A una chiesa senza più fede non resta che prendere atto dell’impotenza umana
Uno degli aspetti più caratteristici della neochiesa massonica e gnostica cresciuta come un fungo velenoso dentro la vera Chiesa fondata da Gesù Cristo, è l’atteggiamento di falsa comprensione e di falsa misericordia che essa ostenta, esibendo una generosità a buon mercato, di fronte ai problemi umani, visti e giudicati come “inestricabili”, per la semplicissima ragione che essa ha perso la fede, e, senza fede, tutti i problemi umani diventano inestricabili, e all’uomo non resta che prendere atto della propria impotenza.
Prendiamo, a titolo di esempio, il caso del matrimonio. Per il cristiano, è banale ricordarlo, non si tratta di un semplice legame di tipo giuridico e legale, ma di un Sacramento; e, se tanti sposi “cattolici” riflettessero alla natura di un Sacramento, ossia al suo carattere indelebile e irreversibile, forse saprebbero anche viverlo con un altro spirito, e con un altro spirito affrontare le inevitabili difficoltà che, presto o tardi, in tutti i matrimoni si presentano. Difficoltà di accettazione dell’altro, di convivenza, di condivisione di scopi, di valori, di abitudini, di gusti; difficoltà nella scelta di avere o no dei figli, e quando, e su come crescerli, e su come educarli; difficoltà di tipo pratico, materiale, economico, professionale, logistico: vi sono coppie che non si incontrano quasi mai, pur vivendo sotto il medesimo tetto, a causa dei diversi orari di lavoro, o per delle situazioni particolari, malattie prolungate e relativa assistenza di parenti, viaggi di lavoro all’estero, attività professionali sulle navi o sugli aerei, lunghi periodi di detenzione in carcere di uno dei due; infine difficoltà di salute, quando uno dei due viene colpito da una malattia invalidante, fisica o psichica; quando cade in una grave forma di depressione, dalla quale non riesce a uscire; quando cade in una forma di dipendenza dall’alcool o dalle droghe; quando subisce un incidente, una amputazione; quando è prostrato da mali inspiegabili, che irreparabilmente ne minano l’equilibrio, l’autonomia, la dignità (per esempio, a causa di fatture e possessioni demoniache: situazioni più frequenti di quel che non si creda).
Di fatto, l’aver smesso di parlare di questo tema – la necessità della riparazione del male mediante la penitenza e l’assunzione volontaria della sofferenza – è, al tempo stesso, causa ed effetto del rifiuto, da parte di tanti sedicenti cattolici, sia della nozione di penitenza, sia della nozione di peccato, sia della maniera in cui un vero cristiano dovrebbe vivere la sfida della difficoltà e della sofferenza. Finché la sofferenza viene presentata come qualcosa d’incomprensibile, di assurdo, di cui nessuno sa dare ragione, è chiaro che il cristiano farà quello che fanno i non credenti, cioè porrà ogni studio nel tentare di evitarla: salvo, poi, cadere nella spirale dello sconforto e della depressione quando, alla fine, si troverà nella impossibilità di scansarla per l’ennesima volta, e dovrà fare i conti con essa, senza sconti e senza disporre degli strumenti spirituali coi quali affrontarla.
E ora torniamo al matrimonio. Esso è la base della famiglia, e particolarmente della famiglia cristiana: ecco perché l’introduzione del divorzio, nella legislazione civile, con il voto determinante dei cattolici, ha creato le premesse per il progressivo sfaldamento della famiglia, base e fondamento della società, e anche della famiglia cristiana. In teoria, le due cose non avrebbero dovuto influenzarsi; in pratica, l’esistenza del divorzio ha esercitato un influsso psicologico anche sugli sposi cattolici, e li ha indotti a non considerare più il loro legame come qualcosa di definitivo e indissolubile, ma come un contratto temporaneo e condizionato, rinnovabile a discrezione, in ogni caso non impegnativo in modo assoluto. Ora, poi, con l’approvazione della legislazione sulle coppie di fatto, comprese quelle omosessuali (assurdità nell’assurdità), la società civile ha concesso a chi non si è spostato, neppure in sede civile, gli stessi diritti e vantaggi di chi lo ha fatto, cosa che ha dato il colpo di grazia all’istituzione matrimoniale in se stessa. Chi mai sarà ancora tanto pazzo da assumersi un impegno così gravoso, se è possibile godere degli stessi benefici di legge, senza contrarlo e tenendosi sempre la via libera verso altre possibilità?
Resta da vedere con quale logica, attraverso quali passaggi, il clero, e ultimamente lo stesso magistero, vedi l’esortazione apostolica Amoris laetitia, hanno voluto far propria questa prospettiva, sostanzialmente laica, del matrimonio, e presentare il fatto della sua rottura, e la contrazione di una nuova unione, come qualcosa che, per quanto spiacevole e sbagliata, può essere, tuttavia, “sanata”, mediante il cosiddetto discernimento da parte del sacerdote, nel Sacramento della Confessione, per poter poi accedere all’Eucarestia, come qualunque altro fedele (per cui i Sacramenti coinvolti sono ben tre, e non uno soltanto). Una chiave di lettura può trovarsi in un libro profetico, del quale abbiamo già parlato, scritto nel 1990 dal vescovo emerito di Autun, Armand Le Bourgeois, Cristiani divorziati risposati, quando ancora – si era nel bel mezzo del pontificato di Giovanni Paolo II – ben pochi, crediamo, avrebbero immaginato la situazione odierna, cioè la semi-ufficializzazione della condizione di divorziato risposato per un cristiano, battezzato nella Chiesa cattolica. In quel libero, a mo’ di conclusione (e di auspicio per una “normalizzazione” di tali situazioni peccaminose) si trova questa serie di domande:
Non è venuto il momento di abbattere il muro che nella Chiesa cattolica tiene lontani dalla mensa eucaristica TUTTI i divorziati risposati, senza badare a situazioni particolari?
Non bisogna nel contempo prendere sul serio un impegno umano come il matrimonio civile; non bisogna aprirsi alla misericordia verso coloro che, avendo un giorno contratto matrimonio religioso (e non matrimonio civile!), ora sono invischiati in legami inestricabili? Talvolta essi sono vittime, e la loro sorte non può lasciare indifferente la nostra Chiesa; talaltra sono colpevoli: ma esistono dei peccati imperdonabili? Ci sono dei credenti che debbano essere privati per sempre del pane di vita?
In questa serie di domande, oltre a porre la situazione di esclusione dall’Eucarestia dei divorziati risposati come la conseguenza di un “muro” che la Chiesa, brutta e cattiva, ha posto fra sé e loro, e non come la conseguenza di un peccato che ha creato la separazione degli uomini da Dio, vi è l’uso disinvolto – e profetico, purtroppo! – del concetto di “misericordia”, per suggerire che la Chiesa deve essere misericordiosa verso i poverini che, essendosi impegolati in relazioni inestricabili, ora chiedono di venire riammessi all’Eucarestia, con la motivazione che “nessun peccato è imperdonabile”. Dunque, tre mostruosità teologiche e morali, in fila, una dietro l’altra: prima, che l’esclusione dei divorziati risposati sia colpa della Chiesa; secondo, che siano gli uomini, e non Dio, a dover mostrare “misericordia” verso i peccatori; terza, che nessun peccato è imperdonabile, e quindi anche questo peccato può essere perdonato, ma senza bisogno di vero pentimento: perché, se ci fosse quello, allora sarebbero proprio gli interessati a comprendere che non si può essere riammessi nella comunità dei fedeli se si continua a vivere in patente violazione di un Sacramento, quello del matrimonio. Il vescovo Le Bourgeois, mettendo il punto esclamativo, mostra di considerare una attenuante, se non addirittura un’ironia, il fatto che tali cattolici vengano esclusi dal Banchetto eucaristico dopo essersi sposati in chiesa; e non si rende conto, a quel che pare, dell’enormità della sua affermazione, perché è vero il contrario, cioè che si potrebbe porre rimedio a un matrimonio civile infranto, dato che esso non comporta alcun Sacramento, mentre la rottura del matrimonio religioso equivale a un peccato mortale, e cioè a una circostanza di gran lunga aggravante. Da questo si vede come Le Bougeois non ragioni da membro del clero, tanto meno da vescovo, cioè da pastore del gregge e da successore degli Apostoli: quando mai san Pietro, o san Giovanni, o san Giacomo, si sarebbero presi la libertà di fare “sconti” sull’indissolubilità del matrimonio, dopo che Gesù Cristo, in persona, e con parole severissime (se il tuo occhio ti dà scandalo, strappatelo!), aveva ordinato: L’uomo non separi ciò che Dio ha unito?
di Francesco Lamendola del 07-06-2017
continua su..
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