L'ATEISMO? COLPA DEI CATTOLICI
No non è l’ultima sparata papale ma una constatazione: gli atei gli piacciono parecchio da Scalfari alla Bonino; ma non gli sfiora mai l’idea che forse è il suo modo di essere cattolico che ne spinge tanti fuori dalla Chiesa
di Francesco Lamendola
Se nel mondo moderno c’è l’ateismo, la è colpa dei cattolici. No, non è l’ultima “sparata” di papa Francesco; forse – e non è una malignità, ma una pura e semplice constatazione – perché gli atei, a papa Francesco, piacciono, e anche parecchio: tanto è vero che si circonda di amici atei, da Eugenio Scalfari a Emma Bonino, da Marco Pannella a Raul Castro. No; il concetto in questione è di uno dei più “insigni” protagonisti della stagione del Concilio Vaticano II, del quale avevamo avuto già l’occasione di occuparci: il teologo domenicano Edward Schillebeeckx (cfr. Schillebeeckx e i teologi progressisti: non riforma del cattolicesimo, ma distruzione, pubblicato su Il Corriere delle Regioni il 16/03/20017). Ma è dal suo sacco che viene la farina che spinge tanti cattolici odierni, tutti debitamente progressisti e modernisti, a profondersi in scuse e a percuotersi il petto per tutto il male che la Chiesa ha inflitto all’universo mondo, agli omosessuali, agli ebrei, ai musulmani, ai luterani, agli scienziati, alle donne, ai negri, agli ortodossi, nonché all’ambiente inquinato e alle piante e agli animali minacciati di estinzione.
Infatti, come tutti sanno, anche lo sfruttamento selvaggio del pianeta e i danni provocati all’atmosfera, alla terra, all’acqua e alle specie viventi sono una conseguenza dell’azione nefasta della Chiesa cattolica e del suo atteggiamento insopportabilmente e irresponsabilmente antropocentrico, predatorio, insensato e radicalmente contrario a quello indicato da san Francesco: non il papa, anche se molti lo vorrebbero già santo in vita; l’altro Francesco, quello di Assisi, quello meno evoluto e spigliato: perché lui dagli infedeli ci andava, sì, ma per convertirli, anche a costo di farsi martirizzare; mentre il papa ha orrore della parola “apostolato”, quasi fosse una bestemmia particolarmente abominevole.
Dal sacco di Schillebeeckx, e anche dal sacco di Freud, e precisamente dalla cultura del sospetto, che ha negli psicanalisti freudiani i più valorosi campioni e sacerdoti: mai fidarsi di quel che uno dice o pensa; no, sarebbe una imperdonabile ingenuità dare retta a quel che la gente dice di sentire e di credere: un uomo al passo coi tempi moderni ha superato, e di molto, questa fase “ingenua”, e va oltre; bisogna sempre andare oltre. E che cosa c’è, oltre, se non il contrario di quel che la gente dice di sentire, di pensare, di credere? Il contrario di tutto ciò che dice, scrive, insegna e predica? In questo modo, il diabolico meccanismo dell’inconscio permette a ciascuno di convivere coi propri fantasmi, con le proprie angosce, con le proprie pulsioni più primitive, selvagge e abominevoli, e di riconciliarsi con se stesso, anestetizzando la consapevolezza delle sue contraddizioni e facendo in modo che il capovolgimento della verità non sia percepito come una forma d’ipocrisia, anzi, che non sia percepito affatto. Per esempio: un omosessuale latente rimuove la propria inclinazione, e si fissa sulle conquiste femminili: corre sempre dietro alle donne, parla sempre di donne, per non far sapere a se stesso – e naturalmente agli altri – la verità, ossia che vorrebbe correr dietro agli uomini. In fondo, è così semplice! Ma ci voleva un genio come Freud per capirlo; perché le cose più semplici sono lì, sotto gli sguardi di tutti, ma sono pochissimi quelli che le vedono; gli altri vi passano accanto senza notarle, proprio perché fanno parte del paesaggio abituale. E perché i nazisti odiavano tanto gli ebrei? Semplicissimo: perché avevano, o – il che fa lo stesso – avevano il terrore di avere, un quarto, un ottavo, un sedicesimo di sangue ebreo nelle vene. Anche Hitler e quasi tutti i suoi pezzi grossi. Ed ecco spiegata la faccenda dell’antisemitismo nazista. Dunque: prendete un po’ di cultura del sospetto freudiana, versatela nel calice della cultura cattolica modernista e progressista, agitate un poco, aggiungete qualche pezzetto di ghiaccio luterano, e il cocktail sarà servito: un perfetto cocktail à la Schillebeeckx.
Ed ecco perché Edward Schillebeeckx pensava che i credenti, sottinteso cattolici, portassero la responsabilità dell’ateismo (da: E. Schillebeeckx, Dio e l’uomo; traduzione di G. da Vetralla, Roma, Edizioni Paoline, 1969, pp. 17-18 e 27-29):
Perciò bisogna porsi lentamente la questione: che non siano per caso gli stessi credenti che hanno provocato l’ateismo? Non certamente per la loro fede, ma per la loro cattiva maniera di vivere la fede: è il modo deforme di rappresentare Dio che ha contribuito maggiormente al successo dell’ateismo. Ciò significa che l‘ateismo non è spesso se non la negazione d’una falsa immagine di Dio, e nel contempo la condanna d’un cristianesimo in contraddizione con se stesso. Forse i veri atei non sono sempre quelli che noi crediamo. Se è così, l’ateismo contemporaneo […] forse rappresenta per noi una grazia: un’occasione che Dio ci offre per purificare la nostra fede da tutti ciò che vi s’intride di troppo umano e dalle deformazioni interessate che la trasformano in assicurazione sulla vita. […]
La laicizzazione del mondo e il distacco dalla Chiesa che l’accompagna costituiscono talvolta, incontestabilmente, uno slittamento verso l’ateismo. […] Allora ci rendiamo conto che la laicizzazione del mondo, che considera Dio come una ipotesi inutile, ha il compito di bonificare a fondo il terreno. Domani il lievito del cristianesimo autentico potrà far rivivere l’antica fede in Dio (che non è morto che in apparenza) sotto una forma purificata, la forma dell’avvenire, che appartiene sempre a Dio.
Come si vede, sono proprio le idee che costituiscono le linee-guida della neochiesa di papa Francesco, di Walter Kasper, di Enzo Bianchi, di Nunzio Galantino, di Vincenzo Paglia. La diagnosi, in fondo, è ben poco originale: è sostanzialmente quella fatta da Kierkegaard alla metà del XIX secolo, e dunque è vecchia di oltre un secolo e mezzo; ma che importa? Questi intellettuali progressisti, laici o sacerdoti che siano, credono sempre di essere all’avanguardia dell’avanguardia, e non si accorgono di essere in ritardo di decenni o di secoli. Che differenza, però; che abisso, fra un Kierkegaard e uno Schillebeeckx. Nel primo troviamo la profondità, la sincerità, l’intelligenza acutissima, l’autentico tormento, la febbre di Dio di un antico profeta d’Israele, ma nello spazio concettuale di un uomo moderno; nel secondo, una serie di formule, di schemi, di preconcetti, di semplificazioni quasi caricaturali, che riducono la complessità dei problemi a un mediocre teorema progressista, sfociante, per giunta, in una pericolosissima scommessa. Ed è la stessa scommessa del papato di Bergoglio. Dunque, vediamo: si dice che il mondo si è secolarizzato, perché deluso dal mediocre dio dei credenti, in questo caso, dei cattolici; e se ne trae la conclusione che la secolarizzazione e lo stesso ateismo sono stati una manna del cielo, perché aiuteranno a bonificare e dissodare il terreno della fede, e permetteranno, forse, la nascita, o piuttosto la rinascita, di una fede autentica, che attualmente non si vede da nessuna parte. Semplificazioni, schematismi, riduzioni arbitrarie per dimostrare una tesi precostituita: ma la cosa più sconcertante è il passaggio inesplicabile dal nerissimo quadro iniziale - la fede non c’è più, o è talmente cattiva da aver spinto l’umanità a non volerne più sapere di Dio - al roseo, idilliaco, beatifico quadretto finale: perché forse, si badi, forse, da tutto ciò nascerà un gran bene, cioè il ritorno della fede: ma quella vera, però, non la fede bislacca e spiacevole a vedersi, dei credenti odierni. E questa sarebbe la tanto decantata teologia della “svolta antropologica”? Questo sarebbe far filosofia? Non è né teologia, né filosofia, ma semplicemente un gioco d’azzardo: si punta tutto su una carta sola, o la va o la spacca, e intanto si gioca il futuro della Chiesa. Fra l’altro, si sarà notato il piccolo dettaglio che qui si parla di Dio nella maniera più generica e astratta immaginabile: il ragionamento di Schillebeeckx, se così vogliamo chiamarlo, potrebbe andare altrettanto bene per qualsiasi religione o confessione; e infatti ricorda molto più il dio di Bonhoeffer o di Tillich o di Bultmann, un dio assai più protestante che cattolico, dato che tutto ciò che conta, per crede in lui, è la “purificazione interiore”. Se la va, la fede cristiana tornerà a fiorire; se no, no; e buonanotte.
Sono curiosi, questi progressisti: sempre pronti a giocar d’azzardo sulla pelle altrui (e che altro è, se non un cinico gioco d’azzardo, la dittatura del proletariato nella teoria marxista della rivoluzione; un gioco che è sempre andato male quando è stato giocato nella realtà?). Ma il fine, oh, santo cielo, il fine è lodevole: purificare la fede, bonificare il terreno dalle erbacce. Sono sempre pronti a bonificare e purificare, costoro. Si vede che la purezza è, per essi, una virtù innata e non, come per i comuni mortali, una faticosa conquista quotidiana, che richiede tanta, tanta umiltà e il ricorso, attraverso la preghiera, all’aiuto della grazia divina. Ma se il gioco va male e la fede muore per sempre, tanto peggio: vuol dire che doveva finire così. Ragionano in maniera quantitativa: non hanno a cuore la salvezza di ciascuna anima, ma l’evoluzione del cristianesimo come fenomeno complessivo; e come fenomeno storico-antropologico, innanzitutto. Nel modo di esprimersi dei vari Schillebeeckx, non si sente il respiro dell’eterno e dell’infinito, né il richiamo della trascendenza, della spiritualità, della dimensione verticale: c’è solo quella orizzontale. Pare che si stia parlando del grado di persuasione che possiedono, o meno, i componenti di una squadra sportiva, o di un reparto militare, o del personale di una grande azienda. Eppure, qui stiamo riflettendo sul rapporto fra due persone: la Persona infinita di Dio e la persona finita dell’uomo. È un rapporto personale, e quel che conta sono la profondità, l’intensità delle forze che lo animano. In esso, l’uomo si vede coinvolto con tutto se stesso: intelligenza, volontà, amore. Davvero la cattiva fede dei credenti ha una forza negativa così grande da spingere l’intera società verso l’ateismo? Se questo fosse vero, come mai si sarebbe verificato solo adesso? Come mai non prima? Gli uomini di tre o quattro generazioni fa erano migliori credenti di quelli odierni? E, se fosse così, ciò non dimostrerebbe, semmai, che è la modernità stessa, cioè il nucleo ideologico che fonda la civiltà moderna, la causa della secolarizzazione (che lui chiama laicizzazione) e della morte di dio nelle coscienze, e non la fede mediocre dei credenti? Questa, allora, sarebbe l’effetto e non la causa della secolarizzazione. Ed è proprio così: Schillebeeckx scambia l’effetto per la causa, vede la secolarizzazione e ne deduce che essa (forse) deriva dal brutto spettacolo che danno i fedeli del loro dio; invece il brutto spettacolo deriva dalla perdita di dio, cioè dalla secolarizzazione.
Tutto parte, in realtà, da una tesi precostituita: che i credenti portino la responsabilità della mancanza di fede dei non credenti. Questi cattivi credenti, naturalmente, sono coloro i quali vivono la religione come una forma di assicurazione sulla vita e come una cosa che s’intride di elementi “troppo umani”. A Schillebeeckx, che essendo il tipico esemplare dell’intellettuale progressista (pare li abbiano fatti con lo stampino) vede e giudica da un occhio solo, non sfiora neanche la mente che “troppo umana” possa essere anche una fede eccessivamente sbilanciata in senso “sociale”. Eppure è precisamente quel che sta accadendo. La fede cristiana odierna, la fede cattolica, non è divenuta troppo umana perché troppo attaccata ad elemento esteriori e “tradizionali”: di questo non c’è più alcun pericolo, visto che i progressisti, dal Concilio Vaticano II in poi, hanno fatto a pezzettini tutte le forme tradizionali della fede, parendo dalla liturgia, e hanno talmente attaccato e vituperato la fede come “assicurazione sulla vita”, che ben pochi ritardatari sono ancora invischiati in questo antico errore. L’errore dilagante, oggi, è quello opposto, ed è una eccessiva e unilaterale umanizzazione del cattolicesimo dovuta alla smania di portare il divino al livello dell’umano, di abbassarlo, di semplificarlo, di ”attualizzarlo”, con il bel risultato che il divino, a un certo punto, non c’è più, è sparito, evaporato, dissolto, non ne resta più quasi nemmeno il ricordo. Ci sono due modi di ammazzare il cristianesimo: renderlo troppo formale e renderlo troppo terreno. Nella prima maniera, lo si svuota dell’interiorità; nel secondo, della trascendenza. Nel primo caso lo si riduce ad assicurazione sulla vita, nel secondo a società di mutuo soccorso. Il papa Francesco, che continua a tuonare contro il “clericalismo”, crede ancora che il bersaglio sia il primo, e non si è accorto – come tutti i progressisti – di essere in ritardo di almeno due generazioni, perché il vero bersaglio, oggi, dovrebbe essere il secondo. Ma, come tutti progressisti, non se n’è accorto, perché ha il paraocchi: continua a menare terribili fendenti contro un nemico inesistente, scomparso da tempo, e intanto infligge terribili ferite - ferite reali, che sanguinano abbondantemente e potrebbero causare un completo dissanguamento – al corpo vivo della Chiesa, uomini e contenuti.
La verità è che gli Schillebeeckx e i Bergoglio non hanno abbastanza amore per gli uomini concreti da saper vedere anche dietro la “cattiva” fede di quei cattolici che, a loro insindacabile giudizio, danno scandalo agli altri, spingendoli verso l’ateismo. Non li sfiora mai l’idea che forse è il loro modo di essere cattolici che spinge tanti cattolici fuori dalla Chiesa. A una tale idea, probabilmente, non arriveranno mai, perché son talmente imbottiti d’ideologia populista, di demagogia e buonismo, che non ci crederebbero neanche se lo vedessero. Eppure è così. Conosciamo personalmente fedeli, e anche sacerdoti, che soffrono molto a causa di questa contro-chiesa, e meditano di andarsene via...
L’ateismo? Colpa dei cattolici. Naturalmente
di Francesco Lamendola
http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=11630:lateismo-colpa-dei-cattolici&catid=70:chiesa-cattolica&Itemid=96
A Lovanio l'Università cattolica difende il diritto all'aborto
A Lovanio l'Università cattolica difende il diritto all'aborto
In un’università cattolica, in Europa, un professore osa dire agli studenti quello che il Papa e il catechismo affermano esplicitamente: che l’aborto è la soppressione di una vita innocente, cioè un assassinio. L’università prima dice di aprire un’inchiesta, poi lo sospende e apre un procedimento disciplinare nei suoi confronti.
Succede in Belgio, a Lovanio. Nei giorni scorsi il professore invitato dall’Università cattolica (è importante, questo aggettivo…) di Lovanio Stéphane Mercier offre ai suoi studenti un testo di una quindicina di pagine, intitolato “La philosophie pour la vie. Contre un prétendu droit de choisir l’avortement” (La filosofia per la vita. Contro un preteso diritto di scegliere l’aborto).
È un testo sincero, che peraltro non fa che riproporre quello che ormai da decenni la Chiesa afferma, non solo nelle parole dei Pontefici, ma anche nei documenti dottrinali e nel Catechismo della Chiesa cattolica; che in un’università soi-disant cattolica dovrebbe essere un riferimento di una certa importanza. Fra l’altro, il professore afferma che “IVG (Interruzione volontaria di gravidanza, N.D.R.) è un eufemismo che nasconde una menzogna: la verità è che l’aborto è l’assassinio di una persona innocente”. E, aggiunge il professore, “è proprio un omicidio particolarmente abietto, perché l’innocente in questione è senza difesa”. Continuando poi nel campo dei tabù del politically correct femminista e no, affianca l’aborto allo stupro, sostenendo che il primo dovrebbe essere considerato “più grave dello stupro”.
Naturalmente la sincerità del professore ha scatenato polemiche dal mondo femminista, riprese subito dal quotidiano Le Soir. Tutto prevedibile. Un po’ meno la posizione dell’università. Ricordiamo che il catechismo afferma: «Fin dal primo secolo la Chiesa ha dichiarato la malizia morale di ogni aborto provocato. Questo insegnamento non è mutato. Rimane invariabile. L'aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale: "Non uccidere il bimbo con l'aborto, e non sopprimerlo dopo la nascita". "Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita, missione che deve essere adempiuta in modo degno dell'uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; e l'aborto come pure l'infanticidio sono abominevoli delitti"» (no. 2271).
Invece gli organi accademici prima hanno preso tempo, evidentemente imbarazzati; poi hanno convocato il docente, per chiarire la situazione. E nel frattempo hanno affermato che «a prescindere dall’istruttoria il diritto all’aborto è iscritto nel diritto belga e il testo di cui siamo venuti a conoscenza è in contraddizione con i valori sostenuti dall’università. Il fatto di veicolare posizioni contrarie a questi valori durante l’insegnamento è inaccettabile». Infine l’università ha deciso di sospendere Stéphane Mercier dai suoi corsi, e di aprire nei suoi confronti un procedimento disciplinare. Che può avere come esito un richiamo, o il licenziamento. E chiarisce ulteriormente che in seguito alla legge del 1990 che legalizza l’aborto, «rispetta l’autonomia delle donne a compiere questa scelte, nelle circostanze precisate dal legislatore» (clicca qui).
Umilmente, sentire parlare un’università cattolica di “diritto” all’aborto ci sembra raccapricciante. In questo esempio di attacco alla libertà accademica, alla libertà di insegnamento e alla libertà religiosa ci sono però alcuni silenzi che se continuano rischiano di diventare scandalosi e assordanti.
Il primo è quello dei vescovi belgi, che dovrebbero avere una funzione di controllo e gestione dell’istituto accademico.
E poi c’è Roma. La Santa Sede ha almeno due organismi che in un caso del genere dovrebbero sentirsi interpellati, e in maniera seria sulla questione. Il primo è la Congregazione per l’Educazione cattolica, diretto dal cardinale Giuseppe Versaldi. Il secondo è l’insieme degli organismi che si occupano di Famiglia e Vita. Ne è Prefetto Kevin Joseph Farrell, dall’agosto scorso, già arcivescovo di Dallas. Non sembra che il nuovo dicastero finora abbia dato grandi segni di vitalità; fra l’altro non sono ancora stati nominati né il segretario né il sottosegretario. Così come forse in una crisi come questa dovrebbe avere una sua parola da dire anche la Pontificia Accademia per la Vita, guidata dall’arcivescovo Vincenzo Paglia. Che è anche Rettore dell’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su Famiglia e Vita.
Ecco, ci aspettiamo che tutte queste belle istituzioni sappiano mobilitarsi per sostenere un professore che non ha fatto altro che difendere quello che le istituzioni stesse, e il Papa, pubblicamente dichiarano. E che facciano sentire tutto il loro peso a Lovanio e presso i vescovi belgi.
27-03-2017
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