Dietro la non riconferma del Papa del Prefetto Gherard
Muller una lunga storia di incomprensioni e disaccordi tra i due, fatta di
nomine contrastate e licenziamenti mai motivati. Iniziata con una messa
interrotta e culminata con le 200 osservazioni, ignorate da Bergoglio,
sull'Amoris Laetitia. Ma anche il sospetto del Pontefice che dietro i dubia ci
fosse lui. Per Muller è stato un calvario e non ha nascosto la sua delusione
per il modo con cui è stato messo alla porta.
L’atto del Pontefice, anche se legittimo, per la forma e i tempi in cui è stato compiuto è una dimostrazione di cattive maniere. È sempre stato uso, nella Chiesa, al momento della scadenza di un mandato non solo eventualmente rinnovarlo, specialmente se, come nel caso di Muller, il titolare è lontano dall’età della pensione (75 anni) ma almeno prolungare di qualche mese o di un anno, tacitamente, o usando la formula “donec aliter provideatur”, fino a quando non si provveda altrimenti.
Se poi è vero, come si capisce dalle parole del cardinale, che il Pontefice abbia lasciato il cardinale tedesco fino all’ultimo nell’incertezza sul suo destino, l’impressione di scortesia sarebbe solo rafforzata.
Appare evidente che non c’è un motivo sostanziale legato al lavoro per questa decisione. Si tratta di una scelta personale, espressa in maniera dura e senza riguardo per le persone. Niente di nuovo, per chi ne ha avuto esperienza come Provinciale dei Gesuiti (fu rapidamente rimosso per i danni compiuti), come arcivescovo di Buenos Aires e come Pontefice.
Credo che il card. Muller, anche se certamente dispiaciuto, sia anche in un certo senso sollevato da questa decapitazione. Sono andato a rileggere le note confidenziali che avevo preso su di lui e i rapporti con il Pontefice regnante in conversazioni riservate con alti esponenti della Curia. E non c’è dubbio che la convivenza con il Pontefice argentino sia stata una specie di calvario, checché dichiari M?ller, buon leale soldatino tedesco fino alla fine e anche oltre.
Il primo passo del Calvario riguarda un episodio sconcertante, della metà del 2013. Mentre stava celebrando messa per un gruppo di studenti tedeschi il Prefetto venne raggiunto all’altare dal suo segretario. Il Papa voleva parlargli, urgentemente, e non importa se stesse celebrando. Il cardinale si recò in sacrestia, dove il Papa gli diede bruscamente un ordine relativo a un dossier di un cardinale suo amico. Ovviamente M?ller rimase sbalordito, a dir poco.
Non bisogna dimenticare che Jorge Bergoglio da sempre ha nutrito forti sentimenti antiromani, e verso la Congregazione per la Dottrina della Fede in particolare. Bergoglio non amava la Curia, perché spesso rifiutavano le sue proposte di nuovi vescovi. E perché, per motivi mai rivelati, non avevano voluto fare arcivescovo Víctor Manuel Fernandez, detto Tucho, il suo pupillo, rettore dell’Università Cattolica di Buenos Aires. Autore di alcuni libri piuttosto discussi. Fra cui "Sáname con tu boca. El arte de besar", “Guariscimi con la tua bocca. L’arte di baciare”, edito nel 1995 da Lumen.
Fernandez si scagliò contro Muller, certo non senza aver sentito il Papa, quando il Prefetto disse che la Congregazione per la Dottrina della Fede ha il compito di dare una struttura teologica al Pontificato.
"Ho letto che alcuni dicono che la curia romana fa parte essenziale della missione della Chiesa, o che un prefetto del Vaticano è la bussola sicura che impedisce alla Chiesa di cadere nel pensiero light; oppure che quel prefetto assicura l’unità della fede e garantisce al pontefice una teologia seria… Quando si sentono dire cose del genere sembrerebbe quasi che il papa fosse un loro rappresentante, oppure uno che è venuto a disturbare e che dev’essere controllato”.
Nel febbraio scorso è uscito in Germania l’ultimo libro del cardinale: “Il Papa – Missione e Mandato” (Der Papst – Sendung und Auftrag). In esso scriveva, fra l’altro, per quanto riguarda il Magistero, che anche il Papa può sbagliare, per esempio se manca di insegnare la fede. Un papa non può cambiare “i criteri inerenti di ammissione ai sacramenti”, e “dare l’assoluzione sacramentale e permettere la Santa Comunione per un cattolico che è in stato di peccato mortale senza pentimento o la ferma risoluzione di evitare d’ora in poi quel peccato, senza di conseguenza peccare egli stesso in relazione alla verità del Vangelo e alla salvezza di quei fedeli che sono così condotti nell’errore”.
Rileggendo gli appunti che ho preso nel corso di questi anni è evidente la frustrazione del card. Muller – e del personale della Congregazione – per l’evidente disinteresse del Pontefice al loro lavoro. Semplicemente, per il Papa era come se non esistessero. Non chiedeva nessuna cooperazione, non offriva nessun dialogo. E, naturalmente, questa situazione è peggiorata durante la preparazione dell’Amoris Laetitia, l’esortazione apostolica su famiglia e divorziati-risposati. Il Papa non ha un metodo di lavoro collegiale, confidava M?ller a colleghi cardinali durante gli esercizi spirituali della Curia, all’inizio del 2016.
Disse: abbiamo fatto almeno duecento osservazioni, dalle più gravi che le abbiamo messe in grassetto, alle più veniali. Non c’è stata nessuna risposta. A chi si stupiva che il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede non sapesse nulla, rispondeva: se è una questione dottrinale gli unici che non siamo avvisati siamo noi, se riguarda la famiglia gli unici ignari sono il Pontificio Consiglio e l’Istituto Giovanni Paolo II. Se è questione di liturgia, l’unico a non essere avvisato è Sarah.
Sicuramente i rapporti fra Muller e il Pontefice, subito distanti, sono andati peggiorando con il tempo. Rileggendo i miei appunti vedo che il Pontefice, a colloquio con Benedetto XVI, verso il 2015, gli avrebbe chiesto se avrebbe potuto sostituire Muller. Benedetto gli avrebbe prospettato l’impatto negativo di una decisione del genere. E le cose restarono come prima.
E poi vennero i “Dubia”, dei quattro cardinali (ora tre, dopo la scomparsa di Meisner). Furono quattro a firmarli, Brandmuller, Burke, Caffarra e Meisner, ma io penso - è una mia personale opinione - che il Pontefice abbia sempre pensato che dietro questa operazione ci fosse anche il cardinale Muller. E che questo pensiero – forse addirittura che il porporato tedesco fosse l’estensore dei Dubia, vista la sua preparazione specifica – sia stato il sigillo su una decisione già presa.
Muller da allora si è trovato in una situazione estremamente complicata. Stretto fra la lealtà al Pontefice dovuta dal suo ruolo, e la difesa dell’insegnamento di sempre della Chiesa in materia di Eucarestia ai divorziati-risposati. Sapeva molto bene che il partito di Bergoglio aveva interesse a dipingerlo come il principale avversario del Pontefice; e tentava di non farsi chiudere in questa trappola.
Ma prima c’era stato un episodio che ha ferito profondamente il cardinale: il licenziamento, senza ragione, di tre sacerdoti della Congregazione. Un messicano, capo dell’ufficio disciplina, un francese e uno slovacco-americano. Muller ricevette una lettera dalla Segreteria di Stato, chiedendogli di licenziare i tre. Non ne tenne conto. Giunse una seconda lettera. Chiese udienza al Papa. Dovette aspettare a lungo. E anche questa è un’anomalia: di norma il papa riceve ogni settimana il Prefetto della Fede, o il segretario della Congregazione. Ma con Francesco questa regola non è più in vigore. Finalmente Müller fu ricevuto, e disse: ho ricevuto questa lettera, ma non ho ancora fatto nulla perché volevo parlare con lei, sapere i motivi…sono ottime persone. Si metta in testa che io sono il papa, non devo dare motivo o ragione di niente di quello che faccio. Ho deciso che devono andare via, e devono andare via. Ma che cosa hanno fatto? Devono andare via. E poi si è alzato e mi ha dato la mano come per dirmi che l’udienza era finita. Mi son sentito di gelo, ha detto.
La storia di quel licenziamento, senza motivo, si è ripetuta proprio nel suo caso. Come il Prefetto ha raccontato alla Passauer Neue Presse, un quotidiano tedesco, che il Pontefice “ha comunicato la sua decisione “di non rinnovare il suo mandato”, “in un minuto” l'ultimo giorno di lavoro dei suoi cinque anni di mandato come Prefetto della Congregazione per la Fede. E, ancora una volta, il Papa non ha dato nessuna spiegazione o motivo. “Questo stile non si può accettare”, ha dichiarato, ricordando che nel trattare con i dipendenti, anche a Roma “dovrebbe essere applicata la dottrina sociale della Chiesa”.
Uno stile di governo di questo genere difficilmente può essere definito democratico, collegiale, dialogante. Müller però ribadisce a chi pensa che ora si metterà a capo di un movimento critico verso Francesco risponde: “Sono sempre stato fedele al Papa”, e lo resterà anche in futuro, “come cattolico, come vescovo e cardinale, così come è dovuto”. Coerente fino in fondo.
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