ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 14 agosto 2017

Un quadretto di gioia domestica


UNA SOCIETA' NEOPAGANA

Il paganesimo è già tornato: si chiama naturalismo. Quella in cui viviamo non è una società post-cristiana o anti-cristiana: è una società neopagana incompatibile con il cristianesimo e nemica mortale di esso 
di Francesco Lamendola  

In Brasile, due genitori gay hanno fatto battezzare i loro tre figli adottivi e poi hanno chiesto la benedizione di papa Francesco: giunta puntuale, insieme alle felicitazioni. E cosa potrebbe mancare a un tale quadretto di gioia domestica?

Quella in cui viviamo non è, semplicemente, una società post-cristiana; non è nemmeno, semplicemente (si fa per dire), una società anti-cristiana: è una società neopagana, in tutto e per tutto, cioè una società attivamente, consapevolmente, coerentemente pagana, basata su valori pagani, e perciò, necessariamente, incompatibile con il cristianesimo e nemica mortale di esso. Chi non ha capito questo, non ha capito il mondo in cui viviamo, né quale sia la posta in gioco, né, infine, se si tratta di un credente, in che cosa consista la dialettica che oggi dilania la Chiesa cattolica e la cultura cattolica. Fra le due culture, fra le due visioni del mondo, fra le due morali, non può esservi compromesso, né mediazione, ma solo una lotta senza quartiere: e chi non se ne vuol rendere conto, finirà per trovarsi nel bel mezzo della guerra come uno sprovveduto che s’illude di poter continuare la sua pacifica esistenza, mentre  il suo destino è già segnato, senza che lui lo sappia e vi partecipi, e dipenderà dalla vittoria dell’una o dell’altra.

Il paganesimo odierno si è ripresentato, dopo secoli e secoli in cui la società occidentale è stata cristiana, essenzialmente come una forma radicale di naturalismo. Il naturalismo consiste nel fare della natura un fine in se stessa; nel vederla come il principio, la causa e il termine di tute le cose; e nell’approvare, come intrinsecamente legittimo, e quindi “buono”, tutto ciò che da essa viene, senza passarlo al vaglio della coscienza e senza sottoporlo al dominio della volontà, guidata dall’etica. Il naturalismo, di conseguenza, si traduce in un individualismo e in un edonismo esasperati: ciò che grida il mio istinto è legittimo, e perciò “buono”: realizzarlo è un mio diritto, e guai a chi osa opporvisi. Chiunque si ponga in contrasto con la realizzazione del mio piacere, diventa mio nemico giurato: fra me e lui non può esservi intesa, né ragionevole modus vivendi: deve scomparire, deve essere ridotto al silenzio, deve essere rinchiuso in prigione.  L’altro diventa mio nemico non solo se mi ostacola attivamente, ma anche solo se esprime un giudizio negativo sulla mia pretesa di santificare e perseguire incontrastato i miei istinti: la sua stessa esistenza diventa, per me, un oltraggio, una sfida ideologica, che deve essere vinta a ogni costo, senza misericordia e senza fare alcun prigioniero. Se gli fosse lasciato anche un minimo margine per lasciar trasparire la sua disapprovazione, la mia coscienza non sarebbe tranquilla: per esserlo, ho bisogno che tutto quel che faccio non solo possa esser fatto, ma che le pubbliche autorità lo dichiarino lecito e che la cultura dominante lo proclami “santo”, nel senso di giusto e doveroso. Reprimere i miei impulsi, sarebbe il grande peccato; non perseguire il principio assoluto del mio piacere, sarebbe la colpa inescusabile. Bisognerà, dunque, far sparire dalla faccia della terra qualsiasi voce, qualsiasi cosa che possa suonare, anche tacitamente, anche implicitamente, come disapprovazione verso la filosofia dell’edonismo naturalista assoluto.
Il primo assertore di questa nuova maniera di porsi di fronte alla vita è stato, nella cultura europea, Giovanni Boccaccio. Nel Decameron, si assiste a un completo rovesciamento dei valori, un rovesciamento che sarebbe piaciuto a Nietzsche: buono diventa ciò che prima era cattivo, e cattivo ciò che era buono. L’eros, in particolare, ritorna a ciò che era stato nel mondo antico, liberato dalla spiritualizzazione che il cristianesimo, nell’arco di secoli, vi aveva operato; e, tornato ad essere una pura forza della natura, possente e indomabile, porta in se stesso il “diritto” ad esplicarsi e realizzarsi, senza vergogna e senza timori: essendo una forza della natura, contrastarlo sarebbe non solo inutile, ma anche ingiusto. Boccaccio, perciò, assai più di Petrarca, è il primo uomo moderno, nel pieno senso della parola: Petrarca, con tutti i suoi scrupoli e i suoi sensi di colpa, è ancora un uomo irrisolto – e perciò contraddittorio e nevrotico -, dilaniato fra l’uomo vecchio e l’uomo nuovo; dove il “vecchio” è, in effetti, l’uomo nuovo di san Paolo e sant’Agostino, mentre il “nuovo” è, in effetti, l’uomo vecchio, l’uomo pagano, che ritorna con tutta la sua antica forza, dopo secoli di “repressione”. E poco importa che lo stesso Boccaccio, a un  certo punto, sia stato preso, a sua volta, da scrupoli e sensi di colpa, tanto da meditare di dare alle fiamme il suo libro: ciò riguarda la sua biografia privata, non il contributo che egli ha dato allo sviluppo della cultura occidentale. E quel contribuito è consistito in un radiale ritorno al naturalismo e al paganesimo. Si prenda la famosa novella di Nastagio degli Onesti: in essa viene detto a chiare lettere che il “peccato” non è più cedere all’amore, ma resistere all’amore, e colui (o colei) che vi resiste, va all’inferno, capovolgendo la concezione di Dante, così eloquente, fra gli altri, nell’episodio di Paolo e Francesca.
La società moderna ha recepito la lezione, l’ha introiettata, l’ha fatta sua fino alla più intima essenza, espellendo letteralmente secoli e secoli di tradizione, di morale, di dottrina cristiana, con la volonterosa collaborazione dei cristiani stessi. Si prenda in mano una qualsiasi rivista illustrata, e, sfogliandola, si dia un’occhiata all’immancabile rubrica di psicologia; la musica è sempre la stessa: Siate voi stessiLiberatevi dalle inibizioniSiete meravigliosi, così come sieteManifestate apertamente quel che sentiteNon ponete limiti alla vostra voglia di vivere, laddove, per “voglia di vivere”, si intende qualsiasi licenza, disordine, eccesso, fatti passare per giuste e legittime “esigenze” della propria personalità. Quel che si sente, d’istinto, d’impulso, è già bene, di per se stessa; il male, come per Boccaccio, consiste nel negare i propri sentimenti, nel misconoscere la propria sete di felicità. Anche se si tratta di portar via la donna a nostro fratello, a nostro padre, al nostro migliore amico; anche se si tratta di sedurre un ragazzino da parte di una ultracinquantenne, l’amico del proprio figlio, per esempio; anche se si tratta di un professore che sbava di desiderio per la propria studentessa quindicenne. Va tutto bene, è tutto giusto e lecito. Dell’omosessualità, non parliamone neppure: chi mai oserebbe trattarla come una deviazione? E deviazione da che cosa, poi? In amore non esistono regole, non esistono leggi: è bello quel che piace, è giusto quel che si desidera; abbiamo una vita sola e dobbiamo cercare di goderla. Vige un naturalismo radicale, assoluto, che non ammette ostacoli, né scrupoli, né remore di sorta. In una cosa sola il naturalismo odierno differisce da quello del paganesimo antico: che è un naturalismo furbesco, perché esalta la bontà della natura fin dove ciò gli fa comodo, altrimenti se ne infischia della natura e rivendica il proprio diritto alla felicità utilizzando altri argomenti, completamente diversi. Tali argomenti sono, essenzialmente, quelli della tecnologia. Il naturalismo della civiltà moderna è ci si conceda l’ossimoro, un naturalismo ad alta definizione tecnologica.
Prendiamo il caso di una donna di sessant’anni che, dopo essersi dedicata alla carriera, decide che è giunto il momento, per lei, di godersi le gioie della maternità: con o senza marito, si capisce, questi sono dettagli trascurabili; non è importante che il nascituro abbia una mamma e un papà, ma che lei abbia un bambino. Ovviamente, secondo le leggi della natura, la cosa sarebbe impossibile, o meglio, impensabile: una donna di sessant’anni non può nemmeno sognarsi di desiderare d’essere mamma. Se voleva provare la gioia di avere un figlio, doveva pensarci prima; ora il tempo è scaduto. Potrà dedicarsi ai nipotini, se ne ha; potrà dedicarsi al volontariato, e prendersi cura di bambini estranei; potrà dedicarsi ad altre forme d’interazione sociale, frequentare l’università degli anziani, iscriversi a qualche gruppo di beneficenza, di preghiera, di spiritualità; oppure godersi la pensione viaggiando, se ne ha i mezzi economici, visitando musei e città d’arte; oppure ancora leggendo, praticando – moderatamente – qualche attività sportiva, coltivando il giardino, praticando l’uncinetto. Insomma, potrà fare molte, moltissime cose, comprese quelle che una sessantenne di una o due generazione fa non avrebbe mai potuto fare; ma metterà una bella pietra sopra ai suoi sogni materni frustrati. Invece, oggi, con l’ausilio della tecnica, vi sono donne di sessant’anni che vogliono essere madri e che effettivamente lo diventano. Poco importa se, prima che il bambino abbia finito le elementari, loro saranno delle nonne di settant’anni e non potranno stargli vicino con la necessaria efficienza fisica e mentale; poco importa se il povero figlio, a vent’anni, dovrà fare i conti con la senilità di sua mamma, cercarle una sistemazione per la vecchiaia, interessarsi delle cure mediche, subire gli effetti devastanti che il morbo di Alzheimer crea non solo all’anziano, ma anche alle persone che si prendono cura di lui. Quel che la nostra sessantenne voleva ottenere, l’ha ottenuto: il gusto della maternità e il piacere di aver sottomesso la natura. In questo caso, il naturalismo cui ci si rifà non è quello della natura vera, ma quello della natura artificiale, ricreata e manipolata secondo la volontà di dominio degli esseri umani. Con l’inseminazione artificiale e con la fecondazione eterologa si può comandare alla natura in una maniera che sarebbe stata impensabile per le donne di una o due generazioni fa. Si può perfino avere un figlio dal compagno morto da parecchi anni, purché si disponga di una certa quantità del suo liquido seminale, opportunamente congelata in qualche “banca” del seme. 

Il paganesimo è già tornato: si chiama naturalismo

di Francesco Lamendola

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