Lettera di felicitazioni a padre Sosa.
Mi congratulo con lei per questo: ha evitato le apostasie post-cristiane, ed è tornato in qualche modo al punto zero da cui l’umanità ha cominciato la meditazione spirituale. Grazie, padre Sosa, per esser tornato all’Antico.
Ha scelto la Tradizione
Lei che dubita del Vangelo, perché “a quel tempo nessuno aveva un registratore”, e quindi si attiene all’interpretazione che né dà il gesuita Bergoglio (che quindi diventa il sostituto di Cristo e degli apostoli e della tradizione-trasmissione di 2 mila anni), ha pregato – e con quale lodevole compunzione! – in lingua pali (che era il volgare dell’e poca di Siddharta, diventata lingua liturgica) ripetendo formule che risalgono a quell’antico e grande principe Kshatria: non preoccupandosi affatto se ci fosse un registratore, senza la minima obiezione sul fatto che quelle parole vadano “contestualizzate” perché “sono espresse con un linguaggio, in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito”.
No, lo sa: i monaci buddhisti coi quali ha pregato, non solo non si pongono affatto tali inquietudini, ma ripetono salmodiando formule liturgiche invariate da due millenni e passa, in una lingua che, essendo cambogiani, è assai diversa dalla loro (il pali deriva dal sanscrito), e forse nemmeno capiscono. Non hanno bisogno di capire: è l’enunciazione in sé delle formule, ritualmente pronunciate all’interno della santa comunità o sangha, che, secondo loro, crea “meriti” in vista della Liberazione. Del resto, sanno bene cosa significano: ripetono infinitamente le Quattro Nobili Verità, lodano il Triplice Rifugio e incitano all’Ottuplice Sentiero.
Mi felicito con lei, padre Sosa, perché non ha turbato quegli asceti, come ha fatto con cattolici noi con le sue battutacce schernevoli contro il Vangelo che non si sa cosa davvero dica, e le sue derisioni sulla credenza nel demonio, che per lei è un simbolo e una metafora, una vecchia superstizione che la modernità ha sfatato. E’ stato bello vederla adottare con rispetto la Tradizione, l’Antico e il Classico. Pre-cristiano, dunque non anticristiano. Bravo, bene.
Io tradisco qui una grande ammirazione personale per il Buddha e il buddhismo: la più alta manifestazione di spiritualità possibile ad un uomo che aspira alla Salvazione suprema, “prima della Rivelazione”. Non condivido affatto il troppo ripetuto luogo comune per cui il buddhismo è ateismo. Siddharta Gautama – stirpe regale e non sacerdotale, misterioso analogon di Cristo – reagiva contro l’idolatria superstiziosa dei milioni dei divinità dell’induismo del suo tempo, dei suoi eccessi fachirici o nichilisti ( fedeli di Kali si facevano stritolare dal grande carro della Dea durante le processioni); insomma, come Gesù reagisce e polemizza col fariseismo ebraico, il Buddha storico va compreso all’interno del contesto culturale indiano dell’epoca, della sua cultura. Come il cattolicesimo nasce da una religione da cui si dichiara secondario e unito per sempre, così il Buddha rettifica e rivoluziona l’induismo basso, magico e idolatrico; rifiuta le caste; e riporta questo insieme di credenze all’essenziale, direi, vedantino, upanishadico.
No, il buddismo non è, come ha scritto l’amico Aldo Maria Valli, “un sistema etico e spirituale che ha l’obiettivo di permettere la piena realizzazione dell’individuo in vista del raggiungimento della felicità”: quello è il fine delle signore-bene di Milano quando vanno al corso di yoga o di stretching, “stare bene con se stesse”. No. Ben lungi dal promettere “la piena realizzazione dell’individuo”, il Buddha mira all’Estinzione. Precisamente, all’estinzione dell’Io. Se vogliamo continuare il gioco delle analogie, che altro dice Paolo quando dice: “Sono stato crocifisso in Cristo, e non sono più “io” che vivo, ma Cristo vive in me”?
Tacciano i catto-talebani
E qui sento già le strida dei nostri amici tradizionalisti, talebani del cattolicesimo: Blondet è gnostico! Esoterico! L’abbiamo scoperto con le mani nel sacco!
Ora, non ho bisogno, per rafforzare la mia fede, di proclamare che le altre sono sataniche. Ciò vale ancor più per le vie di salvezza asiatiche che il Cristo non l’hanno conosciuto, essendo immensamente più antiche. Mi commuove sapere che per millenni, altre umanità, si sono poste la questione centrale, la più realistica, precisamente quella che l’uomo occidentale d’oggi non si pone più, a suo danno eterno: “Non mi basta l’aldiquà. Ci dev’essere un modo per uscirne, e giungere all’Assoluto. Un guado, un sentiero di Liberazione”. E l’hanno cercato, fornendo metodi accertati ed eroici di “uscita” dal mondo.
Cari amici taleban-cattolici, io pretenderei da parte vostra, verso il Buddismo e il Vedanta, quello stesso rispetto ed ammirazione che Agostino aveva per Platone e Socrate, san Gerolamo per Cicerone, San Tommaso d’Aquino per Aristotile. Non sentivano il bisogno di ricordarci ogni cinque secondo che quelli erano pagani, che erano sicuramente all’inferno perché non avevano la fede; si abbeveravano, e facevano loro, la parte di verità che avevano donato alla nostra civiltà.
Con questa aggiunta: oltretutto, non trovo nulla di anticristiano nell’aver sempre presente l’impermanenza di tutte le cose quaggiù, la constatazione che la vita è dolore, l’esercizio della compassione universale verso tutti gli esseri viventi.
(Sull’impermanenza, ho giusto letto un passo della Imitazione di Cristo: “Se ami le ricchezze, le pompe mondane, i difetti della carne, rifletti quanto siano fragili e caduchi! Ché tutte le cose del mondo passano come sogni”).
Dunque, per tornare a padre Sosa: io la lodo, padre. Mi congratulo per come ha pregato coi buddhisti. Non vorrei l’avesse fatto per “costruire ponti” per “la pace”, perché in fondo per lei una liturgia vale l’altra, e tutte valgono nulla. La sua compunzione mi dà una speranza.
“Ancora uno sforzo”, come diceva il Marchese De Sade: si faccia buddhista davvero, ci guadagna in spiritualità. Anzi, porti con sé nel buddhismo i tanti suoi confratelli gesuiti, che ne hanno tanto bisogno, perché mica si può vivere di Rahner e di Bultmann e di giudaismo e di modernismo e fingersi religiosi. Libererebbe loro, e libererebbe noi; perché devo dirglielo, da quando voi gesuiti avete preso il potere in Vaticano, nel noto golpesudamericano, vi si nota soprattutto per una cosa: la grossolanità culturale, la mancanza di finezza intellettuale. I suoi confratelli, nel sito ufficiale, hanno salutato in lei “el primer Superior Jesuita en bautizarse budista», mentre dovrebbero sapere che non esiste un battesimo fra i buddhisti.
Siete diventati più ignoranti di monsignor Galantino, che non conosce la Scrittura e si è convinto che Dio – avendo finalmente imparato la misericordia da Bergoglio – abbia salvato Sodoma. Invece l’ha incenerita…(ma chi può dirlo? Mica c’era un registratore, all’epoca). Tale ignoranza e rozzezza, in gesuiti, è disonorevole. No, davvero, avete bisogno di diventare Buddhisti.
Con gli occhi della speranza la vedo, padre Sosa: rasata la testa, rasato il baffetto malandrino, vagare con la coppa del riso perché il monaco mangia solo quel che gli è offerto (tranquillo, il popolo buddhista essendo credente, dà con abbondanza) e fare un solo pasto al giorno.
In perfetta castità, povertà e frugalità, obbedire e passare le giornate a salmodiare in coro le liturgie in pali. Pre-cristiano, è meglio che anti-cristiano. Coraggio, “ancora uno sforzo”.
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