CARA MARISA, TI SCRIVO
di Francesco Lamendola
Si percepisce, nelle tue parole, una sincera preoccupazione, un turbamento profondo, un forte bisogno di rassicurazione sulla strada da prendere, sulla linea da tenere in un momento così difficile, così periglioso, diciamo pure così drammatico, quale è quello che sta vivendo la Chiesa cattolica negli ultimi anni, peraltro come naturale punto d’arrivo di tutta una tendenza che si è affacciata apertamente, in seno ad essa, nei primi anni del 1900, sotto forma dell’eresia modernista, fermamente condannata da san Pio X, e poi tornata prepotentemente alla ribalta, con un colpo di forza a suo modo magistrale, nel Concilio Vaticano II, e poi ancora negli anni immediatamente seguenti, così da operare, nel senso stesso della Chiesa, una sorta di mutazione genetica, sino a portarla molto lontano da dove essa era rimasta sempre fermamente ancorata, anche nei suoi momenti più gravi, cioè alla Verità di Cristo e del suo Vangelo. E la tua preoccupazione, il tuo disorientamento, sono la diretta conseguenza di questa deviazione, dapprima cauta e quasi impercettibile, poi, negli ultimi anni, sempre più rumorosa e frenetica, sino alle clamorose dimissioni di papa Benedetto XVI e alla elezione di papa Francesco, sotto il cui pontificato, e per la cui diretta ispirazione, le tendenze moderniste si sono prese la rivincita sulla scomunica del 1907, e son giunte a un tal segno d’arroganza, da installarsi nel cuore del Magistero e della Chiesa stessa, nella persona di molti cardinali, arcivescovi e vescovi, e dilagando, in basso, fra i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i diaconi, i collaboratori pastorali, i catechisti e i semplici fedeli.
Cara Marisa, ti scrivo. Non so chi sei; ho visto il tuo commento su un blog che riporta i miei articoli da Il Corriere delle Regioni. Ti ha colpito il mio articolo La bestemmia di Pasqua di papa Francesco, pubblicato la mattina di Lunedì di Pasqua. Devo dire che il pomeriggio di quello stesso giorno ho scritto e pubblicato anche un secondo articolo, intitolato Il peggiore scandalo è restare in silenzio, sempre dedicato al medesimo argomento: l’omelia pasquale di papa Francesco, e, più in generale, lo stile e i contenuto dottrinali e pastorali del suo pontificato. Può darsi che già lì tu abbia trovato, almeno in parte, le risposte alle domande che ponevi; comunque, pensando non solo a te, ma a tutti i possibili lettori, desidero prendere lo spunto dalle tue sollecitazioni per tentar di chiarire ulteriormente il mio punto di vista. Beninteso, con la doverosa premessa che qui non si tratta di me o di nessun altro in particolare, ma del disagio sempre più grave, e dei danni forse irreparabili, che questo pontefice sta infliggendo alla Sposa di Cristo, la Chiesa.
Vorrei dirti, per prima cosa, che la tua preoccupazione è quella di moltissimi cattolici ed è anche la mia, che sono un niente e so di essere un niente davanti a Cristo, così come dovrebbe saperlo ogni cristiano che abbia letto e meditato il Vangelo anche solo superficialmente. Non pensare, neanche per un momento, che abbia scritto quelle cose con leggerezza, noncuranza o scarsa valutazione del loro peso, delle loro possibili conseguenze. Il primo dovere del cristiano è quello di non dare scandalo alle anime, così come il primo dovere del medico è quello di non provocare danni alla salute dei suoi pazienti. Ne sono perfettamente consapevole e, pertanto, credo tu possa immaginare il timore e il tremore con cui scrivo su questi argomenti. Il papa è il papa, anche se non gli va di esserlo e non gli va di farlo; anche se non sembra soppesare per niente, lui, la portata delle cose che fa e che dice, e pare non darsi alcun pensiero del continuo turbamento, del dolore e dell’amarezza che provoca a tanti fedeli. Dunque, egli merita rispetto e obbedienza, per il ruolo che occupa, anche se, come uomo, è un uomo come tutti gli altri, e come cristiano, è un cristiano come tutti gli altri. Aggiungi, se vuoi, che, per me, l’autorità è sempre meritevole di rispetto, almeno fino a prova contraria: figlio di un militare, non ho mai preso l’autorità alla leggera; e quando, negli anni intorno al 1968, lo sport preferito di tanti giovani era quello di sputare addosso ai loro genitori e ai loro professori, io, pur essendo appena un ragazzino, prendevo la strada opposta, quella della difesa dell’autorità e soprattutto dei valori tradizionali, di cui essa era il baluardo, a costo di avere contro il mondo intero. Ho voluto dirti questo perché tu sappia con quanta esitazione e con quanto intimo rincrescimento abbia deciso, ormai da diversi mesi, di rompere il silenzio che mi ero imposto sull’azione svolta da papa Francesco dopo la sua elezione. Da quel 13 marzo del 2013, il cuore ancora turbato per la repentina e incomprensibile abdicazione di Benedetto XVI, pur avendo notato sin dal primo istante, cioè sin dal suo discorso inaugurale, tutta una serie di cose che non quadravano con la dottrina cattolica e con lo stile pastorale che dovrebbe contrassegnare l’azione di un romano pontefice, pure ho tenuto per me ogni perplessità, ogni turbamento, ogni amarezza, e questo per più di tre anni. Per più di tre anni, ho visto, giorno dopo giorno, così come lo hanno potuto vedere tutti i cattolici che hanno occhi per vedere, e orecchi per udire, e una testa per riflettere, gl’incessanti, ostinati, pervicaci colpi di piccone che questo papa ha inflitto e continua a infliggere alla Chiesa, sotto il pretesto di renderla più adeguata ai tempi moderni, più giovane, più aperta e persino più misericordiosa. Mi trovavo, come tanti altri, nella stessa situazione di un viaggiatore che sta effettuando una traversata a bordo di una nave, e che ha, o vorrebbe avere, sempre fino a prova contraria, la più completa fiducia nel comandante, della cui serietà e professionalità non ha motivo di dubitare; un passeggero che, nondimeno, si accorge di tutta una serie di stranezze, di avventatezze, d’imprudenze, che stanno portando la nave sempre più vistosamente fuori rotta, se sempre più lontano dalla sua meta. Ebbene, per tre anni mi son detto che stavo sbagliando io, e non lui; che il comandante della nave sapeva quel che faceva; che era onesto e bene intenzionato; che si trattava solo di aver pazienza, di aver fiducia, di lasciare che le cose si chiarissero da sé. A un ceto punto, però, ho visto, come certo lo hanno visto milioni di altri passeggeri, che non solo la nave proseguiva sulla rotta sbagliata, ma che stava puntando ormai decisamente verso gli scogli, per cui, a meno di un intervento dell’ultima ora, il disastro sarebbe stato certo, il naufragio inevitabile. Ad essere in gioco non è solo la mia personale sicurezza, ma quella d’innumerevoli anime: una posta dal valore inestimabile; come lo è, a dire il vero, la salvezza anche di un’anima sola. E dunque, a quel punto, era ancora possibile tacere, e far finta di nulla? Quando si vede che la nave si sta dirigendo sempre più decisamente verso gli scogli, si ha il diritto di restare in silenzio? Non si ha forse una precisa, ineludibile responsabilità di fronte a Dio?
A quel punto, e solo a quel punto - si era ormai al principio del 2016 -, ho deciso di rompere il silenzio e di parlare apertamente riguardo al papa Francesco e a quello che egli sta facendo, o che sta incoraggiando, o che sta permettendo che accada, alla Chiesa a lui affidata, e della quale è il custode, non certo il padrone; per la quale dovrebbe essere come il pastore che è pronto a dare la propria vita per difendere le pecorelle. Ma le pecorelle, lui, invece di custodirle amorevolmente, le sta facendo fuggire: ora esse devono guardarsi da lui, perché il lupo non è solo fuori dall’ovile, ma è ormai penetrato all’interno, sotto le specie della massoneria ecclesiastica. Lo scandalo è che persone come te e come me, invece di trovare nel papa e nella Chiesa la conferma e la consolazione della propria fede, subiscano invece continui turbamenti e incessanti dispiaceri e disgusti. So, perché li conosco personalmente, che alcuni cristiani se ne stanno andando dalla Chiesa, poiché non sopportano più lo spettacolo dello scempio quotidiano che la massoneria ecclesiastica sta facendo della dottrina di Cristo e della sua Chiesa, specialmente da quando si è insediato papa Francesco sulla cattedra di san Pietro. D’altra parte, ci sono diverse persone che mi hanno testimoniato la loro riconoscenza per il fatto che scrivo su questi argomenti, e per le cose che dico. Alcuni li ho conosciuti di persona: lettori che hanno voluto incontrarmi e che, in alcuni casi, sono diventati degli amici; altri non li conosco e probabilmente non li conoscerò mai. Ma tutti mi hanno confortato sulla giustezza della strada intrapresa; uno, un sacerdote, mi ha detto di trovare conforto e consolazione in ciò che vado scrivendo, in un momento di turbamento così grave, da star pensando seriamente alla possibilità di lasciare la Chiesa cattolica, per entrare in quella ortodossa, o tra i lefebvriani. Gli ho consigliato di tener duro, di resistere e di non scoraggiarsi; e gli ho ricordato, come lo ricordo spesso, in primo luogo a me stesso, che, se il nemico che insidia la Sposa di Cristo, oggi come allora, non è soltanto un nemico di carne e ossa, ma il principe delle tenebre, con tutte le sue coorti, è altrettanto certo che, al nostri fianco, c’è Cristo, il quale ha assicurato i suoi discepoli che le porte degl’inferi non prevarranno sulla Chiesa da Lui stesso fondata, e affidata a san Pietro.
Ecco che qualcuno penserà: deve trattarsi del solito sacerdote anziano, nostalgico, per motivi puramente anagrafici, della Chiesa pre-conciliare, con la santa Messa in latino e tutto il resto. Niente affatto: è un sacerdote relativamente giovane; uno che la Messa in latino la dice adesso, con licenza del suo vescovo, senza averla mai conosciuta da piccolo; e alla quale assistono numerosi giovani, ancora più giovani di lui. Lo sappiano, i preti modernisti e progressisti: a sentire la bellezza e l’autorevolezza della liturgia pre-conciliare, ma soprattutto della dottrina e della pastorale cattolica vera - quella del Magistero di sempre e non il falso magistero di padre Sosa Abascal o di padre James Martin - non sono quattro vecchi che non sanno adattarsi ai tempi muovi;. Se i tempi nuovi sono quelli del pontificato di Francesco, allora sono in tanti a trovarsi insopportabilmente a disagio, e non per motivi di nostalgia anagrafica, ma, semmai, di nostalgia spirituale. Quel che la neochiesa modernista non dà, perché non lo possiede, è il senso della spiritualità e la dimensione verticale della fede: per loro, come per papa Francesco, esiste solo la dimensione orizzontale, quella della condivisione, dell’applauso, del rumore, dello strepito, sempre immersa nelle cose del mondo, e sia pure in nome di nobili ideali, la giustizia, la solidarietà, l’accoglienza. Benissimo: ma la spiritualità, dov’è andata a finire? Il profumo dell’infinito, dove si è perso? Non se ne trova traccia, nella neochiesa modernista e progressista di papa Francesco, di monsignor Galantino e di monsignor Paglia, e dei sedicenti teologi come Enzo Bianchi. Si sentono tante voci umane, ma la voce di Dio non si sente più. Intanto, in Belgio, un insegnante viene licenziato per aver detto che l’aborto è l’uccisione di un innocente, e la Chiesa cattolica non lo difende, lo scarica, perché lo ritiene indifendibile. A Palermo, un sacerdote come don Minutella viene cacciato dalla sua parrocchia; mentre quel suo confratello che fa la messa a ritmo discoteca, e quell’altro che presenta in chiesa, sull’altare, due lesbiche in procinto di sposarsi, lamentando di non poterlo fare lui stesso, mediante il Sacramento istituito da Cristo, non ricevono alcun rimprovero da parte dei quel vescovo. Ecco: siamo rimasti soli; i cattolici sono soli davanti alla prova più dura: quella di non essere più difesi, ma, al contrario, di essere criticati, condannati, e continuamente turbati, dai pastori che dovrebbero invece aver cura delle loro pecorelle. Ma è chiaro che non siamo soli; è chiaro che Cristo, la Madonna, lo Spirito Santo, sono presenti in ogni anima che cerca sinceramente la Verità, la sostengono, la confortano, la consigliano, la ispirano, la proteggono.
Venendo, Marisa, alle tue argomentazioni specifiche, che poi sono quelle di un sacerdote al quale ti eri rivolta per avere risposta ai tuoi dubbi, tu mi accusi principalmente di due cose: di non rispettare la Comunione ecclesiale, favorendo, sia pure indirettamente e involontariamente (almeno spero) l’opera del Maligno, e di anteporre la Verità alla Comunione. Non sono argomenti da prendere alla leggera, e me li son posti, in coscienza, assai prima che tu li esprimessi, con apprezzabile sincerità. Ti rispondo solo che credo, ma in buona compagnia (quella di san Tommaso d’Aquino) che, in casi di dubbio estremo, ciascun cristiano deve guardare al fondo della propria coscienza, e cercarvi la giusta indicazione: però non nell’ambito di una libertà assoluta, e potenzialmente incurante del bene delle anime, ma sempre all’interno del santo Vangelo. Bisogna piacere piuttosto a Dio che agli uomini, disse san Pietro, rivolto al sinedrio di Gerusalemme, che gli ordinava di tacere la Verità. Gesù, infatti, in prima persona aveva detto di sé: Per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla Verità. La Verità è Cristo, e il suo Vangelo è per la salvezza delle anime. La ragion d’essere della Chiesa è l’annuncio del Vangelo, per la salvezza delle anime. Guai a me se tacessi, dovrebbe dire ogni cristiano, con san Paolo, quando è in gioco la salvezza delle anime. Non esiste niente, nessun valore, nessun riguardo umano, che sia superiore al dovere della Verità, e, per il cristiano, al dovere d’esser testimoni e difensori della Verità. Sia pure umilmente e indegnamente, coscienti di essere peccatori.
A questo imperativo mi sforzo di attenermi, cosciente del mio nulla e della mia personale indegnità. Tuttavia, non è più possibile tacere: sarebbe come rendesi complici del naufragio ormai imminente. Certo, Dio sa trarre il bene anche dal male; e, del resto, Cristo ha ammonito i suoi discepoli che, nel mondo, non troveranno rose e fiori, ma incomprensioni, calunnie, persecuzioni e, alla fine, la croce. Non sia mai che il servo pretenda un trattamento migliore di quello che ricevette il suo Maestro divino. Chiediamo a Lui e alla sua Madre misericordiosa la protezione, l’assistenza e il consiglio…
Cara Marisa, ti scrivo…
di Francesco Lamendola
Un grazie al professor Lamendola per i suoi articoli illuminanti e chiarificatori.
RispondiEliminaUn invito a perseguire sempre sulla strada della Verità, l' unica,quella di Cristo.
Francesco Retolatto
Mi associo di vero cuore con un sincero elogio al caro professor Lamendola : spesso copio i suoi articoli e li inserisco nella mia personale antologia del modernismo nella Chiesa Cattolica, che poi rileggo con grande beneficio spirituale. avanti così, con coraggio e fermezza, caro Lamendola, e che la Santa Vergine vegli su di lei e su tutti i suoi cari.
RispondiEliminaPer quello che vale condivido le perplessità di Marisa. La pars destruens del professore è senz'altro valida , acuta , scorrevole. Non è molto chiara la pars costruens , nel senso della direzione ultima che dovrebbero prendere i fedeli,
RispondiEliminaovvero se il tutto si debba ridurre all'abbandono della chiesa attuale. Questo sia consentito non è un tema nuovo nella temperie postconciliare. E' la domanda che risuona dai tempi di "Iota Unum" quando molti sulla scorta di Amerio e di altri autori della cosiddetta Tradizione presero una direzione centrifuga rispetto alla chiesa uscita dal Concilio. Non sembra di cogliere qualcosa di molto diverso negli inviti pressanti rivolti ai cattolici che , malgrado tutto, restano sulla barca di Pietro. Non tutto ciò che è Tradizione è tradizione in senso cattolico e in questa fase credo sia diritto dei comuni fedeli saperlo.
Carissimo dottor Lamendola,
RispondiEliminale devo delle scuse e delle precisazioni:
scuse per essere stata troppo lapidaria nel mio scritto e pertanto non esaustiva (l'indomani dovevo svegliarmi a ora antelucana e non dovevo quindi coricarmi tardi).
Nel mio post scrissi, cito a memoria, "desidero condividere con lei..." perché lo spirito con cui scrivevo era esattamente quello della condivisione, di renderla partecipe della dubbio finale che mi era sorto - e che ho ancora - sul 'peccato contro lo Spirto Santo', quello che da Nostro Signore non verrà perdonato (i punti che precedevano, ossia quanto mi aveva detto quel confessore, erano la necessaria premessa per esporre il dubbio che mi era nato).
Non volevo essere minimamente accusatoria nei Suoi confronti, anche perché, se di accusa si è trattato, questa dovrebbe riguardare ANCHE ME, che sono esattamente sulla sua stessa lunghezza d'onda: la nostra Chiesa sta passando momenti sempre più sconvolgenti; si ascoltano cose inaudite e fatti addirittura inimmaginabili fino a quattro anni fa.
Verrebbe da dire che nessuna persona sana di mente oserebbe mai proferire certi termini, certi concetti, né mai comportarsi in determinati modi.
Spesso mi auguro (principalmente per l'anima del protagonista) che tutto possa essere ascritto a problemi di pertinenza dello psichiatra, anche se mi è ormai chiaro che questa è una solo una pia illusione.
Troppa malizia, troppa doppiezza e troppa prevaricazione ne sono la prova provata.
Dal punto di vista umano, quindi, nessun dubbio.
Il dubbio nasce per sull'altro versante della natura della Chiesa, quello spirituale, che ho già esposto, forse goffamente.
Mai vorrei fare il gioco del Divisore e nemico giurato di Dio, sia pure per motivi comprensibili al 120%.
Mi auguro di essere riuscita a chiarire almeno un po' l'equivoco.
La ringrazio per la sua testimonianza di confessore della fede e per il grande senso di responsabilità che dimostra verso Nostro Signore e verso tutti i credenti in Lui.
La ringrazio anche per le brevi note autobiografiche che ha voluto espormi, che mi hanno permesso di conoscerla un po' di più.
Con gratitudine e stima.