MA IL DIAVOLO CHE NE SA DI NOI?
Il diavolo ci conosce bene: può dedurre i nostri pensieri per introdurvisi, anche per interposta persona servendosi del suo cattivo esempio, magari di un amico del quale abbiamo fiducia per spingerci verso il male di Francesco LamendolaGeneralmente, chi prende sul serio l’esistenza del diavolo, e il pericolo che la sua azione costituisce per la nostra anima e per la nostra vita morale, è portato a farsi, in primo luogo, la domanda su che cosa sia possibile, per noi uomini, sapere di lui, in modo da poterne scorgere le insidie e mettersi al riparo, per quanto possibile, dal pericolo di cadere in tentazione, cosa cui egli costantemente mira e che non esitò a tentare perfino con il nostro Signore Gesù Cristo.
Ebbene,
diciamo subito che, per questa strada, non è possibile andare molto
lontano, e ciò per la buona ragione che, tranne nei casi estremi, cioè
quelli della possessione e dell’ossessione diabolica, l’antico
nemico è talmente abile e astuto che riesce a mascherare quasi del tutto
la sua presenza, per non dire la sua opera nefasta; anche
laddove è lecito sospettarne la presenza, infatti, esistono quasi sempre
dei margini di dubbio tali, per cui si possono benissimo interpretare
le cose alla luce di una spiegazione puramente razionale e naturale.
Non
per nulla la sua strategia abituale è quella di avvicinarsi all’uomo
senza rendergli manifesta la sua vera identità; e, a tal fine, trova un
alleato prezioso ed efficacissimo nella smodata e imprudente curiosità
di tante persone, insofferenti di stare dentro i limiti di ciò che è
umanamente accessibile e moralmente lecito. Un tipico esempio di tale curiosità malsana e imprudente sono le sedute spiritiche, nelle quali si evocano entità disincarnate che i presenti identificano come le anime dei trapassati, ma che, al contrario, certamente non sono ciò che dicono di essere,
per la semplice ragione che le anime dei trapassati hanno ben altre
cose da fare, che presentarsi ai frequentatori dei tavolini a tre gambe,
o, peggio, ai giocatori delle tavolette ouija o del
bicchierino medianico, i quali ammazzano la noia di una serata piovosa
interrogando gli “spiriti” su questioni più o meno futili; o alle
signore bene, magari con qualche pretesa artistoide, le quali praticano
il channeling, per poi mettersi a scrivere poesie
“automatiche” o a dipingere improbabili quadri simbolisti, dietro il
suggerimento o sotto l’ispirazione dei non meglio identificati “spiriti
guida”, se non addirittura dei supposti “angeli”.
Molto,
ma molto di rado, il diavolo ci si mostra quale realmente è; e, anche
in quei casi, lo fa, almeno inizialmente, indossando una maschera, cioè assumendo le sembianze di un normale essere umano,
il cui scopo è quello di saggiare le capacità di resistenza e cercare
il varco adatto per sferrare la sua offensiva con le massime probabilità
di successo. Infatti gli piace vincere facile, e, se si trova di fronte
a un caso difficile, non sa far di meglio che sfogare la sua rabbia
impotente con inutili vessazioni fisiche morali, come accadde nel caso
del santo curato d’Ars, o anche in quello di san Pio da Pietrelcina:
inutili, perché egli si rende conto perfettamente di non avere la minima
possibilità di farcela di fronte a un’anima pura, che confidi
incrollabilmente in Dio.
Ebbene, proviamo allora a imboccare un’altra strada e a domandarci non che cosa noi possiamo sapere di lui, ma che cosa egli sappia di noi. È
chiaro, infatti, che, per noi, fa una grandissima differenza pensare
che egli sia in grado di agire a nostro danno con poteri quasi
illimitati, oppure sapere, come in effetti è, che i suoi poteri sono
assai più limitati di quel che comunemente non si creda, e che,
pertanto, anche resistergli è molto più facile di quanto non si possa
immaginare. Non che disporre di mezzi formidabili, il diavolo è
costretto ad agire contro gli esseri umani partendo dal dato di fatto
della loro libertà, e dunque della sua impossibilità di soggiogarli
moralmente contro la loro volontà. Una volta messo bene a fuoco
questo aspetto, tutta la faccenda assume un altro aspetto; e, pur non
commettendo mai l’errore di sottovalutare il maligno, di sottovalutare
la sua astuzia e le sue risorse, possiamo tuttavia evitare di cadere
nell’eccesso opposto: quello di restar intimiditi da una paura
irragionevole, quasi che egli fosse un degno antagonista di Dio e non
invece, quale realmente è, un angelo ribelle che ha perduto ogni splendore,
e la cui unica soddisfazione consiste nel piacere, del tutto negativo,
di strappare a Dio le anime umane, trascinandole nella perdizione in cui
egli si è posto da sé medesimo.
Scrive
a questo proposito padre Giovanni Tomasi, carmelitano scalzo e priore
dell’Eremo del Deserto, presso Varazze, in provincia di Savona (sulla
rivista Messaggero di Gesù Bambino, Arenzano, Genova, n. giugno 2015, pp. 36-37):
Consideriamo
ciò che dice la Sacra Scrittura – e in particolare san Paolo – circa il
luogo ove stanno i demoni e il loro modo di conoscere. Certamente vi
sono demoni che sono all’inferno, come dice chiaramente il Signore in Mt
25, 41: “Via lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per
il diavolo e per i suoi angeli”.
Vi
sono, però, demoni che stanno tra di noi, tentano alcuni, altri li
vessano o li ossessionano. Alcuni prendono addirittura possesso dei
corpi. In riferimento a questa seconda ubicazione la Scrittura indica il
DESERTO come luogo di possibile presenza del diavolo. Gesù
infatti si recò nel deserto per essere tentato dal diavolo. Gesù stesso
parlando di un demonio cacciato e che può tornare indietro dice: “Quando
lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira PER LUOGHI DESERTI cerando sollievo e, non trovandone, dice: RITORNERÒ
NELLA MIA CASA, DA CUI SONO USCITO”. Venuto, la torva spazzata e
adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, entrano e
vi prendono dimora. L’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore
della prima “(Lc 11, 24-26).
Una SECONDA
POSSIBILE UBICAZIONE DEI DEMONI, secondo san Paolo, è quella indicata
in Efesini 2, 2 quando dice che alcuni seguono “il principe delle
Potenze dell’aria, quello spirito che opera negli uomini ribelli” eppure
quando dice che “ la nostra battaglia infatti non è contro la carne e
il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro gli spiriti del
male che abitano nelle regioni celesti (Ef 6, 12). San Tommaso chiama
questa seconda ubicazione “atmosfera caliginosa”. In altre parole si
tratta di demoni che abitano tra noi, nelle nostre città.
Questo
demoni conoscono noi, le nostre azioni, le nostre abitazioni, possono
congetturare sul nostro futuro, ma non hanno la possibilità di entrare
nell’anima, santuario riservato solo a Dio.
S. Tommaso, ancora, dice che “È
PROPRIO ED ESCLUSIVO DI DIO PENETRARE NEL’ESSENZA STESSA DELL’ANIMA”
(“solus Deus illabitur animae” (“Somma teologica”, III, 64, 1).
Il
demonio, però, può dedurre dalle azioni dell’uomo. Può ipotizzare anche
dall’esercizio delle sue facoltà sensitive ma non può conoscere
direttamente i pensieri dell’uomo perché non può prendere possesso
dell’anima, abitando in essa. Soltanto quando noi ci doniamo a lui,
indebolendo le nostre facoltà mentali e intellettive di reazione, oppure
divenendo schiavi del male, allora comincerà ad abitarci e a conoscerci
dal di dentro.
Sono
considerazioni che ci sembrano condivisibili, e che ci aiutano a
comprendere le dinamiche dell’azione diabolica nel mondo e le possibili
strategie per sventare i piani del maligno; tranne l’ultima
affermazione, che ci sembra erronea e che è smentita sia da eminenti
studiosi di demonologia, come monsignor Corrado Balducci, sia da
esorcisti, come padre Gabriele Amorth, sia, soprattutto, da teologi
illustri e dallo stesso Magistero della Chiesa. La dottrina cattolica,
infatti, e la stessa esperienza pratica di coloro che hanno avuto
direttamente e personalmente a che fare con tale problematica, affermano
che il demonio può, sì, prendere stanza in un essere umano,
anche in un cristiano e, temporaneamente, perfino in un santo, arrivando
a controllare il suo corpo e la sua stessa mente: ma non l’anima. L’anima immortale appartiene a Dio e, come ricorda, del resto, lo stesso padre Tomasi, poche righe più sopra, i demoni non hanno la possibilità di entrare nell’anima, santuario riservato solo a Dio.
Essi
hanno, però, la possibilità di conoscerci, e sia pure desumendo il
nostro sentire e il nostro pensare dalle nostre azioni, non leggendoli
direttamene dall’interno dell’anima nostra. Possono conoscere anche il
nostro lavoro, le nostre frequentazioni, e, naturalmente, le nostre
abitudini e la nostra stessa casa. Non è ceto un caso che, per
secoli e secoli, la Chiesa abbia riconosciuto l’utilità, per non dire la
necessità, della benedizione sacerdotale delle case, spesso
anche dei campi, dei luoghi di lavoro, degli strumento del lavoro umano e
dei mezzi di trasporto dei quali i fedeli si servono abitualmente. E
non per caso, o per mera superstizione, la pietà popolare ha ritenuto
cosa buona e giusta porre dei simboli religiosi, dei capitelli, delle
edicole sacre, dei piccoli altari dedicati agli Angeli, ai Santi e alla
Madonna, sia sulle facciate delle case, sia ai crocicchi, e perfino in
mezzo ai campi e ai sentieri di montagna, o sui rami degli alberi, o
sulla riva del mare, presso i villaggi dei pescatori. Sia la Chiesa che i
singoli fedeli hanno sempre saputo che tali presenze sorreggono la pace
domestica e proteggono il viandante e il lavoratore, e che
contribuiscono a tenere lontane le potenze del male; e che quei simboli,
dopo essere stati benedetti, non sono più dei semplici oggetti, delle
cose pie, ma sostanzialmente inerti, bensì dei segni che richiamano la
protezione celeste e allontanano le insidie del diavolo.
Il
fatto che la benedizione delle case sia stata progressivamente
abbandonata, in questi ultimi anni, e non solo per ragioni pratiche,
legate alla rarefazione delle vocazioni sacerdotali, ma anche per
ragioni, diciamo così, ideologiche, legate a una certa teologia modernista e progressista, che vorrebbe far sparire ogni residuo di pietas popolare, ritenendola antiquata e superstiziosa,
e, comunque, indegna di una cristianità “adulta” e “matura”, la dice
lunga sul traviamento verificatosi nella Chiesa cattolica a partire
dagli anni del Concilio Vaticano II. Le case, non più benedette
dall’acqua santa e dalle mani consacrate del sacerdote, sono rimaste
sguarnite e, perciò, maggiormente esposte agli attacchi del diavolo;
così come l’abolizione della preghiera a San Michele Arcangelo, voluta
dal papa Leone XIII al termine della santa Messa, ha tolto alle comunità
dei fedeli, riunite in chiesa per la celebrazione dei sacri Misteri, un
altro poderoso elemento di protezione, ha smantellato un altro pezzo
del muro che serviva a difendere le anime di credenti dalla subdola
azione del maligno. Siamo sicuri che il disordine morale
penetrato in così tante famiglie, negli ultimi decenni, e che il
disordine pastorale e liturgico penetrato in così tante chiese e
parrocchie, non siano anche una conseguenza di tale situazione?
Siamo sicuri che il cattivo esempio di tanti padri e madri che si
dicono cattolici, specialmente nei confronti dei loro figli, e che il
cattivo esempio, e i discorsi e i comportamenti azzardati, pericolosi, o
francamente non cattolici, tenuti da tanti sacerdoti nel corso delle
omelie della Santa Messa, e, in genere, nella loro azione pastorale di
anime consacrate a Dio, non abbiano anche a che fare, in una certa
misura, con l’abbandono della pratica della benedizione delle case e
della recita della preghiera a San Michele Arcangelo, per la protezione
contro il demonio?
Dicevamo,
dunque, che il diavolo ci conosce, o può conoscerci, abbastanza bene,
nel senso che può dedurre i nostri pensieri e i nostri sentimenti e
stati d’animo, cosa che gli è utilissima per introdurvisi in vario modo:
anche per interposta persona, ad esempio servendosi del cattivo esempio
o dei cattivi suggerimenti di un altro essere umano, magari di un amico
del quale abbiamo fiducia e per spingerci, così, verso il male. Ma
oltre a quel che conosce personalmente di noi- e che non è tutto,
perché, appunto, il fondo della nostra anima è un tempio che a lui
rimane inaccessibile - c’è quello che conosce di noi in generale, in
quanto esseri umani, e che la sua esperienza di grande tentatore gli ha
confermato innumerevoli volte: la nostra fragilità, la nostra superbia,
la nostra invidia, la nostra lussuria, la nostra vanità, la nostra
accidia, la nostra brama di riconoscimenti, di onori, di successo, di
denaro e di potere. Da questo punto di vista, noi siamo tutti realmente
figli di Adamo ed Eva; e le conseguenze del loro peccato continuano ad
agire in noi, nostro malgrado, e ad offrire esca alle insidie del
diavolo.
Ma che dire di una cultura “cattolica” che non crede più nemmeno al diavolo;
di una pastorale che non parla mai del peccato, del giudizio e della
vita eterna; e di una teologia che insiste quasi esclusivamente sulle
cose di quaggiù, sulla dimensione terrena, sulla giustizia terrena,
sulla felicità terrena, e che invece ha quasi smarrito, o perso di
vista, le cose di lassù, le cose del Padre Nostro celeste, alla cui
volontà dobbiamo uniformarci se vogliamo essere partecipi della sua
pace? Cosa dire di un clero che lascia indifeso il suo gregge contro
l’azione di satana, e si spinge fino a deridere la realtà della
possessione, e a negare il valore dell’esorcismo? Di nuovo domandiamo: è
forse causale il fatto che, in un clima siffatto, il disordine morale
dilaghi nelle file del clero, e che tanti sacerdoti e religiosi si
macchino di comportamenti indegni, vadano a caccia di denaro e di
visibilità, pratichino l’incontinenza sessuale, per giunta nelle forme
perverse della sodomia e della pederastia? Certo: sarebbe ingiusto
generalizzare; e noi non lo facciamo. Gli effetti del disordine
morale, però, sotto gli occhi di tutti, dentro e fuori la Chiesa. Non
staremo facendo, per caso, il gioco del diavolo?
Ma il diavolo, che ne sa di noi?
di Francesco Lamendola
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