Suffragio universale o Menzogna universale? Il contrasto di fondo fra la democrazia e il bene, una verità lapalissiana: sostenere che la maggioranza ha sempre ragione è palesemente falso, assurdo e immorale
di Francesco Lamendola
Ci siamo chiesti, più volte, se sia giusto e necessario che la Chiesa cattolica riconosca la democrazia come l’ultima e definitiva forma legittima della politica, specie considerando quanti essa era distante da una simile idea ancora ai tempi di Pio IX, che, nel Sillabo, collocava la democrazia fra i grandi errori della civiltà moderna (cfr., in particolare, gli articoli La democrazia del numero serve a disorganizzare i popoli e a ridurli a “masse”, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 23/11/2015); Ma cristianesimo deve fare rima per forza con democrazia?, pubblicato su Libera Opinione il 08/03/2016, e La distruzione della coscienza è il diabolico capolavoro della democrazia totalitaria, sempre su Libera Opinione, il 06/04/2016. E questo interrogativo non dovrebbe mai spegnersi nella mente dei cattolici, perché è falso che l’unica maniera di essere leali cittadini della Stato consista nell’accettazione acritica e preliminare della democrazia quale destino finale dell’umanità, altrimenti si svolge il ruolo di cittadini sleali e, in quanto cattolici, si fornisce, eventualmente, un valido pretesto per le possibili discriminazioni e, in prospettiva, persecuzioni che già oggi vediamo profilarsi minacciose all’orizzonte: vedi il caso del predicatore cristiano che, a Londra, viene denunciato da un cittadino, arrestato dalla polizia e messo in prigione, come un comune delinquente, per aver letto in pubblico quel passo della Lettera ai Romani nel quale si parla dell’omosessualità come di un grave peccato davanti a Dio.
Intanto, non possiamo fare a meno di constatare una verità lapalissiana: sostenere che la maggioranza ha sempre ragione è palesemente falso, assurdo e immorale. Molte delle peggiori nefandezze della storia umana sono stare compiute in ossequio al volere della maggioranza; e anche nelle decisioni contingenti, legate a un preciso ambito e momento storico, la maggioranza ben raramente si è dimostrata idonea a scegliere secondo il principio del bene. E ciò per la semplice ragione che la maggioranza non esprime altro che un principio numerico e quantitativo, e mai, dico mai, un principio etico e spirituale. La maggioranza non vuole il bene; o, se lo viole, lo vuole solamente a parole; e anche questo per un’ottima ragione: che l’uomo, per sua natura, non è capace di volere il bene, o, tutt’al più, anche volendolo, non lo sa perseguire coerentemente. Gli uomini che davvero vogliono il bene e sono capaci di perseguirlo sono solo una piccola minoranza; infatti, per divenire capaci di riconoscere il bene, di volerlo e di attuarlo, hanno dovuto fare una strada molto lunga e solitaria, una strada irta di difficoltà e sacrifici, che la grande maggioranza dei loro simili evita accuratamente e che aborre come la peste. Non solo. Anche fra i pochi che sinceramente desiderano il bene, che lo cercano e che vorrebbero calarlo nella realtà concreta della loro vita, solo quelli che ricevono la grazia di Dio diventano capaci di discernerlo, di volerlo e di attuarlo; gli altri, o non lo sanno riconoscere, o non lo sanno volere, o non lo sanno attuare, pur avendone un intenso e, a loro modo, sincero desiderio. E questo perché vedere e attuare il bene non è cosa che la creatura umana sia capace di fare da se stessa; non dopo il Peccato originale, in ogni caso. Nella condizione attuale di umanità decaduta, il bene è diventato una meta troppo elevata per gli esseri umani; per poterla cercare, volere e attuare nella maniera giusta, essi hanno bisogno della grazia di Dio. Ma la grazia di Dio non è data a chiunque, e non è in potere dell’uomo chiederla e averla; l’uomo può bensì chiederla, ma è Dio che la dà, se vuole, a chi vuole, sempre secondo il principio fondamentale della Sua infinita sapienza e provvidenza. In altre parole, non è per un capriccio che alcuni uomini la ricevono, e altri no: le grazie di Dio sono distribuite generosamente e sono disponibili per tutti, ma secondo criteri che sfuggono alla nostra capacità di giudizio. Se noi potessimo comprendere perché certi uomini e donne ricevono il dono della grazia di Dio, magari anche fra coloro i quali, apparentemente, non l’avevano mai cercata, mentre altri non la ricevono, pur avendola, in apparenza, cercata e desiderata a lungo, allora noi saremmo pari a Dio. Invece poco vediamo, poco capiamo, poco siamo capaci d’intendere: dobbiamo sempre ricordare che le vie del Signore non sono le nostre, e che i Suoi doni soprannaturali – perché la grazia è un dono soprannaturale – vengono distribuiti in base alla Sua misteriosa sapienza, e non secondo quelli che a noi sembrano i nostri “meriti”, e che chiamiamo con questo nome. Una cosa è certa: chi riceve la grazia di Dio, in virtù di quel dono, annulla la propria volontà, o meglio, la fonde con quella stessa di Dio: da quel momento, egli vede ciò che Dio vede, anche se è invisibile agli altri; vuole ciò che Dio vuole, anche se parrebbe follia; e fa quel che Dio vuole ch’egli faccia. Questo è il grande mistero della santità: il mistero per cui l’anima in grazia di Dio possiede un discernimento straordinario, una sapienza che supera ogni sapere umano (e il santo è, magari, un bambino o una persona ignorante), una energia e una capacità di resistenza superiori all’umano. Fidandosi interamente di Dio, l’anima in grazia di Lui sa quel che fa, anche quando pare che agisca da pazzi: come faceva don Bosco a ordinare che i “suoi” ragazzi si mettessero in fila, per ricevere tutti una pagnotta, pur sapendo benissimo che c’erano solo pochi pani in dispensa, assolutamente insufficienti a sfamarli tutti? Eppure, lo sapeva: non con la mente ordinaria, ma con il dono della Grazia di Dio, che lo illuminava in maniera soprannaturale. E che ha voluto replicare, per quei ragazzi affamati e per quel povero prete pieno di fede, il miracolo biblico dei pani e dei pesci.
Ora, tornando alla democrazia, se la maggioranza degli uomini, per definizione, e specialmente quando sono “massa”, come è proprio della civiltà moderna, è del tutto incapace di compiere scelte etiche, ma prende sempre decisioni secondo il principio dell’egoismo e della irresponsabilità, è chiaro che esiste un contrasto di fondo fra la democrazia e il bene. Ma il bene, per il cristiano, non è un concetto astratto e generico: il Bene, per lui, è Dio; e non un dio generico, non il “dio” di Sosa Abascal, il dio dei buddisti (che non ce l’hanno), o dei giudei, o degli islamici, ma il Dio che si fa Uomo, che soffre e muore sulla croce per riscattare l’umanità dal peccato, viene sepolto e risorge il terzo giorno, per tornare alla destra del Padre, e mandare agli uomini lo Spirito Santo, affinché resti con loro ogni giorno, sino alla fine del mondo. Dio, però, non è democratico: non riconosce i principi della democrazia, così come non riconosce alcun principio delle ideologie umane. Dio è l’Assoluto, e, semmai, può essere paragonato a un re: il Re dell’Universo; ma, naturalmente, non nel senso umano della parola; per cui, quando si parla di Cristo Re, non s’intende dire che egli è un re a somiglianza dei re di questo mondo, perché Egli stesso ha detto: il mio Regno non è di questo mondo. La democrazia, da parte sua, si esprime nel concetto della sovranità popolare: un concetto elaborato dagli illuministi, e specialmente da Rousseau; ma Dio non è illuminista, e tanto meno russoviano. La sovranità popolare, poi, si traduce nel suffragio universale, in base alla norma: un uomo (e una donna), un voto. In base a questo principio, però, e sia pure rozzamente inteso e concitatamente applicato, la folla di Gerusalemme, istigata dal Sinedrio, chiese e ottenne da Pilato la liberazione di Barabba, che era un assassino, e la condanna a morte di Gesù Cristo, sebbene il procuratore romano avesse detto esplicitamente di giudicarlo innocente: Prendetelo e crocifiggetelo voi, perché io non trovo alcuna colpa in quest’uomo. Ma questa è un’altra di quelle cose che non si devono dire a voce alta, che non si devono ripetere troppo spesso; perché, anche se è scritta a chiare note nel Vangelo (ma chi lo sa se il Vangelo ce la racconta proprio giusta?, domanda il solito Sosa Abascal, non smentito dal papa e quindi, trattandosi di cosa di fondamentale importanza, tacitamente approvato), potrebbe offendere i nostri “fratelli maggiori”. Non bisogna più pregare per la loro conversione, perché il Patto dell’Antico Testamento, dice papa Francesco nella esortazione apostolica Evangelii gaudium (il 24 novembre 2013: pochi mesi dopo la sua elezione!) è irrevocato, e san Paolo sbagliò nel giudicare altrimenti. Detto in parole semplici, gli Ebrei non devono convertirsi alla fede in Gesù Cristo, perché son comunque nella verità e andranno comunque in Paradiso. Conclusione aberrante di un sedicente “dialogo” carico di ambiguità, che parte dal Concilio Vaticano II, particolarmente con la dichiarazione Nostra aetate, e prosegue in un crescendo di errori teologici e dottrinali che arriva fino a nostri giorni. Ma su ciò ci fermiamo, per non uscire dal nostro tema, e ritorniamo al rapporto fra cattolicesimo e democrazia. Volevamo solo fare un esempio di come la “maggioranza” non sia qualificata a esprimere la verità, che è sempre un fatto spirituale e soprannaturale: la ragione naturale, infatti, ce la può mostrare, ma le nostre forze non sono sufficienti a volerla, né ad attuarla.
Ha osservato Manlio Graziano nel suo libro Guerra santa e santa alleanza. Religioni e disordine internazionale nel XXI secolo(Bologna, Il Mulino, 2014, pp. 307-309):
In un’enciclica del 1881, Leon XIII ribadiva il concetto di san Paolo, secondo cui “non esiste potestà se non da Dio”, e che “il principe è ministro di Dio”. Ecco perché, nel 1874, Pio IX aveva raccomandato ai pellegrini francesi in visita a Roma di chiudere al più preso quella “piaga orrenda che affligge l’umana società, e che chiamasi suffragio universale […] piaga di struggitrice dell’ordine sociale, e che meriterebbe a giusto titolo d’essere chiamata Menzogna universale”.
Nel tempo, la posizione sulla sovranità popolare è mutata solo nei toni: per Giovanni XXIII, “non può essere accettata come vera la posizione di quanti erigono la volontà degli esseri umani, presi individualmente o comunque raggruppati, a fonte prima e unica donde scaturiscono diritti e doveri” (enciclica “Pacem in terris”, 1963). “L’autorità – proseguiva il papa del Concilio – è postulata dall’ordine morale e deriva da Dio. Qualora pertanto le sue leggi o autorizzazioni siano in contrasto con quell’ordine, e quindi in contrasto con la volontà di Dio, esse non hanno forza di obbligare, la coscienza, poiché “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”Giovanni Paolo II, a sua volta, ha confermato che le legge stabilita dall’uomo, dai parlamenti e qualunque altra istanza legislativa umana non può essere in contraddizione con la legge naturale, vale a dire con la legge eterna di Dio” (“Memoria e identità”, 2005). E per Benedetto XVI, “nessuna legge fatta dagli uomini può sovvertire la norma scritta dal Creatore, senza che la società venga drammaticamente ferita in ciò che costituisce il suo stesso fondamento basilare” (discorso al Congresso sulla legge morale e naturale, 2007). La Chiesa, ha scritto papa Francesco nell’”Evangelii gaudium”, “propone sempre con chiarezza i valori fondamentali dell’esistenza umana, per trasmettere convinzioni che poi possano tradursi in azioni politiche”.
La convinzione che la religione sia l’ultima risorsa – e la sola – per coloro che aspirano alla pace e alla giustizia non si applica solo alla politica interna di ciascun paese, ma anche, e a maggior ragione, al sistema delle relazioni internazionali.
Dopo la prima guerra mondiale, Benedetto XV si disse disposto a sostenere la Società delle Nazioni, a condizione che fosse “fondata sulla legge cristiana” (“Pacem Dei munus”, 1920). Pio XI, indispettito dal “fin de non recevoir” opposto a questa richiesta, ricordò che “non vi è istituto umano che possa dare alle nazioni un codice internazionale, rispondente alle condizioni moderne, quale ebbe, nell’età di mezzo, quella vera società di nazioni che fu la cristianità” (enciclica “Ubi arcano”, 1922).
Nel 1945, la Chiesa scelse canali più discreti. Secondo il gesuita Joseph S. Rossi, ottenne di includere propri consulenti nella delegazione statunitense alle Nazioni Unite, allo scopo di “cattolicizzare” la Carta dell’ONU”; ma in seguito alla “rinuncia dell’UNCIO [UN Conference of International Organization, nota come Conferenza di San Francisco] a plasmare le nazioni Unite nello spirito di Pio XII e del suo predecessore Benedetto XV”, il papa volse le spalle all’ONU, citandola pubblicamente due volte sole tra il 1948 e il 1956 (la Santa Sede ne diventerà osservatore permanente solo nel 1964).
Certo, di questi tempi, il papa ha sufficiente coraggio per dire che Dio non è cattolico, scandalizzando (e a ragione) milioni di fedeli, ma non ce l’ha per dire che Dio non è democratico, cosa che scandalizzerebbe i non cattolici, la cui simpatia, invece, gli sta a cuore moltissimo. Del resto, a partire dalla “svolta” del 1944-45 (si noti la “coincidenza”: quando la Seconda guerra mondiale stava per finire con la vittoria totale delle democrazie massoniche, cui si era aggregato il totalitarismo sovietico), nessun papa ha più osato ribadire il concetto espresso da Pio X; e tutti, in misura più o meno esplicita (perciò non siamo d’accordo, in questo, con Manlio Graziano), hanno reso omaggio alla “superiorità”, anzi, alla legittimità esclusiva del principio democratico su ogni altra forma di governo. Questa scelta ha messo la Chiesa cattolica in buoni rapporti con il mondo moderno, ma l’ha posta in contraddizione con se stessa.
Suffragio universale o Menzogna universale?
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