Il documento del Papa sulla Giornata dei Migranti 2018 ha colpito molto Pezzo Grosso, ma non solo. Era in Francia per lavoro, ne ha discusso, come vedrete, con altri Pezzi Grossi come lui e insieme hanno stilato qualche riflessione…
“Caro Tosatti, quando ho letto il suo Stilum Curiae sul messaggio del Papa per la giornata del migrante ero in Francia ed ho commentato il documento con amici francesi sia cattolici che “laicissimi”. Le riporto sintetiche considerazioni sperando possano esser utili alla nostra povera chiesa cattolica, magari venendo portate da qualche suo pio lettore all’attenzione di qualche membro della Gerarchia che ancora prega, si genuflette davanti al Santissimo, si confessa e, soprattutto, riflette. Vediamo.
Primo punto di riflessione: a leggere le dichiarazioni che avrebbe scritto il Papa (“accogliere, proteggere, promuovere e integrare gli immigrati”), ci è venuto da ridere; primo perché mancava il primo verbo infinito essenziale: “prelevare“, secondo perché tutto ciò implica una altro verbo infinito omesso: “sostituire (i nativi)”. Ma come può la massima Autorità Morale al mondo fare queste dichiarazioni senza una particolare competenza e conoscenza della materia, senza alcuna spiegazione delle circostanze di cause ed effetti a cui si riferisce?
Secondo punto di riflessione: è parso evidente ai miei amici francesi che queste dichiarazioni fatte “sans réfléchir”, siano state in qualche modo “forcé”. Appare evidente che son prova di grande debolezza di questo pontificato forzato a dire cose a lui imposte dai suoi “elettori”. Dichiarazioni infatti troppo incredibili, dannose e sbagliate per essere concepite razionalmente o anche solo spiritualmente per il bene di esseri umani, come dichiarato.
Terzo punto di riflessione: il mondo laico-laicista comincia a non poterne più poiché percepisce il rischio di errori irreversibili dovuti alla confusione tra bene e male, tra giusto e ingiusto. E aggiungerei: tra ciò che è santo e quello che solo lo sembra. Questa preoccupazione del mondo laico crea rischi di reattività dello stesso contro la nostra Chiesa. I miei amici francesi non si meraviglierebbero se a breve non si intervenisse sui suoi grandi “elettori” poiché il rischio di degenerazione è sempre più evidente; qualcuno prevede e attende infatti a breve un documento (di questo pontificato) di condanna per atteggiamenti di islamofobia. Siamo ormai arrivati in fondo, come si dice.
Quarto punto di riflessione: manifestamente la i Vertici della Curia romana e italiana sono sempre più divisi; i toni delle dichiarazioni del Segretario di Stato (Parolin) e del Presidente della CEI (Bassetti) divergono da quelle del Pontefice. Si dimetteranno a breve o verranno licenziati anche loro ? Quanto durerà tutto ciò?“.
In effetti l’ultima questione, in particolare, appare interessante. Forse non tanto per quel che riguarda il Papa, quanto per correnti ecclesiali che si fronteggiano, una per la ragionevolezza, e l’altra per l’immigrazionismo selvaggio. Fra l’altro che senso ha pubblicare con cinque mesi di anticipo sulla data dell’evento un documento del genere, proprio mentre in Italia scotta il problema dello Ius Soli, e quello dell’immigrazione e dell’integrazione sono al calar bianco in tutta Europa? O siamo davanti a un errore clamoroso di tempestività della comunicazione vaticana, oppure bisogna pensare a un volontario aiuto ad alimentare polemiche e divisioni. Ma che cosa sta succedendo dietro quelle Mura leonine (che restano comunque invalicabili, beninteso…).
P.S.: La citazione di Benedetto XVI in tema di sicurezza personale e nazionale non è corretta, come potete leggere QUI. Ma non si fa….
IL PAPA: PRIMA LA SICUREZZA DEI MIGRANTI, POI QUELLA
NAZIONALE. SÌ ALLO IUS SOLI. NO AI REQUISITI DI LINGUA.
Il Vaticano ha reso noto il messaggio firmato dal Pontefice per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che sarà celebrata il 14 gennaio del 2018.
Vi invito a leggere il testo integrale del messaggio, che pubblico qui sotto.
Non so chi sia il/i monsignore/i che l’hanno aiutato nella stesura del testo, che porta la sua firma, e che come tale ha il valore di un monito del Papa al mondo. E’ un messaggio planetario, e di conseguenza non si può, secondo me, dire che il Pontefice in esso prende posizione sul problema tutto italiano e piddino dello “Ius soli”. Il Pontefice indica quelle che sarebbero le soluzioni ottimali e auspicabili in un mondo idilliaco, utopico; se poi ci sono delle ricadute congiunturali su singole situazioni nazionali, questo è un problema delle singole nazioni. Certo è un bell’assist al governo e alle forze che lo sostengono, e d’altronde condividono con la Chiesa italiana gli oneri e soprattutto – vedi Cooperative e così via – gli onori di quel bel business che sono i migranti.
Ma alcune osservazioni, anche ad una lettura certamente superficiale e non meditata, balzano agli occhi. Così come alcune omissioni. E cosa pensare del “timing” della pubblicazione del documento, nel momento in cui dalla Spagna alla Finlandia l’Europa sta piangendo i suoi morti?
Uno di essi è il punto in cui si afferma, tirando in mezzo Benedetto XVI per coprirsi le spalle, che “Il principio della centralità della persona umana, fermamente affermato dal mio amato predecessore Benedetto XVI, ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale”. Cioè, per ospitare meglio i migranti è preferibile mettere a rischio la sicurezza del Paese che li ospita (e dunque, anche la loro)? È un singolare principio, che certamente non è applicato in Vaticano, e nei Palazzi – tipo quello di piazza San Calisto – dove entrare senza controlli, appuntamenti, riconoscimenti ecc. ecc. è impossibile a tutti, figuriamoci a migranti magari un po’ pericolosi…
L’altro punto – ma ce ne sono numerosi, in questa carta ideologica stilata per un mondo irreale – riguarda l’integrazione. “L’integrazione non è un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale”. Ma Santità, il problema con cui l’Europa, e in generale il mondo occidentale, è proprio questo: che una certa cultura non ha nessun desiderio di aprirsi e integrarsi, anzi, crea all’interno di società certamente aperte e accoglienti, dei Belgistan, Londonistan, e così via. Si faccia dire quale è la realtà in Paesi come la Svezia, così aperti che non si può più scrivere sui giornali la nazionalità dei responsabili di crimini per non incitare al razzismo, e in cui alcune zone di grandi città sono fuori dal controllo dello Stato.
Santità, capisco che l’Europa e l’Occidente non le siano simpatici, ma comunque sono una cultura che ha dato molto al mondo, e che ha diritto di proteggersi, ed essere protetta come i Quechua o altre etnie indigene. O no?
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2018
[14 gennaio 2018]
“Accogliere, proteggere, promuovere e integrare
i migranti e i rifugiati”
Cari fratelli e sorelle!
«Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio» (Lv 19,34).
Durante i miei primi anni di pontificato ho ripetutamente espresso speciale preoccupazione per la triste situazione di tanti migranti e rifugiati che fuggono dalle guerre, dalle persecuzioni, dai disastri naturali e dalla povertà. Si tratta indubbiamente di un “segno dei tempi” che ho cercato di leggere, invocando la luce dello Spirito Santo sin dalla mia visita a Lampedusa l’8 luglio 2013. Nell’istituire il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ho voluto che una sezione speciale, posta ad tempus sotto la mia diretta guida, esprimesse la sollecitudine della Chiesa verso i migranti, gli sfollati, i rifugiati e le vittime della tratta.
Ogni forestiero che bussa alla nostra porta è un’occasione di incontro con Gesù Cristo, il quale si identifica con lo straniero accolto o rifiutato di ogni epoca (cfr Mt 25,35.43). Il Signore affida all’amore materno della Chiesa ogni essere umano costretto a lasciare la propria patria alla ricerca di un futuro migliore.[1] Tale sollecitudine deve esprimersi concretamente in ogni tappa dell’esperienza migratoria: dalla partenza al viaggio, dall’arrivo al ritorno. E’ una grande responsabilità che la Chiesa intende condividere con tutti i credenti e gli uomini e le donne di buona volontà, i quali sono chiamati a rispondere alle numerose sfide poste dalle migrazioni contemporanee con generosità, alacrità, saggezza e lungimiranza, ciascuno secondo le proprie possibilità.
Al riguardo, desidero riaffermare che «la nostra comune risposta si potrebbe articolare attorno a quattro verbi fondati sui principi della dottrina della Chiesa: accogliere, proteggere, promuovere e integrare».[2]
Considerando lo scenario attuale, accogliere significa innanzitutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione. In tal senso, è desiderabile un impegno concreto affinché sia incrementata e semplificata la concessione di visti umanitari e per il ricongiungimento familiare. Allo stesso tempo, auspico che un numero maggiore di paesi adottino programmi di sponsorship privata e comunitaria e aprano corridoi umanitari per i rifugiati più vulnerabili. Sarebbe opportuno, inoltre, prevedere visti temporanei speciali per le persone che scappano dai conflitti nei paesi confinanti. Non sono una idonea soluzione le espulsioni collettive e arbitrarie di migranti e rifugiati, soprattutto quando esse vengono eseguite verso paesi che non possono garantire il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali.[3] Torno a sottolineare l’importanza di offrire a migranti e rifugiati una prima sistemazione adeguata e decorosa. «I programmi di accoglienza diffusa, già avviati in diverse località, sembrano invece facilitare l’incontro personale, permettere una migliore qualità dei servizi e offrire maggiori garanzie di successo».[4] Il principio della centralità della persona umana, fermamente affermato dal mio amato predecessore Benedetto XVI,[5] ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale. Di conseguenza, è necessario formare adeguatamente il personale preposto ai controlli di frontiera. Le condizioni di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, postulano che vengano loro garantiti la sicurezza personale e l’accesso ai servizi di base. In nome della dignità fondamentale di ogni persona, occorre sforzarsi di preferire soluzioni alternative alla detenzione per coloro che entrano nel territorio nazionale senza essere autorizzati.[6]
Il secondo verbo, proteggere, si declina in tutta una serie di azioni in difesa dei diritti e della dignità dei migranti e dei rifugiati, indipendentemente dal loro status migratorio.[7] Tale protezione comincia in patria e consiste nell’offerta di informazioni certe e certificate prima della partenza e nella loro salvaguardia dalle pratiche di reclutamento illegale.[8] Essa andrebbe continuata, per quanto possibile, in terra d’immigrazione, assicurando ai migranti un’adeguata assistenza consolare, il diritto di conservare sempre con sé i documenti di identità personale, un equo accesso alla giustizia, la possibilità di aprire conti bancari personali e la garanzia di una minima sussistenza vitale. Se opportunamente riconosciute e valorizzate, le capacità e le competenze dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati, rappresentano una vera risorsa per le comunità che li accolgono.[9] Per questo auspico che, nel rispetto della loro dignità, vengano loro concessi la libertà di movimento nel paese d’accoglienza, la possibilità di lavorare e l’accesso ai mezzi di telecomunicazione. Per coloro che decidono di tornare in patria, sottolineo l’opportunità di sviluppare programmi di reintegrazione lavorativa e sociale. La Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo offre una base giuridica universale per la protezione dei minori migranti. Ad essi occorre evitare ogni forma di detenzione in ragione del loro status migratorio, mentre va assicurato l’accesso regolare all’istruzione primaria e secondaria. Parimenti è necessario garantire la permanenza regolare al compimento della maggiore età e la possibilità di continuare degli studi. Per i minori non accompagnati o separati dalla loro famiglia è importante prevedere programmi di custodia temporanea o affidamento.[10] Nel rispetto del diritto universale ad una nazionalità, questa va riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita. La apolidia in cui talvolta vengono a trovarsi migranti e rifugiati può essere facilmente evitata attraverso «una legislazione sulla cittadinanza conforme ai principi fondamentali del diritto internazionale».[11] Lo status migratorio non dovrebbe limitare l’accesso all’assistenza sanitaria nazionale e ai sistemi pensionistici, come pure al trasferimento dei loro contributi nel caso di rimpatrio.
Promuovere vuol dire essenzialmente adoperarsi affinché tutti i migranti e i rifugiati così come le comunità che li accolgono siano messi in condizione di realizzarsi come persone in tutte le dimensioni che compongono l’umanità voluta dal Creatore.[12] Tra queste dimensioni va riconosciuto il giusto valore alla dimensione religiosa, garantendo a tutti gli stranieri presenti sul territorio la libertà di professione e pratica religiosa. Molti migranti e rifugiati hanno competenze che vanno adeguatamente certificate e valorizzate. Siccome «il lavoro umano per sua natura è destinato ad unire i popoli»,[13] incoraggio a prodigarsi affinché venga promosso l’inserimento socio-lavorativo dei migranti e rifugiati, garantendo a tutti – compresi i richiedenti asilo – la possibilità di lavorare, percorsi formativi linguistici e di cittadinanza attiva e un’informazione adeguata nelle loro lingue originali. Nel caso di minori migranti, il loro coinvolgimento in attività lavorative richiede di essere regolamentato in modo da prevenire abusi e minacce alla loro normale crescita. Nel 2006 Benedetto XVI sottolineava come nel contesto migratorio la famiglia sia «luogo e risorsa della cultura della vita e fattore di integrazione di valori».[14] La sua integrità va sempre promossa, favorendo il ricongiungimento familiare – con l’inclusione di nonni, fratelli e nipoti –, senza mai farlo dipendere da requisiti economici. Nei confronti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati in situazioni di disabilità, vanno assicurate maggiori attenzioni e supporti. Pur considerando encomiabili gli sforzi fin qui profusi da molti paesi in termini di cooperazione internazionale e assistenza umanitaria, auspico che nella distribuzione di tali aiuti si considerino i bisogni (ad esempio l’assistenza medica e sociale e l’educazione) dei paesi in via di sviluppo che ricevono ingenti flussi di rifugiati e migranti e, parimenti, si includano tra i destinatari le comunità locali in situazione di deprivazione materiale e vulnerabilità.[15]
L’ultimo verbo, integrare, si pone sul piano delle opportunità di arricchimento interculturale generate dalla presenza di migranti e rifugiati. L’integrazione non è «un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprirne il “segreto”, ad aprirsi a lui per accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior conoscenza reciproca. È un processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini».[16] Tale processo può essere accelerato attraverso l’offerta di cittadinanza slegata da requisiti economici e linguistici e di percorsi di regolarizzazione straordinaria per migranti che possano vantare una lunga permanenza nel paese. Insisto ancora sulla necessità di favorire in ogni modo la cultura dell’incontro, moltiplicando le opportunità di scambio interculturale, documentando e diffondendo le buone pratiche di integrazione e sviluppando programmi tesi a preparare le comunità locali ai processi integrativi. Mi preme sottolineare il caso speciale degli stranieri costretti ad abbandonare il paese di immigrazione a causa di crisi umanitarie. Queste persone richiedono che venga loro assicurata un’assistenza adeguata per il rimpatrio e programmi di reintegrazione lavorativa in patria.
In conformità con la sua tradizione pastorale, la Chiesa è disponibile ad impegnarsi in prima persona per realizzare tutte le iniziative sopra proposte, ma per ottenere i risultati sperati è indispensabile il contributo della comunità politica e della società civile, ciascuno secondo le responsabilità proprie.
Durante il Vertice delle Nazioni Unite, celebrato a New York il 19 settembre 2016, i leader mondiali hanno chiaramente espresso la loro volontà di prodigarsi a favore dei migranti e dei rifugiati per salvare le loro vite e proteggere i loro diritti, condividendo tale responsabilità a livello globale. A tal fine, gli Stati si sono impegnati a redigere ed approvare entro la fine del 2018 due patti globali (Global Compacts), uno dedicato ai rifugiati e uno riguardante i migranti.
Cari fratelli e sorelle, alla luce di questi processi avviati, i prossimi mesi rappresentano un’opportunità privilegiata per presentare e sostenere le azioni concrete nelle quali ho voluto declinare i quattro verbi. Vi invito, quindi, ad approfittare di ogni occasione per condividere questo messaggio con tutti gli attori politici e sociali che sono coinvolti – o interessati a partecipare – al processo che porterà all’approvazione dei due patti globali.
Oggi, 15 agosto, celebriamo la solennità dell’Assunzione di Maria Santissima in Cielo. La Madre di Dio sperimentò su di sé la durezza dell’esilio (cfr Mt 2,13-15), accompagnò amorosamente l’itineranza del Figlio fino al Calvario e ora ne condivide eternamente la gloria. Alla sua materna intercessione affidiamo le speranze di tutti i migranti e i rifugiati del mondo e gli aneliti delle comunità che li accolgono, affinché, in conformità al sommo comandamento divino, impariamo tutti ad amare l’altro, lo straniero, come noi stessi.
Dal Vaticano, 15 agosto 2017
Solennità dell’Assunzione della B.V. Maria
FRANCESCO
MARCO TOSATTI
http://www.marcotosatti.com/2017/08/21/il-papa-prima-la-sicurezza-dei-migranti-poi-quella-nazionale-si-allo-ius-soli-no-requisiti-di-lingua/
Due critiche laiche a Bergoglio. Su migrazioni e populismo
In questo mese d'agosto papa Francesco si è trovato ad essere contestato su due punti tra i più noti della sua predicazione. E contestato in una forma insolita: perché le critiche non gli sono venute da dentro la Chiesa ma da fuori, da voci autorevoli dell'opinione pubblica laica; e poi perché nella polemica non si è mai fatto esplicitamente il suo nome, pur essendo evidente che le critiche erano rivolte anche contro di lui.
*
Il primo punto riguarda il fenomeno migratorio. Nei giorni scorsi, una sentenza della magistratura italiana e un appello firmato da un certo numero di intellettuali dell'ultrasinistra hanno equiparato i centri di raccolta degli immigrati che dalle coste della Libia si imbarcano verso l'Italia a dei "campi di concentramento", e il rifiuto della loro accoglienza indiscriminata a uno "sterminio di massa" analogo a quello degli ebrei da parte dei nazisti.
Queste equiparazioni non sono nuove. Più volte in questi ultimi tempi si è fatto ricorso a parole come "lager", "sterminio", "olocausto" per denunciare il trattamento riservato agli immigrati da chi non li vuole accogliere senza riserve.
Ma questa volta, in concomitanza con la decisione congiunta del governo italiano e delle autorità libiche di porre un freno agli imbarchi dei migranti fin qui attuati impunemente da organizzazioni criminali a scapito della vita di molti di loro, e in concomitanza con il risoluto appoggio a questa decisione da parte del presidente della conferenza episcopale italiana, cardinale Gualtiero Bassetti, l'aberrante equiparazione tra la "non accoglienza" degli immigrati e lo sterminio degli ebrei non è più passata sotto silenzio, ma ha generato un salutare soprassalto di critiche.
Propriamente, nessuno dei critici ha fatto il nome di papa Francesco. Ma anche lui non molto tempo fa aveva definito "campi di concentramento" i campi di raccolta degli immigrati, in Grecia e in Italia.
L'aveva fatto nell'omelia pronunciata il 22 aprile nella basilica romana di San Bartolomeo all'Isola Tiberina, durante una cerimonia in memoria dei "nuovi martiri" del XX e XXI secolo.
E quella sua battuta aveva ancor più rafforzato la narrazione corrente che si fa di papa Francesco a proposito dell'immigrazione: come papa dell'accoglienza illimitata di tutti, sempre e ad ogni costo.
Perché è vero che Francesco, a questo riguardo, ha detto occasionalmente anche il contrario. Ad esempio in una delle sue conferenze stampa in aereo, di ritorno dalla Svezia il 1 novembre scorso, elogiò la "prudenza" dei governanti che pongono dei limiti all'accoglienza, perché "non c'è posto per tutti".
Così come è vero che il cardinale Bassetti ha parlato con il previo consenso del papa – a sua volta fresco di un incontro riservato con il primo ministro italiano Paolo Gentiloni –, quando lo scorso 10 agosto ha appoggiato la linea dura del governo di Roma contro "chi sfrutta in modo inumano il fenomeno migratorio" organizzando gli imbarchi dalla Libia verso l'Italia.
Ma resta il fatto che questi correttivi non hanno intaccato l'immagine di Francesco che si è imposta nei media, come paladino dell'accoglienza indiscriminata. E ci si può chiedere se ciò sia opera solo dei media oppure anche sua, vista la schiacciante preponderanza dei suoi appelli all'accoglienza e basta, rispetto al numero striminzito dei suoi elogi della "prudenza" nel governare il fenomeno migratorio.
*
Il secondo punto della predicazione di papa Jorge Mario Bergoglio che è finito sotto il fuoco della critica ha a che fare con la sua visione politica complessiva, ostile sia alla globalizzazione, in cui vede prevalere effetti perversi, sia alle politiche liberiste, da lui frequentemente bollate come "economia che uccide".
In un editoriale sul "Corriere della Sera" del 26 luglio, un economista di riconosciuta autorevolezza internazionale come Francesco Giavazzi, docente all'Università Bocconi di Milano e al Massachusetts Institute of Technology, ha individuato proprio in queste due ostilità le radici delle attuali ondate populiste: che sono di destra quando le origini del malessere sono individuate nella globalizzazione (Donald Trump negli Stati Uniti, Geert Wilders in Olanda, Marine Le Pen in Francia, Matteo Salvini in Italia…) e di sinistra quando invece il malessere è ricondotto a politiche liberiste (Syryza in Grecia, Podemos in Spagna, Bernie Sanders negli Stati Uniti…).
La "tempesta perfetta" di questi anni – a giudizio di Giavazzi – è che sia il populismo di destra sia quello di sinistra si sono congiunti in un comune "rifiuto delle élite", cioè delle istituzioni sia politiche che economiche.
Giavazzi non l'ha scritto. Ma questo rifiuto è lo stesso che innerva la visione politica complessiva di papa Francesco, enunciata soprattutto in quei suoi "manifesti" che sono i discorsi da lui rivolti ai "movimenti popolari". Un rifiuto che egli applica sistematicamente anche contro l'establishment ecclesiastico.
Un rifiuto che però non ha futuro, secondo Giavazzi. Perché sia i populisti di destra che quelli di sinistra "hanno in comune il fiato corto, una visione di breve periodo che, quando va bene, si limita a spostare i problemi al domani, rendendoli semplicemente più acuti". E cita l'esempio della "rivolta contro le politiche liberiste attuate in Argentina durante la presidenza Menem, negli anni Novanta, che riportarono il peronismo al governo".
Di Bergoglio non è fatto il nome, ma anche lui è qui chiamato in causa. Chissà se ne ha preso nota.
*
Si può aggiungere che in questi ultimi giorni, dopo l'attacco terroristico di Barcellona, papa Francesco è stato criticato anche per un terzo motivo: per il suo rifiuto di dire le radici islamiche di questo terrorismo, da lui ridotto per l'ennesima volta a semplice atto di "violenza cieca".
In questo caso, però, le critiche si sono rivolte esplicitamente contro di lui, facendone il nome. Come era avvenuto, per ragioni e da sponde opposte, contro Benedetto XVI, che nella memorabile lezione di Ratisbona aveva identificato e denunciato le radici di violenza insite nell'islam. E gliela fecero pagare cara.Settimo Cielo di Sandro Magister 21 ago
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/08/21/due-critiche-laiche-a-bergoglio-su-migrazioni-e-populismo/Il Papa Benedetto XVI non ha detto quello che Bergoglio gli attribuisce.
Il messaggio bergogliano sull’emigrazione di massa – che
rischia di diventare il manifesto politico di una sorta di “partito
dell’invasione” – è uno scivolone gravissimo per la Santa Sede e con tutta
probabilità è stato voluto da Bergoglio anche in polemica con la recente
“correzione” che la Segreteria di Stato vaticana ha dato alla sua ossessiva
predicazione migrazionista (vedi QUI).
Il pronunciamento – oltretutto molto ideologico, da
“sinistra sudamericana” nella sua superficialità demagogica – espone
direttamente la figura del papa nell’agone politico: come un “papa re”
dell’Ottocento egli si intromette nelle scelte tecniche che i parlamenti degli
Stati debbono dare a problemi complessi.
Si intromette specialmente negli affari interni dell’Italia,
in modo del tutto smaccato. Non a caso ha reso noto il testo ieri, con cinque
mesi di anticipo, cosa senza precedenti: per influire sul dibattito italiano
sullo Ius soli e sul dibattito europeo e americano.
È facile ribattere a Bergoglio: egli è il sovrano assoluto
di uno Stato in cui non entrano migranti e in cui non è concessa la
cittadinanza né per ius soli, né per ius culturae. Quindi non si capisce perché
vuole imporre lo “ius soli” a uno stato straniero come quello italiano. O agli
altri Stati. Lo applichi allo Stato su cui lui ha un potere assoluto.
Sull’assurdità generale di questo testo bergogliano (per
l’ennesima volta estraneo alla dottrina sociale della Chiesa) è eloquente
quanto si legge nel blog di Marco Tosatti (QUI) e nell’articolo di Stefano
Fontana sulla “Nuova Bussola” (QUI).
Io mi soffermo solo su un’altra cosa. Bergoglio – come gli
capita ogni volta che cerca di dare una legittimazione a certe sue tesi
improbabili – nel suo messaggio ha evocato l’enciclica di Benedetto XVI
“Caritas in Veritate”, per contrapporre «sicurezza personale» a «sicurezza
nazionale», sostenendo che la prima è da «anteporre sempre» alla seconda.
Scrive testualmente: «Il principio della centralità della
persona umana, fermamente affermato dal mio amato predecessore Benedetto XVI,
ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale».
In questo articolo (vedi QUI) Luigi Amicone mostra che non
esiste nessun passo, nell’enciclica di Benedetto XVI, che dica una cosa del
genere.
Anzi. Benedetto XVI, nel passo evocato, scrive una cosa del
tutto diversa:
«Possiamo dire che siamo di fronte a un fenomeno sociale di
natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione
internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata
a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e
i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali
in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di
salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate
e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati».
Amicone commenta: “Si capisce chiaramente che in Benedetto
XVI non vi è alcuna contrapposizione tra persone migranti e ‘società di approdo
degli stessi emigrati’. Al contrario. Egli richiama la ‘prospettiva di
salvaguardare’ sia ‘le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie
emigrate’, sia ‘al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi
emigrati'”.
A QUESTO IO AGGIUNGO UNA ULTERIORE CITAZIONE DI BENEDETTO
XVI CHE (COME TUTTA LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA) VA IN SENSO
DIAMETRALMENTE OPPOSO ALL’IDEOLOGIA BERGOGLIANA. ECCO LE PAROLE DI BENEDETTO
XVI:
“Oggi la cittadinanza si colloca, appunto, nel contesto
della globalizzazione, che si caratterizza, tra l’altro, per i grandi flussi
migratori. Di fronte a questa realtà, come ho ricordato sopra, bisogna saper
coniugare solidarietà e rispetto delle leggi, affinché non venga stravolta la
convivenza sociale e si tenga conto dei principi di diritto e della tradizione
culturale e anche religiosa da cui trae origine la Nazione italiana” (Benedetto
XVI, Udienza del 12 marzo 2011 ai sindaci dell’ANCI).
L’ossessiva predicazione migrazionista di Bergoglio, che ha avuto
un’ influenza deleteria sui governi italiani, i quali si
sono arresi all’ondata migratoria, va nella direzione diametralmente opposta
alla preoccupazione di Benedetto XVI, che è quella di difendere “la tradizione
culturale e anche religiosa da cui trae origine la Nazione Italiana”.
.
Antonio Socci
22 agosto 2017
Francesco I
https://gloria.tv/article/z38ZXXF72ePN4GGnXphG62CxM
Il golpe del Papa re
Francesco a gamba tesa spinge per la legge. Patto segreto con Gentiloni
Papa Francesco entra a gamba tesa per fare approvare dal Parlamento italiano lo ius soli, la legge che concede automaticamente la cittadinanza italiana a chi nasce sul territorio nazionale.
È il Papa, ne ha facoltà, in fondo fa il suo mestiere, l'unico in cui alle parole non devono seguire fatti, atti, prese di responsabilità, spese e problemi. Se ne sta, Bergoglio, giustamente rintanato e protetto nella sua città-Stato-fortezza e dice a noi che dobbiamo accogliere tutti senza se e senza ma. Il suo ovviamente non è un parere vincolante ma, diciamo così, ha un certo peso soprattutto alla vigilia di un dibattito parlamentare e di un voto.
Il pronunciamento – oltretutto molto ideologico, da
“sinistra sudamericana” nella sua superficialità demagogica – espone
direttamente la figura del papa nell’agone politico: come un “papa re”
dell’Ottocento egli si intromette nelle scelte tecniche che i parlamenti degli
Stati debbono dare a problemi complessi.
Si intromette specialmente negli affari interni dell’Italia,
in modo del tutto smaccato. Non a caso ha reso noto il testo ieri, con cinque
mesi di anticipo, cosa senza precedenti: per influire sul dibattito italiano
sullo Ius soli e sul dibattito europeo e americano.
È facile ribattere a Bergoglio: egli è il sovrano assoluto
di uno Stato in cui non entrano migranti e in cui non è concessa la
cittadinanza né per ius soli, né per ius culturae. Quindi non si capisce perché
vuole imporre lo “ius soli” a uno stato straniero come quello italiano. O agli
altri Stati. Lo applichi allo Stato su cui lui ha un potere assoluto.
Sull’assurdità generale di questo testo bergogliano (per
l’ennesima volta estraneo alla dottrina sociale della Chiesa) è eloquente
quanto si legge nel blog di Marco Tosatti (QUI) e nell’articolo di Stefano
Fontana sulla “Nuova Bussola” (QUI).
Io mi soffermo solo su un’altra cosa. Bergoglio – come gli
capita ogni volta che cerca di dare una legittimazione a certe sue tesi
improbabili – nel suo messaggio ha evocato l’enciclica di Benedetto XVI
“Caritas in Veritate”, per contrapporre «sicurezza personale» a «sicurezza
nazionale», sostenendo che la prima è da «anteporre sempre» alla seconda.
Scrive testualmente: «Il principio della centralità della
persona umana, fermamente affermato dal mio amato predecessore Benedetto XVI,
ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale».
In questo articolo (vedi QUI) Luigi Amicone mostra che non
esiste nessun passo, nell’enciclica di Benedetto XVI, che dica una cosa del
genere.
Anzi. Benedetto XVI, nel passo evocato, scrive una cosa del
tutto diversa:
«Possiamo dire che siamo di fronte a un fenomeno sociale di
natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione
internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata
a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e
i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali
in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di
salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate
e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati».
Amicone commenta: “Si capisce chiaramente che in Benedetto
XVI non vi è alcuna contrapposizione tra persone migranti e ‘società di approdo
degli stessi emigrati’. Al contrario. Egli richiama la ‘prospettiva di
salvaguardare’ sia ‘le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie
emigrate’, sia ‘al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi
emigrati'”.
A QUESTO IO AGGIUNGO UNA ULTERIORE CITAZIONE DI BENEDETTO
XVI CHE (COME TUTTA LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA) VA IN SENSO
DIAMETRALMENTE OPPOSO ALL’IDEOLOGIA BERGOGLIANA. ECCO LE PAROLE DI BENEDETTO
XVI:
“Oggi la cittadinanza si colloca, appunto, nel contesto
della globalizzazione, che si caratterizza, tra l’altro, per i grandi flussi
migratori. Di fronte a questa realtà, come ho ricordato sopra, bisogna saper
coniugare solidarietà e rispetto delle leggi, affinché non venga stravolta la
convivenza sociale e si tenga conto dei principi di diritto e della tradizione
culturale e anche religiosa da cui trae origine la Nazione italiana” (Benedetto
XVI, Udienza del 12 marzo 2011 ai sindaci dell’ANCI).
L’ossessiva predicazione migrazionista di Bergoglio, che ha avuto
un’ influenza deleteria sui governi italiani, i quali si
sono arresi all’ondata migratoria, va nella direzione diametralmente opposta
alla preoccupazione di Benedetto XVI, che è quella di difendere “la tradizione
culturale e anche religiosa da cui trae origine la Nazione Italiana”.
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Antonio Socci
22 agosto 2017
Francesco I
https://gloria.tv/article/z38ZXXF72ePN4GGnXphG62CxM
Il golpe del Papa re
Francesco a gamba tesa spinge per la legge. Patto segreto con Gentiloni
Papa Francesco entra a gamba tesa per fare approvare dal Parlamento italiano lo ius soli, la legge che concede automaticamente la cittadinanza italiana a chi nasce sul territorio nazionale.
È il Papa, ne ha facoltà, in fondo fa il suo mestiere, l'unico in cui alle parole non devono seguire fatti, atti, prese di responsabilità, spese e problemi. Se ne sta, Bergoglio, giustamente rintanato e protetto nella sua città-Stato-fortezza e dice a noi che dobbiamo accogliere tutti senza se e senza ma. Il suo ovviamente non è un parere vincolante ma, diciamo così, ha un certo peso soprattutto alla vigilia di un dibattito parlamentare e di un voto.
È il Papa, ne ha facoltà, in fondo fa il suo mestiere, l'unico in cui alle parole non devono seguire fatti, atti, prese di responsabilità, spese e problemi. Se ne sta, Bergoglio, giustamente rintanato e protetto nella sua città-Stato-fortezza e dice a noi che dobbiamo accogliere tutti senza se e senza ma. Il suo ovviamente non è un parere vincolante ma, diciamo così, ha un certo peso soprattutto alla vigilia di un dibattito parlamentare e di un voto.
Per questo capiamo l'imbarazzo di Gentiloni quando pochi giorni fa lo ha visto segretamente in un incontro in cui probabilmente il Papa gli anticipava l'intenzione di uscire allo scoperto per appoggiare lo ius soli. Immaginiamo difficile che il premier gli abbia replicato da statista a schiena diritta, tipo: Santità non si permetta, si faccia gli affari suoi che noi italiani da oltre centocinquanta anni siamo uno Stato autonomo dalla sua Chiesa e pure sovrano. Diciamolo, pur non sapendo: più probabile che Gentiloni - come del resto fece un suo famoso avo - abbia abbozzato, ringraziato per l'interessamento e promesso un forte impegno del suo governo per esaudire un così autorevole desiderio. In cambio di cosa? Con le elezioni alle porte, e nuovi governi da varare, le vie del Signore sono infinite e ricche di sorprese per chi asseconda il regno dei cieli.
E dire che in Italia i magistrati perseguono con tenacia il lavoro delle lobby che interferiscono con la politica. E da non molto è stato pure introdotto nel nostro ordinamento il reato di «traffico di influenze» proprio per impedire che qualcuno, forte della sua carica o autorevolezza, pur non commettendo reati inquini il regolare svolgimento della democrazia. È possibile far capire a un Papa Re, pure un po' marxista, che in democrazia decidono i cittadini e non i sovrani e i cardinali? Penso di no, del resto se la Chiesa avesse sposato questo principio Bergoglio probabilmente oggi non sarebbe sulla Cattedra di San Pietro ma pensionato in una parrocchia di Buenos Aires. Per dirla tutta, se fossimo in democrazia, neppure Gentiloni sarebbe premier. Che due non eletti provino a segnare il futuro dell'Italia è davvero cosa pericolosa.
- Mar, 22/08/2017 -
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/golpe-papa-re-1432603.html
Effetto Barcellona sul Papa. Piazza San Pietro semivuota
Soltanto diecimila persone per l'Angelus di Bergoglio Per la festa dell'Assunta a Ferragosto erano il doppio
L'effetto Barcellona si fa immediatamente sentire. Più del caldo torrido che non accenna a diminuire, o del fatto che tanta gente avrà preferito andare al mare piuttosto che rimanere in città.
Per questo capiamo l'imbarazzo di Gentiloni quando pochi giorni fa lo ha visto segretamente in un incontro in cui probabilmente il Papa gli anticipava l'intenzione di uscire allo scoperto per appoggiare lo ius soli. Immaginiamo difficile che il premier gli abbia replicato da statista a schiena diritta, tipo: Santità non si permetta, si faccia gli affari suoi che noi italiani da oltre centocinquanta anni siamo uno Stato autonomo dalla sua Chiesa e pure sovrano. Diciamolo, pur non sapendo: più probabile che Gentiloni - come del resto fece un suo famoso avo - abbia abbozzato, ringraziato per l'interessamento e promesso un forte impegno del suo governo per esaudire un così autorevole desiderio. In cambio di cosa? Con le elezioni alle porte, e nuovi governi da varare, le vie del Signore sono infinite e ricche di sorprese per chi asseconda il regno dei cieli.
E dire che in Italia i magistrati perseguono con tenacia il lavoro delle lobby che interferiscono con la politica. E da non molto è stato pure introdotto nel nostro ordinamento il reato di «traffico di influenze» proprio per impedire che qualcuno, forte della sua carica o autorevolezza, pur non commettendo reati inquini il regolare svolgimento della democrazia. È possibile far capire a un Papa Re, pure un po' marxista, che in democrazia decidono i cittadini e non i sovrani e i cardinali? Penso di no, del resto se la Chiesa avesse sposato questo principio Bergoglio probabilmente oggi non sarebbe sulla Cattedra di San Pietro ma pensionato in una parrocchia di Buenos Aires. Per dirla tutta, se fossimo in democrazia, neppure Gentiloni sarebbe premier. Che due non eletti provino a segnare il futuro dell'Italia è davvero cosa pericolosa.
- Mar, 22/08/2017 -
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/golpe-papa-re-1432603.html
Effetto Barcellona sul Papa. Piazza San Pietro semivuota
Soltanto diecimila persone per l'Angelus di Bergoglio Per la festa dell'Assunta a Ferragosto erano il doppio
L'effetto Barcellona si fa immediatamente sentire. Più del caldo torrido che non accenna a diminuire, o del fatto che tanta gente avrà preferito andare al mare piuttosto che rimanere in città.
Effetto Barcellona sul Papa. Piazza San Pietro semivuota
Soltanto diecimila persone per l'Angelus di Bergoglio Per la festa dell'Assunta a Ferragosto erano il doppio
L'effetto Barcellona si fa immediatamente sentire. Più del caldo torrido che non accenna a diminuire, o del fatto che tanta gente avrà preferito andare al mare piuttosto che rimanere in città.
Molto probabilmente è invece stata la paura di nuovi attacchi terroristici, questa volta in Italia, così come annunciato dall'Isis ad affacciarsi ieri a Roma. Un dato è comunque certo. Ieri, per il tradizionale Angelus domenicale, piazza San Pietro era quasi vuota. La gendarmeria vaticana ha parlato di diecimila fedeli, uno dei numeri più bassi finora registrato dall'inizio del Pontificato di Francesco. E pensare che solamente pochi giorni prima, il 15 agosto per la festa dell'Assunta i fedeli erano stati il doppio, oltre 20mila pellegrini.
Il dimezzamento delle presenze si può ricondurre a diversi fattori, ma quasi certamente la paura del terrorismo con ancora vive negli occhi le immagini del sangue versato a Barcellona deve aver scoraggiato molti fedeli.
Intorno alla piazza vaticana i controlli restano serrati, l'allerta è massima. Poliziotti e gendarmi schierati, cecchini sui tetti nei palazzi intorno all'area, agenti in borghese mescolati tra la folla. E l'intelligence che lavora dietro le quinte. La tensione si avverte subito. Controlli con i metal detector per accedere a San Pietro e grandi vasi di cemento impediscono l'accesso alle auto da via della Conciliazione. Misure di sicurezza già presenti da tempo, ma dopo il recente attentato di Barcellona il livello nei luoghi di maggiore affluenza e aggregazione è ulteriormente cresciuto. E ieri l'Angelus di Papa Francesco ha rappresentato il primo banco di prova in tema di sicurezza e il primo grande appuntamento pubblico dopo gli attentati in Catalogna.
Il pensiero del Pontefice argentino è andato come era immaginabile alle vittime dei recenti attentati. «Nei nostri cuori portiamo il dolore per gli atti terroristici che, in questi ultimi giorni, hanno causato numerose vittime, in Burkina Faso, in Spagna e in Finlandia. Preghiamo per tutti i defunti, per i feriti e per i loro familiari ha detto il Papa - e supplichiamo il Signore, Dio di misericordia e di pace, di liberare il mondo da questa disumana violenza». Già due giorni fa, all'indomani dell'attacco della Rambla, Bergoglio aveva twittato la sua condanna: «La violenza cieca del terrorismo non trovi più spazio nel mondo», aveva scritto.
Sul tema è intervenuto anche il cardinale Pietro Parolin in missione in Russia secondo cui il terrorismo è un pericolo che «va affrontato» ma occorre fare attenzione «alle eventuali modalità di intervento, al fine di evitare che azioni di forza inneschino a loro volta nuove spirali di violenza». Per il Vaticano tuttavia il livello di allerta non cambia. «Non abbiamo incrementato le misure di sicurezza ha detto la vicedirettrice della sala stampa della Santa Sede, la spagnola Paloma Garcia Ovejero - perché, da noi, è già molto forte la vigilanza. San Pietro è sempre protetta e via della Conciliazione rimane chiusa al traffico». Tuttavia non sono mancati casi, seppure rari e per fortuna finiti bene, che hanno messo alla prova la sicurezza vaticana. Come quello del settembre dello scorso anno, nel pieno del Giubileo straordinario della Misericordia, quando un'auto ha sfondato le transenne, facendo irruzione in piazza. Immediatamente bloccato dalla polizia, l'uomo è risultato in cura presso un centro di salute mentale. In quell'occasione, tanta paura, ma nessun allarme sicurezza.
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Molto probabilmente è invece stata la paura di nuovi attacchi terroristici, questa volta in Italia, così come annunciato dall'Isis ad affacciarsi ieri a Roma. Un dato è comunque certo. Ieri, per il tradizionale Angelus domenicale, piazza San Pietro era quasi vuota. La gendarmeria vaticana ha parlato di diecimila fedeli, uno dei numeri più bassi finora registrato dall'inizio del Pontificato di Francesco. E pensare che solamente pochi giorni prima, il 15 agosto per la festa dell'Assunta i fedeli erano stati il doppio, oltre 20mila pellegrini.
Il dimezzamento delle presenze si può ricondurre a diversi fattori, ma quasi certamente la paura del terrorismo con ancora vive negli occhi le immagini del sangue versato a Barcellona deve aver scoraggiato molti fedeli.
Intorno alla piazza vaticana i controlli restano serrati, l'allerta è massima. Poliziotti e gendarmi schierati, cecchini sui tetti nei palazzi intorno all'area, agenti in borghese mescolati tra la folla. E l'intelligence che lavora dietro le quinte. La tensione si avverte subito. Controlli con i metal detector per accedere a San Pietro e grandi vasi di cemento impediscono l'accesso alle auto da via della Conciliazione. Misure di sicurezza già presenti da tempo, ma dopo il recente attentato di Barcellona il livello nei luoghi di maggiore affluenza e aggregazione è ulteriormente cresciuto. E ieri l'Angelus di Papa Francesco ha rappresentato il primo banco di prova in tema di sicurezza e il primo grande appuntamento pubblico dopo gli attentati in Catalogna.
Il pensiero del Pontefice argentino è andato come era immaginabile alle vittime dei recenti attentati. «Nei nostri cuori portiamo il dolore per gli atti terroristici che, in questi ultimi giorni, hanno causato numerose vittime, in Burkina Faso, in Spagna e in Finlandia. Preghiamo per tutti i defunti, per i feriti e per i loro familiari ha detto il Papa - e supplichiamo il Signore, Dio di misericordia e di pace, di liberare il mondo da questa disumana violenza». Già due giorni fa, all'indomani dell'attacco della Rambla, Bergoglio aveva twittato la sua condanna: «La violenza cieca del terrorismo non trovi più spazio nel mondo», aveva scritto.
Sul tema è intervenuto anche il cardinale Pietro Parolin in missione in Russia secondo cui il terrorismo è un pericolo che «va affrontato» ma occorre fare attenzione «alle eventuali modalità di intervento, al fine di evitare che azioni di forza inneschino a loro volta nuove spirali di violenza». Per il Vaticano tuttavia il livello di allerta non cambia. «Non abbiamo incrementato le misure di sicurezza ha detto la vicedirettrice della sala stampa della Santa Sede, la spagnola Paloma Garcia Ovejero - perché, da noi, è già molto forte la vigilanza. San Pietro è sempre protetta e via della Conciliazione rimane chiusa al traffico». Tuttavia non sono mancati casi, seppure rari e per fortuna finiti bene, che hanno messo alla prova la sicurezza vaticana. Come quello del settembre dello scorso anno, nel pieno del Giubileo straordinario della Misericordia, quando un'auto ha sfondato le transenne, facendo irruzione in piazza. Immediatamente bloccato dalla polizia, l'uomo è risultato in cura presso un centro di salute mentale. In quell'occasione, tanta paura, ma nessun allarme sicurezza.
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