ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 1 giugno 2017

«Il vescovo deve sapersi congedare»

Papa Francesco attacca Ratzinger, il colpo basso


Il «vescovo vestito di bianco» (come Bergoglio si è definito a Fatima), ieri ha attaccato frontalmente il papa, Benedetto XVI che - per restare alla visione del «Terzo segreto» - somiglia molto all' altro protagonista di quella profezia: «mezzo tremulo, con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena». Durante l' omelia di Santa Marta - quella in cui lancia messaggi, fulmini e avvertimenti - Bergoglio ha preso spunto da una lettura della messa, che parlava del congedo di san Paolo dalla comunità Efeso, per scagliarsi contro «il pastore che non sa congedarsi e si crede il centro della storia». 

Così ha sintetizzato la Radio Vaticana. E Vatican Insider - sito ultrabergogliano - ha titolato allo stesso modo: «Il vescovo deve sapersi congedare, non è il centro della storia». Sottotitolo: «Il Papa a Santa Marta: il pastore deve lasciare bene, non "a metà" e "senza appropriarsi del gregge"». Vatican insider ha provveduto a illustrare l' articolo con una foto dove si vede Bergoglio in elicottero: è un richiamo esplicito al volo in elicottero con cui il 28 febbraio 2013, dopo la «rinuncia», Benedetto XVI lasciò il Vaticano per Castelgandolfo. I due titoli sintetizzano bene la durissima omelia dove in effetti il papa argentino se l' è presa (senza nominarlo) con Ratzinger, «il pastore che non impara a congedarsi». Bergoglio indica l' esempio di san Paolo che «non ha fatto del suo gregge un' appropriazione indebita». Come l' apostolo - dice Bergoglio - non bisogna credersi «il centro della storia, della storia grande o della storia piccola», ma solo «un servitore».
Perché ha rivolto questo duro attacco contro Benedetto XVI? In altre occasioni aveva citato proprio il silenzio del papa emerito come esempio di distacco e di discrezione. Ma in questi giorni Benedetto XVI ha parlato. Perciò è diventato il bersaglio da colpire. Infatti la conclusione dell' omelia bergogliana è eloquente: «preghiamo per i pastori, per i nostri pastori, per i parroci, per i vescovi, per il Papa, perché loro non si credano che sono al centro della storia e così imparino a congedarsi». Questa omelia è un colossale autogol. Perché Bergoglio ha sempre conquistato poltrone ecclesiastiche senza mai lasciarle e addirittura contravvenendo al voto fatto (come gesuita) di non accettare cariche. Del resto se c' è un papa che si crede «al centro della storia» (perfino con l' ambizione di cambiare in modo «irreversibile» la Chiesa) è proprio lui, non certo il mite e umile Benedetto. Così pure fa pensare allo stesso Bergoglio l' immagine del pastore che «si appropria» del gregge, focalizzandolo su se stesso.
Peraltro l' episodio di san Paolo da cui egli ha tratto spunto - a leggerlo bene - ci dice qualcosa di opposto rispetto al messaggio bergogliano. Infatti l' Apostolo chiama a sé gli anziani della Chiesa di Efeso e li saluta dopo che è dovuto fuggire da quella città a causa di una sommossa orchestrata contro di lui dagli orafi che lucravano sulla fabbricazione di idoli pagani. È stato dunque cacciato via, non si congeda di sua volontà. E dunque il raffronto con Benedetto XVI fa riflettere. Del resto san Paolo, in quel saluto agli anziani della comunità, ricorda loro come si è comportato fin dal primo giorno del suo arrivo e usa parole che si adattano perfettamente al pontificato di papa Ratzinger: «ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove», cioè tra molte ostilità e «non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi, scongiurando Giudei e Greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo». Paolo dice poi di sapere che «mi attendono catene e tribolazione». Infine l' Apostolo dichiara: «io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé. Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi». 
Di tutto questo non c' è traccia nell' omelia di Bergoglio, a cui interessava solo affermare che un pastore deve «congedarsi bene, non congedarsi a metà». È chiaro che pretende l' oscuramento totale di Benedetto XVI invece di mettere a tema la sua misteriosa e inspiegabile «rinuncia» e il suo «papato emerito». Se lo facesse dovrebbe riconoscere che effettivamente è ancora papa, come qui andiamo scrivendo da tre anni, prendendoci gli anatemi dei fan bergogliani.
Tantissimi sono gli indizi. Ne riassumo tre: la decisione (del tutto inedita) di restare «papa emerito», dentro il recinto di san Pietro, con la veste, i simboli e il titolo pontificio. 
Poi le parole esplicite con cui egli ha spiegato la sua scelta: «La mia decisione di rinunciare all' esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata». Infine basta rileggere l' esplosiva conferenza fatta dal segretario di Benedetto XVI, alla Gregoriana, il 22 maggio 2016.
Già il canonista Stefano Violi, studiando la «declaratio» di papa Benedetto, concluse: «(Benedetto XVI) dichiara di rinunciare al "ministerium".
Non al Papato, secondo il dettato della norma di Bonifacio VIII; non al "munus" secondo il dettato del can. 332 2, ma al "ministerium", o, come specificherà nella sua ultima udienza, all'"esercizio attivo del ministero"».
Mons. Georg Gaenswein, nella conferenza di un anno fa, approfondì questa lettura, evocò uno «stato d' accezione»« che aveva provocato questa situazione unica, e, fra molte altre clamorose affermazioni, disse: «non vi sono dunque due papi, ma de facto un ministero allargato - con un membro attivo e un membro contemplativo. Per questo Benedetto XVI non ha rinunciato né al suo nome, né alla talare bianca. Per questo l' appellativo corretto con il quale rivolgerglisi ancora oggi è "Santità"; e per questo, inoltre, egli non si è ritirato in un monastero isolato, ma all' interno del Vaticano - come se avesse fatto solo un passo di lato per fare spazio al suo successore e a una nuova tappa nella storia del papato».
Lo stesso card. Gerhard Müller, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha fatto suo questo clamoroso affresco dichiarando: «Per la prima volta nella storia della Chiesa abbiamo il caso di due legittimi papi viventi (). Questa situazione inedita deve essere affrontata teologicamente e spiritualmente. Su come farlo, ci sono diverse opinioni. Io ho mostrato che pur con tutte le diversità che riguardano la persona e il carattere, tuttavia anche il legame interno deve essere reso visibile». Quale legame? Il cardinale risponde: «Si tratta del confessare \ Gesù Cristo, che è la "ratio essendi", il vero fondamento del Papato, che tiene insieme la Chiesa nell' unità in Cristo». 
Proprio per questo, perché è in pericolo la fede stessa della Chiesa, Benedetto XVI, nei giorni scorsi, è uscito dal suo silenzio con la formidabile post-fazione al libro del card. Sarah. In essa, difendendo il cardinale africano, prefetto della Congregazione per il culto («con il card. Sarah la liturgia è in buone mani»), ha messo un macigno sulla strada di quell' establishment bergogliano che sta progettando la «rivoluzione» della liturgia e dell' Eucaristia, che sarebbe un colpo mortale alla sopravvivenza della Chiesa cattolica. 
La decisione di uscire così allo scoperto è dovuta dunque alla gravità della situazione e per questo (come ho scritto nei giorni scorsi) ha provocato furibondi attacchi dei bergogliani contro Benedetto XVI. Il teologo Andrea Grillo è arrivato a parlare di «rinuncia alla rinuncia» e di interferenza nelle «decisioni del suo successore». Ma più pesante è stato l' anatema di ieri di Bergoglio. Segnale di guerra. Secondo qualcuno potrebbe perfino essere letto come un guanto di sfida, in previsione di una «rinuncia» dello stesso Bergoglio. Ma lui non è uomo da mollare il potere.
di Antonio Socci
Il gran silenzio misterioso sul successore di Scola (indizi papali)


Il cardinale ha compiuto 75 anni, età in cui per la chiesa si è tenuti a presentare al Papa le dimissioni dal proprio incarico, ma è stallo su chi dovrà prenderne il posto

Angelo Scola (foto LaPresse)
Complicata. Definiscono così, con un unico aggettivo, dalle parti del Vaticano, la partita per la successione alla cattedra episcopale di Milano, occupata negli ultimi sei anni dal cardinale Angelo Scola, ricevuto dal Papa venerdì scorso senza che l’udienza risultasse nel bollettino ufficiale della Santa Sede. Complicata perché non si tratta di una piccola diocesi di periferia, bensì della più grande (o della seconda più grande, dipende dai parametri che si usano per fare le comparazioni) del pianeta. Anche Benedetto XVI si trovò nella stessa situazione, con terne di nomi che quotidianamente uscivano sui giornali e settori del clero locale che spingevano questo o quel candidato, dal martiniano all’antimartiniano, dal conservatore di rottura alla soluzione soft moderata (stavolta questa casella pare occupata dal vicario generale Mario Delpini). Scola, si sa, ha compiuto 75 anni lo scorso novembre, età in cui per la chiesa si è tenuti a presentare al Papa le dimissioni dal proprio incarico. Sta poi al Pontefice decidere se accettare subito la rinuncia (lo ha fatto con l’arcivescovo di Bruxelles, mons. André Joseph Léonard), quasi subito (vedasi mons. Negri a Ferrara) o se concedere una proroga temporale più o meno lunga. Si passa poi dal biennio in più dato a Caffarra e Romeo al quinquennio disposto per il neo presidente della Cei, l’arcivescovo di Perugia Gualtiero Bassetti, fino al generico donec aliter provideatur, finché non si provveda altrimenti, pensato per il cardinale Edoardo Menichelli ad Ancona, pure lui over 75. In curia, poi, continuano a lavorare come se nulla fosse i cardinali Coccopalmerio – presidente del pontificio consiglio per i Testi legislativi, 79 anni compiuti – e Amato, prefetto della congregazione per le Cause dei santi, 79 anni tra una settimana esatta. Insomma, decide il Papa.

Il caso Scola è un po’ particolare. Dallo scorso novembre si è come in un limbo: nessuna proroga (scritta od orale), nessuna deroga, nessun donec aliter provideatur. Il cardinale, è noto, ha già pronto il buen retiro lacustre. Una canonica a Imberido rimessa in sesto, messe da celebrare nei paesini del lecchese, tempo da dedicare allo studio e alla scrittura. Nessuna smania di rimanere in città, come peraltro più volte ha fatto capire. A Roma, però, tutto tace. Almeno così pare. Poco chiacchiericcio come invece è accaduto per il toto-vicario romano, con le scommesse profane sul dopo Vallini che circolavano da almeno un anno. Qui era più facile intuire i desiderata papali. Le richieste del clero, dopotutto, erano chiare: un prete vicino ai preti, come lo fu Ugo Poletti, dicevano. Poco amministratore, molto callejero. Francesco aveva chiesto ai sacerdoti di dire la loro, li aveva consultati. Ed era quasi naturale che la scelta cadesse su un profilo che poi s’adatta perfettamente a mons. Angelo De Donatis, che non a caso proprio Poletti ha ricordato appena divenuta ufficiale la nomina. De Donatis, il prescelto che Beroglio volle come predicatore degli esercizi quaresimali alla curia vaticana nel 2014. Un altro che è andato ad Ariccia è stato il friulano Ermes Ronchi, fa notare un porporato, quasi a intendere che potrebbe essere il padre servita (come David Maria Turoldo, notare bene, pure lui friulano e pure lui amico di Carlo Maria Martini) uno che potrebbe dire la sua nella corsa alla cattedra ambrosiana. Ammesso che ci sia ancora qualcosa da dire. Francesco sorprende (vicario di Roma a parte) e il silenzio che avvolge il dopo-Scola potrebbe essere anche il segno che la decisione è stata presa ma che si preferisce attendere, lasciando da parte quella fretta che invece sembrava esserci a cavallo della riuscita visita papale nella città di Ambrogio, lo scorso marzo. Magari anche per non sbagliare in un posto così importante – “Alla Madonna ho chiesto scusa per il mio cattivo gusto nello scegliere la gente”, ha detto al di ritorno dal viaggio a Fatima, e diversi osservatori hanno ricondotto la frase ai problemi della diocesi di Palermo, dove Francesco ha dovuto bloccare la nomina ad ausiliare del prescelto del vescovo Lorefice, da lui scelto a sorpresa quando quest’ultimo era semplice parroco a Modica. Chissà, il mese giusto potrebbe essere questo – Scola fu nominato il 28 giugno 2011 ed entrò in tempo per iniziare l’anno pastorale a settembre, ma non ci sarebbe da meravigliarsi se la scelta fosse ulteriormente posticipata.
Matteo Matzuzzi

1 commento:

  1. Il «vescovo vestito di bianco» (come Bergoglio si è definito a Fatima)

    Non si è definito , era nel libretto della celebrazione , scritto dai padri del santuario

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