IL SENSO DEL "PULITO"
In ogni essere umano non c’è solo la belva, c’è anche l’aspirazione alle altezze e il bisogno di Dio. Dobbiamo coltivare questo aspetto della natura umana: risvegliare il gusto e il senso del "pulito", accenderne la nostalgia di Francesco Lamendola
Se dovessimo sintetizzare in una sola frase il senso della crisi morale in cui versa la nostra società diremmo senz’altro: stiamo sguazzando nel fango, felici e contenti di esserci trasformati in maiali che grugniscono di piacere quanto più sprofondano nella melma. E se dovessimo sintetizzare quel che pensiamo circa una possibile via d’uscita, ammesso che non sia già troppo tardi, diremmo: dobbiamo ritrovare il senso, e perciò anche il gusto, del “pulito”. Dopo tanto sudiciume morale, ci siamo abituati alla sporcizia: non ne proviamo più disgusto, non ne sentiamo più neanche il fetore. I nostri sensi si sono atrofizzati insieme alla nostra anima. Eppure è certo che, fino a quando non effettueremo un deciso cambio di rotta, per noi ci sono più speranze: siamo condannati a sparire, poiché ci stiamo autodistruggendo; e l’autodistruzione incomincia da ciascuno di noi, a livello intellettuale, culturale, spirituale e morale. Finché il bacio lesbico fra Belen Rodriguez e Ilary Blasi farà più audience della notizia di un onesto lavoratore che si è ammazzato per aver perso il posto di lavoro all’età di cinquant’anni, e finché un noto transessuale si vedrà designato quale testimonial di una celebre casa di abbigliamento femminile e reclamizzato dalla tv statale, profumatamente pagata dal contribuente, quando non ci sono i soldi per pagare delle pensioni di pura sopravvivenza a milioni di italiani, non ci sarà speranza, perché vorrà dire che gli italiani amano lo sporco, amano sguazzare nel fango e son disposti, pur essendo ridotti con le pezze al culo, a sborsare fior di quattrini per finanziare mode e programmi televisivi squallidi, volgari, esteticamente e moralmente inguardabili. Certo, le scelte della Rai, come quelle relative a scuola, sanità, trasporti, forze dell’ordine, banche, pensioni, immigrazione, sono gestite dalla classe dirigente, e gli italiani non hanno quasi nessuna possibilità di ottenere qualcosa di diverso: avrebbero, però, quanto meno la possibilità di disertare, snobbare, boicottare sia queste scelte che gli uomini e le donne che le prendono, evidenziando in vario modo che si considerano governati in modo inadeguato, illegittimo, antidemocratico, cialtronesco e parassitario. Ma non lo fanno.
Questo è il punto: non lo fanno. Anche nelle piccole cose d’ogni giorno, nelle quali è possibile scegliere, gli italiani scelgono il peggio (lasciamo perdere che si tratta di un problema planetario: noi badiamo a spazzare il sudiciume dal pavimento di casa nostra; al pavimento delle case altrui, penseranno i rispettivi inquilini). Il discorso sarebbe lungo e anche solo una rapida descrizione di esso richiederebbe pagine e pagine: basti dire che non c’è ambito della vita pubblica e privata in cui la stragrande maggioranza delle persone non si comporti come se preferisse sguazzare nel fango piuttosto che muoversi nel pulito. Dalla musica leggera alla letteratura, dal cinema alla filosofia, dallo sport allo spettacolo, dalle arti figurative ai giochi dei bambini (che, in realtà, non sono affatto tali), quel che si vede è una netta preferenza per le cose stupide, oscene, violente, deliranti, incomprensibili, rispetto alle cose intelligenti, raffinate, serene, sagge, chiare. Ovunque viene esaltato e viene preferito ciò che è insulso, brutto, deforme, anormale, patologico, e ovunque viene ignorato o disprezzato ciò che è bello, armonioso, normale, sano. E c’è anche pronta l’ideologia che rende ragione di ciò: il totalitarismo relativista. Come! Qualcuno osa ancora parlare di valori assoluti, come bellezza, armonia, saggezza, sanità? Ma chi è costui, da dove viene: da Marte o dal Terzo Reich? Perché deve essere un alieno o un nazista, se crede ancora a cose di quel genere. Nossignori; l’era dei valori assoluti è finita per sempre, grazie al cielo: ora abbiamo l’era in cui un barattolo pieno di escrementi umani è un’opera d’arte pari alla Gioconda di Leonardo da Vinci, e in cui un pisciatoio d’autore non è meno valido, esteticamente, della cupola della basilica di san Piero di Michelangelo Buonarroti. La nostra bella epoca moderna si è emancipata dalle norme, liberata dai feticci, rifiuta complessi d’inferiorità e sensi di colpa: e proclama che è tutto lecito, tutto valido, tutto interessante, tutto intelligente, se si tratta di espressioni di libertà, autenticità, spontaneità, creatività. Certo; anche la merda è creativa, cosa credete, cari professori di belle arti!
Uno dopo l’altro, tutti gli istituti hanno calato le braghe, si sono arresi, hanno capitolato all’imposizione del relativismo. Quando, poi, la “filosofia della libertà” è arrivata al livello degli organi genitali, i crociati del relativismo si son fatti ancora più aggressivi, addirittura scatenati: come! Qualcuno osa mettere in dubbio che l’apparato escretore è tanto nobile quanto l’apparato riproduttivo, e che, pertanto, utilizzarlo per ricevere il membro maschile è cosa tanto bella, buona e felice, se non più, di quanto lo sia servirsene per il normale atto fisiologico della defecazione? Ebbene: che costui sia anatema; e che venga condannato a pagare i danni morali e materiali che i suoi giudizi di valore, omofobi e sessisti, hanno inflitto alla serena e civile convivenza fra la parte eterosessuale della popolazione e quella omosessuale. Dalla medicina alla scuola, dalla psicologia alla famiglia, dalla politica alla televisione, tutti si sono arresi, tutti hanno abbassato la bandiera dei valori tradizionali e innalzato, alta e superba, la bandiera del relativismo più sfrenato, che ora vediamo garrire gioiosamente nel cielo di un modo nuovo, redento da ipocrisie e pregiudizi, riscattato da secolari ingiustizie e discriminazioni. Finalmente si può dire che un barattolo di merda vale quanto la Gioconda, e che un maschio seminudo, con le calze a rete e i tacchi a spillo, è tanto seducente e affascinante quanto Marilyn Monroe o Rita Hayworth.
Ma la resa più scoraggiante di tutte, la più vergognosa, la più repentina, la più imperdonabile, è stata quella della Chiesa cattolica. Forte di duemila anni di storia, e, soprattutto, dell’aiuto soprannaturale che viene dallo Spirito Santo, la Chiesa aveva tutti gli strumenti per tenere la testa a posto e i nervi saldi; per fare diga contro la marea fangosa del relativismo, opponendo ad esso la Verità inalterabile, perfetta, luminosa e perenne di Gesù Cristo; per mostrare a questa umanità sempre più confusa, smarrita, angustiata, tradita e ingannata da quanti dovrebbero guidarla, la strada giusta verso la pace, verso l’autentica realizzazione della persona, al di là dei miti di cartapesta del consumismo più becero; e non l’ha fatto. A un certo punto sono stati proprio i teologi, i vescovi, i sacerdoti, e da ultimo anche il papa, a gettar via la sublime Tradizione per correr dietro alle mode del mondo, per piacere al mondo, per ricevere l’applauso del mondo: ed è stata un’esplosione di teologi della liberazione, di preti scomodi che poi non sono affatto scomodi, di preti operai, di preti di strada, di vescovi modernisti, di cardinali massoni, di frati canterini e di suore ballerine, ciascuno dei quali, nel suo ambito, grande o piccolo che sia, ha sferrato la sua picconata al sacro e venerando edificio. Poi ci ha preso gusto, le picconate son diventate una gragnola continua, implacabile, demolitrice, una furia di distruzione, una vera e propria rabbia contro chi non ci sta, contro chi rimane radicato nella Verità eterna, perché la sua sola esistenza suona come un rimprovero nei suoi confronti, che ha deciso di adorare il tempo, il progresso, la storia, e di sottoporre anche il Vangelo perenne di Gesù Cristo alle leggi dell’evoluzione, dell’adattamento, del cambiamento, esattamente come farebbe qualunque modernista, progressista, storicista e naturalista. E così l’abitudine alla sporcizia è entrata anche nella Chiesa cattolica, sapientemente preparata dalla rimozione, o dalla messa fra parentesi, del concetto di peccato.
Quanti vescovi e quanti sacerdoti parlano ancora del bene e del male, del peccato e della grazia, della morte e del giudizio, del paradiso e dell’inferno? Ben pochi. Tutti gli altri parlano solo di misericordia, di accoglienza, d’inclusione, di solidarietà, di letizia; danno a intendere che si può essere facilmente perdonati, quasi senza prendersi il disturbo di domandar perdono; e il papa è arrivato al punto di mettere per iscritto (nel paragrafo 303 di Amoris laetitia) che Dio stesso, dal peccatore, altro non si aspetta che questi, in certe situazioni, rimanga lì dov’è e seguiti a fare quel che fa, vale a dire che insista nel peccato. Ma se si toglie o si addomestica il senso del peccato, si apre la porta al sudiciume: tutto diventa lecito, purché si agisca “secondo coscienza”, come ha asserito, ancora, papa Francesco nella famigerata intervista a Eugenio Scalfari. Questa non è più la dottrina cattolica: è un’altra cosa. Questo è un incitamento a sguazzare nel fango, lasciando intravedere un condono a buon mercato, o una cosa ancor più grave: che non c’è nulla di cui pentirsi, dunque non c’è più bisogno di essere perdonati. E siamo così sprofondati nel fango, che neanche ce ne accorgiamo; anzi, troviamo perfettamente normale andarcene in giro coperti di schizzi e di macchie disgustose. Si osservi la moda maschile e femminile d’ogni giorno; non l’alta moda, ma la moda quotidiana, specialmente degli adolescenti e dei giovani: è un inno alla sconcezza e alla pornografia. Non occorre essere dei moralisti arrabbiati per dirlo: basta essere delle persone di normale sensibilità e di discreto buon gusto. E il bello è che le persone paiono non accorgersi minimamente di ciò. Prendiamo i pantaloni all’ultima moda per le donne e le ragazze: attillatissimi, di materiale ultra aderente, non lasciano praticamente nulla all’immaginazione: è come andare in giro a gambe nude e col sedere al vento. Aggiungiamo un cavallo a vita bassissima, per mettere in evidenza non solo le mutandine, ma anche, al più piccolo movimento, la fessura fra le natiche: manca poco che si esibisca l’intero panorama di ciò che, secondo buongusto e secondo decenza, dovrebbe restar coperto. E aggiungiamo anche dei tacchi chilometrici, un trucco vistosissimo, una scollatura vertiginosa, una capigliatura fiammeggiante, una quantità inverosimile di anelli, bracciali, braccialetti, catenine, piercing, e soprattutto tatuaggi, in tutti i posti immaginabili e anche in quelli inimmaginabili: e si avrà il prefetto ritratto di una battona professionista. Delle più volgari, di quelle che battono i viali più sordidi, i quartieri più infami, e adescano la clientela più depravata e ripugnante. Ebbene: tale, press’a poco, è il modo di vestire di milioni di donne e di ragazze le quali, teoricamente, sarebbero da considerarsi “rispettabili”: impiegate, casalinghe, studentesse, commercianti, parrucchiere, perfino pensionate e nonne, non di rado ancor più assatanate delle loro figlie e delle loro vispe nipotine quindicenni.; risvegliare il gusto del pulito, accenderne la nostalgia…
Dobbiamo ritrovare il senso e il gusto del “pulito”
di Francesco Lamendola Del 12 Ottobre 2017
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