Sono usciti ultimamente due libri, entrambi con autori di rilievo ed entrambi in risposta ai "dubia" espressi un anno fa da quattro cardinali a papa Francesco, riguardanti l'esortazione postsinodale "Amoris laetitia".
Il primo di questi libri, edito in Italia da Ares, ha già fatto molto discutere. È di Rocco Buttiglione, noto studioso di filosofia e accreditato interprete del pensiero filosofico di Giovanni Paolo II, oggi difensore convinto delle "aperture" introdotte da Francesco riguardo alla comunione ai divorziati risposati e assertore altrettanto risoluto della perfetta continuità tra il magistero dell'attuale papa in materia morale e l'enciclica "Veritatis splendor" di papa Karol Wojtyla.
Ma più ancora che per quanto scritto da Buttiglione, che era già noto, la discussione si è accesa per la prefazione al libro stesso, firmata dal cardinale Gerhard L. Müller, l'ex prefetto della congregazione per la dottrina della fede.
In effetti, tale prefazione è apparsa a molti contraddittoria.
Da un lato, infatti, Müller scrive di condividere in tutto le tesi di Buttiglione e ne raccomanda con calore la lettura.
Dall'altro lato, però, il cardinale prospetta di suo – esplicitamente – un solo caso di eventuale accesso alla comunione da parte di un cattolico passato a una nuova unione e con il primo coniuge ancora in vita. Ed è il caso in cui il primo matrimonio, pur celebrato in chiesa, sia da considerarsi invalido per l'assenza di fede o di altri requisiti essenziali nel momento della celebrazione, ma tale invalidità "non può essere provata canonicamente".
Nel qual caso Müller scrive:
"È possibile che la tensione che qui si verifica fra lo status pubblico-oggettivo del 'secondo' matrimonio e la colpa soggettiva possa aprire, nelle condizioni descritte, la via al sacramento della penitenza ed alla santa comunione, passando attraverso un discernimento pastorale in foro interno".
Ora, nessuno ha notato che il caso qui ipotizzato da Müller è lo stesso che in più occasioni già Joseph Ratzinger aveva prospettato e discusso, sia da teologo che da papa, ammettendo anche lui l'eventuale accesso ai sacramenti, sempre comunque con una decisione presa "in foro interno" col confessore e attenta a non generare pubblico scandalo:
Stando a quanto scrive nella prefazione, è dunque questa la soglia – del tutto tradizionale – su cui il cardinale Müller si attesta, riguardo l'accesso alla comunione dei divorziati risposati.
Buttiglione si spinge invece decisamente più in là, con il poco comprensibile attestato di benemerenza dell'ex prefetto della dottrina. Un "dubbio" in più, questo, invece che in meno.
*
C'è poi il secondo libro di risposta ai "dubia" dei quattro cardinali. Ed ha per autori due rinomati teologi francesi: il gesuita Alain Thomasset e il domenicano Jean-Miguel Garrigues.
Il libro è anch'esso in difesa della continuità e "complementarità" tra l'esortazione "Amoris laetitia" di papa Francesco e l'enciclica "Veritatis splendor" di Giovanni Paolo II.
E anch'esso sta animando una discussione, come si può notare in questo intervento critico del filosofo Thibaud Collin, espressamente scritto per Settimo Cielo.
Collin è docente di filosofia morale e politica al Collège Stanislas di Parigi ed uno dei sei studiosi laici convenuti a Roma lo scorso 22 aprile per il seminario di studio su "Amoris laetitia" dal significativo titolo "Fare chiarezza", ricordato dal cardinale Carlo Caffarra nella sua ultima – e inascoltata – lettera a papa Francesco.
LA CASUISTICA NON SI È MAI TROVATA COSÌ A SUO AGIO
di Thibaud Collin
In questi tempi di confusione, tutto ciò che sembra andare nel senso della chiarezza è benvenuto. Grande è dunque la speranza di chi apre il piccolo libro "Une morale souple mais non sans boussole" dei padri Alain Thomasset et Jean-Miguel Garrigues, il primo gesuita e il secondo domenicano. Sotto l'insegna del cardinale Schönborn che firma la prefazione, i nostri due teologi intendono rispondere ai cinque "dubia" esposti dai cardinali, riguardo alla maniera di comprendere certi passaggi dell'esortazione "Amoris laetitia".
Richiudendo il libro, è giocoforza constatare che quei "dubia" non sono scomparsi. Si potrebbe anzi dire che essi escono, malauguratamente, rafforzati, tanto gli argomenti utilizzati per dissolverli producono l'effetto contrario. Non si tratta certo di rallegrarsene, perché il dubbio è un'indeterminazione dolorosa dello spirito. E la materia lì in gioco, la vita morale e sacramentale dei fedeli, è sufficientemente grave per ritenere che la carità debba spingere a dissolverli con la massima urgenza. Come si sa, il Santo Padre non ha ancora ritenuto bene consentire a compiere un simile gesto.
In attesa che il papa si decida, il dibattito continua e la divisione cresce. E più il tempo passa, più è chiaro che la ricezione di "Amoris laetitia" va a incrociare i 50 anni di "Humanae vitae" e i 25 anni di "Veritatis splendor". Ora, l'enciclica di Giovanni Paolo II rispondeva alle obiezioni rivolte all'enciclica di Paolo VI risalendo alle loro radici più profonde. E quando oggi leggiamo tanti testi consacrati ad "Amoris laetitia" si ha l'impressione che la storia si ripeta. Si prova un sentimento strano davanti a questa regressione. I quattro cardinali, con in prima fila il cardinale di Bologna per ragioni storiche evidenti, hanno giustamente preso di mira ciò per cui il capitolo 8 di "Amoris laetitia" sembra essere stato scritto... come se "Veritatis splendor" non fosse mai esistita.
La tesi centrale del libro è comune ai due autori: esiste una complementarità tra "Amoris laetitia" (AL) e "Veritatis splendor" (VS), e i "dubia" non hanno quindi ragione d'esistere. Solo quelli che fanno una lettura intransigente dell'enciclica di san Giovanni Paolo II ritengono che l'articolazione dei due testi pone dei problemi. Padre Alain Thomasset espone in primo luogo le grandi linee di VS ricollocandola nel suo contesto storico: la sfida del relativismo che rimette in questione "i punti di riferimento indispensabili per la coscienza nel momento della decisione" (p. 30); da cui il beneficio di aver riaffermato l'esistenza di atti intrinsecamente cattivi. Due osservazioni: 1) questa collocazione nel contesto non è essa stessa troppo allusiva? Padre Thomasset non presenta in effetti nessuna delle dottrine che VS confuta, e ne ha motivo, perché lui è l'erede di coloro che le hanno sviluppate. 2) Il contesto di oggi è così diverso da quello di ieri? Il seguito del testo va a confermare i nostri timori. Si giudichi sulla base di questi passaggi:
"È sufficiente, per definire e valutare moralmente un atto coniugale che fa ricorso alla pillola, dire che esso cerca di evitare ogni procreazione, quando invece può essere in certi casi il solo mezzo efficace di regolazione delle nascite in vista di una paternità responsabile? […] Allo stesso modo, come prendere in considerazione la differenza tra un atto di adulterio di una persona sposata e una relazione sessuale nel seno di una coppia stabile di persone risposate, dove le circostante e le intenzioni sono differenti? Le definizioni degli atti intrinsecamente cattivi non bastano da sole per questa valutazione morale, restando troppo astratte e generiche. Esse non possono prendere in considerazione tutta la complessità delle situazioni vissute e l'insieme del contesto, divenuto più importante che in passato per giudicare dell'applicazione delle norme. Un'interpretazione troppo immediata bloccherebbe troppo presto l'intervento della ragione e della coscienza per la definizione dell'atto in questione e la sua valutazione morale" (pp. 77-78).
Qui si vede che padre Thomasset, dopo aver aderito alla dottrina di VS affermando l'esistenza di atti intrinsecamente cattivi, la nega! Non avverte la contraddizione poiché per lui la nozione di intrinsecamente cattivo si sviluppa a una tale altitudine stratosferica e a un tale livello di genericità che non può in quanto tale essere determinante nella pratica. Tocca quindi alla coscienza qualificare l'oggetto dell'atto, cioè dargli un senso riflettendo su di esso nel suo contesto e a partire dalle sue intenzioni. Tutto finisce per dipendere da una questione di vocabolario. La valutazione morale riposa sulla definizione, cioè sulla determinazione del senso per la coscienza situata nel contesto. La nozione di "atto intrinsecamente cattivo" non è più che un guscio vuoto, al massimo un punto di riferimento, un valore formale di orientamento della scelta. Non significa dunque più la stessa cosa che in VS: un atto che non può mai essere scelto quali che siano le circostanze e l'intenzione del soggetto, perché compiendolo la persona negherebbe il suo vero bene, si separerebbe da Dio e dalla propria felicità. Il presupposto di padre Thomasset è che la legge morale è una norma che sta di fronte alla libertà, e la coscienza deve determinarsi arbitrando tra il loro possibile conflitto. Padre Thomasset proietta quindi su VS una "forma mentis" legalista, da cui la contraddizione in cui cade. Ora, secondo san Tommaso, ripreso da VS, la legge morale è una luce che illumina la ragione sul vero bene della persona e le consente di ordinare l'agire verso la sua felicità. L'atto è dunque detto buono o cattivo a seconda che sia conforme o no alla ragione in relazione alle finalità della persona. La coscienza è questa luce di verità sul singolo atto da compiere. Come molti oggi, il teologo gesuita si richiama a san Tommaso per contestare la portata universale della legge naturale, incapace di abbracciare la contingenza e la complessità della vita pratica. Ma la virtù della prudenza non è mai consistita nell'autorizzare degli strappi o nell'arbitrare dei confitti di doveri. Essa è ciò con cui il soggetto determina "hic et nunc" il cammino della realizzazione del suo vero bene. Il giudizio di prudenza è pratico e non sostituisce il giudizio di coscienza. Solo coloro che concepiscono la legge naturale sul modello della legge politica possono appoggiarsi sulla dottrina di san Tommaso per convalidare delle sedicenti eccezioni ai precetti negativi. L'adulterio non sarà mai un atto buono per la persona che si è messa in questa situazione, anche se essa gli dà un nome nuovo. Questa tattica è vecchia come il mondo: ciascuno tende a presentare alla propria coscienza la situazione negli aspetti più vantaggiosi, affinché essa cessi di inquietarlo. La casuistica, ufficialmente oggi così vituperata, non si è mai trovata così a suo agio. E c'è da scommettere che anche la beatificazione di Pascal non cambierà niente in proposito!
Padre Jean-Miguel Garrigues riconosce che i "dubia" attendono una risposta, ma accusa il cardinale Gerhard Müller, "a motivo della sua posizione immobilista", di non aver "reso possibile una collaborazione fruttuosa della congregazione per la dottrina della fede con il papa" (p. 114). Gli si può obiettare che il cardinale prefetto ha fatto quello che ha potuto per preservare la continuità e la coerenza della posizione della Chiesa al riguardo. Non più tardi del 1999 il cardinale Ratzinger nell'introduzione a un libro esplicitamente voluto da san Giovanni Paolo II affermava che la posizione di "Familiaris consortio" n. 84 "è fondata sulla Sacra Scrittura" e che a questo titolo essa "non è una regola puramente disciplinare, che potrebbe essere cambiata dalla Chiesa. Essa deriva da una situazione oggettiva che di per sé rende impossibile l'accesso alla santa comunione". Il successore del cardinale Ratzinger era dunque più che motivato a ritenere che se il papa avesse voluto cambiare una pratica così antica e così consolidata non l'avrebbe fatto con una nota a piè di pagina, nota il cui significato non è chiaro perché non precisa il tipo di fedeli implicati.
Padre Jean-Miguel Garrigues ritiene che gli attuali intoppi sono provocati da "una scuola teologica" che ha contribuito a redigere "Veritatis splendor" ma ha finito per assolutizzarla senza percepire i limiti del suo campo di applicazione. L'enciclica di Giovanni Paolo II affronta principalmente la questione morale sul piano della specificazione oggettiva dell'atto a partire dalla ragione, mentre "Amoris laetitia" lo affronta sul piano dell'esercizio a partire dall'appetito e dunque dai condizionamenti. I due approcci sono complementari, poiché la ragione e la volontà sono tutte e due alla radice dell'atto umano. In breve, l'oggettività dell'atto e l'imputabilità del soggetto agente non devono essere confuse; si tratta quindi di distinguere per unire. Padre Garrigues accusa invece questa "scuola teologica" di rifiutare di tener conto del soggetto nella riflessione morale. I "dubia" sarebbero così dovuti a una rigidità mentale e a una ristrettezza pastorale, divenute manifeste nell'occasione della pubblicazione di "Amoris laetitia". Una lettura non rigida di VS quale quella proposta da padre Garrigues permetterebbe non solo di rispondere ai "dubia" sottolineando la complementarità dei due testi ma anche di denunciare formalmente questo ritorno in auge del "tuziorismo" in piena postmodernità. Tuttavia la tattica che consiste nel separare il buon grano di VS dalla zizzania di questa "scuola teologica" non resiste all'analisi.
E in effetti padre Garrigues non nomina mai questa scuola; e non ne discute mai questo o quel testo. Ciò avrebbe preso troppo tempo e l'avrebbe soprattutto condotto a constatare la vacuità di una simile accusa. Si può certo essere in disaccordo con il cardinale Carlo Caffarra o con monsignor Livio Melina (perché sono evidentemente loro i principali accusati, mai chiamati per nome) ma sembra intellettualmente disonesto ridurre la loro riflessione e il loro impegno pastorale (se si vuole almeno riconoscerne a loro uno) a un "tuziorismo" o a un'infedeltà a Giovanni Paolo II dovuti a un eccesso di zelo! Bisogna davvero non aver mai letto una riga dei loro scritti per accusarli di ignorare il soggetto morale e l'ordine di esercizio dell'atto. Ho ad esempio sotto gli occhi il testo di una conferenza che monsignor Caffarra pronunciò ad Ars all'inizio degli anni Novanta. Riguarda la soggettività cristiana. E giustamente la problematica era (di già!) quella del legalismo morale, di cui il proporzionalismo non è che una variante. Ora, solo una fine analisi della dinamica dell'atto umano colto nell'intenzione volontaria che diviene scelta permette di uscire da un approccio in cui la legge e la coscienza sono viste come due poli concorrenti. Ascoltiamo colui che san Giovanni Paolo II aveva scelto come suo stretto collaboratore su uno dei soggetti pastorali che più gli stavano a cuore, l'etica sessuale, il matrimonio e la famiglia:
"Nell'uomo l'intenzione non può realizzarsi che tramite e dentro la scelta. Nell'esistenza umana, ciò che è più decisivo non è il giudizio di coscienza, ma il giudizio di scelta. Uno non diventa cristiano pensando di diventarlo, così come non esiste pensando di esistere. Io non divento ancor più cristiano pensando con più profondità al cristianesimo: il pensiero dell'uomo non crea l'esistenza. Esiste uno solo mezzo per diventare cristiano: scegliere, decidere di diventare cristiano. Ma il giudizio di coscienza è pratico solo potenzialmente, mentre il giudizio di scelta è pratico realmente: è l'esercizio della ragione nell'atto stesso del scegliere (Ia IIae, Q. 58, a. 2 c). La conoscenza prodotta dal giudizio di coscienza è insufficiente, poiché può essere trascurata dalla persona nel momento della scelta; può essere una conoscenza che non considera la persona in quanto è questo individuo qui, con i suoi desideri e che deve agire in questa data situazione. Se una tale conoscenza non esprime ciò che l'individuo desidera realmente, resta inoperante".
Carlo Caffarra era un fine conoscitore di Newman e di Kierkegaard. Aveva anche assimilato molto bene il personalismo wojtyliano fondato sull'esperienza integrale della persona nel suo atto. Pretendere che questa "scuola teologica" ignori l'ordine dell'esercizio pratico è altrettanto assurdo che isolare il capitolo centrale di VS dal suo primo capitolo che riflette sulla chiamata del giovane ricco, e dal suo terzo capitolo che esorta al martirio per fedeltà alla volontà salvifica di Dio.
Padre Garrigues risponde sì ai cinque "dubia". Il discernimento dei condizionamenti che limitano la coscienza e la volontà del soggetto permette di optare in certi casi per la debole imputabilità del soggetto situato in uno stato di vita in contraddizione con il Vangelo. Ma come molti hanno già sottolineato, ciò non basta per legittimare la ricezione dei sacramenti. A meno di rompere con la forma in cui la Chiesa ha pensato fino ad oggi l'articolazione tra la fede, la vita morale e l'ordine sacramentale. Dire questo non è negare la soggettività a profitto di un'oggettività mortifera. È al contrario rendere possibile una soggettivazione che sia adeguata alla verità integrale dell'essere umano. Questo è il ruolo di ogni pastore. Questa era la preoccupazione più profonda di quel grandioso pastore che fu Karol Wojtyla. Senza dubbio una certa lettura di "Amoris laetitia" può consentire di precisare e di approfondire le modalità di questa soggettivazione. Solo il Santo Padre può determinare la maniera di ricevere correttamente l'esortazione. Allora il testo non sarà più occasione di divisione e di confusione ma di maturazione e di comunione.
Caro professor Buttiglione, conosce la distinzione tra legge della gradualità e gradualità della legge?
Giorni fa Rocco Buttiglione ha rilasciato un’intervista su vaticaninsider.it attaccando i firmatari della cosiddetta Correctio filialis, denunciandone il metodo nonché i contenuti della Correctio stessa. Buttiglione ha poi pubblicato un testo (Risposte amichevoli ai critici dell’Amoris Laetitia, edito da Ares) dove vorrebbe dimostrare che l’intero documento post-sinodale sarebbe perfettamente in linea con l’insegnamento di sempre della Chiesa.
Non abbiamo ora la possibilità di fare un intervento dettagliato sull’argomento. Ci limitiamo ad estrapolare un passaggio della suddetta intervista, laddove il filosofo afferma:
“(Quando) la coscienza riconosce di non essere in regola con la legge, (può sapere)anche di avere iniziato un cammino di conversione. Uno va ancora a letto con una donna che non è sua moglie ma ha smesso di drogarsi e di frequentare prostitute, si è trovato un lavoro e si prende cura dei suoi figli. Ha il diritto di pensare che Dio sia contento di lui, almeno in parte (san Tommaso direbbe: secundum quid). Dio non è contento dei peccati che continua a fare. È contento delle virtù che inizia a praticare e naturalmente si aspetta che faccia domani degli altri passi in avanti.”
Ebbene, questo esempio viene utilizzato male. O meglio non viene utilizzato per quello che esso può significare. Nella teologia morale esiste una chiara distinzione tra peccato mortale e veniale le cui differenze sono note. Ovviamente non tutti i peccati mortali sono uguali. Non lo sono in base alla sostanza, non lo sono in base alle circostanze e non lo sono in base al numero. Tant’é che il penitente in sede di confessione è tenuto a denunciare i peccati tanto nella specie quanto nel numero.
Ora, quand’è che è possibile stabilire una gerarchia tra i peccati mortali? Quando essi vengono assolti. Infatti un conto sono le pene da scontare per un solo peccato mortale, altre per tanti peccati mortali. Un conto sono le pene da scontare per un peccato mortale di un furto, altro per un peccato mortale di un omicidio. Ma fin quando i peccati mortali non vengono assolti, basta già un solo peccato mortaleperché si vada all’inferno.
Il peccato originale è consistito in un solo peccato. Non si parla di “peccati originali“, ma di “peccato originale”. E per giunta si trattò di un solo pomo! Il Signore comandò ad Adamo ed Eva che dovevano astenersi completamente dal mangiare dell’albero al centro del Giardino, non disse vi giudicherò in base al numero dei morsi.
Fa specie che Buttiglione, che scrisse un libro su Giovanni Paolo II, possa così allontanarsi dall’insegnamento del Papa polacco, che nella Familiaris Consortio offre un’utile distinzione tra legge della gradualità e gradualità della legge. Così è scritto al numero 34 di questa enciclica: “I coniugi non possono considerare la legge solo come un mero ideale da raggiungere in futuro, ma debbono valutarla come un comando di Cristo Signore a impegnarsi a superare le difficoltà. Perciò la cosiddetta ‘legge della gradualità’, o cammino graduale, non può identificarsi con la ‘gradualità della Legge’, come se nella Legge divina ci fossero vari gradi e varie forme di precetto per uomini e situazioni diverse.”
Dunque la legge della gradualità è un bel segno, è un segno di speranza, ma non basta a trasformare un atto oggettivamente cattivo in soggettivamente buono; perché tale legge della gradualità non può trasformarsi in gradualità della legge.
Se un ammalato aveva 40 di febbre, è senz’altro un bel segno che fa sperare nella guarigione il fatto che il termometro adesso segni 38. Ma nessun medico si sentirebbe di affermare che l’ammalato non è più ammalato e che può nuovamente uscire di casa e tornare al lavoro. Occorre che sia completamente sfebbrato!
Correctio dubiosa ai teologi
di Satiricus
Cari teologi, scrivo poche righe solo per chiedervi alcune semplici conferme. Diciamo che ho un'altra piccola serie di dubbi da risolvere.
Mi pare chiaro che uno studioso, ricco di titoli, di riconoscimenti e di studi, sufficientemente competente da potersi esprimere in campo teologico e indicare situazioni erronee o ambigue, qualora onori il proprio ruolo ed esprima le sue tesi, per ciò stesso venga deposto e messo a tacere. Direi dunque, prendendo per normativo l’uso ecclesiastico di allontanare simili figuri, che propriamente questo exemplar non vada considerato un teologo, almeno per il grado di inutilità e dispregio che gli viene marchiato indosso. Questo mi è chiaro.
A questo punto nascono i miei dubbi.
Un docente competente, uno studioso profondo, uno che sia in grado di leggere nel dettaglio i nodi teoretici della questione teologica e che si avveda di problemi e inesattezze emergenti, ma che non lo dica e non ne parli. E’ questo un teologo?
Una persona mediocre, utile idiota, inconsapevole di dove stia, incapace di comprendere se non la superficie didattica e scolastica dei discorsi su Dio e sulla fede, per il quale tutto va bene e ogni novità, soprattutto se viene dal Papa, è bella. E’ questo un teologo?
Un meschino, uno che occupa abusivamente poltrone votate alla ricerca del Vero Rivelato, uno che usi tali spazi per agire subdolamente contro la propria fede e religione, una talpa diabolica. E’ questo un teologo?
Perché a me rimane il dubbio mastodontico che per essere teologi oggi bisogna essere o codardi, o stupidi o apostati o tutte e tre le cose insieme. Cari teologi, vi riconoscete in questo ruolo e in questa descrizione? Ma a voi davvero piace spendere una vita, l’unica che avete, così?
WEINANDY, STRYNKOWSKI, IL SILENZIO DEL PAPA, LA CONFUSIONE.
UN EDITORIALE DI DON TULLIO ROTONDO SU APOLOGETICA CATTOLICA.
Su suggerimento di un amico particolarmente versato in materia, Stilum Curiae pensa che sia opportuno rilanciare un intervento di don Tullio Rotondo apparso sul sito di Apologetica Cattolica. Il punto è la lettera, scritta da padre Weinandy al Pontefice, in cui gli si chiedeva di arginare la confusione presente nella Chiesa, e l’attacco che ha subito – dopo essere stato costretto a dare le dimissioni dal ruolo di consulente dei vescovi americani – da parte di un prelato, mons. Strynkowski.
Eccovi l’articolo di don Tullio Rotondo.
Dopo avere letto questo articolo e poi questo mi pare importante notare qualcosa …
Il teologo, monsignore, Strynkowski afferma che p. Weinandy doveva seguire il saggio consiglio contenuto nell’istruzione Donum Veritatis, documento della Congregazione per la Dottrina della Fede sul lavoro del teologo, pubblicato nel 1990 firmato dall’allora cardinale Joseph Ratzinger e approvato da san Giovanni Paolo II, nel quale al paragrafo 30 si legge: «Se, malgrado un leale sforzo, le difficoltà persistono, è dovere del teologo far conoscere alle autorità magisteriali i problemi suscitati dall’insegnamento in se stesso, nelle giustificazioni che ne sono proposte o ancora nella maniera con cui è presentato. Egli lo farà in uno spirito evangelico, con il profondo desiderio di risolvere le difficoltà. Le sue obiezioni potranno allora contribuire ad un reale progresso, stimolando il Magistero a proporre l’insegnamento della Chiesa in modo più approfondito e meglio argomentato». «In questi casi — conclude il paragrafo citato – il teologo eviterà di ricorrere ai “mass-mediaˮ invece di rivolgersi all’autorità responsabile, perché non è esercitando in tal modo una pressione sull’opinione pubblica che si può contribuire alla chiarificazione dei problemi dottrinali e servire la verità».
Domandiamoci: in questi tempi tutti i documenti magisteriali possono essere interpretati … Familiaris Consortio , documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede … e anche i testi che condannano Lutero … solo un documento sarebbe da applicare alla lettera, senza interpretazione, la “Donum Veritatis” nella parte suddetta? Dopo aver riflettuto ci pare che le cose stiano diversamente da quanto afferma il teologo Strynkowski … vediamo meglio …
Riprendiamo un articolo di R. de Mattei che riporta affermazioni molto interessanti circa la correzione , taglierò solo alcune parti di esso per non dilungarmi “Ma è vero che egli ( il Papa n.d.c.) può essere corretto solo privatamente, e mai pubblicamente?
Per rispondere è importante ricordare l’esempio storico per eccellenza, quello che ci offre la regola aurea del comportamento, il cosiddetto “incidente di Antiochia”. San Paolo lo ricorda in questi termini nella Lettera ai Galati, scritta probabilmente tra il 54 e il 57: «(…)«Visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per le genti – e riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi. Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare. Ma quando Cefa (il nome aramaico con cui veniva chiamato Pietro) venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ma quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: “Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?”» (Gal 2, 7–14).
San Tommaso d’Aquino tratta questo episodio in molte sue opere. Innanzitutto egli osserva che «l’Apostolo contrastò Pietro nell’esercizio dell’autorità e non nell’autorità di governo» (Super Epistolam ad Galatas lectura, n. 77, tr. it. ESD, Bologna 2006). Paolo riconosceva in Pietro il Capo della Chiesa, ma giudicava legittimo resistergli, data la gravità del problema, che toccava la salvezza delle anime. «Il modo del rimprovero fu conveniente perché fu pubblico e manifesto» (Super Epistolam ad Galatas, n. 84).L’episodio, osserva ancora il Dottore Angelico, contiene insegnamenti tanto per i prelati quanto per i loro soggetti: «Ai prelati (fu dato esempio) di umiltà, perché non rifiutino di accettare richiami da parte dei loro inferiori e soggetti; e ai soggetti (fu dato) esempio di zelo e libertà, perché non temano di correggere i loro prelati, soprattutto quando la colpa è stata pubblica ed è ridondata in pericolo per molti» (Super Epistulam ad Galatas, n. 77).Si può immaginare che dopo aver tentato di convincere privatamente san Pietro, Paolo non esitò ad ammonirlo pubblicamente, ma – dice san Tommaso – «poiché san Pietro aveva peccato di fronte a tutti, doveva essere redarguito di fronte a tutti» (In 4 Sententiarum, Dist. 19, q. 2, a. 3, tr. it., ESD, Bologna 1999).…. “Alla domanda se si è tenuti a riprendere pubblicamente il superiore, san Tommaso nel Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, risponde affermativamente, facendo notare però che bisogna agire sempre con estremo rispetto. Perciò, «i prelati non vanno corretti dai sudditi di fronte a tutti, ma umilmente, in privato, a meno che non incomba un pericolo per la fede; allora infatti il prelato diventerebbe minore, qualora scivolasse nell’infedeltà, e il suddito diventerebbe maggiore» (In 4 Sententiarum, Dist. 19, q. 2, a. 2).
Cornelio a Lapide, riassumendo il pensiero dei Padri e dei Dottori della Chiesa, scrive: «(…) I superiori possono essere ripresi, con umiltà e carità, dagli inferiori, affinché la verità sia difesa, è quanto dichiarano, sulla base di questo passo (Gal. 2, 11), sant’Agostino (Epist. 19), san Cipriano, san Gregorio, san Tommaso e altri sopra citati. Essi insegnano chiaramente che san Pietro, pur essendo superiore, fu ripreso da san Paolo […]. A ragione, dunque, san Gregorio disse (Homil. 18 in Ezech.): “Pietro tacque affinché, essendo il primo nella gerarchia apostolica, fosse anche il primo nella umiltà”. E sant’Agostino affermò (Epis. 19 ad Hienonymum): “insegnando che i superiori non devono rifiutare di lasciarsi richiamare dagli inferiori, san Pietro ha dato alla posterità un esempio più eccezionale e più santo di quello di san Paolo insegnando che, nella difesa della verità, e con carità, ai minori è dato avere l’audacia di resistere senza timore ai maggiori”» (Ad Gal. 2, II, in Commentaria in Scripturam Sacram, Vivès, Parigi 1876, tomo XVII).
La correzione fraterna è un atto di carità. Tra i più gravi peccati contro la carità, vi è lo scisma … un Papa può cadere nello scisma, se divide la Chiesa, come spiega il teologo Suarez (De schismate in Opera omnia, vol. 12, pp. 733–734 e 736–737) e conferma il cardinale Journet (L’Eglise du Verbe Incarné, Desclée, Bruges 1962, vol. I, p. 596)” ( R. de Mattei “Quando la correzione pubblica è urgente e necessaria ” https://www.corrispondenzaromana.it/quando-la-correzione-pubblica-e-urgente-e-necessaria/ ) Aggiungo che la correzione può essere di vario genere: fraterna, paterna, giudiziale. La correzione fraterna è un obbligo di diritto divino positivo (Mt. 18,15–17; Sir. 19,13ss.) e di diritto naturale (cfr. Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. III, col. 1908; P. Palazzini (cura) “Dictionarium morale et canonicum” Romae, Officium Libri Catholici 1962, I p. 979) e lo stesso P. Palazzini nel testo appena citato ma alla pag. 980 afferma anche che se il peccato è pubblico non si deve osservare l’ordine della correzione fraterna per cui anzitutto il fratello va corretto in segreto infatti in questo caso il peccato è già noto alla maggior parte della comunità.
Facciamo notare inoltre che come il Papa può essere scismatico, secondo Suarez, così anche un Papa può diventare eretico , come dice, tra l’altro, s. Alfonso de Liguori (leggi qui) … e soprattutto il Papa non è sempre infallibile né impeccabile … per alcuni errori famosi di Papi si pensi ai casi di Onorio ( Denz-Hün 550 ss. 561 ss.), Liberio ( cfr. anche Denz-Hün 138 ss.), Giovanni XXII (Denz-Hün 990 s.) ed altri … la storia presenta vari casi di correzioni ai Papi …Come si vede dai testi succitati sia s. Paolo che s. Tommaso e molti altri sono pienamente favorevoli ad una correzione pubblica anche del Papa … e non penso che la Congregazione per la Dottrina della Fede possa mettere da parte s. Paolo o il Vangelo e nemmeno che voglia mettere da parte s. Tommaso.
Tra l’altro anche s. Tommaso afferma che non occorre neppure fare la correzione privata se il peccato è pubblico “Respondeo dicendum quod circa publicam denuntiationem peccatorum distinguendum est. Aut enim peccata sunt publica, aut sunt occulta. Si quidem sint publica, non est tantum adhibendum remedium ei qui peccavit, ut melior fiat, sed etiam aliis, in quorum notitiam devenit, ut non scandalizentur. Et ideo talia peccata sunt publice arguenda, secundum illud apostoli, I ad Tim. V, peccantem coram omnibus argue, ut ceteri timorem habeant; quod intelligitur de peccatis publicis, ut Augustinus dicit, in libro de verbis Dom.” ( S. Th. II-II q.33 a.7) Che potremmo tradurre così: …. per la pubblica denunzia dei peccati dobbiamo distinguere. Infatti i peccati sono o pubblici od occulti. Se sono pubblici non si deve provvedere soltanto al colpevole perché diventi più onesto, ma anche agli altri che sono a conoscenza del peccato perché non ne siano scandalizzati. Perciò questi peccati devono essere rimproverati pubblicamente, stando all‘esortazione dell‘Apostolo [1 Tm 5, 20]: «Quelli che risultano colpevoli riprendili alla presenza di tutti, perché anche gli altri ne abbiano timore»; parole queste che, secondo S. Agostino [ib.], si riferiscono ai peccati pubblici. Se invece si tratta di peccati occulti, allora valgono le parole del Signore …” .
Se dunque un documento magisteriale crea scandalo tra i fedeli il teologo è tenuto non solo a informare i superiori ma anche a informare i fedeli e quindi a pubblicare le sue affermazioni per la salvezza delle anime, perché sappiamo bene che la suprema legge della Chiesa non è la protezione dei superiori che dicono errori ma è la “salus animarum” come emerge dal diritto canonico e come si legge in fondo anche nei testi tomisti presentati. Va notato, riguardo al p. Weinandy, che lui ha scritto questa lettera facendosi guidare dalla preghiera e ben conscio di ciò che stava per fare … se il p. Weinandy ha scritto quelle cose guidato dallo Spirito Santo e per la “salus animarum” secondo le indicazioni presentate sopra da s. Tommaso ha fatto molto bene e va lodato il suo coraggio in questi tempi in cui , come diceva il card. Caffarra “ … sono state pubblicamente date interpretazioni di alcuni passi obiettivamente ambigui dell’Esortazione post-sinodale, non divergenti dal, ma contrarie al permanente Magistero della Chiesa. Nonostante che il Prefetto della Dottrina della Fede abbia più volte dichiarato che la dottrina della Chiesa non è cambiata, sono apparse numerose dichiarazioni di singoli Vescovi, di Cardinali, e perfino di Conferenze Episcopali, che approvano ciò che il Magistero della Chiesa non ha mai approvato. Non solo l’accesso alla Santa Eucarestia di coloro che oggettivamente e pubblicamente vivono in una situazione di peccato grave, ed intendono rimanervi, ma anche una concezione della coscienza morale contraria alla Tradizione della Chiesa. E così sta accadendo – oh quanto è doloroso constatarlo! – che ciò che è peccato in Polonia è bene in Germania, ciò che è proibito nell’Arcidiocesi di Filadelfia è lecito a Malta. E così via. Viene alla mente l’amara constatazione di B. Pascal: «Giustizia al di qua dei Pirenei, ingiustizia al di là; giustizia sulla riva sinistra del fiume, ingiustizia sulla riva destra».Numerosi laici competenti, profondamente amanti della Chiesa e solidamente leali verso la Sede Apostolica, si sono rivolti ai loro Pastori e alla Santità Vostra, per essere confermati nella Santa Dottrina riguardante i tre sacramenti del Matrimonio, della Confessione e dell’Eucarestia. E proprio in questi giorni, a Roma, sei laici provenienti da ogni Continente hanno proposto un Seminario di studio assai frequentato, dal significativo titolo: «Fare chiarezza».” (leggi qui ) … Dunque siamo in tempi in cui “sono state pubblicamente date interpretazioni di alcuni passi obiettivamente ambigui dell’Esortazione post-sinodale, non divergenti dal, ma contrarie al permanente Magistero della Chiesa … si approva ciò che mai il Magistero ha approvato” come dice il card. Caffarra e notiamo che il card. Caffarra è un famosissimo moralista che conosceva bene le attenuanti.
Siamo in tempi in cui molti cattolici, di sana dottrina, sono scandalizzati appunto per gli errori che paiono diffondersi e per le controtestimonianze che purtroppo capita di dover vedere alle stesse Messe papali dove , come lei ben sa, e proprio in America, un noto gay e sostenitore di immoralità è stato ammesso a fare da lettore (leggi qui) qui trovate il video da notare il commento “in Italia la notizia è stata messa sotto silenzio” ( leggi qui ) … tutto perfetto ? …o tutto scandaloso e molto scandaloso? Sono questi i tempi in cui ben tre Vescovi hanno tuonato contro gli errori che serpeggiano dopo la Amoris Laetitia … Che dire?
Il p. Weinandy, questi Vescovi, il cardinale Caffarra e i professori , specie i teologi, che hanno scritto la Correctio Filialis sono tutti degli incompetenti in campo teologico … visionari … che affermano cose assurde …. ? Il card. Caffarra , ribadisco, era un grande moralista e conosceva bene le attenuanti … conosceva bene quello che dice la dottrina morale … eppure mi pare che le sue conclusioni sono ben diverse, per esempio, da quanto afferma il card. Muller nel suo ultimo intervento in cui sostiene le affermazioni del prof. Buttiglione. A differenza di Buttiglione il card. Caffarra è un grande teologo morale di somma competenza, professore in teologia morale, fu preside del “ Giovanni Paolo II” come si può vedere dal suo curriculum ( https://www.chiesadibologna.it/biografia-caffarra-carlo-cardinale-arcivescovo-metropolita.html) notiamo che questi titoli nel campo della teologia morale non li possiede neppure il card. Muller, che è specializzato soprattutto in altri settori della teologia, come si può vedere chiaramente dal suo curriculum vitae (leggi qui ).
Le mie riflessioni sulle ultime affermazioni del Prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede mi permetto di riservarle ad un altro momento, per ora basta aver detto quanto sopra potete leggere e aggiungere che il card. Caffarra, viste le sue affermazioni sopra riferite, non pare avrebbe condiviso certe affermazioni del card. Muller … eppure il card. Caffarra conosceva molto bene la teologia morale e le attenuanti …Ma continuiamo nel discorso circa la situazione attuale : la “Correctio Filialis” al Papa afferma che il 15 gennaio 2016 è stata concessa la Santa Comunione a un gruppo di luterani finlandesi nel corso della celebrazione di una Santa Messa nella basilica di San Pietro, tutto secondo le regole del “Direttorio Ecumenico”? e tutto è secondo dottrina? … Ho scritto proprio qualche giorno fa per mostrare un chiaro errore del card. Schonborn circa le affermazioni di s. Giovanni Paolo II riguardo ai divorziati, errore fatto nella presentazione dell» Amoris Laetitia, presentazione elogiata dal papa (leggi qui )
E cosa fa il Papa riguardo a tutte queste situazioni e ad altre simili ? Di certo è lui il capo della Chiesa visibile e a lui in questa situazione si è rivolto il padre Weinandy appunto perché l’oscurità sia scacciata dalla Chiesa e a lui si è rivolto , senza averne risposta, il card. Caffarra … e i tre cardinali che hanno presentato i dubia … a lui si sono rivolti, senza avere risposta diretta i realizzatori della “correctio”.… per cui ciò che di male hanno evidenziato nella situazione della Chiesa attuale continua a operare e non pare sia stato estirpato . Facciamo notare, tra l’altro, che consigliare i dubbiosi è una opera di misericordia.
Concludo: evitiamo tutti di mettere la testa sotto la sabbia e rendiamoci conto della situazione reale, sottolineo, reale che viviamo; ricordiamoci che non c’è carità né misericordia senza Verità; nel Vangelo c’è una frase molto significativa per questi nostri tempi: “ se questi taceranno, grideranno le pietre” (Lc. 19,40), la Verità è inarrestabile … e mi permetto di aggiungere che, se, per paura, taciamo di fronte al male e all’oscurità che è tra gli uomini che fanno parte della Chiesa, grideranno i fedeli contro di noi perché non abbiamo parlato!
Cristo regni.
Don Tullio Rotondo
MARCO TOSATTI
RICORDARE IL CARD. CARLO CAFFARRA. PER LE VIE DI ROMA, UN
CAMION-VELA. LE PAROLE DI SAN WOJTYLA IN DIFESA DELLA FAMIGLIA.
Un camion vela girerà per le strade di Roma, da oggi fino a sabato prossimo, per ricordare con un grande manifesto di tre metri per quattro il cardinale Carlo Caffarra, che è venuto a mancare esattamente due mesi fa, il 6 settembre 2017.
L’iniziativa, di cui sono promotori “Vita è”, Fede e Cultura e Pro Vita Onlus, è commentata da questo comunicato che volentieri pubblichiamo:
– Oggi, 6 novembre 2017 vogliamo ricordare, a 3 mesi dalla sua morte, il cardinale di Bologna Carlo Caffarra: servitore fedele di Cristo e della Chiesa, fu intimo collaboratore di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, con i quali condivise l’attenzione verso la famiglia, immagine della Trinità, voluta da Dio per il bene degli uomini.
Il 13 maggio del 1981, nel giorno in cui si festeggiava l’anniversario della I apparizione di Fatima (13 maggio 1917) e Giovanni Paolo II veniva ferito quasi mortalmente con un colpo di pistola, nasceva il Pontificio Istituto per gli studi su Matrimonio e Famiglia di cui Caffarra fu, per volere del papa, primo preside.
Anni più tardi, sempre coraggiosamente impegnato nella difesa della vita e della famiglia contro l’aborto, la fecondazione artificiale, l’utero in affitto e ogni altra aberrazione, Caffarra ricorderà una lettera speditagli da suor Lucia di Fatima, in cui la veggente diceva: “Verrà un momento in cui la battaglia decisiva tra il regno di Cristo e Satana sarà sul matrimonio e sulla famiglia”.
Nell’ultima parte della sua vita Caffarra ha combattuto, con la sua sapienza, la sua umiltà e mite fermezza, per la “sana dottrina” di cui parla l’apostolo san Paolo: “sana dottrina” che sola può permettere, insieme alla Carità vera, la fine della profonda “divisione” in cui versa oggi il mondo cattolico. Perché, come ebbe a dire il cardinal Caffarra in un’intervista al Foglio, “solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia grande confusione”. Grazie cardinale! -.
MARCO TOSATTI
Vittorio Messori critica il Papa: "Chiesa società liquida"
Messori, celebre scrittore e giornalista cattolico, critica Bergoglio sostenendo che la Chiesa sia immersa nella "società liquida" di Bauman
Messori, celebre scrittore e giornalista cattolico, critica Bergoglio sostenendo che la Chiesa sia immersa nella "società liquida" di Bauman
Vittorio Messori è probabilmente il giornalista e scrittore cattolico più letto in occidente.
Dall'intervista al Cardinale Ratzinger del 1984 al libro-intervista con Giovanni Paolo II per i quindici anni del pontificato, la voce dell'autore nato a Sassuolo ha sempre avuto un certo peso per l'opinione pubblica dei credenti. Considerato un vaticanista defilato rispetto alla lotta dottrinale tra tradizionalisti critici di Bergoglio e "guardiani della rivoluzione" del Papa, ha sollevato alcune critiche sullo stato di salute della Chiesa, parole che Libertà e Personaha interpretato come "dubia" su Bergoglio. In un articolo pubblicato da Il Timone, infatti, lo scrittore, dopo aver dissertato sull'attualità della teoria della "società liquida" di Zygmunt Bauman, ha esteso il campo dei coinvolti in questa involuzione sociologica-esistenziale, inserendo anche la Chiesa cattolica. Scrive Messori:"...il credente è inquietato dal fatto che anche la Chiesa cattolica - che era esempio millenario di stabiltà - sembra voler diventare "liquida" essa pure". "In una sconcertante intervista - specifica lo scrittore - il generale dei gesuiti, il sudamericano Arturo Sosa, ha "liquefatto"il Vangelo stesso, poiché ha dichiarato in una intervista, le parole di Gesù, non sono state tramandate da un nastro, o disco che sia, di un moderno registratore, noi non sappiamo esattamente ciò che Egli abbia detto".
Poi, ancora, l'affondo su Bergoglio:"Ma un altro gesuita, egli pure sudamericano, nientemeno che il papa stesso, in una delle tante interviste che dà alle persone più diverse, nei luoghi più diversi, - in aereo, in piazza San Pietro, per strada - , ha ripetuto ciò che è uno dei cardini della sua strategia di governo e di insegnamento: "La tentazione cattolica da superare è quella dell'uniformità delle regole, della loro rigidezza, mentre invece bisogna giudicare e comportarsi caso per caso". Messori, insomma, pare inserire il Papa tra i responsabili del fatto che, anche per la Chiesa, citando Bauman, stia diventando accettabile che "il cambiamento" sia "l'unica cosa permanente" e che "l'incertezza" sia divenuta "l'unica certezza". Sottolinea, infatti, lo scrittore cattolico: "Il termine che papa Francesco usa più spesso è "discernimento": è una vecchia tradizione della Compagnia di Gesù, che però, sino ad ora, non era giunta a "interpretare liberamente anche il dogma, a seconda delle situazioni". Una simile impostazione, secondo la tesi del giornalista, si è rivelata essere "errata" e "dannosa" per la Chiesa cattolica.
Dal Timone, dunque, mensile cattolico per cui hanno scritto, tra gli altri, l'allora Cardinale Ratzinger, il Cardinale Caffarra e il Cardinale Mueller, si leva un'altra voce critica nei confronti dell'operato di Papa Francesco. Una boutade dottrinale basata su uno dei concetti più celebri di Bauman, il sociologo-filosofo polacco di origine ebraiche per cui la crisi del comunitarismo ha aperto le porte ad un individualismo sfrenato. Lo stesso in cui, secondo Messori, sarebbe immersa la Chiesa.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.