ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 17 novembre 2017

Grazie a Dio..!


CAFFARRA NON PIACEVA?      
  

Ma certo che Caffarra non piaceva. Grazie a Dio. Deceduto il 6 settembre scorso fra i cattolici progressisti e fra i modernisti travestiti da cattolici non piaceva né poteva piacere era uno dei quattro cardinali dei "Dubia" 
di Francesco Lamendola  


  
Anche se il nuovo arcivescovo di Bologna, monsignor Matteo Zuppi, un monsignore bergogliano a ventiquattro carati, ha detto di avere il cuore colmo di tristezza per la morte improvvisa di Carlo Caffarra, arcivescovo emerito di quella diocesi, che aveva retto per dodici anni, dal 2003 al 2015, la verità, nuda e cruda, è che nessuno, fra il neoclero della neochiesa, e specialmente fra i suoi colleghi arcivescovi e vescovi “di strada”, come ora, civettuoli, amano chiamarsi, deve aver pianto troppo. Caffarra, deceduto il 6 settembre scorso, fra i cattolici progressisti e fra i modernisti travestiti da cattolici, non piaceva, né poteva piacere. Grazie a Dio, aggiungiamo noi. Era uno dei quattro cardinali che avevano redatto e inoltrato i loro dubia sull’esortazione Amoris laetitia al papa Francesco, senza mai ricevere risposta. Poi, lui personalmente aveva chiesto, anche a nome degli altri tre, d’essere ricevuti in udienza privata: nessuna risposta neppure a tale richiesta, da parte del misericordioso pontefice.

A papa Francesco, e ai vescovi come Zuppi, o come – per restare in regione - Castellucci di Modena, che va pazzo per don Milani, al quale dedica scritti entusiastici, additandolo a esempio di autentico pastore d’anime, ma non ama un teologo della statura di don Antonio Livi, visto che gli proibisce di tenere conferenze contro il relativismo – un uomo e un pastore come Caffarra non poteva che riuscire indigesto. Era, ai loro occhi, troppo retrò; aveva il difetto imperdonabile di d’impersonare una mentalità pastorale  decisamente pre-conciliare. Troppo chiuso sui temi sociali, troppo poco accogliente verso i “migranti”, troppo poco inclusivo in tema di morale sessuale, dagli omosessuali ai divorziati risposati. Siamo inclini a credere che non gli abbiano mai perdonato la faccenda dei Komos, nel 2009, quando pretese che il parroco di San Bartolomeo della Beverara, alla periferia di Bologna, sfrattasse il coro gay dai locali della parrocchia. Era stato un vaso che aveva fatto scalpore, specie nel mondo del politically correct.
Quella è stata una vicenda, piccola in sé, addirittura meschina, tuttavia paradigmatica e altamente istruttiva, per indicare fino a che punto il barometro si fosse spostato a favore dell’omosessualismo trionfante e la Chiesa fosse più che disposta ad inchinarsi davanti al nuovo feticcio. Un coro di omosessuali dichiarati, che già si era bisticciato con l’Arcigay di Bologna, che l’aveva buttato fuori, e aveva chiesto alloggio presso una parrocchia, è già tutto un programma. Ma non hanno sempre sostenuto che l’orientamento sessuale è un fatto privato e ininfluente, e che le persone non devono essere giudicate per ciò che fanno sotto le lenzuola? Benissimo: e allora, che sarebbe successo se una persone etero avesse chiesto di far parte di quel coro, semplicemente perché interessata alla buona musica? L’avrebbero cacciata? Possiamo solo immaginare cosa accadrebbe se, invece, un omosessuale venisse escluso da un coro, perché omosessuale: si scatenerebbe il putiferio, con tanto di denunce, interrogazioni parlamentari e appelli alla Corte di Giustizia Internazionale. Del resto, quei signori dicevano chiaro e tondo che la musica era solo un mezzo per dare rappresentanza alla comunità LGBT e combattere gli stereotipi e l’omofobia. Chiaro, no? La musica come veicolo per potare avanti una operazione ideologica. Quando l’aveva saputo, Caffarra aveva imposto all’incauto parroco di dar loro lo sfratto, allegando un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1986, firmato Ratzinger. Universale clamore e stracciar di vesti sulla stampa nazionale,Resto del Carlino in testa: che cattivo quel vescovo, sfrattare i poveri gay (cosa già fatta dai loro compagni, senza che ciò facesse scandalo). Ma Caffarra non aveva paura di nessuno; aveva fatto solo il suo dovere, in una Chiesa dove tanti non facevano più il proprio. E tre anni prima, nel 1986, quando lo avevano chiamato a benedire il Presepio allestito, al primo piano di  Palazzo d’Accursio, dall’artista Wolfango Peretti, nel quale campeggiava una statuina raffigurante la pornoattrice Moana Pozzi, nuda, lui era venuto, aveva benedetto invece il Presepio allestito nel cortile e se n’era andato. Il sindaco Cofferati poteva anche fare il Ponzio Pilato di turno, ma lui no.
Ne avessimo ancora, di vescovi così: tutti d’un pezzo. Purtroppo, nelle dicesi chiave ci sono ormai solo arcivescovi e vescovi progressisti e semi-modernisti, semi-protestanti, che hanno sempre in bocca solo l’accoglienza e  l’inclusione per tutti, tranne che per il vero Vangelo di Gesù e i suoi ultimi seguaci. Ma la faccenda del coro gay, a Caffarra, non gliel’hanno mai perdonata. Eppure, è chiaro che egli ha fatto la cosa giusta ed è stato all’altezza del suo ruolo e della sua missione; gli altri, no. Lui non ce l’aveva con le persone omosessuali. È chiaro che ci sono molte brave persone che hanno un’inclinazione omosessuale. Ma quei venticinque del gruppoKomos, erano omosessuali militanti: volevano sbandierare e propagare l’ideologia secondo la quale gay è bello. Come si può chiedere al clero cattolico di avallare una simile ideologia militante, che è in totale contrasto con quanto insegna la Chiesa? Certo, sarebbe stato molto più facile fingere di non vedere, o, addirittura, assumere un atteggiamento apertamente gay-fiendly, amichevole verso quella ideologia: avrebbe avuto tutto da guadagnarci, popolarità, simpatia, il sostegno dei cattolici progressisti e gli inviti di Augias o qualche altro condutture di salotti televisivi molto politically correct, a godersi gli applausi del pubblico. Ma un vero vescovo deve essere come un padre; e un vero padre non dice sempre di sì, non dice sempre e solo “bravi” ai suoi figli, altrimenti li vizia e li diseduca; deve saper dire anche qualche “no”, bello chiaro. Deve far capire che non tutto va bene, che non tutto è buono, né accettabile; che esistono dei limiti, che certe cose non vanno bene, che sono sbagliate. Altrimenti, non sarebbe un vero padre, ma solo un tristo demagogo, un omiciattolo che fugge di fronte alle sue precise responsabilità.
Un vero vescovo non deve avere alcun timore quando si tratta di difendere la dottrina, che poi è la stessa cosa che difendere la fede. La fede e la dottrina sono due facce della stessa medaglia, due modi modi per indicare la stessa cosa. La dottrina definisce ciò che è oggetto della fede; la fede è fede in una serie di verità, e queste verità si chiamano dottrina. Tentare di presentarle come se fossero due cose differenti, e, in particolare, contrapporre la dottrina alla fede, come se la dottrina fosse una cosa astratta e libresca, buona per gli spiriti "rigidi" e poco misericordiosi, e la fede come se potesse essere fede di qualsiasi cosa, fede fai-da-te, secondo la coscienza di ciascuno, è profondamente sbagliato: non è cattolico, e non è neanche intellettualmente onesto. Onestà vuole che si riconosca l'indissolubilità e la complementarità della dottrina e della fede, anzi, la loro sostanziale identità; negare questo, vuol dire trarre in inganno le anime. I pastori, cioè i vescovi, hanno il sacrosanto dovere di difendere la dottrina, perché solo così essi preservano intatta la fede dei credenti. Per questo sono vescovi e per questo stanno a capo delle diocesi: per vigilare affinché tutti i fedeli, a cominciare, naturalmente, dal clero, si attengano alla vera fede, dalla quale non può essere tolto neppure uno "iota", e alla quale neppure uno "iota" può essere aggiunto. Chi pretende di aggiungere o togliere qualcosa alla fede cattolica, non è cattolico e non è in buona fede: è un eretico, anche se  costui si fosse più o meno abilmente travestito.
La posizione della Chiesa sul tema delle persone omosessuali è chiara, e suffragata da numerosi documenti del Magistero, i quali, a loro volta, poggiano sulla roccia della Rivelazione. Non è vero che Gesù non ha detto niente al riguardo (Io vi dico che nel giorno del Giudizio, Sodoma e Gomorra verranno trattate meno duramente di quella cittàMatteo, 10, 15: dunque, la sodomia verrà castigata); in ogni caso, per il cristiano valgono tutti e ventisette i i libro del Nuovo Testamento, così come i quarantasei dell'Antico; e vale la sacra Tradizione: e la condanna del comportamento omosessuale è esplicita (specialmente nella Epistola ai Romani di san Paolo, che è il testo fondamentale fra tutte le lettere neotestamentarie). Il comportamento e non la condizione, posto che una tale condizione vi sia, e non vi sia, invece, una ricerca deliberata del vizio: sicché la condanna non colpisce indiscriminatamente la persona degli omosessuali, ma la pratica omosessuale, che è contraria all'ordine naturale voluto da Dio. Su questo non ci piove. 
Caffarra, peraltro, aveva compreso perfettamente che, quando il mondo LGBT agita la questione della tolleranza, dell’accettazione, dell’inclusione delle persone omosessuali nella società civile, con pieno diritto e a pieno titolo, in realtà non è questo il vero scopo da esso perseguito, ma un altro, assai più ambizioso, anche se non dichiarato: l’attacco a fondo contro la famiglia naturale, e specialmente la famiglia cristiana nata dal matrimonio, formata da un uomo, una donna e dei bambini nati dal loro amore. È questa la vera posta in gioco. Quando il mondo gay reclama dignità e piena cittadinanza per le persone omosessuali, anche nella Chiesa, non è questo che ha in mente, ma l’obiettivo di far passare una nuova cultura, secondo la quale esistono diversi tipi di famiglie, e che quella sopra descritta, la vera, la sola famiglia, è solo una delle varie tipologie; ma che le cosiddette famiglie arcobaleno, formate da due uomini o da due donne, con dei bambini adottato, oppure ottenuti con la fecondazione eterologa, oppure ancora con la pratica dell’utero in affitto, è altrettanto legittima e altrettanto bella. In occasione del Family Day del 2015, ignorato dal Vaticano e dal papa, l’arcivescovo Caffarra, da parte sua, non si astenne dal far sentire, forte e chiara, la sua voce: Non fate mancare ai bambini la figura paterna e la figura materna; non privateli della genitorialità maschile e femminile. Era quasi un’invocazione di soccorso, come da parte di una nave che è sul punto di affondare.
Caffarra, dunque, non fece altro che tener fermo su un principio della fede cattolica: qualcosa di non negoziabile. Se altri vescovi ritengono di poter scendere a compromessi sui principi della fede cattolica, ne renderanno conto a Dio; Caffarra non era di quella pasta. Non era un relativista, non si adeguava alla pessima tendenza, entrata da qualche decennio nella stessa teologa cattolica, di insinuare il dubbio che le certezze appartengano al passato, e che il cristiano odierno non possa non essere aperto alla pluralità del vero. Niente affatto: per il cristiano, per il vero cattolico, il Vero esiste, e la Verità è una sola: tutto il resto non è che chiacchiericcio insulso, sproloquio teologico. Certo, sarebbe stato più comodo, per Caffarra, adeguarsi ai tempi, tempi di relativismo dilagante; mostrarsi "aperto" e "accogliente": ma avrebbe tradito la propria coscienza e avrebbe ingannato i fedeli, dando loro a credere che la dottrina cattolica è mutata. Invece la dottrina non muta, non può mutare e non muterà mai: in questo senso, non esiste affatto un cattolicesimo moderno, né esiste una Chiesa moderna, per esempio una Chiesa post-conciliare: il cattolicesimo è sempre quello e sarà sempre quello, fino alla fine dei tempi. Possono, anzi devono, mutare alcune forme esteriori, tenendo conto del mutare dei modi della comunicazione: tutto qui. Non muta la sostanza, non muta la dottrina, non muta la fede:iota unum. E se qualcuno pensa, magari in buona fede, che anche i contenuti della fede possono e devono mutare, dal momento che ciò avviene sempre più frequentemente nell'ambito della cultura profana e della società profana, dove non è più vero, né giusto, né buono,  allorché si è giunti al sabato, ciò che lo era il lunedì, costui cade in un errore gravissimo: quello di applicare i medesimi schemi del ragionamento profano e della cultura profana alla realtà sacra. 

Ma certo che Caffarra non piaceva. Grazie a Dio

di Francesco Lamendola
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