ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 17 giugno 2017

Ma della sua morte chiederò conto a te.

Della loro morte Dio chiederà conto a noi




Sta scritto nel libro di Ezechiele (33, 8): Se io dico all’empio: Empio tu morirai, e tu non parli per distoglier l’empio dalla sua condotta, egli, l’empio, morirà per la sua iniquità; ma della sua morte chiederò conto a te.
Queste parole ci tornano continuamente alla mente davanti a una serie di fatti che stanno accadendo sotto i nostri occhi, e che noi, forse, non siamo sufficientemente desti per capire e interpretare, e, soprattutto, per renderci conto della nostra responsabilità riguardo ad essi.


A Londra, nel rogo che ha distrutto un grattacielo di ventisette piani, abitato da gente di tutte le razze – una vera e propria Torre di Babele – sono morti anche due giovani italiani, due fidanzati, che erano lì per lavoro. Due architetti laureati con centodieci e lode, i quali, in Italia, si erano visti offrire solo qualche impiego per poche centinaia di euro e si erano perciò trasferiti in Gran Bretagna, dove lei aveva trovato una opportunità decente. La loro patria, matrigna – l’Italia che trova denari da spendere per qualsiasi straniero bussi, anzi, irrompa alle sue frontiere, e che è letteralmente invasa da africani e asiatici nullafacenti che se ne vanno in giro notte e giorno con le cuffie della musica nelle orecchie, a bighellonare, mantenuti gratis a tempo indeterminato – costringe a espatriare i suoi figli migliori, i più bravi, i più studiosi, i più intelligenti, i più volonterosi: quelli che non son capaci di restarsene con le mani in mano  senza far nulla, e che non hanno il coraggio di farsi mantenere, non diciamo dalla carità pubblica, ma nemmeno dai loro genitori. Prima di perire tra le fiamme, al telefono, la ragazza ha fatto in tempo a ringraziare sua mamma per tutto quel che aveva fatto per lei. E lo Stato italiano, cosa ha fatto per lei e per tantissimi altri come lei, a cominciare dal suo fidanzato? Nulla, assolutamente nulla. E così questi bravi giovani se ne vanno negli Stati Uniti, o in Gran Bretagna, a portare le loro competenze e la loro bravura al servizio di quelle economie, le quali in tal modo possono aprire altri McDonald’s, altri Bennet, e rastrellare anche i pochi spiccioli che restano nelle tasche della gente, e intanto fanno chiudere gli ultimi negozi e ristoranti di proprietà nostrana).
L’Italia non sa che farsene della sua migliore gioventù: questa è la lezione che si deve trarre dalla tristissima vicenda del rogo di Londra, che ha coinvolto una ragazza padovana e un ragazzo veneziano, due magnifiche promesse per il futuro. Questi suoi cittadini, che dovrebbero essere il suo vanto, il suo orgoglio, la sua fierezza, non le interessano. I partiti di sinistra preferiscono puntare sui voti sicuri dei cosiddetti profughi e far approvare la legge, assurda e immorale, dello ius soli; i partiti della destra, incretiniti da vent’anni di berulsconismo – il cui cadavere continua ad ammorbare l’aria e ad ingombrare la scena, impedendo qualsiasi rinnovamento o speranza per il futuro – non trovano né le idee, né gli uomini per far qualcosa di serio. Agli uni e agli altri interessa solo di conservare le poltrone in Parlamento e quelle, non meno lucrose, nelle amministrazioni locali e nelle aziende statali. E tanto peggio per quelli come Gloria e Marco: due vite in meno, due speranze cancellate. Loro e i figli che avrebbero potuto avere, e dei quali l’Italia avrebbe potuto andare fiera, un domani. Ecco: della morte di questi ragazzi dovremmo chiedere conto ai nostri politici. E non solo della loro more, ma anche dei loro figli che non sono mai nati; cosa che vale anche per tantissimi altri giovani che restano in Italia, ma che non mettono su famiglia per mancanza di lavoro e di qualunque prospettiva.
E adesso passiamo a un altro scenario, solo apparentemente differente. Così come lo Stato se ne frega dei suoi cittadini, ma si sta spendendo con la massima solerzia per favorire qualunque straniero giunga nel nostro Paese, compresi delinquenti, folli (vi ricordate di Kabobo, quello che spaccava la testa ai passanti di Milano a colpi di mazza, perché una voce gliel’ordinava?), e portatori di malattie, allo stesso modo la neochiesa bergogliana se ne frega dei cattolici, anzi, li detesta addirittura, li vede come il fumo negli occhi, li offende e li rimprovera ogni giorno, ma tiene ai musulmani, ai giudei, ai luterani e agli atei come alle pupille dei suoi occhi, li loda e li ringrazia, domanda loro scusa, e ordina a tutti quanti di accogliere, accogliere, accogliere, qualsiasi straniero, meglio se islamico, facendo credere – mentendo – che tale è il messaggio del Vangelo: quando perfino il buon Samaritano non si è portato in casa l’uomo assalito dai ladroni: lo ha messo in albergo, pagandogli le cure per un periodo di tempo limitato, finché potesse badare a se stesso; non gli ha offerto dimora fissa in casa sua e il diritto di non far nulla (più la musica, il telefonino e le sigarette gratis). A causa della arroganza e della maniera di fare offensiva, sconsiderata, dissacrante, che tanti preti e vescovi modernisti e progressisti hanno verso il cattolicesimo e verso le cose di Dio, milioni di anime sono spinte a emigrare altrove: come hanno fatto quei due poveri giovani italiani, costretti a cercare lavoro all’estero. Milioni di cattolici sono sul punto d’andarsene dalla chiesa, da questa chiesa, che essi non riconoscono più come loro; stanchi e nauseati di assistere alle profanazioni quotidiane di codesti pastori infedeli, di codesti lupi travestiti da agnelli, si allontanano dalla fede, la perdono, e perdono il contatto con Dio.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso della loro pazienza, della loro indignazione, è stata l’elezione, nel rinnovato consiglio della Pontificia Accademia per la Vita, di un “teologo” abortista, tale Nigel Biggar. Ci dicono che è un teologo moralista anglicano (anglicano? e che ci fa nella Pontificia Accademia per la Vita?), uno stimatissimo professore dell’Università di Oxford. Buon per lui. Solo che questo signore va dicendo e scrivendo che l’aborto è lecito fino a 18 settimane, che quello delle diciotto settimane è il “confine” che si può e si deve tracciare fra il diritto di abortire e il rispetto della vita del nascituro. Interessante. Ma la dottrina cattolica non ha sempre sostenuto che il diritto alla vita ha inizio con il concepimento, perché è all’atto del concepimento che Dio soffia nell’embrione l’anima immortale? E dunque, che sta succedendo: è cambiata la teologia cattolica, e qualcuno si è dimenticato d’informarcene? Ah, sì, ma che sciocchi; dimenticavano: la dottrina è quella cosa brutta e ideologica, utilizzata dai fanatici Lo ha detto il papa Francesco nella sua omelia del 19 maggio scorso (e bisognava vedere con quale fastidio, con quale aria irritata lo ha detto). Ha affermato proprio così: che quella dottrina lì, che crea divisione, è quella dei “fanatici”, i quali dicono sempre: Questo non si può fare; e: Quest’altro non va bene.
Già, proprio così. È ben strano che un cattolico qualsiasi debba fare una simile riflessione, ma davvero siamo giunti a questo punto: che il papa non parla più da cattolico, e che dice delle cose che cattoliche non sono. Dice che la dottrina è una cosa cattiva se “divide”. Ma che significa? Forse che Gesù era venuto per “unire” tutti quanti, dai suoi seguaci ai devoti di Baal, di Astarte, di Cibele, di Iside, di Zoroastro e di qualche altra dozzina o centinaio di divinità grandi e piccole? Quanta falsità, quanta ipocrisia, quanta pessima teologia vi sono, in un tale atteggiamento. E tutto nasce dal solito, diabolico buonismo: sì, perché il buonismo è diabolico, alla lettera: non vuol vedere il male; e chi non vuol vedere il male, lo sappia o no, è uno strumento nelle mani del diavolo. Il male c’è, esiste, altro che storie; e non è un male astratto, come sembra pensare il nuovo generale dei gesuiti, Sosa Abascal: è una persona. Una persona che opera incessantemente per la perdizione degli uomini, e che ci ha provato perfino con il nostro Signore, Gesù Cristo, andando a tentarlo nel deserto. La dottrina cattolica non può mai essere una cosa cattiva. Crea divisione? Ma certo: la divisione con chi non crede; con chi rifiuta il Vangelo; con chi odia la redenzione portata da Gesù Cristo. Ci mancherebbe altro! Se lo scopo della Chiesa fosse quello di unire tutti gli uomini, compresi i peccatori impenitenti e i seguaci delle altre religioni, allora non sarebbe più la Chiesa di Cristo: questo è certo, e lo capirebbe anche un bambino. Come mai non lo capiscono tanti cattolici, adulti e vaccinati; tanti teologi sapienti, tanti sacerdoti intelligenti? O forse non lo vogliono capire, il che è cosa ben diversa?
In ogni caso, tutto nasce da una grande menzogna, e da una grande ipocrisia: dall’idea che tutte le religioni siano religioni di pace. Se tutte le religioni sono religioni di pace, allora il cristiano, che desidera la pace, non può che andare a braccetto con i buddisti, i giudei, i maomettani, gli sciamani pellerossa, e così via. E infatti ci vanno,  a braccetto: ad Assisi e anche altrove, tutti insieme appassionatamente e felicemente – per il bene dell’umanità, si capisce. Che meraviglia. Ma questo è falso, è totalmente falso. Non è vero che tutte le religioni sono religioni di pace: e, del resto, basta avere gli occhi e gli orecchi aperti, per rendersene conto. Padre Jaques Hamel non è morto di raffreddore: è stato sgozzato, sotto gli occhi dei fedeli, sui gradini dell’altare, mentre stava celebrando il Sacrificio della Messa, e intanto i suoi assassini gridavano: Allah akbar! I trentacinque egiziani copti che sono stati ammazzati a loro volta, non hanno perso la vita in un incidente d’autobus: gli assassini hanno chiesto loro se volevamo convertirsi all’islam, nel qual caso li avrebbero lasciati vivere; essi hanno rifiutato, e allora li hanno uccisi. E adesso domandiamo a questi signori teologi progressisti e buonisti: davvero tutte le religioni sono religioni di pace? E domandiamo al papa Francesco: davvero il terrorismo islamico non esiste, come dice sempre? Davvero padre Hamel è morto di raffreddore, e i trentacinque copti per una disgrazia casuale, che avrebbe potuto capitare a chiunque altro?
Adesso ci ritroviamo con un teologo abortista nel Pontificio Istituto per la Vita. Un po’ strano, non è vero? Anche se si tratta di un fuor fiore di professore, una persona stimatissima (già, però bisognerebbe vedere da chi).

di Francesco Lamendola del 17-06-2017

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