ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 28 settembre 2017

Vedere l’invisibile


LA SANTA MESSA DEGLI ANGELI          

La Messa è finita gli Angeli si segnano la fronte con il segno della Croce i loro occhi splendono come stelle in una limpida notte invernale, anche il volto di Cristo lassù appeso alla Croce pare sorrida d’un sorriso ineffabile 
di Francesco Lamendola  


Anche questa sera, nella piccola chiesa di periferia, il vecchio sacerdote entra da solo in sacrestia, da solo indossa i paramenti, da solo sale all’altare e inizia la celebrazione della Santa Messa. È inverno, fa freddo e l’ambiente non è riscaldato: non ci sono i soldi per farlo; inoltre è semibuio, perché, per risparmiare, il sacerdote ha acceso solo le candele dell’altare e la piccola lampada che brilla all’altezza del leggio, sul pulpito. Il suo sguardo contempla malinconicamente i banchi vuoti: le due o tre suore e la vecchia signora, vedova da tanti anni, che di solito si presentano alla santa Messa della sera, evidentemente non ce l’hanno fatta a venire. Ora che le giornate sono così brevi, e il vento spazza con forza il lungo viale, non servito da alcun autobus, accumulando le foglie dei platani sui marciapiedi; ora che i malanni di stagione cominciano a infierire su quegli stanchi organismi, il buio e il freddo le hanno tenute lontane, e così lui è rimasto solo. Ma all’appuntamento con il Signore non ha voluto mancare, né mai vi mancherebbe, per nessuna ragione al mondo: sono più di cinquant’anni che officia la santa Messa, tre volte al giorno, anche se il vescovo non vorrebbe, perché le disposizioni superiori impongono di officiare una sola Messa al giorno, al massimo due, ma solo in casi di provata necessità. Questo, il vecchio sacerdote non l’ha mai capito: quale male, quale danno potrà mai venire, dalla frequente celebrazione della santa Messa, sia per il prete, sia per le anime dei fedeli? 

Non è vero, al contrario, che la santa Messa, col rinnovarsi del Sacrificio eucaristico, è simile a una potente boccata d’ossigeno nell’aria asfittica di una stanza chiusa; non è forse vero che essa rappresenta l’alimento spirituale necessario, indispensabile, per vivere la vita buona, la vita cristiana, la vita in grazia di Dio? E allora, che cos’è questo ritegno, che cos’è mai questa diffidenza; perché, da molti anni a questa parte, le disposizioni che vengono dall’alto sono così strane, così contrarie a ogni tradizione, così sconcertanti, per chi è stato consacrato prete da prima del Concilio? Che cosa è successo? Il vecchio sacerdote non lo sa, e non lo vuol sapere: la Chiesa è la Sposa di Cristo, ed è anche la sua mamma; e non si discutono le indicazioni della mamma, i desideri della mamma, la volontà della mamma, anche se, qualche volta, non si arriva a capirli.
Certo, egli sa, ha sentito dire – non legge più i giornali e la televisione, poi, in canonica non ce l’ha neppure – che alcuni sacerdoti, specialmente giovani, ma anche di una certa età, si abbandonano a stranezze sempre più sconcertanti, che lo lasciano perplesso, dubbioso, qualche volta francamente addolorato. Ha sentito che molti vescovi e superiori di congregazioni religiose hanno preteso dai loro sacerdoti che non escano dalla chiesa in abito talare, come se fosse una cosa da nascondere, una cosa sconveniente; e alcuni li vede coi suoi occhi, in pantaloni e giacca, senza neppure un crocifisso piccolo così appeso al risvolto della giacca, o al collo, con una catenina. Non si riconosce da alcun segno che sono ministri di Dio; e meno ancora lo si comprende da come parlano, da come si muovono. Ma il vecchio sacerdote è un uomo naturalmente benevolo, fiducioso, incapace di malizia e di sospetti: non si  indignato, né arrabbiato; ha provato solo una grande amarezza, e , da quel giorno, ha aggiunto i giovani preti che rifiutano di vestire da anime consacrate, una preghiera speciale, nel corso dei sei o sette Rosari che riesce a dire ogni giorno, oltre alla lettura del Breviario, qualche volta strappando le ore al sonno, e affrettando i suoi già modestissimi pasti. Ha pure sentito dire che, in certe chiese si officia la santa Messa con i burattini; che in altre, si conclude tutto con bevute e balli in riva al mare; che in altre ancora, cosa più grave di tutte, l’officiante chiama delle coppie omosessuali sull’altare, le presenta con grande compiacimento ai fedeli, le porta ad esempio di vero amore e si augura che presto un tale amore si possa realizzare attraverso il matrimonio cristiano. Ha sentito dire queste cose, e alcune altre, ancora più incredibili: che, in una chiesa cattolica, il prete ha invitato gli induisti a introdurre, tra feste e preghiere, la statua di una divinità pagana, con la testa d’elefante; che, in una certa occasione, dai vescovi è giunto l’invito ad aprire le porte della chiesa, per la santa Messa domenicale, ai fedeli islamici, invitandoli a venire e pregare il loro Dio insieme ai cattolici; e che alcuni esponenti di spicco della gerarchia hanno fatto delle affermazioni quasi inverosimili, uno ha detto che non si sa cosa realmente abbia detto Gesù Cristo, un altro ha affermato che Dio risparmiò dalla distruzione Sodoma e Gomorra, e un altro ancora ha fatto l’elogio di un uomo come Marco Pannella, definendolo una persona di altissima spiritualità, una persona da ammirare e da imitare… Il vecchio prete quasi non voleva crederci; qualche volta il dispiacere gli ha impedito di sedersi a tavola, è andato a letto digiuno, ed è rimasto sveglio a lungo, con la coroncina del Rosario in mano, pregando e versando qualche lacrima. Ma poi si è ripreso. Ha deciso di non domandar più nulla; del resto, ha così pochi amici, anche se tutti quelli che lo hanno avvicinato ne hanno tratto un’impressione profonda, e nessuno è stato mai capace d’inventarsi qualche malignità sul suo conto, che poi fosse creduta dai fedeli. Gli altri sacerdoti della città lo considerano quasi un originale, un tipo stravagante; figuriamoci, indossa sempre la tonaca lunga fino a piedi, e se la tiene anche quando deve uscire, le poche volte che vi è costretto, o per visitare un ammalato, o per benedire una famiglia, o semplicemente per fare gli esami del sangue e per sottoporsi a qualche vista medica, perché gli anni ormai sono tanti, il cuore è affaticato e la salute va declinando sempre più velocemente.
Il vecchio prete distoglie lo sguardo dai banchi vuoti, in penombra, e si concentra tutto, come sempre, nei gesti e nelle parole della sacra liturgia. Incomincia la Messa: non c’è tempo di pensare ad altro, e non  è tempo di malinconie: c’è Gesù Cristo che sta per arrivare, la gioia immensa del suo amore, il conforto indescrivibile del suo Corpo e del suo Sangue che si offrono agli uomini, ancora una volta, come quel giorno di duemila anni fa, sul Calvario, appena fuori di Gerusalemme. Il vecchio sacerdote ritrova tutta la sua forza interiore, tutta la sua fede, speranza e carità: fin dalla sua prima Messa, mai ha dubitato della promessa di Cristo: Dove due o tre di voi sono riuniti nel mio nome, là ci sarò anch’io. Ma questa sera non c’è proprio nessuno, è rimasto solo, completamente solo: e il nostro Signore verrà ugualmente nella chiesa semibuia, solo per lui, a trasmettergli le sue sacre Specie, a regalargli l’ineffabile gioia del suo abbraccio? Per un istante, il vecchio sacerdote ha un fremito di dubbio; ma poi subito lo vince: sì, certo che il Signore verrà; anche se la chiesa, questa sera, è vuota, egli non è tuttavia solo del tutto: ci sono le anime delle persone che, fisicamente assenti, sono, tuttavia, presenti con lo spirito. Innanzitutto le anime dei suoi cari defunti, i suoi genitori, i suoi fratelli e le sue sorelle, che ora devono essere in Purgatorio, perché male non hanno mai fatto ad alcuno, perciò Dio deve volerli presso di sé: la sua era una famiglia contadina,  assai numerosa; erano in dodici, e tre di loro si sono fatti preti, due si sono fatte suore. Poi, si sente aleggiare la presenza delle anime degli amici, dei benefattori, della anime pie che hanno frequentato la chiesa, che hanno versato le loro pene nel confessionale, che hanno contribuito con qualche dono, magari un mazzo di bei fiori freschi per adornare l’altare della Madonna e quello di San Giuseppe, oppure un cesto di frutta o un sacchetto di ortaggi, per la parca mensa del vecchio sacerdote, il quale, umile e modesto, non ha mai chiesto nulla e ha sempre donato agli altri tutto il superfluo e, qualche volta, anche il necessario. Poi, ci sono le anime degli sconosciuti: delle suore di clausura, per esempio, che non ha mai conosciuto, né esse hanno conosciuto lui, ma pregano con fervore giorno e notte, per il bene di tutti, per la pace di tutti, e quindi anche per quella piccola chiesa di periferia, per i suoi fedeli e per il vecchio sacerdote che dovrebbe già essere in pensione, ma che ha chiesto e ottenuto una deroga, di poter rimanere ancora qualche anno, finché le forze gi bastano, per tenere aperta  la chiesa che, altrimenti, sarebbe stata chiusa, tanto ce n’è un’altra, più grande, a meno di un chilometro, e il vescovo era propenso a far così, anche per razionalizzare, per semplificare, per economizzare, vista la scarsità di preti e la difficoltà di tenere aperte tutte le chiese della diocesi. Per lui, i rami secchi devono essere sacrificati: ormai tutti, dice, hanno l’automobile, dunque è sufficiente che ci siano due, tre chiese in una piccola città di quelle dimensioni, chi vuole andare alla santa Messa anche durante la settimana ne trova pur sempre almeno una, se vuole, abbastanza a portata di mano. Ma il vecchio sacerdote non la pensa così. Lui sa che non tutte le persone anziane hanno l’automobile, o possono guidarla, o hanno qualcuno che le accompagni; lui sa che anche solo due, tre persone, cioè due o tre anime, sono infinitamente preziose davanti a Dio, e non c’è risparmio o razionalizzazione che tengano quando è in gioco la salute della anime. La chiese, finché sarà umanamente possibile, lui la terrà aperta: aperta tutto il giorno; tanto, non ci sono oggetti di valore da rubare. Ma lui vuole che le porte siano aperte perché i fedeli, se lo desiderano, possano entrare a dire una preghiera, davanti al lumino del Santissimo, a qualsiasi ora; oppure che vengano a confessarsi, perché lui è sempre lì, è sempre disponibile, non c’è cosa che lo riempia di gioia, oltre alla santa Messa, più del fatto di poter riconciliare, quale alter Christus – lui, umanamente parlando, così modesto, così indegno – il penitente con Dio Padre Onnipotente.
E intanto, prosegue nella celebrazione della santa Messa: senza fretta, con calma, con solennità, anche se non c’è nessuno; però c’è Dio, e ci sono le anime invisibili. E come non ha pensato nemmeno per un attimo di rinunciare a celebrar la santa Messa, anche vedendo che non arrivava nessuno, respingendo la tentazione di tornare in canonica, a scaldarsi un po’ davanti alla vecchia stufa, per concedersi un po’ di riposo e di tranquillità; così ora non tenta in alcun modo di abbreviare il rito, che la chiesa sia piena oppure vuota fa lo stesso: c’è la Presenza del Signore, che altro potrebbe mancare? Rinuncia solamente alla predica: sarebbe inutile; ma, per tutto il resto, non trascura niente, non salta un solo passaggio: recita le formule della sacra liturgia e risponde lui stesso alle domande di rito. Per un istante, lo sfiora la mente il pensiero che se il vescovo, o uno di quei preti giovani, lo vedessero e lo udissero in quell’attitudine, si confermerebbero nell’opinione della sua stravaganza, forse della sua non perfetta lucidità mentale; ma è solo un attimo, e allontana subito quel pensiero superficiale, per tornare a rivolgere tutta la sua attenzione alla sacra celebrazione. Che importa quel che gli altri penserebbero di lui? Lì c’è qualcuno che lo stava spettando, che lo sta per incontrare: Qualcuno che riempie tutto di Sé, che lo guarda, lo ascolta, e forse gli sta sorridendo…
La santa Messa degli Angeli

di Francesco Lamendola  
Del 28 Settembre 2017
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