512-13 con relative note).
È certo, comunque, che la transustanziazione è negata dagli scismatici assiri (ivi), sulla scorta dell’eretico Nestorio (alla cui “riabilitazione” – guarda caso – si dice favorevole in Gesù il Cristo Walter Kasper, ora Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani).
E benché sia vero che gli assiri credono che l’Eucarestia è un vero Sacrificio, il quale rinnova in modo incruento il Sacrificio dell’ Altare, è altresì vero che in pratica tale fede è “privata del proprio oggetto” per tutto il tempo dell’ anno, che è il più lungo, in cui la loro liturgia prescrive l’uso della mutila anafora di Addai e Mari. Infatti la sola fede nella Presenza Reale e nel carattere sacrificale dell’Eucarestia, anche se “piena”, non basta a produrre il Sacramento dell’Eucarestia quando nel rito manca la formula della consacrazione.
Nella stessa Chiesa cattolica, se un sacerdote omette la formula della consacrazione, non c’è Messa, non c’è Eucaristia valida né basta a renderla valida la fede veramente “piena” che la Chiesa cattolica ha nella Presenza Reale e nel carattere sacrificale dell’ Eucarestia.
Un “argomento” a cui mostra di non credere lo stesso documento
Terzo argomento addotto dal “Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani”: «Infine le parole dell’Istituzione Eucaristica sono di fatto presentinell’anafora di Addai e Mari, non in modo coerente e “ad litteram”, ma in modo eucologico e disseminato, vale a dire che esse sono integrate in preghiere successive di rendimento di grazie, lode e intercessione».
Ci sarebbe stato facile riportare da varie fonti l’anafora di Addai e Mari nel suo testo integrale.
Sennonché nell’articolo “Ammissione all’Eucarestia in situazione di necessità pastorale”, che accompagna il documento con “lo scopo di chiarire il contesto, il contenuto e l’applicazione pratica di tale disposizione”, lo stesso Osservatore Romanoci offre le preghiere “successive” al buco in cui avrebbe dovuto esserci, ma non c’è, la formula della consacrazione, e nelle quali preghiere sarebbero a giudizio della Congregazione per la Fede “di fatto presenti”, anche se “disseminate”, le “parole dell’Istituzione Eucaristica” così da costituire un “quasi-racconto [sic] dell’ Istituzione Eucaristica”. Eccole:
1) «Tu, mio Signore, per le tue molte e indicibili misericordie, abbi un ricordo buono e accetto di tutti i padri, retti e giusti, che furono graditi davanti a te, nella memoria del corpo e sangue del tuo Cristo, che noi offriamo a te sull’altare puro e santo, come tu ci hai insegnato»;
2) «ti conoscano tutti gli abitanti della terra […] e anche noi, mio Signore, tuoi servi piccoli, deboli e miseri, che siamo riuniti e stiamo davanti a te, abbiamo ricevuto per tradizione l’esempio che viene da te, rallegrandoci, glorificando, esaltando, facendo memoria e celebrando, questo mistero grande e terribile della passione, morte e resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo»;
3) «Venga, mio Signore, il tuo Spirito santo e riposi su questa offerta dei tuoi servi, la benedica e la santifichi; affinché sia per noi, mio Signore, per la remissione dei debiti, per il perdono dei peccati, per la speranza grande della resurrezione dalla morte, e per la vita nuova nel regno dei cieli, con tutti coloro che furono graditi celebrando questo mistero grande e terribile della passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo».
Queste preghiere indubbiamente presuppongono la consacrazione, attestano che anticamente essa c’era nell’anafora di Addai e Mari, però il lettore può, come abbiamo fatto noi, leggerle e rileggerle, ma non vi troverà, neppure “disseminate”, le parole della consacrazione: “Questo è il Mio Corpo”; “Questo è il Mio Sangue”.
Non si comprende, perciò, come l’articolo de L’Osservatore Romano possa concludere: “In tal modo le parole dell’Istituzione non sono assenti [sic!] nell’ anafora di Addai e Mari, ma menzionate esplicitamente [sic] anche se disseminate [?]attraverso i passaggi più importanti dell’ anafora».
Dobbiamo noi forse trovare in questa anafora quello che non c’è, solo perché così vuole il “Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani”? Certamente no. La fede e l’ubbidienza non esigono le dimissioni della retta ragione. I fatti sono fatti e l’onestà intellettuale esige che il pensiero si adegui alla realtà (anche se i “nuovi teologi” pretendono piuttosto di piegare la realtà e la ragione altrui al proprio pensiero).
D’altronde, lo stesso “Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani” mostra di non credere troppo a quanto afferma, dato che al n. 3 del medesimo documento raccomanda; “quando dei fedeli caldei [=cattolici] partecipano ad una celebrazione assira [=nestoriana scismatica] della Santa Eucarestia il ministro assiro è caldamente [sic] incoraggiato ad introdurre nell’anafora di Addai e Mari le parole dell’Istituzione”. E perché mai è “caldamente” incoraggiato a ciò se non perché “il rito nestoriano si serve normalmente per la messa di un’anafora che non possiede l’essenziale”? (v. Dict. De Th. cath. voce Orientale/Messe col. 1459). Neppure laCongregazione per la Fede e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani credono, dunque, che (con tutta la fede “piena” della Chiesa cattolica) il rito romano senza la formula della consacrazione o il Pange Lingua, con il suo “quasiracconto” dell’ Istituzione Eucaristica, sia sufficiente a celebrare validamente la Santa Messa.
Un documento vergognoso
Con questo documento “ecumenico” i fedeli cattolici sono autorizzati e spinti a partecipare attivamente ad atti di culto di eretici e scismatici (communicatio insacris), benché ciò sia proibito dal diritto divino naturale e positivo: Haereticum hominem devita (Tit. 3, 10). In ossequio a questo diritto divino la Chiesa non ha mai ammesso casi di “necessità” in questo campo: si veda il Codice piano-benedettino can. 1258 §1 e il decreto del S. Uffizio del 7 agosto 1704, il quale precisa che “un cattolico non può assistere alla Messa di un sacerdote eretico o scismatico, anche se, urgendo il precetto festivo, dovesse altrimenti rimanere senza Messa” (Enciclopedia cattolica voce Comunicazione nelle cose sacre col. 118).
Inoltre, con questo documento “ecumenico” si autorizzano (con un’autorità di cui si è privi) i fedeli a violare il diritto divino per partecipare ad una “Messa” che Messa non è, essendo il rito privo della formula consacratoria, così che suona irrisoria l’ asserzione che in tal modo “i fedeli caldei [cattolici]… possono ricevere la Santa Comunione [?]in una celebrazione assira della Santa Eucaristia” (L’Osservatore Romano cit. Ammissione all’ Eucarestia… articolo illustrativo cit.).
Infine questo documento, per la sua reciprocità, dà il via all’«intercomunione» con eretici e scismatici, finora, almeno ufficialmente, vietata. Infatti anche
gli “assiri” sono autorizzati in caso di necessità a ricevere – loro, però, realmente – la Santa Comunione in una celebrazione “caldea”, cioè cattolica.
Non crediamo di andare errati dicendo che questo documento andrà a perpetua vergogna nella storia della Congregazione per la Fede e a dimostrazione che il “Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani” in realtà promuove l’unità dei cristiani con gli eretici e gli scismatici in una “comune rovina” (Pio XIIHumani Generis).
Iulianus
Tratto da: www.sisinono.org
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