Postato da Cesare Baronio
http://opportuneimportune.blogspot.it/2017/10/senza-avvenire.html
Avvenire getta la maschera sulla contraccezione
Venerdì scorso il quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire,
ha offerto ai lettori in modo chiaro quella che sarà la svolta che si va
preparando in ambito cattolico: un apertura alla contraccezione. Luciano Moia,
firma del quotidiano sensibilissima ai temi della famiglia e della bioetica, è
da tempo impegnata contro i «fustigatori implacabili dei nostri giorni», cioè
quelli che si ostinano a non vedere la dottrina cattolica evolvere sotto il
fluire della storia.
L'occasione è un corso alla Pontificia Università Gregoriana
che è serve al quotidiano dei vescovi per dire che «chi pensa che quanto
scritto da Paolo VI in Humanae vitae sia per le coppie credenti un obbligo da
perpetuare “nei secoli dei secoli” ignora non solo la storia della Chiesa,
soprattutto quella dell’ultimo secolo, ma anche quanto detto dallo stesso
pontefice riguardo all’opportunità di non considerare i contenuti
dell’enciclica né infallibili né irreformabili».
Il tema è un vecchio cavallo di battaglia dei settori
avanzati della Chiesa, vale a dire la questione dell’enciclica del beato Paolo
VI Humanae vitae, quella comunemente conosciuta come il “no” alla
contraccezione della Chiesa. Questo è il documento del magistero più discusso
di tutto il post concilio, una faccenda che in confronto Amoris laetitia è un
fatto in tono minore. Per Humanae vitae vi furono dibattiti, petizioni, e vere
e proprie prese di posizione contrarie di intere conferenze episcopali (più o
meno le stesse che oggi sono a favore di Amoris laetitia e il suo “paradigma”
morale).
L’anno prossimo saranno 50 anni dalla promulgazione
dell’enciclica avvenuta nel luglio del 1968. E come sappiamo c’è una
commissione incaricata di studiare specialmente la vicenda della Pontificia
Commissione, che lavorò dal 1963 al 1966. Per far riemergere la complessità e
le varie posizioni, ma qualcuno dice per introdurre anche nel campo della
contraccezione l’approccio di Amoris laetitia. “Caso per caso”, contraccezione
sì, ma anche no, in funzione del discernimento e del rapporto tra
responsabilità soggettiva e situazione oggettiva. Ricordiamo ai lettori che
questa commissione, guidata da monsignor Gilfredo Marengo, è stata più volte
indicata da diversi rumors vaticani, ma più volte celata ufficialmente.
In un’intervista del 4 luglio scorso proprio monsignor
Vincenzo Paglia, attuale presidente della Pontificia Accademia per la vita,
diceva a Luciano Moia su Avvenire che non c’era «proprio nulla» di vero nelle
illazioni di chi sosteneva vi fosse «una commissione segreta per la
"revisione" di Humanae vitae». Anzi, Moia faceva a Paglia anche
l’elenco degli esperti che sarebbero stati impiegati nella commissione, tra cui
i nomi di monsignor Pierangelo Sequeri, attuale preside del riformato
“Pontificio istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio
e della famiglia” e lo stesso Gilfredo Marengo. Ma Paglia diceva, appunto, che
in tutto questo non c’era «proprio nulla» di vero.
Con certa sorpresa, una ventina di giorni dopo su Radio
Vaticana era lo stesso monsignor Marengo a rendere pubblica l’esistenza della
commissione. Quelli che Moia aveva definito come “manipolatori mediatici”,
perché preoccupati della “revisione” dell’enciclica, apprendevano da Marengo
anche i nomi degli esperti, guarda caso i nomi di cui venti giorni prima
nell’intervista di Moia a Paglia non si sapeva nulla. Con il coordinatore
Marengo, i nomi resi pubblici sono, infatti, quelli di monsignor Pierangelo
Sequeri, il prof. Philippe Chenaux, docente di Storia della Chiesa presso la
Pontificia Università Lateranense e mons. Angelo Maffeis preside dell’Istituto
Paolo VI di Brescia. Tutti nomi che i “manipolatori mediatici” avevano
regolarmente registrato da tempo.
Il 30 agosto Moia su Avvenire rassicurava il lettore sul
compito della commissione finalmente resa pubblica. C’è da mettere in luce «un
processo ecclesiale lungo e complesso, iniziato nel ’63 da Giovanni XXIII,
proseguito con il lavoro della commissione, arricchito dalla decisione di
Montini di coinvolgere poi nella riflessione la Congregazione per la dottrina
della fede e la Segreteria di Stato». Tra le pieghe di questo lungo e complesso
cammino, si opera per fare luce e far emergere tutte le posizioni. Un lavoro
storico-critico che renda ragione dei “dubbi e delle incertezze” di Montini: «I
complottisti si rassegnino», chiudeva Moia. «Qui non ci sono spunti per le loro
fantasie malsane».
Lo scorso 20 ottobre però nell’ennesimo articolo di Moia le
“fantasie malsane” dei complottisti possono trovare qualche altra scintilla per
accendersi. Non si tratta di negare l’impianto dottrinale, scrive e rassicura
Moia, ma «l’Humanae vitae andrebbe in qualche modo sviluppata, fatta crescere».
Come? Mettendo «in sintonia il quadro normativo di Humanae vitae con la
tensione al rinnovamento alla luce del primato della coscienza che si respira
in Amoris laetitia». Potrebbe così tornare in auge un vecchio dibattito che
infiammò la Chiesa negli anni successivi alla pubblicazione dell’enciclica,
ossia la questione circa l’infallibilità/fallibilità e
irreformabilità/reformabilità dell’insegnamento di Humanae vitae.
Da che parte stanno Luciano Moia e Avvenire è ormai chiaro.
Bisogna superare i “principi cristallizzati” in favore di «riflessioni e
indicazioni calati in un naturale dinamismo collegato al cammino dell’uomo
incarnato nella storia». Al di là delle parole, si affaccia così all’orizzonte
la possibilità di prevedere una qualche forma di eccezione sull’unità
inscindibile tra significato unitivo e procreativo dell’atto coniugale. Siamo
così al cuore del tema della contraccezione che finisce per essere in qualche
modo sdoganata, assumendo il volto di una imprecisata evoluzione delle
dottrina.
Lorenzo Bertocchi
Come ti smonto la devolution etica di Avvenire
È bene che i lettori della Nuova BQ lo sappiano: tra le cose
più detestabili del direttore Cascioli c’è quella di obbligarti a sorbirti gli
articoli su Avvenire di Luciano Moia. Ecco, me ne stavo in santa pace con
moglie e figlia sfogliando alcuni cataloghi del mio passatempo preferito, che
arriva la telefonata del direttore tiranno a farti andare di traverso la
giornata. Vabbè, direte, ma a noi che ci interessa delle vostre beghe? Avreste
ragione da vendere, se non fosse per il piccolo particolare che che l’esercito
di Isengard dopo l’indissolubilità del matrimonio è prossimo a colpire l’altro
bastione della morale coniugale, l’inscindibilità dei significati dell’atto
coniugale.
Ecco che nel presentare gli 8 incontri che si terranno alla
Gregoriana, Luciano Moia venerdì mette in grassetto la ciccia in gioco: “Come mettere in sintonia il quadro normativo
di Humanae vitae con la tensione al rinnovamento alla luce del primato della coscienza
che si respira in Amoris laetitia”. Ora uno che non è addentro a queste cose
potrebbe pensare che il giornalista di Avvenire abbia tirato fuori dal cilindro
chissà quale novità, ma chi come il sottoscritto ha per anni studiato la
materia (cfr. Renzo Puccetti I veleni della contraccezione, Edizioni studio
Domenicano, 2013 ndr.), sa bene che la linea di “sintonizzare” la norma di
Humanae vitae, che al n. 14, sancisce che è “esclusa ogni azione che, o in
previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle
sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la
procreazione”, con il giudizio della coscienza, è l’espediente vecchio come il
cucco usato da intere conferenze episcopali per sterilizzare il divieto di
usare i contraccettivi da parte dei coniugi.
Ad enciclica appena pubblicata, l’acerrimo oppositore di
Humanae vitae, il cardinale di Bruxelles Leo Suenens, dettò al vescovo
ausiliare Schoenmaeckers le direttive per i sacerdoti della diocesi tra le quali
vi era quella di “armonizzare” le norme oggettive e le norme soggettive della
coscienza. E non a caso la conferenza episcopale belga si richiamò alla
“coscienza debitamente illuminata secondo l’insieme dei criteri che espone la
Gaudium et spes”, ben sapendo che nessuno si sarebbe preso la briga di andarci
a rileggere quei criteri. Altre conferenze episcopali, quella austriaca,
canadese, tedesca, ricorsero allo stesso argomento. Ora, proprio la questione
della coscienza di fronte a norme che in modo assoluto proibiscono una
determinata azione, è oggetto di uno dei cinque dubia a cui non è ancora stata
data risposta.
È davvero sconcertante che un’interpreazione dubbia di una
norma diventi il criterio fondante per rinnegare norme che non sono dubbie
affatto. Se infatti è la coscienza sic et simpliciter ad avere il primato come
dice Moia, e non la coscienza retta, allora la norma verrebbe ridotta a flatus
vocis, al massimo ad una sommessa esortazione, e per il singolo sarebbe la
propria coscienza l’istanza creatrice della sua verità morale. Il quadro è
quello né più e né meno del soggettivismo e del relativismo etico. Ovviamente
non si vede perché un tale impianto non dovrebbe essere applicato ad ogni
scelta morale che non sia coperta da pronunciamento infallibile. Tempo fa si
ipotizzava la scomunica per i mafiosi, ma chi può dire che il mafioso di turno,
magari condizionato nella comprensione della norma dall’ambiente in cui è nato
e cresciuto, alla luce del primato della sua coscienza, non percepisca come un male
estorcere il pizzo e magari possa persino concepire con una certa sicurezza
morale il limitarsi a ferire il negoziante come il bene possibile che Dio gli
chiede in quel momento, laddove non riscuoterlo potrebbe costituire una grave
minaccia per la famiglia del mafioso?
Vogliamo applicare il giochino al pedofilo? Non è forse vero
che molte volte gli abusatori sono stati a loro volta abusati e magari può
esservi dunque una difficoltà a percepire i valori della norma? Non potrebbe
essere che qualcuno possa ritenere che anche in questo caso si possa commettere
simili atrocità, come si dice, in buona coscienza? Non si pensi che abusi
dell’argomento. In un gigantesco intervento del 1991 l’allora prefetto della
Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Ratzinger, riportò la
difesa della coscienza dei criminali nazisti fatta nell’ambito di una
discussione teologica: “Persino i membri delle SS naziste sarebbero
giustificati e dovremmo cercarli in Paradiso. Essi infatti portarono a
compimento le loro atrocità con fanatica convinzione e anche con un’assoluta
certezza di coscienza, era stato detto. Il cardinale Ratzinger commentò in
questo modo: «Fui assolutamente sicuro che c’era qualcosa che non quadrava in
questa teoria sul potere giustificativo della coscienza soggettiva, in altre
parole: fui sicuro che doveva esser falsa una concezione di coscienza, che
portava a simili conclusioni».
Vogliamo la devolution etica? Ma allora non si comprende ad
esempio la tendenza che si coglie su Avvenire a conferire il primato al quadro
normativo del tributo allo Stato [senza
considerare che “remota iustitia, quid sunt regna nisi magna latrocinia?”
(negata la giustizia, che cosa sarebbero gli stati se non grandi bande di
ladri?)], piuttosto che alla coscienza degli italiani che considerano
vessatorio l’attuale livello di tasse e imposte. E perché poi la coscienza
dovrebbe avere un primato in camera da letto, ma esserne spogliata quando si
tratta della contrarietà allo ius soli o alle politiche delle braccia aperte agli
immigrati? Sembra che in base ai nuovi e rivoluzionari Patti Lateranensi ad
occuparsi delle cose di Dio debba essere Cesare, mentre gli impiegati del
Padreterno debbano pensare a trivelle, differenziata, flussi migratori e
decreti svuotacarceri.
Moia dedica ampio spazio anche ad un argomento più logoro
dei panni di Edmond Dantès nell’isola di Montecristo: “Chi pensa che quanto
scritto da Paolo VI in Humanae vitae sia per le coppie credenti un obbligo da
perpetuare “nei secoli dei secoli” ignora non solo la storia della Chiesa,
soprattutto quella dell’ultimo secolo, ma anche quanto detto dallo stesso
pontefice riguardo all’opportunità di non considerare i contenuti
dell’enciclica né infallibili né irreformabili”. scrive Moia.
E dove avrebbe scritto il beato Paolo VI che il divieto di
contraccezione non è infallibile e irriformabile? Io piuttosto al n. 6 di
Humanae vitae leggo le seguenti parole: “Avendo attentissimamente vagliato la
documentazione a noi offerta, dopo mature riflessioni e assidue preghiere, intendiamo
ora, in virtù del mandato da Cristo a noi affidato, dare la nostra risposta a
queste gravi questioni”, una formula senz’altro solenne, interpretata da uno
studioso molto serio e lodato da San Giovanni Paolo II come padre Ermenegildo
Lio, quale espressione del magistero solenne infallibile. Il giochino è stato
riproposto usque ad nauseam; se Humanae vitae non è infallibile, allora è
fallibile, se è fallibile è dubbia e riformabile, se è dubbia non obbliga e se
è riformabile essa è reformanda.
Ma il beato Paolo VI ha aggiunto la sua voce a venti secoli
di insegnamento della Chiesa. Si sono forse dimenticati che esiste il magistero
ordinario universale di cui il divieto della contraccezione è un tipico
esempio, come attestato persino dal professor John Noonan nel suo studio
storico? Fu proprio Noonan, favorevole allo sdoganamento della contraccezione,
ad usare l’evoluzione del magistero come argomento per il cambiamento: se è
mutato almeno una volta, allora è mutabile. In realtà evoluzione non è contraddizione.
L’evoluzione può approfondire la comprensione del perché non si può commettere
un’azione illecita, può riconoscere che una determinata azione fisica
costituisca un’azione morale differente (esempio tipico è il prestito ad
interesse), ma non può rendere buona un’azione dichiarata male semper et pro
semper (in ogni caso e per sempre).
E quale sarebbe il divieto che sarebbe venuto meno ed
invocato come esempio di evoluzione? Mi tocca ancora citare Moia: “Il divieto è
quello espresso da Pio XI nella Casti connubi” dove “Ogni «attentato» dei
coniugi per privare l’atto della sua forza e impedire la procreazione va
considerato «turpe e disonesto»”. Ma questo non è esattamente ciò che afferma
anche Pio XII, Paolo VI, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?
Se Moia avesse letto con la necessaria attenzione la materia
di cui disquisisce, avrebbe potuto scoprire che proprio in Casti connubi Pio XI
afferma: “Né si può dire che operino contro l’ordine di natura quei coniugi che
usano del loro diritto nel modo debito e naturale, anche se per cause naturali,
sia di tempo, sia di altre difettose circostanze, non ne possa nascere una
nuova vita” (Pio XI, Casti connubii 2, in «AAS» 22 (1930) 561). È una lettura
delle azioni totalmente erronea quella di considerare la natura morale delle
azioni dalle conseguenze che ne seguono. Non lo dico io, lo dice San Giovanni
Paolo II in Evangelium vitae, vera e propria bestia nera del modernismo di
andata e di ritorno e lo dice anche quella cosetta che sebbene non sappia
quanto ancora sia da considerarsi valida per le norme attuali, tuttavia in
coscienza non mi sento di rifiutare; si chiama Catechismo della Chiesa
Cattolica (CCC 1750-1761).
Quando Pio XII parlò alle ostetriche dei metodi naturali,
come riconosciuto dal gesuita padre Eric Marcelo Genilo, egli introdusse quale
novità quella di dare pubblicità ad essi invece che usare discrezione come
precedentemente raccomandato dalla penitenziaria apostolica. Sarebbe questa
l’evoluzione rivoluzionaria a cui si aggrappano i rivisitatori? Potrei
continuare elencando altri errori ed espedienti retorici, ma poiché ogni giorno
reca la sua pena, come ogni riga dell’articolo di Moia, mi fermo qui.
Renzo Puccetti
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