Mai rimorsi? Perché il neoclero è in perfetta mala fede: la loro è una responsabilità tremenda per un tradimento deliberato del Vangelo da parte degli stessi pastori che ne hanno giurato solennemente davanti a Dio la custodia
di Francesco Lamendola
Eppure, è una delle osservazioni che più spesso vengono rivolte a quanti denunciano la deriva modernista ed apostatica della Chiesa cattolica, non bisogna giudicare troppo severamente: non è possibile che i sacerdoti, i vescovi e i cardinali che si sono messi alla testa della fase attuale di “rinnovamento”, e il papa prima di tutti gli altri, non siano animati dalle migliori intenzioni; non è pensabile che non abbiano a cuore, come è logico, il bene della Chiesa; non è neanche concepibile che intenzionalmente, deliberatamente, stiano conducendo la Chiesa fuori dalla via maestra, lungo i sentieri sdrucciolevoli dell’errore, dell’eresia, dell’allontanamento da Dio.
Certo, pensare diversamente è più difficile che vedere le cose in questo modo rassicurante, e per varie ragioni. Anzitutto, il discorso della responsabilità: come immaginare una responsabilità così tremenda, come quella di un tradimento deliberato del Vangelo di Gesù Cristo, da parte degli stessi pastori che hanno giurato solennemente, davanti agli uomini e davanti a Dio, di difenderlo, custodirlo, annunciarlo, a qualsiasi costo, anche al prezzo della vita? Poi, il discorso dei numeri: come ammettere che non questo o quel sacerdote, questo o quel vescovo, ma un numero sempre più grande di sacerdoti, vescovi e cardinali, e ora lo stesso papa, siano caduti o stiano cadendo in errore, tutti insieme?
Infine, il discorso dell’umiltà: non sarebbe più facile immaginare che siamo noi a sbagliarci, noi pochi (se pur siamo pochi) a non comprendere ciò che costoro fanno, e che non riusciamo ad accettare una serie di novità e di cambiamenti, i quali, invece, sono forse necessari, anzi, erano quanto mai urgenti, proprio per il bene della Chiesa? Non staremo peccando di superbia nel giudicarli, non staremo sopravvalutando la nostra capacità di giudizio, e investendoci di una parte che non ci compete: quella di vigilare affinché il clero rimanga fedele all’ortodossia? Ma chi siamo noi, dei semplici laici, per presumere una cosa del genere? Sono dubbi e interrogativi ragionevoli; guai se non ce li facessimo, guai se non ce li fossimo fatti, non una, ma dieci, cento volte. E nondimeno, pur dopo esserceli posti, e dopo aver provato a rispondere con la massima lealtà ed onestà, la convinzione di fondo permane: che quanto sta accadendo nella Chiesa cattolica, in questi ultimi anni, non è normale; che essa sta uscendo dall’ortodossia e sta trascinando con sé, nell’errore, la massa dei fedeli; che un disegno tenebroso s’intravede dietro la smania di novità da parte di molti, un disegno quanto mai inquietante: quello di neutralizzare la Chiesa di Cristo, riducendola a un fantoccio disarticolato, insipido, inconsistente, una specie di simulacro, buono per tutte le stagioni, ma completamente svuotato della sua specifica essenza: la custodia inalterabile e gelosa della divina Rivelazione, per la salvezza delle anime.
Se la posta in gioco non fosse così immensamente alta, come lo è; se non stessimo parlando di qualcosa che non riguarda solo una verità filosofica, ma il destino dell’anima immortale degli esseri umani; se non fosse coinvolta direttamente la prospettiva dell’eterna lotta fra il Bene e il Male, il cui campo di battaglia è all’interno di ciascuno di noi, prima ancora che all’esterno: allora potremmo anche tirarci indietro, e dire a noi stessi che, sì, forse la cosa è troppo grande per noi; forse ci stiamo sbagliando nel giudicare; forse le cose non sono così come sembra, e dunque è meglio non dir nulla, aspettare e vedere quel che succederà. Del resto, è ciò che abbiamo fatto: abbiamo lasciato trascorrere diversi anni in questo stato d’animo, sempre più inquieti, più angosciati, perché i segnali inquietanti si moltiplicavano; abbiamo aspettato anche per una doverosa forma di umiltà, di rispetto, di coscienza della nostra umana piccolezza, a fronte di una realtà così grande e meravigliosa quale è la Chiesa cattolica, fondata direttamente da Gesù Cristo e assistita, secondo la sua infallibile promessa, dallo Spirito Santo. Ma poi il tempo passava, gli anni passavano e la situazione non migliorava, anzi, peggiorava sempre più; ogni giorno un nuovo abuso, una nuova sconcezza, una nuova blasfemia venivano a colpirci, ferendoci a sangue, e, come noi, ferendo milioni e milioni di persone, nate e cresciute nella fede cattolica, e ora traumatizzate da incomprensibili novità.
E i sacerdoti, i vescovi, i cardinali, il papa: non vedono, non sentono, non immaginano questo disagio, questa sofferenza, quest’angoscia che ormai pervadono una parte non certo insignificante del popolo cristiano? Gesù, il Buon Pastore, ha insegnato quanto sia importante che le pecorelle possano riconoscere la sua voce; e ha ribaditi che, se esse non la riconoscono, vuol dire che non si tratta del vero pastore, ma di un qualche brigante, ladro e assassino, venuto per fare del male al gregge, che è penetrato nell’ovile non dalla porta, ma da un’altra parte, ciò che rivela di per sé le sue cattive intenzioni. Il Buon Pastore va in cerca della singola pecorella che si è smarrita, e non si dà pace, né torna indietro fino a che non l’abbia trovata: e quando infine la trova, se la carica sulle spalle e la riporta all’ovile, come se fosse un figlio, con la stessa tenerezza e lo stesso desiderio di protezione che se fosse una sua creatura. Questo è ciò che fa il Buon Pastore. E come si comportano, invece, i membri del clero odierno, i pastori eredi della tradizione apostolica, ai quali il gregge dei fedeli è stato affidato, così come Gesù lo aveva affidato a san Pietro e agli altri apostoli? Sentono il lamento delle pecorelle smarrite, sentono benissimo il loro richiamo, ma non vi prestano ascolto. Ricevono le parole di perplessità, di turbamento, di sofferenza del gregge loro affidato, ma se ne vanno dritti per la loro strada, senza neppure girare la testa. Tanto peggio per le pecore che restano indietro, essi pensano. Il papa ha ricevuto i dubia dei quattro cardinali, ma non ha risposto. Ha ricevuto la loro richiesta di un incontro privato, ma non ha risposto. Ha poi visto la Correzione filiale dei sessantadue sacerdoti e teologi al capitolo ottavo di Amoris laetitia, e non ha detto nulla. I monsignori alla Paglia e alla Galantino hanno udito benissimo le parole di sconcerto, di afflizione, d’incredulità di tanti buoni cattolici per le loro affermazioni scandalose, l’uno in elogio di Marco Pannella, l’altro in lode di Lutero, ma non hanno fatto una piega. Non si sono abbassati a chiarire, a spiegare. Gonfi di superbia, hanno fatto finta che non ci sia nessun problema, che vada tutto bene. Hanno ignorato, puramente e semplicemente, le domande e le richieste di chiarimento che salgono dal cuore di milioni di fedeli. E come loro, centinaia e migliaia di membri del neoclero: come quel vescovo francese che, per l’ordinazione di un nuovo sacerdote, ha messo in scena una cerimonia induista all’interno della santa Messa; o come quel gesuita americano che scrive libri ed articoli per spiegare quanto sia bella e gradita al Signore la pratica omosessuale, e come sia certo che moltissimi santi erano gay; o come quel generale dei gesuiti il quale, non pago di aver affermato che nessuno sa cosa realmente abbia detto Gesù Cristo, ma che certo non ha sostenuto l’indissolubilità del matrimonio, aggiunge che il diavolo, questo si sa, non esiste, che è solamente un’immagine simbolica del male. Tutti costoro, e tanti, tanti altri, il cui numero è legione, scandalizzano ogni santo giorno i loro fedeli, i loro parrocchiani, i loro devoti, con atti e con parole eretici, inaccettabili, blasfemi, per qualsiasi cattolico degno di questo nome. Ogni santo giorno c’è qualche prete, qualche vescovo, qualche teologo che la spara sempre più grossa, e che pare voler sbriciolare addirittura ogni certezza, ogni sicurezza, ogni verità: e il papa è sempre in prima fila nel dare il pessimo esempio, sicché qualsiasi “novatore” si rifugia sempre dietro la frase: Lo ha detto il papa, lo ha fatto il papa, dunque è giusto così.
Un eguale, pesantissimo silenzio è stato riservato, dal papa e dai suoi fedelissimi, a quanti sono stati da lui colpiti incomprensibilmente, spietatamente, come se fossero dei cattivi cattolici, mentre sono proprio i più zelanti e i più degni di ammirazione: i Francescani e la Francescane dell’Immacolata, i quali, umiliati, commissariati, praticamente sequestrati nelle loro case, hanno risposto con l’umiltà e l’obbedienza all’assurda persecuzione. Il papa che crede tanto nel dialogo, che vuol dialogare con tutti, non è disposto a dialogare, né a spendere una parola di chiarimento, o di consolazione, o di speranza, per i suoi. Si direbbe anzi che non li consideri “suoi”, ma un fardello, una palla al piede, di cui vorrebbe liberarsi. Strano, molto strano. Elogi alla signora Bonino, elogi a Marco Pannella, elogi ai luterani, ai maomettani, agli ebrei, a tutti, ma silenzio sprezzante o parole dure per i più miti e fedeli custodi del cattolicesimo, del culto mariano e del vero francescanesimo (non il francescanesimo di facciata e di propaganda, come quello di un papa che sceglie per sé il nome di “Francesco”, come se vi fosse la benché minima rassomiglianza fra il suo stile, autoritario e insofferente, e quello del Poverello di Assisi). Durante il viaggio apostolico nel Myanmar e nel Bangla Desh, che poi apostolico non era, il papa ha deplorato i “fondamentalismi” che rovinano le religioni (le religioni, al plurale; come se, per un papa, ci fossero tante religioni, tutte ugualmente vere e meritevoli di stima): voleva spezzare una lancia a favore dei “poveri” islamici perseguitati in uno Stato a maggioranza buddista; come al solito, non gli è uscita di bocca una sola parola per esortare gli islamici a desistere dalle persecuzioni anticristiane in decine di Paesi, al contrario, di bocca gli è uscita la frase: e anche noi abbiamo i nostri fondamentalisti. A chi stava pensando, in quel, momento, il papa? A chi stava alludendo? Ai lefebvriani? Ai cattolici ”tradizionalisti”? A quelli de La Nuova Bussola Quotidiana, oppure de Il Timone? O agli Araldi del Vangelo? Con chi ce l’aveva? Con il cardinale Burke, o con il cardinale Müller? Con Roberto De Mattei, o con Riccardo Cascioli, o con Sandro Magister, o con monsignor Antonio Livi, o con padre Cavalcoli? Ma, onestamente, si può pensare ad essi come a dei fondamentalisti? E, soprattutto: li si può mettere sullo stesso piano dei fondamentalisti islamici, quelli veri, quelli che uccidono centinaia e migliaia di persone, di cristiani, al grido di Allah Akbar? Ha senso, un accostamento del genere? Chi pensa così, chi parla così, è in buona fede? Chi dice che anche i cattolici hanno i loro fondamentalisti, dopo aver deplorato il fondamentalismo come “rovina” delle religioni, sta descrivendo fedelmente e onestamente la realtà odierna? Chi dice che anche i cristiani uccidono le mogli o le suocere, mentre si sta commentando lo sgozzamento di un sacerdote cattolico, durante la santa Mesa, da parte di due fondamentalisti islamici (quelli veri), sta descrivendo fedelmente la situazione odierna? Sta facendo un bilancio onesto e condivisibile delle reali dinamiche fra la religione del Vangelo, che è la religione della pace, e la religione di chi uccide in nome del suo Dio, e uccide all’impazzata, nel mucchio, bambini compresi?
Perché il neoclero è in perfetta mala fede
di Francesco Lamendola
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