«Dovreste annunciare Dio e la grazia, ma preferite parlare dell’uomo e del progresso»
Volete essere figli della luce, ma non rinunciate ad essere figli del mondo. Dovreste credere alla penitenza, ma voi credete alla felicitò dei tempi nuovi. Dovreste parlare della Grazia, ma voi preferite parlare del progresso umano. Dovreste annunciare Dio, ma preferite predicare l’uomo e l’umanità. Portate il nome di Cristo, ma sarebbe più giusto se portaste il nome di Pilato. Siete la grande corruzione, perché state nel mezzo. Volete stare nel mezzo tra la luce e il mondo. Siete maestri del compromesso e marciate col mondo. Io vi dico: fareste meglio ad andarvene col mondo ed abbandonare il Maestro, il cui regno non è di questo mondo.
Queste parole hanno un suono familiare, non è vero? Ci ricordano qualcosa che è molto vicino a noi: la situazione in cui versa la Chiesa cattolica oggi, con una quantità di membri del clero che non parlano, né agiscono come da loro ci si aspetterebbe, non spengono la sete di Dio che è nel cuore dei fedeli, ma parlano e agiscono come uomini di questo mondo, si riempiono la bocca con le cose di quaggiù, lodano l’uomo e il suo progresso, tacciono sulla grazia e sul peccato e non fanno mai una parola sulla vita eterna, cioè sul nostro destino finale. A sentir loro, pare che la vita umana abbia un senso già qui, in se stessa, e che ciò sia sufficiente a conferirle sia uno scopo che un valore. A dare retta a loro, pare che una volta instaurata la giustizia sociale, ridistribuita la ricchezza economica, procurato un lavoro a tutti e una pensione decente ai pensionati, migliorata la sanità, creati più asili nido per i figli dei lavoratori, e, naturalmente, da ultimo ma non per ultimo, offerta ospitalità, accoglienza e integrazione a qualsiasi straniero si presenti alle nostre frontiere, perché nessuno deve essere escluso, ma tutti devono essere inclusi, e non si devono mai più costruire muri, ma sempre e solo gettare ponti in ogni direzione possibile e immaginabile, una volta realizzate tute queste belle cose, ogni problema sarà risolto, perlomeno di quelli che hanno una soluzione, e l’uomo potrà starsene tranquillo e in santa pace, a godersi il riposo del giusto. E pare che anche per i cristiani sia la stessa cosa. Si direbbe che il cristiano non sia più un viandante, un pellegrino in una terra straniera, che anela ai rivi delle acque come la cerva assetata nel deserto, di cui parla il salmista, ma un signore soddisfatto di ciò che la vita gli offre, specialmente se i suoi sacrosanti “diritti” sono garantiti e se i suoi doveri sono ridotti al minimo indispensabile, proprio come vuole la scuola di pensiero liberale, con tutte le sue derivazioni più o meno legittime, più o meno spurie, marxismo e radicalismo innanzi tutti.
Il lettore resterà invece sorpreso, forse, nel sapere che le parole sopra citate sono di sant’Atanasio di Alessandria, e che il contesto storico cui appartengono è quello dell’eresia ariana, dilagante ai tempi dell’imperatore Costanzo II (337-361), figlio di Costantino il Grande; e, più precisamente, che tali parole erano rivolte a quei vescovi, a quei sacerdoti e a quei fedeli, i quali, stanchi di lotte e di tensioni all’interno della Chiesa, si erano adattati a un compromesso dottrinale con gli ariani, compromesso che non solo indeboliva la divinità di Cristo, ma che, come logica conseguenza, introduceva quell’atteggiamento relativista, quietista e, in fondo, opportunista e scettico, da lui denunciato con tanta forza (la citazione è ripresa da Corrado Gnerre, Attualità di Sant’Atanasio, pubblicato in rete su Confederazione Civiltà Cristiana il 3 settembre 2014). Come si vede, il nostro tempo non è il solo in cui la fede cattolica è sembrata scricchiolare dalle fondamenta. Il mondo, sbalordito, si è svegliato ariano, lamentava san Gerolamo, negli stessi anni (il 355 circa); così come noi potremmo dire: I cattolici, inconsapevoli, si sono svegliati modernisti.
C’è una straordinaria consonanza fra le denunce lanciate da sant’Atanasio ai cattolici “moderati” del suo tempo, i quali, mutatis mutandis, si possono accostare, senza neanche troppo forzare le cose, ai cattolici liberali e progressisti dei nostri giorni, così come gli ariani si possono accostare ai modernisti; con la sola, notevole differenza, che gli ariani si presentavano come tali, cioè, in buona sostanza, come negatori della piena ed intera natura divina del Cristo, che sostenevano essere stato anch’egli creato dal Padre, mentre, in origine, non esisteva; invece i modernisti dei nostri giorni rifiutano di qualificarsi come tali, ma sono esattamente gli stessi che san Pio X vide e riconobbe chiaramente, ai primi del ‘900, per ciò che erano: dei negatori della divinità di Cristo, che, secondo loro, non si può ricavare dalle Scritture; anzi, degli scettici per i quali non si può sapere chi sia stato realmente Gesù Cristo, visto che quello della fede non è certamente lo stesso Gesù della storia, ma una costruzione successiva, elaborata a posteriori. E questa non è certo l’unica analogia fra arianesimo e modernismo, ma, se ci prendessimo la briga di esaminare e confrontare gli altri principali enunciati delle due correnti, scopriremmo che, in molti casi, essi sono quasi perfettamente sovrapponibili. Certo non parlava a caso, san Pio X, allorché definiva il modernismo, nell’enciclica Pascendi, come la sintesi di tutte le eresie; talché potremmo definire l’arianesimo come quella forma di modernismo che sconvolse e che, per un momento, sembrò conquistare la Chiesa, nel IV secolo (con una coda, di ben tre secoli, che arriva fino al VII, relativa ai popoli germanici, convertiti al cristianesimo nella versione ariana), e, per converso, il modernismo che attanaglia oggi la Chiesa e sembra averne conquistato i vertici e una larga parte della stessa base, come la versione rivista e corretta, ma sostanzialmente la stessa, dell’antica eresia ariana.
La cosa principale che le due eresie hanno in comune, oltre alla negazione, o alla forte messa in dubbio, o alla proclamata inconoscibilità, della natura divina di Gesù Cristo (un punto veramente capitale, perché, una volta stabilito quello, l’intera costruzione del cristianesimo, così come lo abbiamo sempre conosciuto e vissuto, viene giù, rovinosamente e irrimediabilmente, come il pendio d’una montagna in fase di smottamento), è l’atteggiamento del cristiano, se così lo si potesse ancora chiamare, nei confronti del mondo. Sia per l’arianesimo, sia per il modernismo, la conseguenza logica e necessaria dell’avere messo in dubbio, sminuito o negato la divinità di Cristo – e quindi, come è inevitabile, sia la Resurrezione di Lui, sia la Redenzione dell’umanità – consiste nel porsi in una maniera caratteristica verso il mondo di quaggiù: in una maniera che si potrebbe definire di facile accomodamento. Se Gesù Cristo era, in fin dei conti, solamente un uomo, allora anch’egli non è venuto a mostrarci la via del Cielo, ma a confermare la via del mondo; non è venuto a togliere, con il sacrificio di sé, i peccati del mondo, ma ad insegnarci che la natura umana, dopotutto, non è poi così cattiva come ci ha insegnato la teologia cattolica, gravata dal peso insostenibile del Peccato originale; e la conclusione che se ne deve trarre è che noi, qui, sulla terra, possiamo e dobbiamo cercare di vivere felicemente realizzati, paghi e contenti di quel che la vita ci offre, senza pretendere da noi stessi, o dagli altri, l’impossibile, senza pensare continuamente al peccato e senza soffocare i naturali impulsi della nostra natura. Ora, si badi, non stiamo dicendo che l’arianesimo, da parte sua, o il modernismo, dalla sua, proclamassero apertamente queste cose; del resto, né l’uno né l’altro arrivarono a negare, con schiette parole, la divinità di Cristo: non sarebbe stato nel loro stile; si imitarono ad alludervi, a suggerirla, a elaborare cavilli e sofismi teologici d’ogni tipo per renderla poco verosimile e per fiaccare la fede in essa dei credenti. Sarebbe tropo bello se le eresie si presentassero, fin dall’inizio, apertamente, e, diciamo così (tanto per capirci), lealmente, per quel che sono: ciò non è mai accaduto; al contrario, esse si appropriano di una parte della verità cristiana, e la sbandierano, la assolutizzano, a spese dell’altra parte di quella verità, che pongono tra parentesi, o che negano addirittura, ma evitando, di solito, di farlo in maniera esplicita, per non scandalizzare e non allontanare prematuramente le persone. Gli eretici, infatti, preferiscono agire con una certa dose di prudenza, di cautela, quasi di pudore, per meglio circuire le anime e portarle là dove essi vogliono, cioè nell’errore e nell’apostasia dalla fede. Del resto, per farci persuasi della profonda analogia esistente fra l’antica eresia ariana e la recente eresia modernista, proviamo a rileggere le parole di sant’Atanasio, soffermandoci a riflettere su di esse, punto per punto, tenendo presente questa chiave interpretativa.
1) VOLETE ESSERE FIGLI DELLA LUCE, MA NON RINUNCIATE AD ESSERE FIGLI DEL MONDO.
Sembra che si stia parlando dei “preti di strada” dei nostri giorni, tutti presi e infervorati dalle cose e dai problemi di quaggiù, e di quelli soltanto; dei teologi alla Enzo Bianchi che parlano sempre di Dio in chiave terrena, umana, e non parlano quasi mai dell’ordine soprannaturale; dei sacerdoti che profanano la santa Messa con mille abusi liturgici e con sacrileghe buffonate; e di tutti quei cattolici che, per andare d’accordo con il mondo, tacciono su tutto ciò che li porrebbe in contrasto con gli altri, anche se quel silenzio grida al cospetto di Dio, e risuona come la loro inappellabile condanna.
2) DOVRESTE CREDERE ALLA PENITENZA, MA VOI CREDETE ALLA FELICITÀ DEI TEMPI NUOVI.
I vescovi, i preti e i teologi della neochiesa non parlano più della penitenza, per il semplice fatto che parlano poco e male del peccato; infatti, se ne parlano, è per dire che Dio, nella sua misericordia, rimette tutti i peccati: ma si guardano bene dal soggiungere: a condizione che il peccatore si sia veramente pentito e che invochi il suo perdono. E non solo questi falsi cristiani inseguono la felicità del mondo, e non la pace di Cristo; ma si inebriano di quella particolare felicità che viene dai tempi nuovi, perché, da buoni progressisti, s’immaginano di essere – come avrebbe detto Filippo Tommaso Marinetti – sul promontorio estremo dei secoli, e loro più in cima ancora di chiunque altro. E pazienza se Gesù ha detto: Chi non prende la propria croce e mi segue, non è degno di me.
3) DOVRESTE PARLARE DELLA GRAZIA, MA VOI PREFERITE PARLARE DEL PROGRESSO UMANO.
Il loro peccato è duplice: tacciono ciò di cui dovrebbero parlare, parlano di ciò che dovrebbero tacere. Non sono dei veri cristiani, perché al centro dei loro pensieri non c’è la Grazia, ma il progresso: non ciò che viene da Dio, ma ciò che sanno fare gli uomini. Sono dei falsi pastori, dei pastori alla rovescia: tradiscono il Vangelo, ingannano i fedeli e li traviano, ma senza averne l’aria, senza troppo sporcarsi le mani. Sono anche ipocriti, e ciò rende imperdonabile il loro modo d’agire.
4) DOVRESTE ANNUNCIARE DIO, MA PREFERITE PREDICARE L’UOMO E L’UMANITÀ.
Ecco il nocciolo di tutte le eresie moderniste: dietro la maschera della religione, ciò che esse vogliono diffondere è la celebrazione dell’uomo, il culto dell’uomo, e, naturalmente, dei suoi “sacri” diritti. Ma nessun diritto può essere sacro, se non viene da Dio; resta solo la parodia del sacro: un sacro fasullo, come fasulla è certa liturgia post-conciliare, con la santa Messa ridotta a una gazzarra, dove la gente (non osiamo dire: “i credenti”) si presenta in canottiera, calzoncini corti e sandali infradito, riceve la santa Comunione in piedi e portandosela orgogliosamente in bocca con le proprie mani, poi canta in maniera sguaiata delle canzoncine insulse e dolciastre, magari con l’accompagnamento di chitarre e tamburelli, e col prete che si sbizzarrisce in omelie grottesche e talvolta blasfeme, il tutto in nome di una chiesa che va incontro all’umanità e, si capisce, ai poveri.
di Francesco Lamendola del 03-07-2017
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