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La forza di Medjugorje va oltre il riconoscimento del Vaticano
Giuseppe Colombo/Huffpost
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Il giudizio di Papa
Francesco, chiamato a pronunciare la parola definitiva sull'autenticità
delle apparizioni a Medjugorje, segnerà inevitabilmente uno spartiacque
nella valutazione che non solo la Chiesa, ma anche i pellegrini, faranno
di un luogo di preghiera che dal 1981 registra migliaia di visite ogni
anno. Il "marchio" del Vaticano sdoganerebbe per sempre Medjugorje,
mettendola sullo stesso piano dei santuari che sono nati dalla stessa
matrice, quella cioè delle apparizioni mariane: Lourdes e Fatima. Ma non
è affatto detto che la forza spirituale che pervade quel piccolo centro
sulle colline della Bosnia-Erzegovina dipenda, in modo esclusivo, dalla
decisione della Santa Sede.
La
valutazione finale del Vaticano è attesa, ma non temuta. Ho avuto modo
di visitare Medjugorje qualche settimana fa insieme a don Salvatore
Cipolla, viceparroco della chiesa Santa Maria Immacolata di Lourdes di
Roma, e quella convinzione pervade gran parte della comunità locale ma
anche il pensiero di tanti pellegrini stranieri: la forza di Medjugorje
ha più di una possibilità di non esaurirsi con un'eventuale decisione
negativa. A Medjugorje si prega e si spera. Il sì di Bergoglio sanerebbe
una "frattura" che oggi esiste, quella cioè tra i fedeli e i vescovi,
le "sentinelle" della Santa Sede, che non si sono mai recate in quel
luogo perché ancora non riconosciuto. È una sfumatura, importante, che
si andrebbe aggiungere a tante altre e altrettanto importanti, come il
ritrovarsi parte di un'unica comunità di preghiera, finalmente "libera"
dalla preoccupazione riassumibile nell'interrogativo "Cosa ne pensa la
Chiesa?".
Un giudizio sospeso tra dubbi e prese d'atto
A
Medjugorje c'è grande attenzione nei confronti delle parole pronunciate
da Papa Francesco il 13 maggio scorso sul volo di ritorno da Fatima.
"Preferisco la Madonna Madre a quella che fa il capo di ufficio
telegrafico che ogni giorno invia un messaggio", ha affermato Bergoglio.
Un'analisi,
quella del Pontefice, che fa riferimento alla relazione, commissionata
da Benedetto XVI e presieduta dal cardinale Camillo Ruini. L'esito di
quell'indagine è chiaro: si devono tenere distinte le apparizioni della
prima settimana, ritenute autentiche, da quelle che vedono protagonisti i
veggenti anche oggi e sulle quali occorre ancora investigare. "Io sono
più cattivo", ha aggiunto il Papa, che a fine marzo ha inviato a
Medjugorje il suo inviato speciale, l'arcivescovo polacco monsignor Henryk Hoser, per monitorare la situazione.
È
proprio in quella scelta, compiuta appunto da Bergoglio, che si può
trovare l'altra faccia della medaglia, quella che cioè protende per un
riconoscimento di Medjugorje da parte della Santa Sede. "Il Santo Padre è
molto interessato allo sviluppo della pietà popolare che si svolge in
questo luogo", ha dichiarato Hoser appena arrivato sul luogo.
Il
Papa è attento e sempre sullo stesso volo di ritorno da Fatima non ha
nascosto quello che invece lo convince di Medjugorje. "C'è il fatto
spirituale e pastorale, il nocciolo della relazione: gente che si
converte, che incontra Dio, che cambia vita. E questo non grazie a una
bacchetta magica. Questo fatto non si può negare". In queste parole c'è
uno snodo importante, forse fondamentale per il futuro di Medjugorje, al
di là del suo riconoscimento.
La mia Medjugorje
Le
parole del Papa come un faro durante la mia visita: "C'è gente che
incontra Dio". Dio, non i veggenti. Non la ricerca ossessiva di un segno
visivo in cielo. Arrivare a Medjugorje scevri da pregiudizi è
l'atteggiamento più corretto o quantomeno più sensato se si vuole
sperimentare, in prima persona, il significato autentico di quel luogo.
L'aspettativa è desiderio umano e rispettabilissimo, ma anche vacuo
perché presuppone un meccanismo di richiesta-soddisfazione che rischia
di creare scontento e soprattutto di guardare, in modo fuorviante, al
merito della questione.
Medjugorie
è preghiera, meditazione, silenzio. È, soprattutto, ricerca personale,
momento di bilancio della propria esistenza e di rilancio. Non è facile,
ovviamente, misurarsi con una dimensione che mette a nudo le proprie
fragilità: non lo è per chi è credente così come per chi non lo è. E pur
tuttavia è un esercizio introspettivo importante per entrambi. Per chi è
credente, innanzitutto, perché la preghiera, sia nella dimensione
privata che in quella collettiva, è strumento di collegamento che va
coltivato. Medjugorje, con i suoi spazi riservati, i suoi monti (quello
della Croce, il Križevac, e la collina delle apparizioni, il Podbrdo) da
scalare, i suoi santuari non appariscenti, dà vita a una dimensione
autentica della fede, quella che non necessita di segni folgoranti, ma
che al contrario si nutre di pulizia interiore e testimonianza.
È
tuttavia innegabile che molti pellegrini giungono a Medjugorje
desiderosi di una dimensione sensazionalistica che passa per la ricerca
ossessiva dei veggenti, visti come moderni oracoli, piuttosto che per
stare con lo sguardo rivolto sempre all'insù. Chi riesce a ritornare a
casa con un'idea completamente diversa può dirsi, a mio avviso,
vincente, perché è partito più "debole" rispetto a chi si è recato in
quei luoghi con intenti più vicini alla dimensione autentica della fede
(anche se il carattere autentico è di per sé una ricerca continua e mai
verità assoluta) ma allo stesso ha compiuto il percorso più difficile,
come quei pellegrini anziani che scelgono di salire sul Križevac a piedi
nudi.
Per chi non crede, Medjugorje può diventare un'occasione di conversione. Una conversione che passa per una via autentica, quella cioè della possibilità di iniziare a coltivare la fede non perché folgorato da un'apparizione, ma da una sensazione. Sensazione che può giungere dalla preghiera, ma anche dalla condivisione delle tante Medjugorje che i pellegrini vivono sul posto. Non è inusuale trovare capannelli di pellegrini che si scambiano impressioni e valutazioni. Interrogarsi è già di per sé un primo tentativo di uscire da quella dimensione di certezza che spesso anima la nostra quotidianità. Da Medjugorje può iniziare un percorso: la durata, le curve, i rettilinei e soprattutto l'arrivo dipendono da ognuno di noi.
http://www.huffingtonpost.it/huffingtonpost/la-forza-di-medjugorje-va-oltre-il-riconoscimento-del-vaticano_a_23053714/
Metodo Müller
Nei Sacri Palazzi fanno l’elenco dei cardinali che il Papa s’accinge a silurare, con pacca sulle spalle
“Versaldi, Ladaria Ferrer, Sandri, Ravasi, Tauran. E poi Amato e Coccopalmerio, più Pinto”. Prego? Che è, un profano sgranar di rosari in un noioso pomeriggio romano senza la frescura data dalle fontane petrine in attività fatte chiudere dal Papa ecologista? “No!”, ribatte il vescovo di fronte a me: “È la lista dei curiali, prefetti e presidenti, che entro un anno, un anno e mezzo, compirà 75 anni”. Capisco: è l’elenco dei pensionandi, anche se Amato di anni ne ha 79 e Coccopalmerio (quello col segretario dedito a feste rumorose ma già perdonato dal Santo Padre) addirittura quasi 80. Insomma, per farla breve: si tratta di poltrone che stanno per liberarsi e pare che per molte di codeste eminenze il Papa non veda l’ora che giunga la fatidica data del compleanno per poter dar sfoggio di quello che ormai è definito nelle Sacre stanze il “metodo-Müller”, ossia il siluramento corredato da sorrisi e magari qualche pacca sulla spalla. “Ma va”, dice il vescovo in borghese che beve il Chinotto Lurisia con la cannuccia. “Vedrà che per tanti arriveranno le proroghe e le deroghe, tacite e silenziosissime, perché pur volendo rivoluzionare e rinnovare il parco cardinalizio che lo circonda – e se fosse per il Santo Padre la curia verrebbe rasa al suolo e sostituita con un esercito di suore – Francesco non lo può fare. Vedrebbe il moltiplicarsi di serpenti e corvi, veline ai giornali e pettegolezzi incontrollabili”. Sarebbe un gran casino, concludo. Il monsignore aspira – in modo lievemente rumoroso – quel che resta del Chinotto, sorride e dice come s’avesse raggiunto la pace dei sensi che “la storia della chiesa è come il pendolo, che va un po’ di qua e un po’ di là ma alla fine, casino o no, torna sempre al centro, in equilibrio”.
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