Tutti i rimbrotti del cardinale
Sarah al gesuita Martin su Chiesa e Lgbt
È noto come il tema dei rapporti tra la Chiesa di Roma e il mondo omosessuale rappresenti un ambito di discussione molto delicato, sia per l’importanza che i cattolici gli attribuiscono, in termini tanto culturali e sociali quanto – da qualche anno a questa parte – di dottrina, che per l’esposizione alle critiche che ne derivano. Ciò accade in modo particolare negli Stati Uniti, dove l’argomento accende un certo interesse nell’opinione pubblica anche per via della sua corrispondenza con le posizioni – e le polarizzazioni – dei principali esponenti politici, o di rilevanti personaggi pubblici.
In una lettera firmata dal cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, apparsa giovedì 31 agosto sul Wall Street Journal e intitolata “Come i cattolici possono accogliere i credenti Lgbt”, il porporato è intervenuto nel dibattito ricordando il fatto che la Chiesa non può rinunciare ai suoi insegnamenti in materia di morale sessuale nei confronti della comunità Lgbt, il tutto in aperta critica con il gesuita americano James Martin. Quest’ultimo, firma della rivista dei gesuiti America, è infatti il recente autore di un libro in cui viene sostenuta la legittimità, all’interno dell’insegnamento della Chiesa cattolica, dei rapporti tra persone dello stesso sesso. Scontrandosi in questo modo con le posizioni da sempre sostenute dai cattolici, dando il via ad un’infuocata discussione e suscitando, inevitabilmente, forti critiche.
COSA SCRIVE IL PORPORATO NELL’ARTICOLO SUL WALL STREET JOURNAL
Nell’articolo, il cardinale, dopo aver premesso che “i cristiani devono sempre seguire il comandamento di Gesù: amatevi l’un l’altro come anche io vi ho amato”, ha specificato che ciò significa “amare nella Verità”. Sarah ha citato il fatto che il gesuita Martin nel suo libro, intitolato “Costruire un ponte”, critica l’eccessiva severità dei cattolici verso gli omosessuali, tralasciando però di utilizzare altrettanta fermezza verso l’integrità sessuale dei propri seguaci. Su questo il porporato si dice d’accordo con il gesuita, perché non c’è “bisogno di guardare lontano per vedere le triste conseguenze del rifiuto del piano di Dio per l’intimità e l’amore umano”. Che cioè “la liberazione sessuale che il mondo promuove non mantiene la sua promessa”, ma che al contrario “la promiscuità è la causa di tanta sofferenza inutile, dei cuori spezzati, della solitudine e del trattamento degli altri come mezzo per la gratificazione sessuale“.
SARAH: “LA CHIESA DISTINGUE ATTRAZIONI E AZIONI”, LE SECONDE “GRAVEMENTE PECCAMINOSE”
Tuttavia, ha chiosato, “la Chiesa distingue le identità dalle azioni”: le persone “sono sempre brave perché sono figlie di Dio”, e le attrazioni, se non gli viene dato seguito, “non sono peccaminose”, pur restando “comunque in contrasto con la natura umana”. Ma i rapporti con persone dello stesso sesso “sono gravemente peccaminosi e dannosi per il benessere di chi vi partecipa”, e per questo “le persone che si identificano come membri della comunità Lgbt sono dovute a questa Verità nella carità, specialmente per chi parla per conto della Chiesa”.
LA RISPOSTA DEL GESUITA JAMES MARTIN
Martin, che papa Francesco ha nominato lo scorso aprile consulente della Segreteria per la comunicazione vaticana guidata da Mons. Dario Viganò, e diventato di recente una figura molto frequentata dai media e con una presenza decisamente attiva sui social network, ha risposto al cardinale parlando di “opportunità mancata” per la conciliazione tra i due mondi, aggiungendo però che in ogni caso “il suo articolo è un passo avanti”, perché usando il termine Lgbt si è distaccato dai “cattolici tradizionali” che ne rifiutano in toto l’utilizzo. Il libro “non sfida l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità, ma chiede un dialogo tra le due parti”, ha spiegato il gesuita, e “non è un libro di teologia morale, né un libro sulla moralità sessuale di persone Lgbt. Piuttosto, un invito al dialogo e alla preghiera “. Tuttavia, ha rimarcato Martin intervistato dalla rivista Crux, a suo giudizio l’intervento manca di “alcuni punti importanti, come il mancato riconoscimento della “sofferenza che i cattolici Lgbt hanno provato per mano della loro Chiesa”: “Vorrei aver sentito qualcosa sulle tristi conseguenze di ciò che accade quando le persone Lgbt si sentono come cittadini di seconda classe, o peggio, per mano del clero e dai membri della gerarchia”, ha concluso.
LE POSIZIONI MENO CONCILIANTI DI SARAH NEL 2015
Il linguaggio dell’articolo di Sarah è infatti di sicuro molto più conciliante di quello da lui usato nel 2015 nell’ambito del sinodo dei Vescovi sulla famiglia, dove citò l’ideologia omosessuale (riferendosi a lobby Lgbt, femministe radicali, Planned Parenthood) e il terrorismo islamico come le principali minacce per l’umanità, entrambi “distruttori della famiglia”, con “diversi indizi che permettono di intuire la loro stessa origine demoniaca”. “Quello che il nazionalismo e il comunismo erano nel ventesimo secolo, oggi sono le ideologie occidentali omosessuali, l’aborto e il fanatismo islamico”, aveva detto il cardinale guineano in quell’occasione, che come scrisse in seguito il Catholic Herald gli costò l’etichettatura, da parte dei media cattolici più progressisti, “dell’uomo più pericoloso della cristianità”.
I COMMENTI CONTRAPPOSTI DEI VESCOVI AMERICANI
Il libro di Martin, prima della pubblicazione, ha ovviamente ricevuto il lasciapassare dei superiori gesuiti. E dopo l’uscita, oltre alle critiche – come scrive Sandro Magister su L’Espresso – dell’arcivescovo di Philadelphia Charles Chaput, ha visto ricevere le lodi del cardinale Kevin Farrell, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, e di Joseph Tobin, cardinale di Newark, nel New Jersey. Farrell ha infatti sostenuto che il libro è “benvenuto e molto necessario”, e che “aiuterà i cattolici Lgbt a sentirsi più a casa in quello che è, dopo tutto, la loro Chiesa”.
I CARDINALI TOBIN E DOLAN COME MODELLI DI “DUE CHIESE MOLTO DIVERSE”
Mentre la figura di Tobin già nei mesi scorsi, in un articolo nel New York Times, era stata citata in contrapposizione a quella del cardinale arcivescovo di New York Timothy Dolan, entrambi descritti come paradigmi di “due circoscrizioni molto diverse all’interno della Chiesa cattolica romana in America”. Analisi partita proprio dalle opinioni espresse sul libro di Martin e su di un altro testo, in qualche modo in antitesi, citato ed elogiato anche nell’articolo di Sarah sul WSJ, intitolato “Perché non mi chiamo Gay”, dove un uomo cattolico racconta delle resistenze da lui esercitate verso le proprie pulsioni omosessuali, che ora gli permettono di condurre una vita serena, da celibe, e ispirata al Vangelo.
“UNA GRANDE TENDA DEL CATTOLICESIMO CHE RAGGIUNGE TUTTI”
Nell’articolo del NYT la figura di Tobin viene tratteggiata come quella di un “campione di cattolici progressisti e di centro-sinistra che privilegiano una Chiesa che pone maggiore enfasi sulla protezione degli immigrati e dell’ambiente che alla lotta contro il matrimonio del sesso stesso”, mentre Dolan “rimane preferito dai cattolici di centro-destra, con un approccio più conservatore verso la dottrina, e concentrandosi più su questioni come l’opposizione della Chiesa all’aborto”. Accomunati però, conclude l’articolo, dalla fede in “una sorta di grande tenda del cattolicesimo che raggiunge tutti”.
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