La Quaresima sotto lo sguardo
della Madonna di Fatima
(di Cristina Siccardi) Nella Quaresima di Pasqua dell’A.D. 2017 e dell’anno del centenario di Nostra Signora di Fatima, la Chiesa subisce ciò che subì Cristo durante i 40 giorni nel deserto: le tre tentazioni di Satana furono quelle di cercare di piegare il Figlio di Dio a porre termine al suo digiuno (penitenza); a piegarlo all’orgoglio e superbia di se stessi; a curvarsi alle voglie della terra, pegno del demonio, principe appunto di questo mondo.
Le forze malefiche oggi cercano, infatti, di piegare la Chiesa in queste stesse tre direzioni: evitare le pratiche di penitenza, di rinuncia, di astinenza; seguire la propria autorità secondo indirizzi ideologici terreni e non parametri dottrinali della Tradizione; accogliere con leggerezza i peccati come tali e non come schiavitù e premessa alla giusta punizione delle anime, come è sempre stato insegnato dalla Teologia cattolica. Ogni tentazione fu da Gesù Cristo rifiutata con una citazione della Bibbia, tratta dal libro del Deuteronomio.
La prima risposta fu: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Matteo 4,4). La seconda: «Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo» (Matteo 4,7). La terza fu – oltre che netta come le altre e come sempre fu il suo parlare – decisiva: «Vattene, Satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a Lui solo rendi culto» (Matteo 4,10).
Questi due ultimi ordini divini scendono nel giorno delle Ceneri come acqua gelida sull’attuale Chiesa: distratta, tentata, accecata, assordata dalle contemporanee tematiche sociali non sa discernere con sapienza i malsani problemi di questa ex civiltà cristiana, incapace di riconoscere il bene dal male, il brutto dal bello, l’equilibrio dall’informe, e le anime sono così indotte a lasciarsi trascinare verso il baratro dei loro sensi e dei loro vizi, verso gli abissi delle loro deformazioni culturali e psicologiche,verso il buco nero delle loro frustrazioni intellettuali e spirituali, conseguenza di scelte più immanenti che trascendenti.
Esasperati egoismi ed edonismi hanno spiazzato i palpiti della coscienza che soltanto la Chiesa di Cristo potrà risvegliare. Nei nostri giorni la Quaresima viene vissuta dal mondo cattolico soprattutto come momento di solidarietà con chi ha esigenze di carattere materiale; mentre a coloro che chiedono assistenza spirituale si offre la medicina della falsa e crudele misericordia, quella che lascia la persona così com’è, privandola della liberazione dal peccato grazie al pentimento e alla conversione, ovvero il cambio di vita, quella a cui fece riferimento Gesù al buon Nicodemo: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio» (Gv 3, 3).
Schiacciata fra le tenaglie del peccato e dei presunti diritti individuali, la persona non trova più nelle chiese la risorsa del lavacro della conversione, un lavacro sempre riproposto con forza proprio durante la Quaresima. La Chiesa ha sempre vissuto questo tempo come momento di penitenza, di rinuncia, di astinenza, di più intensa preghiera e di perfezionamento spirituale, quello teso al dovere e non ai diritti, al perfezionamento dell’anima, alla pratica delle virtù teologali e cardinali, all’assiduo accostamento dei Sacramenti.
La Madonna a Fatima insegnò ai tre innocenti pastorelli una preghiera per la conversione dei peccatori in pericolo di dannazione, preghiera che da allora viene recitata dopo le decine del Rosario: «Gesù mio, perdonate le nostre colpe, preservateci dal fuoco dell’Inferno e portate in Cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della Vostra misericordia».
Pregare e offrire sacrifici a Dio per il bene dei peccatori, questo chiese la Madonna all’umanità. D’altra parte il Salvatore lo disse: «In verità, in verità vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena» (Gv 16, 23-24). La Chiesa in orazione può ottenere molto di più della Chiesa in azione: l’opera tangibile otterrà i suoi vincenti effetti soltanto quando la preghiera e le rinunce avranno aperto la strada alla Provvidenza.
La missione profetica di Fatima, come ben sappiamo, non si è conclusa. La Madonna nel 1917 parlò anche agli uomini e alla Chiesa di oggi. Maria Santissima venne sulla terra per avvertire dei tragici accadimenti bellici del XX secolo, della sofferenza della Chiesa, del Papa, dell’infedeltà e dell’apostasia presenti. Il rimedi o ai mali fu indicato nel Santo Sacrificio, nella recita del Rosario,nella penitenza, nel sacrificio, nella rinuncia e nella consacrazione della Russia al Sacro Cuore Immacolato di Maria.
Il messaggio di Fatima richiama le coscienze sopite dei cristiani ad un risveglio immediato alla vera Fede e alla Tradizione:«Parla dei pericoli dell’oscuramento degli insegnamenti della Chiesa e tutto ciò che dice in questi messaggi suona ancora più incisivo degli altri precedenti. È innanzitutto un appello urgente alla preghiera, soprattutto alla recita meditata del Rosario e alla pratica della comunione riparatrice. Un’esortazione incalzante e impressionante alla penitenza e alla conversione (G. Hierzenberger-O. Nedomansky, Tutte le apparizioni della Madonna in 2000 anni di storia, Piemme, 1996, p. 40).
Questi 40 giorni di Quaresima che ci separano dalla Pasqua possano essere vissuti sotto lo sguardo della Madonna di Fatima, Madre di Dio e corredentrice, e nell’umiltà della cenere, consapevoli di un Credo che ci obbliga a partecipare alle sofferenze del Redentore durante la Passione, il Calvario, sulla Croce. Soltanto dalla Via Crucis potrà rinascere al suo intrinseco splendore questa Chiesa dilaniata dal grande tentatore. (Cristina Siccardi)
http://www.corrispondenzaromana.it/la-quaresima-sotto-lo-sguardo-della-madonna-di-fatima/
La Quaresima dei 100 anni
E' infine giunta la Quaresima del 2017. Cento anni fa dei
bambini, in Portogallo, si apprestavano alla Pasqua, ignari che di lì a poco i
loro occhi avrebbero contemplato una Bellezza superiore ad ogni altra. La
Madonna sarebbe apparsa, affidando loro segreti e profezie che tutt'ora non
comprendiamo. E' interessante pensare alla Quaresima di 100 anni fa, con il
mondo in guerra, con l'odio e il male che si stavano sprigionando inesorabilmente
per tutto il globo. Un secolo di sangue si stava affacciando alla storia, e
coloro che lo hanno saputo per primi sono stati tre pastorelli umili e semplici.
Cento anni, un numero che per molti evoca un'altra oscura profezia, una sfida
che il demonio lanciò a Dio, udita da Leone XIII. "Toglimi le catene per
cento anni e distruggerò la tua Chiesa". Sono questi i cento anni concessi
da Dio al Nemico? Non lo sappiamo, non sappiamo a quali prove saremo ancora
chiamati, sappiamo però che i 100 anni delle apparizioni di Fatima coincidono
con il culmine del male nel mondo, con una persecuzione ai danni dei cristiani senza precedenti. Questi cento anni coincidono con l'apparente trionfo
della cultura della morte, con i figli uccisi nel ventre delle loro madri, con
la distruzione dell'unico rifugio sicuro che molti trovavano nel focolare
domestico, con la disperazione di un'umanità che ha rinnegato Gesù e adesso si
ritrova da sola e disperata in un universo enorme e freddo a chiedersi perché.
Non sappiamo se questi appena trascorso sono "I" cento anni, ma sappiamo che è stato un secolo assassino e sciagurato dal quale la Sposa di Cristo esce affaticata e con un volto irriconoscibile, "il Venerdì Santo della storia".
La Quaresima che ci apprestiamo a vivere sia un periodo di preghiera e riflessione personale. Un periodo di preparazione, per renderci degni di affrontare le prove che si porranno sul nostro cammino, con l'unica sicurezza di una promessa. "Alla fine il mio Cuore immacolato trionferà".
Non sappiamo se questi appena trascorso sono "I" cento anni, ma sappiamo che è stato un secolo assassino e sciagurato dal quale la Sposa di Cristo esce affaticata e con un volto irriconoscibile, "il Venerdì Santo della storia".
La Quaresima che ci apprestiamo a vivere sia un periodo di preghiera e riflessione personale. Un periodo di preparazione, per renderci degni di affrontare le prove che si porranno sul nostro cammino, con l'unica sicurezza di una promessa. "Alla fine il mio Cuore immacolato trionferà".
LA CROCE E' SIMBOLO DI VITTORIA
Una vergine un legno e la morte: è tutto qui. La Croce diciamolo pure dà un pò fastidio fa un po’ ribrezzo perfino a molti sedicenti cattolici perché ricorda loro la sofferenza e la morte 2 cose delle quali nessuno vuol parlare
di Francesco Lamendola
La Croce, il Crocifisso, sono il simbolo del cristianesimo: ma perché? Quanti cattolici se lo domandano, quanti lo hanno ben chiaro?
Di questi tempi, tempi di edonismo e di materialismo imperanti, la Croce, diciamolo pure, dà un po’ fastidio, fa un po’ ribrezzo, perfino a molti sedicenti cattolici, perché ricorda loro la sofferenza e la morte, due cose delle quali nessuno vuol parlare; due cose che sono diventate tabù, perché l’uomo vorrebbe essere il piccolo dio di se stesso e non gli va di ammettere che sulla sofferenza ha poco potere, e sulla morte non ne ha nessuno.
E d’altra parte, è proprio vero che la Croce è il simbolo della sofferenza e della morte, come comunemente e istintivamente si è portati a pensare? In realtà, sì e no. Sì, in senso materiale; no, in senso spirituale. Perché, per il cristiano, da quella sofferenza è venuta la salvezza, e da quella morte è venuta la redenzione. Ma quella sofferenza e quella morte non sono la nostra sofferenza e la nostra morte: sono la sofferenza e la morte di Cristo, cioè un evento soprannaturale che è anche un fatto storico, a cui noi non abbiamo partecipato, ma del quale abbiamo ricavato i benefici spirituali.
Dal sangue di Cristo è venuto il nostro riscatto: Lui ha sofferto da solo, ha preso su di sé le nostre colpe, passate, presenti e future; e così, soffrendo e morendo per amor nostro, le ha trasformate in sorgente di vita eterna. Ha sconfitto il peccato, il diavolo e la morte; ed è per noi che ha riportato queste vittorie. Lo ha fatto per amor nostro, al posto nostro, e ha potuto farlo perché si è totalmente uniformato alla volontà del Padre: in tal modo, ha mostrato anche a noi la strada che dobbiamo percorrere, se vogliano essere suoi seguaci e figli del Padre.
Il cristiano, quindi, e specialmente il cattolico, dovrebbe andare fiero della Croce e vedere in essa non un oggetto di tristezza, ma un simbolo di vittoria: perché Cristo è venuto a insegnarci che non c’è altro mezzo, per sconfiggere il male e il peccato, che assumere la croce su di sé, rinnegare se stessi e fare la volontà del Padre, senza ribellarsi, e rispondendo al male col bene, all’odio con l’amore, fino al totale sacrificio di sé. Perché nel sacrificio totale di sé avviene il prodigio: l’adozione a figli di Dio e la partecipazione degli uomini alla vita divina. Gesù è morto per noi, ma noi non possiamo e non dobbiamo dormire sugli allori che Lui ha conquistato; noi siamo chiamati a imitarne l’esempio, a fare come Lui ha fatto, a divenire degni di essere chiamati figli di Dio, comportandoci come figli e non come ribelli ed ingrati, non come fecero i vignaioli omicidi della parabola evangelica.
Ma partiamo dall’inizio.
All’inizio c’era la Creazione perfetta, uscita dalla mano sapiente di Dio; c’erano Adamo ed Eva, capostipiti dell’umanità, posti nel Paradiso terrestre, ossia in una condizione di piena confidenza e amicizia con Dio e con la natura tutta. Ancor prima della creazione dell’universo materiale, però, c’era stata la creazione delle cose spirituali, dei cori angelici: e già in essa si era verificato un evento drammatico, la ribellione di alcuni di essi. Il diavolo esiste; non è un mito, o una leggenda: è il principe degli angeli ribelli, il quale, avendo perduto per sempre le altezze del Paradiso, trama instancabilmente per rovinare l’opera di Dio. Il diavolo ha tentato una vergine, Eva, e l’ha spinta a indurre in peccato anche Adamo: con ciò, ha riportato una vittoria parziale, ma importantissima, contro le forze del bene. Per ristabilire il predominio del bene sul male, le capacità umane – dell’umanità decaduta dopo il Peccato originale; quando già non erano bastate quelle dell’umanità innocente delle origini – non erano sufficienti: era perciò necessario un diretto intervento di Dio, il più radicale, il più misterioso, il più sublime che sia dato immaginare; quello, per intenderci, per cui i cristiani furono detti sacrileghi dai Giudei, e pazzi dai pagani: l’Incarnazione del Verbo. Assumendo su di sé anche la natura umana, e calandosi in essa, il Figlio di Dio, e Dio Egli stesso, ha ripreso la battaglia là dove il diavolo aveva vinto, e ne ha capovolte le sorti, vincendolo. E, per vincerlo, non vi era altro modo che mostrare agli uomini la via della giustizia, facendo in tutto la volontà del Padre: fino al sacrifico estremo di sé, sulla Croce. Coloro i quali congetturano - e ve ne sono persino tra i cosiddetti cristiani - che la Crocefissione sia stata un evento accidentale, che si sarebbe potuta evitare, e che Gesù non l’ha cercata né voluta, ma l’ha soltanto subita, sono completamente fuori strada e non hanno capito assolutamente nulla del cristianesimo. Così come, con rispetto parlando, non aveva capito nulla quel sacerdote che una volta, dal pulpito, durante l’omelia, disse ai fedeli: Se fosse per me, farei togliere dalle chiese tutte le Croci e i Crocifissi, simboli di tristezza e di sconfitta, e li sostituirei altrettante immagini del Risorto, che trasmettono gioia e fiducia. Discorso erroneo, patetico e sconclusionato, di scandalo per i fedeli: primo, perché, senza la Crocefissione, non vi sarebbe stata la Resurrezione, e quindi la Redenzione dell’umanità peccatrice; secondo, perché può farlo solo chi, come gli apostoli quando Gesù venne arrestato, processato e condannato, e ne restarono scandalizzati, vede nella Croce la sconfitta e l’umiliazione del Figlio di Dio, e non il passaggio necessario per la sua vittoria; terzo, perché anteponendo la gloria del Risorto alla sua Passione, ripete l’incredulità di Tommaso: è troppo facile credere in Gesù risorto, dopo che è risorto; bisogna credere che Gesù risorgerà, mentre ancora sta soffrendo e sta morendo sulla Croce.
Dunque: da una vergine è venuta la disobbedienza a Dio (diverremo simili a Lui, da una vergine è venuta l’obbedienza perfetta (sia fatto di me secondo la Sua volontà); da un legno è venuta la vittoria del diavolo, da un legno è venuta la vittoria sul diavolo; la morte per tutta l’umanità è stata l’effetto della vittoria del diavolo, la resurrezione futura dei corpi è stata l’effetto della vittoria di Cristo. Il legno della morte si è trasformato nel legno della vita; e la donna che ha lasciato il suo peccato in eredità a tutto il genere umano è stata sostituita dalla donna che si è fatta strumento di salvezza per tutti: l’una ha scelto la via dell’ego, ha voluto essere da più di ciò che era, ha voluto eccedere il proprio statuto ontologico, l’altra ha accettato di farsi niente nelle mani di Dio, di essere disonorata agli occhi degli uomini, di rinunciare ad ogni suo progetto di umana felicità, anche legittimo, per farsi guidare interamene da Dio. La Redenzione degli uomini viene da Cristo e solo da Cristo; tuttavia, non vi sarebbe stata la Redenzione se Dio non avesse trovato una creatura umana tanto umile e tanto grande da rispondere: Fiat all’annunciazione dell’Angelo. In questo senso, è giusto chiamare Maria non solo con l’appellativo di Madre di Dio, ma anche con quello di Corredentrice dell’umanità. È stato quel Fiat che ha dischiuso all’umanità peccatrice una rinnovata speranza di salvezza.
San Giovanni Crisostomo (letteralmente: bocca d’oro), patriarca di Costantinopoli e dottore della Chiesa, in una delle sue celeberrime omelie, istituiva questa magnifica similitudine fra la vergine, il legno e la morte, prima e dopo il Peccato originale, prima e dopo il mistero dell’Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione del Verbo (da Il cimitero e la croce, 2; PG 49 396; cit. nel volume: In preghiera con Maria, la Madre di Gesù, a cura della C.E.I., Comitato Nazionale per l’Anno Mariano, Libreria Editrice Vaticana, 1987, pp. 28-29):
Hai visto l’ammirabile vittoria? Hai visto la nobili sima impresa della croce? Potrò mai dirti qualcosa di meraviglioso? Considera il modo in cui hai vinto e resterai ancora più ammirato. Cristo infatti ha vinto il diavolo con gli stessi mezzi con cui aveva ottenuto vittoria il diavolo. Lo sbaragliò con le stesse armi usate da lui. Senti in che modo.
Una vergine, un legno e la morte furono i simboli della nostra sconfitta. La vergine era Eva, non aveva infatti ancora coabitato col marito. Il legno era l’albero. La morte la pena di Adamo. Ma ecco ancora una vergine, un legno e la morte, già simboli della sconfitta, diventare ora simboli della sua vittoria. Infatti al posto di Eva c’è Maria, al posto dell’albero della scienza del bene e del male c’è l’albero della croce, al posto della morte di Adamo la morte di Cristo.
Vedi come colui che aveva vinto viene ora sconfitto con gli stessi suoi mezzi? Presso l’albero il diavolo abbatté Adamo, presso l’albero Cristo sconfisse il diavolo. E quell’albero mandava all’inferno, questo invece richiama dall’inferno anche coloro che vi erano già scesi. Inoltre un altro albero nasconde l’uomo vinto e nudo, questo invece innalza agli occhi di tutti il vincitore spoglio. E quella morte colpì tutti coloro che erano nati dopo di essa, questa morte invece risuscita anche coloro che erano nati prima di essa. “Chi può narrare i prodigi del Signore?” (Sal 105,2). Siamo stati resi immortali da una morte: queste sono le gloriose imprese della croce.
Hai compreso la vittoria? Hai capito il modo con cui hai vinto? Apprendi ora come questa vittoria fu riportata senza nostra fatica e sudore. Noi non abbiamo bagnato di sangue le armi, non siamo stati in battaglia, non siamo stati feriti, la battaglia non l’abbiamo nemmeno vista, eppure abbiamo riportato vittoria. Del Signore è stato il combattimento, nostra la corona. Poiché la vittoria è anche nostra, imitiamo i soldati e, con voci di gioia, cantiamo oggi le lodi e l’inno della vittoria. Diciamo, lodando il Signore:”La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?” (1 Cor 15, 54-55; cfr Is 25,8; Os 13,14).
Tutto questo ci è stato procurato dalla croce gloriosa: la croce, trofeo eretto sopra il demonio, arma contro il peccato, spada con cui Cristo ha trafitto il serpente; la croce volontà del Padre, gloria dell’Unigenito, gaudio dello Spirito Santo, onore degli angeli, presidio della Chiesa, vanto di Paolo, difesa dei santi, luce di tutto il mondo.
Una vergine, un legno e la morte: il Mistero del cristianesimo è racchiuso in questo trinomio. È come se Dio, nella Persona del Figlio, avesse dovuto, e voluto, rifare all’incontrario la strada della prima caduta dell’umanità; è come se avesse dovuto affrontare di nuovo lo stesso nemico che già aveva interrotto i suoi piani, e avesse dovuto farlo sul suo stesso terreno. Il diavolo, nella prima battaglia, aveva dimostrato a Dio che la donna non era stata degna della fiducia di Lui, che aveva disprezzato i suoi doni e che aveva sobillato anche l’uomo alla disobbedienza contro di Lui; bisognava adesso che Dio trovasse una donna disposta ad annullarsi come persona, ad abbandonarsi a Lui senza fare domande, né porre condizioni, né attendersi vantaggi: una donna che riscattasse l’intera umanità e riaprisse all’intera umanità l’opera interrotta dal diavolo e dalla caduta di Eva (e Adamo), cioè il rapporto amorevole e fiducioso fra l’uomo e il suo Creatore.
Una volta che Maria ha detto: Sì all’Angelo, il movimento della Redenzione è incominciato. Gesù, vero Dio fattosi uomo, ha assunto su di sé tutto il peso della condizione mortale e ha mostrato agli uomini come si possa vivere nell’amore e nel timore di Dio, mirando sempre a realizzare non la propria volontà, ma la Sua. Ha affrontato il diavolo fin dall’inizio, ancora in culla, quando Erode ha cercato di farlo morire. Poi lo ha affrontato nel deserto, al principio della sua missione, e lo ha respinto, affermando che a Dio solo si deve obbedire. Di nuovo se lo è trovato davanti, più e più volte, nel corpo degli indemoniati che gli venivano condotti affinché li esorcizzasse, e che sempre lo riconoscevano, prima di essere da lui scacciati. Il diavolo si è seduto alla sua stessa tavola, perfino durante l’Ultima Cena, allorché è entrato in Giuda, e lo ha indotto a tradire il suo Maestro per trenta denari. Infine, nell’orto degli olivi, è giunta la prova suprema: l’umana paura e l’angoscia per la sofferenza e la morte imminente; e di nuovo la vittoria di Cristo e la sconfitta del diavolo. Ai piedi di un albero Adamo è stato vinto dal diavolo, ai piedi di un albero, trasformato nella santa Croce, il diavolo è stato sconfitto da Cristo. Cristo ha vinto non fuggendo, non ribellandosi, ma accettando pienamente il suo destino, come l’ultimo dei malfattori, come il più spregevole degli uomini, Lui che era il Giusto, Lui che era Dio. La sua morte sulla croce è stata la vittoria apparente delle tenebre, ma da quella sconfitta apparente è maturata la vittoria risolutiva della Resurrezione. Se Gesù non fosse morto, pienamente sconfitto da un punto di vista umano, sulla Croce, non sarebbe scaturita la Resurrezione di salvezza per tutti gli uomini. Vincendo la morte, Cristo ha preparato la sconfitta futura, e questa volta definitiva, sulla morte e sul diavolo.
Purtroppo molti cristiani sembrano essersi dimenticati, ai nostri giorni, che gli uomini sono stati riscattati dal potere della morte e del diavolo ad un prezzo carissimo, quello della sofferenza e del sangue di Cristo, versato nella Passione e sulla Croce; e sembrano essersi scordati che la santa Messa altro non è che il rinnovarsi di quel sacrificio supremo, vero e reale (non simbolico, non solo commemorativo!) al quale anch’essi sono chiamati a partecipare, offrendo a Cristo le loro pene e le loro sofferenze, e accettando sino in fondo la volontà di Dio, così come ci ha insegnato a fare il suo diletto Figlio Unigenito, con perfetta obbedienza e con amore incondizionato.
Una vergine, un legno e la morte: è tutto qui
di Francesco Lamendola
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