ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 25 agosto 2017

Ccà nisciuno è fesso


QUA' NESSUNO E' FESSO

La questione del Concilio è tutta qui: si può aggiornare il sacro deposito? Cari cattolici progressisti abbiate un po’ di rispetto se non per la vera dottrina che siete ben decisi a sovvertire almeno per l’altrui intelligenza 
di Francesco Lamendola  

Perché venne convocato il Concilio Vaticano II? Come nacque l’idea di indirlo, in un papa anziano, quasi ottantenne, e appena eletto, come Giovanni XXIII: in un papa, cioè, che sapeva benissimo di essere stato eletto come soluzione temporanea, in vista di un pontificato breve, di transizione, e di non avere alcuna probabilità di condurre a termine un concilio, né, forse, stanti i tempi necessari per la preparazione, nemmeno di vederlo adunato e avviato nelle sue prime sessioni?  Ma, soprattutto: che cosa si proponeva di fare, esattamente, convocandolo, dato che sapeva benissimo come anche il suo predecessore, Pio XII, ne avesse avuto l’idea, ma poi vi avesse rinunciato, non tanto per ragioni di età o di fatica personale, quanto per i dubbi circa i possibili esiti, alla luce del fatto, abbastanza palese, che una scomposta febbre di novità percorreva le file del clero e si era diffusa anche tra i vescovi e dei cardinali, alcuni dei quali erano stati infiltrati dalla massoneria e inquinati dalle idee del modernismo?

Circa le ragioni che lo avevano convinto dell’opportunità di convocare un concilio ecumenico, il papa fu estremamente evasivo e, a dire la verità, non troppo convincente: disse che l’idea gli era venuta “quasi all’improvviso” e che, avendola comunicata, “con semplicità”, ai cardinali del sacro Collegio, nella ricorrenza della conversione di san Paolo, il 25 gennaio, essi ne furono subito commossi, “come se brillasse un raggio di luce soprannaturale”. E lì, invece di spiegare un po’ meglio la genesi dell’idea, si abbandonò alla poesia lirica: disse che quel raggio si era riflesso sul volto e nello sguardo di tutti, paragonando implicitamente la sua iniziativa ad una specie di seconda Pentecoste; dopo di che, non si sa se per un eccesso di orgoglio o per una incomprensibile ingenuità, aggiunse che il mondo intero si era messo ad attendere impazientemente il grande evento, ammettendo, così, sia pure in via indiretta, che il Concilio,  prima ancora di riunirsi, era già sotto i riflettori e, quindi, sotto la pressione fortissima dei mass media del mondo intero. Il che fa pensare che, nella sua mente, l’opera dello Spirito Santo e quella dei poteri forti che controllano i mezzi d’informazione mondiali, a cominciare dalla stampa e dalla televisione, si erano “incontrate” per spingere la Chiesa verso il sospirato rinnovamento. Naturalmente, Giovanni XXIII non disse nulla del genere: ma era tutto presente nelle sue parole, se i concetti da lui espressi devono essere presi sul serio e non come un esercizio di oratoria. Quale pontefice, prima di lui, si sarebbe mai sognato di considerare come un fattore positivo l’aspettazione del mondo, rispetto a un evento schiettamente e puramente religioso, come la riunione di un concilio ecumenico? Quale papa non avrebbe intuito la gravità della minaccia rappresentata da una attenzione spasmodica, e certamente non neutrale, da parte della società profana, nei confronti del concilio? Ma per lui, questo non era un problema; al contrario, come vedremo, egli era convinto che il momento per indire un concilio fosse quanto mai favorevole, e ciò proprio dal punto di vista della società profana, perché, secondo lui, l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose (4, 4). Strano ragionamento, in tutti i casi: da un punto di vista cattolico, ogni momento è buono per indire un concilio, se nella Chiesa, e quindi anche nell’assemblea dei padri conciliari, è vivo e operante lo Spirito Santo; se non lo è, nessun potere di questo mondo, nessuna circostanza favorevole della società profana, potrebbero mai rimediare a un tale peccato d’origine, e sostituire la presenza stessa di Dio.
Disse testualmente papa Giovanni nel suo discorso d’apertura del Concilio:

Nell’indire questa grandiosa assemblea, il più recente e umile Successore del Principe degli Apostoli, che vi parla, si è proposto di riaffermare ancora una volta il Magistero Ecclesiastico, che non viene mai meno e perdura sino alla fine dei tempi; Magistero che con questo Concilio si presenta in modo straordinario a tutti gli uomini che sono nel mondo, tenendo conto delle deviazioni, delle esigenze, delle opportunità dell’età contemporanea (2, 2).
Quanto all’origine e alla causa del grande avvenimento per il quale Ci è piaciuto adunarvi, è sufficiente riportare ancora una volta la testimonianza, certamente umile, ma che Noi possiamo attestare come sperimentata: la prima volta abbiamo concepito questo Concilio nella mente quasi all’improvviso, e in seguito l’abbiamo comunicato con parole semplici davanti al Sacro Collegio dei Padri Cardinali in quel fausto 25 gennaio 1959, festa della Conversione di San Paolo, nella sua Patriarcale Basilica sulla via Ostiense. Gli animi degli astanti furono subito repentinamente commossi, come se brillasse un raggio di luce soprannaturale, e tutti lo trasparirono soavemente sul volto e negli occhi. Nello stesso tempo si accese in tutto il mondo un enorme interesse, e tutti gli uomini cominciarono ad attendere con impazienza la celebrazione del Concilio (3, 1).
Illuminata dalla luce di questo Concilio, la Chiesa si accrescerà, come speriamo, di ricchezze spirituali e, attingendovi il vigore di nuove energie, guarderà con sicurezza ai tempi futuri. Infatti, introducendo opportuni emendamenti ed avviando saggiamente un impegno di reciproco aiuto, la Chiesa otterrà che gli uomini, le famiglie, le nazioni rivolgano davvero le menti alle realtà soprannaturali (3, 4).
C’è inoltre un’altra cosa, Venerabili Fratelli, che è utile proporre alla vostra considerazione sull’argomento. Ad aumentare la santa letizia che in quest’ora solenne pervade i nostri animi, Ci sia cioè permesso osservare davanti a questa grandiosa assemblea che l’apertura di questo Concilio Ecumenico cade proprio in circostanze favorevoli di tempo (4, 1).
Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa (4, 2).
A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo (4, 3).
Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa (4, 4).
Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace (5, 1).
Ma il nostro lavoro non consiste neppure, come scopo primario, nel discutere alcuni dei principali temi della dottrina ecclesiastica, e così richiamare più dettagliatamente quello che i Padri e i teologi antichi e moderni hanno insegnato e che ovviamente supponiamo non essere da voi ignorato, ma impresso nelle vostre menti (6, 4).
Per intavolare soltanto simili discussioni non era necessario indire un Concilio Ecumenico. Al presente bisogna invece che in questi nostri tempi l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi, in quella maniera accurata di pensare e di formulare le parole che risalta soprattutto negli atti dei Concili di Trento e Vaticano I; occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. Va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale (6, 5).

C’è qualcosa che non funziona, qualcosa di non cattolico, nel ragionamento secondo il quale il momento storico sarebbe favorevole all’indizione del Concilio e che, quindi, bisogna approfittarne, così come si deve approfittare di un autobus che sta passando, perché potrebbe essere l’ultima corsa utile a disposizione; e ciò su due differenti piani. Sul piano contingente, il giudizio di papa Giovanni, compresa la valutazione sprezzante a proposito dei cosiddetti “profeti di sventura”, si è rivelato completamente sbagliato: non solo il momento non era favorevole, e c’erano gli indizi per vederlo e per capirlo, ma si è rivelato, semmai, estremamente negativo e sfavorevole. Di lì a pochissimo, Paolo VI, che ebbe il compito di portare i lavori del Concilio a conclusione, osservò che ci si aspettava la primavera, invece era  arrivato l’inverno. I seminari si sono svuotati proprio negli anni del Concilio; e, quel che è peggio, in quegli anni vi sono entrate le idee eterodosse del neomodernismo, sviando quelli ch’erano rimasti e che poi, ordinati sacerdoti, hanno diffuso l’errore fra i loro parrocchiani. Alcuni di essi hanno fatto carriera, sono diventati vescovi e cardinali: e così il modernismo è arrivato nelle alte gerarchie e ha potuto esercitare la sua pressione anche dall’alto, oltre che dal basso, sospingendo la Chiesa verso la disastrosa situazione attuale. Eppure, ripetiamo, c’erano tutti gli indizi per presagire una simile deriva: Pio XII li aveva visti e per tale ragione non aveva voluto convocare il Concilio; Giovanni XXIII ritenne di vederli, e sbagliò clamorosamente. Sbagliò anche nel valutare le possibili convergenze con l’ideologia marxista, e sbagliò, più di lui, Paolo VI, il che ebbe un pessimo effetto in due sensi: nei Paesi occidentali, aprendo la porta al dilagare di un punto di vista non cattolico fra i cattolici, sotto le vesti, apparentemente accettabili, di uno sforzo per l’eguaglianza e la giustizia sociale; nei Paesi a regime comunista, sacrificando e abbandonando al loro destino i cattolici colà perseguitati, in nome del “dialogo” con l’Unione Sovietica, e trattando i vari Mindszenty e i vari Stepinac come dei benintenzionati guastafeste, che rovinavano il “proficuo” dialogo con quei governi. Per capire l’assoluta incompatibilità fra comunismo e cattolicesimo, e per porre un altolà alla deriva ideologica della teologia verso le posizioni di sinistra, vedi la cosiddetta teologia della liberazione, ci vorrà un papa polacco, come Giovani Paolo II, il quale, venendo da un Paese dove il comunismo non era una bella utopia, ma una tragica realtà, sapeva come stessero le cose per davvero. Intanto, però, andarono perduti circa due decenni, durante i quali molti cattolici si traviarono – vedi don Giulio Girardi e i suoi “cristiani per il socialismo”, o, più recentemente, i vari don Andrea Gallo sparsi per il mondo cattolico, non solo in Italia – e molti preti “di strada” incubarono l’infezione marxista, più o meno senza rendersene conto, per poi trasmetterla, a cascata, sui giovani coi quali erano a contatto, sia consacrati che laici.
Ma la penetrazione dell’ideologia marxista nel cattolicesimo fu solo un aspetto della penetrazione delle idee e degli stili di vita del mondo moderno nel cattolicesimo. Un altro aspetto, specularmente opposto, fu quello del consumismo, dell’edonismo, dell’egoismo di matrice liberale, e del crescente disordine sessuale che l’imitazione della american way of life comportava. Anche da questa parte vennero portate ferite tremende alla concezione cattolica della vita e ai comportamenti pratici di milioni di cattolici: la crisi della famiglia ha inizio da lì; e tutto quel che è accaduto dopo, dall’introduzione del divorzio, e poi dell’aborto, nella legislazione dei Paesi cattolici, fino all’approvazione delle unioni di fatto e delle unioni omosessuali, con relativo diritto di adozione dei bambini, di fecondazione eterologa e di utero in affitto, parte da lì. Tutto questo era prevedibile, perché era visibile: Giovanni XXIII è stato eletto nel 1958, ossia al culmine del “miracolo economico”; e gli anni del boom sono stati appunto quelli nei quali la morale cattolica ha incominciato a sgretolarsi, e la mentalità cattolica a divenire subalterna rispetto alla mentalità profana. Cattolici, ma per la libertà sessuale; cattolici, ma per il divorzio; cattolici, ma favorevoli all’aborto; cattolici, ma liberi di pensarla a modo loro, praticamente su tutto, anche per ciò che riguarda la sfera morale e persino quella teologica; cattoliche, ma rigorosamente femministe, e persino suore, ma femministe, e magari lesbiche dichiarate (sono stati centinaia e centinaia i casi del genere, fin d’allora, specie negli Stati Uniti d’America): tutte queste aberrazioni, queste follie, queste forme di anarchismo e di vero e proprio sdoppiamento schizofrenico, hanno incominciato a diffondersi a partire dagli anni del boom: dapprima nella vita pratica delle persone, e poi, poco dopo, anche a livello teorico, per iniziativa di pretesi intellettuali, alcuni dei quali erano sacerdoti, vescovi e sedicenti teologi cattolici. Com’era possibile giudicare proprio quegli anni come un periodo particolarmente favorevole per convocare un Concilio ecumenico, il quale non discutesse di questioni dottrinali o disciplinari, ma che pretendesse di rivedere, da cima a fondo, i modi e i tempi dell’annuncio evangelico, nonché di “approfondire” il sacro deposito della fede? Il papa si prendeva il lusso di fare dell’ironia sui profeti di sventura(ma il compito dei profeti è quello di annunciare i lieti eventi? e da quando?); ma sarebbe sin troppo facile, oggi, mostrare quanto fosse incoerente e quasi incomprensibilmente arrischiata la sua posizione, che, per una “ispirazione improvvisa” e con una leggerezza inaudita, metteva in gioco i destini stessi della Chiesa.

La questione del Concilio è tutta qui: si può aggiornare il sacro deposito?

di Francesco Lamendola


Del 26 Agosto 2017
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