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mercoledì 10 gennaio 2018

Anno dopo anno..

NON PENSO CHE IL PAPA SIA UN RELATIVISTA CONSAPEVOLE…PERO’… “La Verità” intervista Aldo Maria Valli: «Un papa non può guidare la Chiesa con i “forse”, i “dipende”, i “però”»


UN INTERESSANTE ARTICOLO – INTERVISTA DI UN ANNO FA…..
In un pamphlet su papa Francesco, il vaticanista del Tg1 è critico su questo pontificato: «Nelle sue parole segni di relativismo. Non indica una via sicura ai credenti. Vedo una grande confusione».
di Lorenzo Bertocchi (07-01-2017)
Nel 2007, un gruppo di intellettuali firmò un appello, promosso dal professor Giuseppe Alberigo, fondatore della Scuola di Bologna, perché la Gerarchia non s’immischiasse con la politica (ce l’avevano con il card. Camillo Ruini). Il gruppo progressista voleva il silenzio rispetto al dibattito allora in corso a proposito dei DiCo, versione soft di quella che poi è diventata la legge Cirinnà, in materia di unioni civili. Di questo gruppo, facevano parte, tra gli altri: Franco Bassanini, Gustavo Zagrebelsky, Valerio Onida, Vito Mancuso e Alberto Melloni. E poi c’erano un po’ di giornalisti, come Raniero La Valle, Giancarlo Zizola e Aldo Maria Valli, tutti di sinistra certificata.



Valli, attuale vaticanista del Tg1, che allora firmò per il silenzio delle gerarchie, oggi dà alle stampe un pamphlet perplesso sul pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Il libro sul 266° successore di Pietro (266. Jorge Mario Bergoglio. Franciscus PP., Liberilibri) pone una garbata ma scottante sequela di interrogativi su papa Francesco. «Non so se la mia si possa chiamare una conversione», dice Valli a La Verità«per che continua a non piacermi l’ingerenza della Gerarchia sulla politica politicante, ma di certo oggi penso che ci sia bisogno di un intervento più elevalo del Magistero che aiuti il laico cattolico con indicazioni morali e antropologiche chiare, in modo da abituare il pensiero a fuggire dal rischio della facile omologazione». Padre di 6 figli e nonno di 2 nipoti. Valli è in Rai dal 1988. Era il vaticanista del Tg3, alias Telekabul. Dal 2007 e passato al Tg1. Per anni ha collaborato con il quotidiano dei vescovi italiani Avvenire, ma anche con Europa, l’organo (oggi defunto) della Margherita. Oggi, da padre di famiglia, sembra preoccupato dalle ambiguità di un’antropologia liquida che si spinge fino ad accarezzare la fluidità dei sessi come una possibilità tra le altre. «La liquidità culturale e morale», dice Valli, «è figlia del soggettivismo imperante, secondo il quale non c’è un bene oggettivo, ma ciò che conta è il modo in cui una data esperienza, in un dato momento, è vissuta in coscienza dal soggetto, centro e fine di tutto. L’utero in affitto, tanto per fare un esempio concreto, e una pratica figlia di questa concezione; il soggetto al centro, con la tecnologia come strumento per massimizzare il suo tornaconto individuale e il suo piacere».
Ma, allora, i cattolici del Family Day 2016 non sono stati lasciati troppo soli dalle gerarchia ecclesiastiche?
«Non so se siano stati lasciati soli o meno. Quello che so è che nei seminari e nelle università cattoliche è difficile trovare chi insegni filosofia cristiana. Così come e difficile imbattersi in pubblicazioni in grado di offrire ai credenti solidi punti di riferimento. Cornelio Fabro, grande teologo e filosofo cattolico, scrisse che siamo tutti malati di parole: non conosciamo più parole che siano solido criterio e fondamento di verità. Non conosciamo più parole uniche, perenni, immutabili».
C’era una volta Caterina Caselli che cantava «nessuno mi può giudicare», non vorrà dire che anche il Papa è di ventato un fan del relativi amo romantico?
«Non penso che il Papa sia un relativista consapevole, però di fatto alcune sue parole approdano a conclusioni dal sapore relativista. Quando per esempio, dialogando con Eugenio Scalfari, sostiene che “il proselitismo è una solenne sciocchezza” e che “ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male” e “noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”, è davvero difficile non riscontrare lì segni evidenti di relativismo. In alcuni suoi interventi ha denunciato la cultura del relativismo, salvo poi enunciare un’idea di misericordia dalla quale sembra estromesso il giudizio. Ma la prima forma di misericordia non dovrebbe essere mostrare con chiarezza la distinzione tra bene e male e indicare una via sicura verso il bene per opporsi al male? Se e il Papa e la Chiesa rinunciano a questa funzione di giudizio, non si appiattiscono su una visione relativista dell’uomo e del mondo?».
Si può essere padri senza mettere qualche paletto?
«La mia risposta è semplice: è impossibile. Qualunque padre lo sa. Se il padre rinuncia alla sua funzione di giudizio e di indirizzo morale, di fatto non è un padre. Può essere un amico, un compagno di strada, ma non è padre. Non significa cadere nell’autoritarismo: significa esercitare l’autorità, della quale i figli hanno bisogno. Abbiamo davanti agli occhi i risultati di una cultura che ha rinunciato all’autorità e al giudizio: è lo sbandamento morale».
A proposito di padri e madri: il matrimonio dopo l’Amoris Laetitia sembra un sacramento che, in certa pastorale, diventa a velocità variabile. Ora qui, ora là, l’indissolubilità è una questione del “caso per caso”?
«Quest’esortazione post-sinodale che tanto ha fatto discutere è stata per me come uno spartiacque. Quel testo, letto e riletto, mi ha convinto sempre meno e, a un certo punto, ho avvertito la necessità di aprire il mio cuore ai lettori. L’Amoris Laetitia è un documento lungo e complesso, nel quale si può trovare un po’ di tutto. Vi è dipinta la bellezza del matrimonio cristiano, ma vi troviamo anche l’idea che ogni esperienza, se vissuta in coscienza come buona, sia buona in sé, il che è in aperto contrasto con la dottrina cattolica, ma soprattutto non è di aiuto alla crescita morale della persona e alla salvezza dell’anima. Inoltre l’indissolubilità e l’apertura alla vita vengono presentati non tanto come valori oggettivi bensì come ideali a cui tendere. Ecco di nuovo che soggettivismo e relativismo si insinuano nelle pieghe dell’insegnamento del papa. Questa è misericordia? Secondo me no».
Quattro cardinali hanno sollevato cinque dubia sull’interpretazione di un capitolo dell’Amoris Laetitia. Qualcuno li ha accusati di lesa maestà.
«A parte il fatto che i prelati in questione sono sei e non quattro, benché due abbiano chiesto di non apparire, credo che con la loro iniziativa si siano fatti interpreti di un disagio mollo diffuso tra il popolo cattolico. Tuttavia il Papa, che parla spesso del popolo e gli attribuisce tanta importanza, non risponde, e così facendo viene meno al suo compito fondamentale, che è confermare i fratelli nella fede. Oltre ai dubia dei cardinali ci sono quelli di tanti vescovi, preti e comuni fedeli. La situazione è di grande confusione, e la confusione ha ben poco a che fare con la misericordia. “Il vostro parlare sia sì, sì, no, no”, insegna Gesù. Qui invece siamo in balia del “sì ma anche”, del “forse si forse no”, del “dipende”».
Nel libro lei accenna all’ambiguità in campo ecumenico. Qualcuno dice che il Papa applica una pastorale alla Jovanotti: «Esiste solo una grande “Chiesa” che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa»?
«Eh, il rischio c’è, purtroppo. Certe aperture di Francesco – penso in particolare al caso dei luterani, con la visita in Svezia – sono davvero troppo generiche. Bergoglio ama dire che non bisogna occuparsi troppo delle questioni teologiche, ma che è bene fare qualcosa insieme. Per questa via, però, le Chiese si riducono ad agenzie sociali e, ancora una volta, si rinuncia a indagare sulla verità e sul bene. Non si può bollare la teologia come una sorta di fissazione da esperti avulsi dalla realtà».


Ma papa Francesco dice di riferirsi proprio alla realtà.
«Sì, ama dire che la realtà è più importante dell’idea. Bisognerebbe capire che cosa intende per realtà. Il mondo dei fenomeni può nascondere all’uomo la sua stessa realtà più vera e profonda».
In una delle sue interviste, il Papa ha messo praticamente sullo stesso piano il fondamentalismo islamico con quello cattolico. Anche questo è ecumenismo?
«No, questa è confusione pericolosa. Tutte le fedi possono certamente scivolare verso forme di fondamentalismo, ma non tutte le fedi sono uguali. Se un cristiano utilizza la violenza in nome del Vangelo va contro il Vangelo. L’islam ha un evidente problema con la violenza, e la radici del problema sono nel Corano. Benedetto XVI lo disse chiaramente e fu trattato come sappiamo».
Con queste posizioni, visto il suo passato di “martiniano di ferro”, essendo lei stato molto vicino al cardinale Carlo Maria Martini, la accusano di aver tradito. Non è più “fedele alla linea”?
«Non sono mai stato fedele ad alcuna linea, se non a quella di cercare di capire il mondo con il massimo di onestà intellettuale, al netto dei miei peccati, dei miei limiti e delle mie debolezze. L’amicizia con il cardinale Martini è stato un grande dono della provvidenza. Il suo invito a suddividere le persone non fra credenti e non credenti, ma fra pensanti e non pensanti, mi ha spinto a utilizzare la libertà cristiana senza paura. Non eravamo sempre d’accordo. Circa l’aborto, per esempio, arrivai a dirgli che, secondo me, da parte sua c’era un eccesso di giustificazionismo. Ricordo che quando gli chiesi di approfondire la questione del dialogo, mi consigliò di rileggermi l’Ecclesiam suam, dove Paolo VI chiede prima di tutto alla Chiesa di meditare su sé stessa. C’è una certa differenza con Bergoglio, che chiede alla Chiesa di uscire da sé stessa. Con Martini c’era un costante, rigoroso aggancio alla Scrittura. Non temeva di confrontarsi con le grandi questioni della modernità. Si poteva essere d’accordo o meno con lui, ma di certo non lo si poteva accusare di superficialità. Chi dice che Bergoglio sta realizzando l’idea di Chiesa di Martini probabilmente non conosce Martini, ma forse nemmeno Bergoglio».
vallifonte: laverita.info

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