IL PATTO TRADITO
Esuli in Patria esuli nella Chiesa il patto che non viene più lealmente rispettato: lo Stato italiano come la Chiesa verso il fedele ha cambiato le regole del gioco nei confronti del cittadino e senza averne chiesto il consenso
di Francesco Lamendola
È uno strano, stranissimo destino, quello capitato agli italiani della nostra generazione: agli italiani che oggi sono negli -anta. Da bambini, era stato insegnato loro ad amare la Patria e ad amare la Chiesa; ed era stato assicurato loro che la Patria e la Chiesa, a loro volta, vegliavano su di essi: la prima, sul loro posto di lavoro, sui loro risparmi, sulla loro sicurezza, sulla loro proprietà, e sul futuro dei loro figli; la seconda, sulla salute della loro anima, guidandoli alla conoscenza di Dio e alla felicità della vita eterna. In cambio, la Patria ha chiesto loro di rispettare la legge, di pagare le tasse, di obbedire a tutto ciò che lo Stato riteneva utile e necessario per il bene collettivo, compreso il servizio militare obbligatorio; e la Chiesa ha preteso che vivessero in conformità alla legge del Signore, con un sano timor di Dio, dalla culla alla tomba, cioè dal Battesimo fino alla Estrema Unzione. Gli italiani, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno ritenuto giusto e ragionevole questo patto, sia con la Patria che con la Chiesa: si sono fidati, hanno ascoltato, hanno obbedito, hanno messo in pratica quanto veniva richiesto loro di fare; e se, qualche volta, hanno trasgredito, hanno tuttavia riconosciuto la propria colpa, non hanno cercato scusanti, né si sono sottratti, ma hanno accettato di pagare le conseguenze della loro colpa: allo Stato nelle aule di giustizia, alla Chiesa nel segreto del confessionale.
Ma poi è successo qualcosa. Per essere più precisi, diciamo che poi deve essere successo qualcosa: perché, a un dato momento, gli italiani hanno visto che il patto non veniva più lealmente rispettato né dalla Patria, né dalla Chiesa, senza però essersi resi conto, esattamente, quando e come ciò fosse accaduto: ossia, in pratica, si sono accorti che le cose erano cambiate, non nel momento preciso in cui cambiavano, ma con un certo ritardo, constatando - di solito sulla loro pelle - gli effetti del malfunzionamento del patto, o, addirittura, della sua rescissione. Della sua rescissione pratica, ben s’intende, ché, ufficialmente, né lo Stato, né la Chiesa, hanno mai dichiarato, da parte loro, che il patto era stato rescisso. Come in un gioco di prestigio, le norme del patto erano state fatte sparire ed erano state sostituite da altre norme, inedite, completamente diverse dalle precedenti, che mai nessuno aveva chiesto al comune cittadino se fosse stato d'accordo di accettare. Peggio ancora: a partire da un certo momento, Stato e Chiesa hanno cominciato a fare come se le norme fossero le stesse di prima, come se il patto fosse sempre lo stesso, quello originario; mentre il cittadino e il fedele cattolico, che magari erano la stessa persona, vedevano benissimo non esser così. Tutto questo, nel linguaggio comune e se si fosse trattato di una normale transazione giuridica, si chiamerebbe imbroglio: mentre, al presente, non sapremmo come chiamarlo. Tradimento, forse. Lo Stato italiano ha cambiato le regole del gioco nei confronti del cittadino, ma senza avere chiesto il suo consenso, alla faccia della democrazia, sempre tanto sbandierata; e la Chiesa cattolica ha cambiato le regole del gioco verso il fedele, alla faccia della perennità e immutabilità della Parola di Dio. Semplicemente, il cittadino e il fedele cattolico si son resi conto che lo Stato e la Chiesa avevano cambiato le regole del gioco, praticamente a trecentosessanta gradi; e il nocciolo del cambiamento era questo: che, per lo Stato, il bene e la sicurezza del cittadino italiano non erano più la priorità, ma, al massimo, una variabile secondaria; e che, per la Chiesa, la conoscenza di Dio e la salvezza dell'anima non erano più la cosa più importane, perché la giustizia sociale e i diritti umani vengono prima di tutto il resto, e il buon Dio desidera così, Lui per primo: anche se, a suo tempo, i teologi, il clero e perfino i papi si erano scordati di dirlo.
La dimensione truffaldina di questa "svolta" consiste proprio nella pretesa, da parte dello Stato e della Chiesa, che la gente sia così stupida da non rendersi conto che il patto è radicalmente cambiato, e che è cambiato, drammaticamente, a suo sfavore: che le regole non servono più al suo bene, ma al bene di qualcun altro, forse; al suo, certamente no. La dimensione truffaldina emerge dalla sfrontatezza e dal cinismo con cui ora viene trattato, cioè con una sorta di degnazione, specialmente se ha il cattivo gusto, l'indelicatezza, di far domande, di chiedere chiarimenti, di sollevare il benché minimo dubbio sulla perfetta trasparenza di quel che sta accadendo. Par quasi che si permetta di avanzare riserve sulla condotta dei governanti e del clero: i quali, guarda caso, si trovano più che mai stretti l’uno all’altro da un patto di alleanza e mutuo soccorso. Mattarella e papa Francesco: quale perfetta sintonia! Boldrini e Galantino: quale meraviglioso tubare e civettare reciproco. Bonino e Paglia: si potrebbe immaginare una intesa più limpida, un affiatamento più sentito? A livello locale, centinaia di amministrazioni comunali filano in perfetto accordo con le curie vescovili, le associazioni parrocchiali e gli istituti religiosi, specialmente sul tema "caldo" dei cosiddetti migranti: si stanno mobilitando all'unisono, come mai si era visto per le necessità degli italiani poveri e dimenticati. I prefetti, poi, ai quali tocca il compito di collocare sul territorio delle province, sempre nuove ondate di "profughi", non saprebbero più dove sbattere la testa se, oltre alle caserme dismesse e altri beni immobili del demanio, non potessero contare sulla comprensione e sulla fattiva collaborazione dei vescovi e dei preti, specialmente quelli "di strada", e se non avessero sotto mano la risorsa delle associazioni di volontariato e delle cooperative no profit, in gran parte di matrice cattolica. E quale impareggiabile sintonia anche in materia legislativa, con il papa e la Chiesa tutti schierati per far approvare dal Parlamento italiano la legge sullo ius soli. Possiamo solo immaginare che cosa sarebbe capitato se un tale intervento a gamba tesa nella politica italiana fosse partito da Benedetto XVI, e se avesse avuto per obiettivo una proposta di legge che ribadisse, per esempio, il carattere non sostituibile della famiglia formata da uomo e donna: come minino sarebbe scoppiato un incidente diplomatico, e la stampa, la televisione, l'intellighenzia “de noantri”, cioè sotto il monopolio della sinistra, avrebbero fatto a gara nell'alzare la voce e stacciarsi le vesti contro il papa politicizzato, reazionario, integralista, irrispettoso dell'autonomia della sfera civile da quella religiosa. Ma se ad entrare nella politica italiana (e non solo italiana), invece, è il papa Francesco, lui così misericordioso, così buono e così francescano, ma sopratutto così progressista e amico degli "ultimi", allora non c'è problema, anzi: bene, bravo, bis!
C'è un problema, tuttavia, che forse qualcuno, in alto, ha un po' sottovalutato: un popolo di cittadini, e così pure un popolo di fedeli, non è detto che si lascino imbrogliare a questo modo: forse ci metteranno del tempo prima di realizzare che sono stato vittima di un truffa e di un tradimento, però, presto o tardi, se ne accorgeranno, eccome. E si arrabbieranno. La pazienza del popolo italiano è tradizionalmente grande, forse troppo, è fatta anche di pigrizia, sciatteria, calcolo e astuzia di bassa lega; ma è fatta pure di sopportazione delle persone perbene, le quali sperano sempre che le cose vadano come dovrebbero andare, come è giusto che vadano, se entrambi i contraenti del patto tengono fede alla parola data. E sono le persone perbene che si stanno terribilmente stancando. Sono le persone come la tabaccaia di San Fior, in provincia, di Treviso, la quale, dopo aver subito otto rapine consecutive ed essersi anche vista respingere la domanda di porto d'armi, ha dovuto chiudere il suo esercizio, tradita e abbandonata da chi avrebbe dovuto difenderla. Perché la ricchezza dell'Italia viene da persone come lei, non dai delinquenti e dai falsi profughi che, alla società, sanno creare solo problemi d'ogni tipo, e sono sempre pronti a mordere la mano che dà loro un piatto di cibo. I signori progressisti, buonisti e immigrazionisti che ci governano, e che pretendono perfino di far passare le loro idee per volontà di Dio, realizzando un totalitarismo ideologico a confronto del quale l’immagine di una cultura medioevale monolitica e intollerante impallidisce addirittura, forse non hanno calcolato che la pazienza della gente comune, e soprattutto della gente perbene, potrebbe anche finire, e più presto di quanto non credano. Dalle loro parole, infatti, dai loro gesti, dai loro atteggiamenti, sempre più uniformi, stereotipati e arroganti, non traspare la minima consapevolezza di una tale possibilità: si direbbe che siano convinti che, a forza di raccontare le loro fandonie al popolo, il popolo finirà per placarsi, per ammansirsi, per lasciarsi indottrinare e cloroformizzare. Logico: gente abituata a maneggiar sempre e solo le parole, e mai a confrontarsi con la serietà dei fatti, ragiona così: pensa che il mondo si possa manipolare e che lo si possa trasformare completamente con la sola forza delle chiacchiere. E non capiscono di aver tirato la corda un po’ troppo, e che la corda ormai è sul punto di spezzarsi. Lo capiranno troppo tardi, come troppo tardi l’hanno capito i Ceausescu, marito e moglie.
Lungi da noi voler fare minacce a chicchessia: la nostra è soltanto una constatazione di tipo storico, peraltro basata sul semplice buon senso: nessun governo può tirare la corda oltre un certo limite; quando il distacco fra il sentire della gente comune e coloro che governano diventa incolmabile, qualcosa succede inevitabilmente. I romani esprimevano un concetto simile allorché, parlando di un re o di un qualsiasi altro personaggio potente il quale, a un certo punto, perde completamente il contatto con la realtà, usavano l’espressione: quod Deus perdere vult, dementat prius, cioè: quando Dio stabilisce di mandare qualcuno in rovina, prima lo fa impazzire. Ed è realmente una sorta di lucida follia quella che sta spingendo sulla china del disastro - e noi con loro, purtroppo - coloro i quali attualmente ci governano. A meno che non si tratti, naturalmente, di qualcosa d’altro che la follia, la stupidità o la superbia; a meno che non sia una lucida volontà di condurre sino in fondo un certo piano, una certa strategia, un certo compito, che, a questo punto, per la sua vastità e per la sua indicibilità, non può essere il frutto di un disegno nazionale, ma deve far parte di una manovra molto più vasta, di ampiezza planetaria. E infatti, vediamo che politiche ugualmente assurde, e palesemente contrarie all’interesse nazionale, vengono portate avanti, e praticamente imposte dall’alto, in tutti gli altri Paesi dell’Occidente. L’unica cosa che varia è la velocità con la quale l’opinione pubblica pare risvegliarsi dal torpore e comincia ad esigere un cambio di rotta; cosa che, quando accade – come è stato in Ungheria, e adesso, più recentemente, in Austria – viene salutato da un coro d’imprecazioni e d’insulti da parte della macchina dell’informazione globale. Ecco allora che si parla di populismo razzista, di deriva xenofoba e quasi fascista; si inventano perfino dei vocaboli nuovi, o semi nuovi, per il politichese: si parla di una vittoria dell’ultradestra, neanche a Budapest e a Vienna fossero saliti al potere i diretti nipotini di Hitler. Se però si va a vedere il programma di governo di questa pericolosissima ultradestra, si scopre che è quello di una qualsiasi destra moderata, o di un normalissimo centro-destra, di qualche anno fa. Proteggere i propri confini, salvaguardare l’interesse nazionale, non accogliere masse di stranieri non assimilabili e non compatibili con la propria tradizione e con la propria civiltà: che cosa c’è di così tremendamente xenofobo e pericoloso, di così scandalosamente inaccettabile e sciagurato, in un simile programma?
Esuli in Patria, esuli nella Chiesa
di Francesco Lamendola
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CHI HA PAURA DELLE MELE MARCE?
La follia del buonismo catto-progressista che nega esista un'emergenza sicurezza. L'Italia verrà negrizzata e islamizzata, senza colpo ferire nel corso dei prossimi vent'anni grazie alle scelte di una classe politica inadeguata
di Francesco Lamendola
La cattura, in Spagna, di Igor il russo, che poi non si chiama Igor e non è nemmeno russo, e questo tutti lo sanno eppure i media continuano a chiamarlo così per mancanza di serietà professionale, pone sul tappeto, ancora una volta - ma sono decine, centinaia, migliaia i casi che sollecitano tale riflessione, purtroppo sempre più frequenti - di come difendersi dalle mele marce. Una società sana ne ha il dovere, oltre che il diritto: è malata una società che non possiede più neppure un tale istinto di conservazione. Siamo arrivati al punto che, di buonismo in buonismo, le vittime di aggressioni e rapine vengono condannate per eccesso di legittima difesa, o addirittura per omicidio volontario, e i delinquenti, o i loro familiari, ottengono congrui risarcimenti dai tribunali. Questo è semplicemente folle. Così come è folle che ci siamo ormai rassegnati a vivere sotto assedio, chiusi, specie la sera, nelle nostre case con la porta blindata, col sistema antifurto inserito, pur sapendo che né la porta blindata né il sistema antifurto riusciranno a proteggerci, noi e i nostri cari, se la nostra abitazione verrà presa di mira da una banda di veri professionisti. Di uscire per le strade, dopo il coprifuoco, non se ne parla nemmeno: le strade sono proprietà della malavita e di frotte di stranieri che si spacciano per profughi ma che vengono qui a compiere ogni sorta di atti criminali. Questa è la realtà, e i cittadini italiani la toccano con mano ogni santo giorno, ogni ora e ogni minuto, specie quelli che appartengono alle fasce sociali più deboli e che sono costretti a vivere in quartieri che paiono Fort Apache durante l'assedio dei pellirossa, tanto è vero che nemmeno le forze dell'ordine osano farsi vedere in giro, non parliamo poi di eseguire dei controlli sugli individui più che sospetti i quali spadroneggiano alla luce del sole. Non che abbiano tutti i torti: un poliziotto o un carabiniere, per non parlare di un vigile urbano, rischiano una coltellata alla gola ogni volta che chiedono i documenti a uno di questi stranieri delinquenti e, se le cose si mettono male, c'è sempre un giudice di sinistra pronto a rimettere in libertà lo spacciatore o il rapinatore che era stato fermato, e ad infliggere una multa al tutore dell'ordine per abuso di autorità, magari perché, nel difendersi dalle coltellate, ha mollato un pugno in faccia al povero angioletto che soffriva di "disagio ambientale" e che, venuto dall'Africa in cerca di una vita migliore, con le più oneste intenzioni del mondo, per sopravvivere era "costretto" a spacciare e rapinare a tutto spiano. Non parliamo poi di un bigliettaio degli autobus urbani o delle Ferrovie dello Stato: disarmati, devono rischiare la pelle per chiedere il biglietto a dei criminali pronti a gonfiarli di botte o a ficcar loro un coltello nello stomaco, così, tanto per far vedere chi comanda da queste parti. Il tutto per uno stipendio di mille euro al mese o poco più. Di questa situazione solo la signora Boldrini, il premier Gentiloni e il presidente Mattarella non se ne sono accorti, anzi, negano che esista un'emergenza e si dolgono ogni giorno che dei rigurgiti di razzismo, populismo e fascismo macchino la nostra bella Italia, di solito così accogliente e premurosa; loro soltanto trovano che tutto vada bene, talmente bene che si stanno affannando per regalare per legge la cittadinanza italiana a tutti i bambini stranieri che nasceranno nel nostro Paese, così che questo possa diventare la sala parto di milioni di donne africane e musulmane mediante le quali l'Italia verrà negrizzata e islamizzata, senza colpo ferire, nel corso dei prossimi vent'anni.
Si pone perciò una questione: forse dobbiamo dimenticare Cesare Beccaria. E' arrivato il tempo che lo Stato, la società, gli uomini di cultura, i politici, gli amministratori, si preoccupino della sicurezza dei cittadini perbene e non dei diritti dei delinquenti. La nostra legislazione è figlia dell'illuminismo e l'illuminismo era basato su una serie di utopie sociali, prima fra tutte la "naturale" bontà dell'uomo (Rousseau), o, almeno, la sua "naturale" ragionevolezza (Voltaire). Ebbene, forse è arrivato il tempo di rivedere tutte queste ciarle e di sbarazzarci della nefasta eredità dell'illuminismo. Può darsi che le osservazioni sulla tortura di Pietro Verri, o la crociata per l'abolizione della pena di morte di Cesare Beccaria, fossero giustificate, utili e necessarie nel XVIII secolo; ma i tempi cambiano, le utopie cadono, e i fatti restano. I fatti sono quelli che abbiano descritto: una società assediata, gli onesti che soffrono e i malvagi che spadroneggiano. Vogliamo andare avanti così? Vogliamo continuare a tenere in casa i nostri figli, la sera, perché le nostre città sono diventate delle giungle popolate di bestie feroci? Vogliamo continuare a pagare le spese di una giustizia che, invece di difendere i buoni, si ingegna in tutti i modi di tutelare i delinquenti? Oggi i nipotini di Voltaire e di Rousseau, dopo essere passati per la fase marxista, sono entrati in quella cattolica di sinistra; oggi hanno la Chiesa e il papa dalla loro, oltre alle massime autorità dello Stato e, naturalmente, le Nazioni Unite, le quali, per chi non l'avesse ancora capito, sono l'agenzia che sta promuovendo l'invasione del Nord della terra da parte delle popolazioni del Sud. Oggi le persone perbene sono ridotte al silenzio, ricattate, minacciate: dal giornalista che riceve l'ordine di raccontare una rapina violenta, ma di tacere la nazionalità del rapinatore, per non fomentare i famosi rigurgiti di razzismo, populismo, ecc., al professore di liceo che viene punito, su richiesta della mamma di un'alunna egiziana, secondo la quale egli ha "insultato" l'islam, ma al quale non viene neppure concesso di discolparsi, sarebbe lunghissimo, infinito l'elenco delle quotidiane ingiustizie e umiliazioni, dei quotidiani bocconi amari che i cittadini onesti devono subire e mandar giù, in ossequio altotalitarismo del politicamente corretto. E se quattro ragazzi vestiti di nero si presentano nella sede di una delle innumerevoli associazioni di "accoglienza" e, senza torcere un capello ad alcuno, senza neppure alzare la voce, leggono un volantino e se ne vanno in prefetto ordine, ecco che l'Italia buonista e progressista s'indigna; ecco che i mas-media lanciano l'allarme contro la deriva xenofoba e intollerante; ecco che diecimila volonterosi cittadini sfilano in piazza per protestare energicamente contro il risorgere del "fascismo" (morto e sepolto, nel modo che sappiamo, settantadue anni fa), e le pubbliche autorità, invece di stemperare la crisi d'isterismo, peraltro voluta e pilotata dall'alto, si stracciano le vesti a loro volta e si affannano a giurare e spergiurare che la “vera" Italia non è quella dei ragazzi vestiti di nero, no, giammai, è quella della solidarietà, dell'accoglienza e, ben s'intende, dell'inclusione, parola magica, parola talismano, parola passe-partout, che tanto piace anche ai neopreti della neochiesa modernista e progressista, e specialmente a papa Bergoglio, che ne è l'alfiere e il campione indiscusso e indiscutibile. E che cosa dicevano, poi, nel loro famigerato volantino, quei truci ragazzotti vestiti di nero, che con inqualificabile violenza fascista hanno interrotto, per ben cinque minuti, la riunione dei cittadini buoni e generosi, dediti all'accoglienza dei migranti? Dicevano - questa è la loro colpa imperdonabile - quel che pensa e sente, ormai, la grande maggioranza del popolo italiano - quello vero, non le signore femministe e progressiste, con l’abito firmato e la messa in piega da trecento euro, che vanno sempre nei salotti televisivi a pontificare, dall'alto della loro ineffabile saggezza e tolleranza (tolleranza a senso unico, evidentemente: per i ragazzi italiani che dissentono da loro e dai loro dogmi immigrazionisti, tolleranza zero) - e cioè che non se ne può più di questa invasione, anzi, di questa auto-invasione mascherata da solidarietà e da accoglienza; che la gente è stanca e non è più disposta ad assistere, senza far nulla, allo scempio della nostra vita sociale, della nostra sicurezza, dei nostri diritti fondamentali; e che, andando avanti di questo passo, per il popolo italiano non ci sarà più un futuro, perché verrà inghiottito e sommerso dall'ondata africana e islamica che trasformerà il nostro Paese in una provincia dell'Africa musulmana. Dire queste cose, esprimere questo concetti, equivale ad una forma di razzismo, se non addirittura di fascismo? Benissimo: come preferiscono lorsignori. Una domandina, però, se avessero un minimo di umiltà e un briciolo di buona fede, dovrebbero pur farsela, i vari Mattarella, Gentiloni, Boldrini & Co: come mai gli italiani, diciamo fino a una ventina d'anni fa, erano completamente ben disposti verso i profughi (veri), pietosi dei loro casi umani, sensibili alle loro sofferenze, mentre adesso sono cambiati così tanto, e sono diventati, come dice l'establishment politicamente corretto, razzisti, populisti e fascisti? Perché gli italiani sono cambiati da così a così nel giro di vent'anni? E chi ha governato il Paese in questi vent'anni, chi ha governato la politica, l'amministrazione pubblica, l'economia, la finanza, la scuola, la cultura, l'informazione, lo sport? E se chi doveva governare avesse governato bene; se chi doveva assumersi delle responsabilità, dei rischi, degli impegni, se li fosse assunti; se tutti costoro avessero avuto sempre di mira il bene degli italiani e l'interesse dell'Italia, saremmo oggi arrivati a questo punto?
Chi ha paura delle mele marce?
diFrancesco Lamendola
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