ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 7 ottobre 2017

Una prova interminabile


Col senno di poi


Da giovane, nella mia semplicità, non avevo pre-giudizi. Poi, a forza di prender fregature, ho cominciato ad avere dei post-giudizi. Attratto da ogni realtà in cui scorgevo del bene o una traccia di Dio, tendevo a trascurarne gli aspetti problematici o a scusarli con la speranza che si evolvessero in meglio. In età matura ho dovuto però riconoscere che i lati carenti o negativi di un’esperienza sono dovuti, il più delle volte, a cattiva volontà o a rifiuto di correggersi. Se si trattasse soltanto di ingenuità, immaturità o scarsa formazione si potrebbe sperare in un progresso; ma quando un gruppo persiste nell’errore o addirittura lo difende, bisogna concludere che, a monte, c’è una scelta deliberata: la radice stessa è velenosa, nonostante porti frutti a prima vista buoni. Una volta presa coscienza di questo, è moralmente obbligatorio dissociarsi.

Nella mia esistenza credo di aver preso visione più o meno di tutto il ventaglio delle odierne realtà ecclesiali, da un estremo all’altro: apostolati tradizionali o innovativi, forme di vita consacrata antiche e nuove, fenomeni mistici o pseudomistici (quasi mai riconosciuti dall’autorità ecclesiastica, ma approvati a furor di popolo), associazioni, movimenti, cenacoli, fraternità, conventicole et similia… Ho cercato, cercato e ancora cercato una proposta che si potesse abbracciare senza riserve, finché, costretto dagli eventi, non mi sono messo in proprio, facendo tesoro dell’esperienza così da non ripetere gli errori osservati altrove. Le uniche realtà che mi ispirano fiducia sono aggregazioni di fedeli laici che si organizzano spontaneamente per poter sopravvivere come possono in questo deserto spirituale: lo stesso mio anelito. In queste iniziative – che hanno ovviamente bisogno di sacerdoti (fedeli, non fanatici) – mi par di scorgere la mano di Dio; eppure anche in questo caso devo dare qualche avvertimento, perché non mancano le insidie.

Un pericolo molto grave è rappresentato dai corsi di formazione offerti da gruppi tradizionalisti che impongono la propria versione della dottrina come assolutamente conforme alla verità rivelata e, quindi, come l’unica legittima, quando invece è deformata, in molti punti, da evidenti forzature teologiche miranti a giustificare l’ingiustificabile, cioè una situazione di fatto che è sostanzialmente scismatica (1). Oltre al contenuto, il metodo stesso è biasimevole: non è onesto imbottire la testa delle proprie idee a persone che non hanno gli strumenti per valutare criticamente quanto odono, ma che sono anzi preventivamente dissuase dal porsi domande in proposito come se fosse inevitabilmente un peccato contro la fede. Per poter credere – è san Tommaso d’Aquino ad insegnarlo – la persona umana ha bisogno di maturare nella sua coscienza un giudizio di credendità, cioè di trarre in foro interno la conclusione che una proposizione è vera e va quindi creduta.

A questa sorta di lavaggio del cervello si accompagna un formalismo estremo che spegne e persino scoraggia qualsiasi relazione personale con Dio, sospettata aprioristicamente di essere un fomite di perniciose velleità soggettivistiche e sostituita da un’ottusa e scrupolosa ottemperanza ad obblighi rituali. Il dramma è che proprio tale formalismo ha permesso ai novatori di imporre la nuova Messa soffocando qualunque resistenza. Se infatti l’importante è soltanto la forma e bisogna sempre e comunque obbedire all’autorità costituita, qualsiasi cosa essa richieda, senza porsi troppe domande, allora forma per forma, antica o nuova, l’una vale l’altra; basta che sia sancita dall’autorità. Come riportavo qualche settimana fa, già negli anni Quaranta e Cinquanta sacerdoti santi e avveduti avevano individuato proprio qui la causa principale del generale inaridimento della fede. Se la riforma liturgica ha avuto effetti ancor più catastrofici, dando il colpo di grazia a una vita ecclesiale già in profonda crisi, la soluzione non può certo consistere nel ripristinare il sistema precedente.

Ancor più grave è il pericolo rappresentato – torno a ribadirlo – dallo stuolo di presunti veggenti che spuntano ovunque, mettendosi immediatamente a divulgare (con tanto di siti e pubblicazioni varie) pretese rivelazioni celesti ancor prima di sottoporle alla legittima autorità ecclesiastica. I destinatari di apparizioni riconosciute non si sono mai comportati così, attirando l’attenzione prevalentemente su di sé e proponendosi come una fonte di messaggi la cui conoscenza e osservanza sarebbe indispensabile alla salvezza. La Chiesa è sempre stata estremamente cauta di fronte a simili fenomeni; con la sua millenaria esperienza sa fin troppo bene che le probabilità di inganno umano o, peggio, diabolico sono altissime, ragion per cui procede in materia con i piedi di piombo. Prima di ammettere la soprannaturalità di un evento effettua di norma, nella persona del vescovo diocesano, verifiche accuratissime volte ad escludere una contraffazione, che in genere si presume fino a che non sia dimostrato il contrario. Se poi, a un certo punto, si scopre fortuitamente (grazie a un giornalista smaliziato) l’altarino della doppia vita o doppia personalità del “veggente”, il discernimento può considerarsi definitivamente chiuso.

Oltre al pericolo di lasciarsi fuorviare, sia pure in buona fede, da falsi messaggi celesti, c’è un rischio molto più sottile e, quindi, inavvertito. La fede del cristiano poggia sull’autorità di Dio che rivela e della Chiesa che parla in Suo nome. Se decido in modo autonomo di dare credito a una presunta rivelazione, faccio prevalere il mio giudizio privato su quello di chi tiene il posto di Dio e, in definitiva, su quello di Dio stesso. In altre parole, sono un potenziale eretico; commetto lo stesso errore che hanno commesso Valdo, Lutero, Calvino e, prima di loro, Ario, Nestorio, Eutiche e compagnia cantante. Il giudizio di credendità non significa che sono io a sancire, con i miei ragionamenti, la credibilità di una verità di fede o a stabilirne la giusta interpretazione, così da poterla ammettere nel mio personale sistema di pensiero, ma che la mia ragione, sotto l’azione dello Spirito Santo, coglie l’evidenza della verità rivelata nella forma e nel senso in cui la Chiesa l’ha sempre insegnata, così che la mia coscienza si riconosce obbligata ad accoglierla.

Ancora una volta è in gioco la fede stessa, che si può perdere proprio nell’intento di difenderla o nell’illusione di ampliarla. In un caso come nell’altro prevale il giudizio privato – l’esatto opposto di ciò che avviene nell’atto di fede, precisamente ciò che si verifica, invece, nell’eresia. Può così accadere che proprio chi bolla come eretico e scismatico chiunque non si allinei alla sua posizione lo sia egli stesso senza rendersene conto (il che non significa che non ne sia responsabile); gli estremi si toccano. Per quanto, dunque, lo smarrimento sia grave e l’autorità ecclesiale manchevole nell’istruire e guidare i fedeli, non bisogna aggrapparsi alla prima proposta che abbia un’apparenza seria o rivendichi un’origine soprannaturale. Il nostro è un cammino estremamente arduo e faticoso, ma sostenuto dall’assistenza dello Spirito Santo e da un’incrollabile fede nell’indefettibilità della Chiesa nel suo complesso, a prescindere dagli atti di apostasia pratica o verbale di questo o quel Pastore che tradisce la propria missione, ricevuta da Cristo stesso.

La fede, d’altronde, non ci esonera dalla lotta, ma deve anzi necessariamente maturare e fortificarsi mediante le prove e notti interiori che il Signore dispone per la nostra crescita spirituale. Anche se la prova odierna è generale e pare interminabile, la virtù di fede richiede di sopportarla con pazienza senza deflettere dalla sana dottrina, coltivando la speranza ed esercitando la carità. L’indebolimento di quest’ultima virtù fa sì che la desolazione permessa dall’Alto per il nostro progresso degeneri in quell’aridità che è sintomo di indurimento. Voler trovare a tutti i costi una sicurezza umana che accorci la notte non solo ci espone al pericolo di eresia testè indicato, ma è già di per sé contrario alla fede, perché così non si fonda più la propria fiducia su Dio solo e sugli strumenti scelti dalla Sua provvidenza, ma sui mezzi che ognuno sceglie a piacimento da sé. Oltretutto c’è il rischio che, dietro l’apparenza di un santo zelo, si camuffino astio e ribellione, i quali alimentano una fame morbosa di critica e polemica che, come una dipendenza, ha bisogno di essere regolarmente saziata mediante convegni e conferenze in cui ridirsi sempre le stesse cose tra i soliti noti: per la vita interiore e lo spirito di preghiera, è la morte. In conclusione, tutti possiamo errare per debolezza, dato che è umano, ma ostinarsi a perseverare nell’errore… è qualcos’altro.

Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore. Ho annunziato la tua giustizia nella grande assemblea; vedi, non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai(Sal 39, 8-10).

P.S. Questo pomeriggio, alle 14, uniamoci al Santo Rosario recitato lungo tutto il confine polacco.
(1) Il cardinal Burke ha recentemente ricordato, fra l’altro, che non è lecito a fedeli cattolici frequentare liturgie celebrate da vescovi o sacerdoti in situazione irregolare.
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