ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 1 gennaio 2018

La neotologia delle mezze calzette e dei calzini bucati

L’etica cristiana è legge del sacrificio o del desiderio? La versione dello psicologo Recalcati


Nel Vangelo di Luca, nella traduzione originale della frase pronunciata da Gesù nell’ultima cena e recitata durante la liturgia, in cui si dice “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”, la parola sacrificio non c’è, afferma lo psicologo Massimo Recalcati nel suo libro “Contro il sacrificio. Al di là del fantasma sacrificale” (Raffaello Cortina Editore). “Questo è il mio corpo, dato per voi”, è la versione corretta propugnata dallo psicologo. Il problema di Gesù, afferma infatti Recalcati, non è vivere nel sacrificio ma liberare l’uomo “dall’ombra triste del sacrificio”. Fatto che sfugge a Nietzschenella sua fervente critica della morale cristiana, espressa in testi ben noti come “Genealogia della morale” o “Così parlo Zarathustra”.

Questo perché il problema di Gesù è quello di portare a compimento la legge, non di opporvisi, spiega Recalcati: “Non sono venuto ad abolire la legge ma a darne compimento”, si legge infatti in Mt 5,17-19. Non la legge come oppressione della libertà quindi, ma come condizione della libertà. Lettura che si separa dal fariseismo, che è “interpretazione piatta e patibolare della legge”, con un’etica fondata sul rispetto del culto, sulla base “delle stesse pratiche rituali che caratterizzano l’Antico testamento”. Gesù infatti porta “la legge oltre la legge”: se la vecchia legge non conosce il perdono, Gesù porta “l’eccezione”, la grazia. Dalla logica dell’equivalenza si passa alla logica della “sovrabbondanza” di cui parla san Paolo, e la legge dell’amore vince sulla legge della giustizia.
Tutto questo viene portato alla luce da Massimo Recalcati nella sua ultima pubblicazione, in cui viene messo in atto un confronto in cui, da una parte, c’è la logica umana del sacrificio, incarnata nel fantasma sacrificale e in quell’economia di scambio descritta da Nietzsche, per la quale ci si sacrifica in attesa di una ricompensa nell’aldilà. Cuore della soggettività nevrotica che lo psicologo afferma di incontrare nella sue sedute, oltre che oggetto indagato dalla riflessione psicologica e psicoanalitica fin dalla sua nascita, in particolare nella sua matrice freudiana, e perno allo stesso modo di una tradizione di “cattolicesimo penitenziale”, aggiunge e sostiene Recalcati, citando l’esperienza monastico penitenziale di san Bernardo di Chiaravalle condannata però in seguito da san Tommaso d’Aquino. E dall’altra quella propriamente evangelica di Gesù, che è appunto “venuto non a opporsi alla Legge ma a portarla a compimento”, e che Recalcati afferma essere presente anche nel fulcro del pensiero di fondamentali figure della psicologia come il francese Jacques Lacan.
Etica di Lacan, spiega lo psicologo, che si condensa nella domanda: “Avete agito in conformità al desiderio che vi abita?”. Il desiderio viene così identificato alla legge, e in questo modo il desiderio freudiano per Recalcati diventa “il voto”, “la vocazione”. La propria via “da non abbandonare”, come dice Lacan, pena il “tradimento”: ovvero la depressione, lo spegnimento, la sofferenza di cui si occupa la psicanalisi. Nella riflessione dello psicologo c’è, ancora meglio, un “dovere” di essere coerente con il proprio desiderio, perché altrimenti la vita non ha senso, e in questo passaggio “l’azione etica si conforma al desiderio che abita l’inconscio”. In una legge che “sostiene il desiderio invece che distruggerlo”.
Centrale è così la vicenda del profeta biblica Giona, svegliato dalla voce di Dio che gli dice “Alzati!”, oppure anche “Talità Kum!”, e il cui dramma sta nel fatto che questa voce non lo lascia dormire. Ancor più fondamentale è la scena del sacrificio di Isacco, dove il “disarmo assoluto” di Abramo, che rispondendo alla chiamata di Dio ottiene la sospensione dell’obbligo del sacrificio, lo pone “al di là del fantasma sacrificale”. Quest’ultimo, il fantasma sacrificale, concetto centrale della riflessione di Recalcati, è uno strumento morale che “fin dall’origine della storia dell’Occidente” vive nella forma di regolatore dell’inconscio. Esprimendo però una sorta di rapporto “masochistico” nei confronti del peso della libertà, e della sua vertigine, come la descriveva Kierkegaard, nel momento in cui la si rifiuta, scegliendo le “catene” del sacrificio. Nella psicanalisi, tutto questo corrisponde al super-Io di cui parla Freud: “aberrazione e deformazione della legge”, “rappresentazione super-egoica”, “pura oppressione della vita” e tiranno della personalità nevrotica, lo definisce lo scrittore. Carattere di un dio che non è misericordia ma “sguardo severo” e “voce feroce”.
Oggi, spiega Recalcati, tutto questo ritorna in auge nel terrorismo di matrice fondamentalista, asservito a un dio folle che esige lo sterminio degli infedeli. O attraverso la regola del “godimento illimitato” a cui si assiste nel nostro tempo, anch’essa paradossalmente fondata su questo stesso fantasma, dove la dimensione “neo-libertina” del super-Io impone il godimento come alternativa al dovere, in una logica parricida. Ma è anche lo stesso fantasma che si presentava ieri al cospetto delle masse totalitarie, dove lo spirito di sacrificio cementava l’identificazione nella causa con la maiuscola, vedi il nazismo di Hitler, in opposizione all’istinto di autoconservazione della famiglia, realizzato in nome dell’utile, tipico della figura associata all’ebreo. Dopo la morte di Dio proclamata da Nietzsche, ecco perciò come al “nulla che è a fondamento della nostra libertà”, di una libertà senza Dio, si finisce per adorare “l’ombra di Dio”, spiega ancora Recalcati. Che “può assumere le spoglie dell’ideologia che afferma una verità assoluta, del culto scientista dell’oggettività dei fatti, dell’infatuazione narcisista per il proprio Io, del nazionalismo fanatico”.
Questo fantasma del sacrificio, che si incontra nell’esperienza psicanalitica, ha quindi a che fare con un orizzonte che si restringe e che “scatena l’ira di Gesù” verso il venire meno della natura “generativa” e “affermativa” della vita e del talento, per fare spazio a una vita “malata”, prosegue lo psicologo. La legge, in quanto tale, salva il soggetto dal sacrificio, perché senza di essa non si accede alla civiltà. Se la parola, il Logos, è infatti il “luogo dell’umanizzazione della legge”, la legge del super-Io è la sua “disumanizzazione”. E se la legge non sa ospitare la grazia, scrive Recalcati, “non può essere considerata umana”. È l’assassino di Dio di cui parla Nietzsche: una legge che non contempla assoluzione, redenzione e salvezza, e che si radica nel terreno della pulsione di morte concepito da Freud. Che non conosce alleanza col desiderio ma che “lotta contro di esso”, che “non è l’erede ma la distruttrice della parola del Padre”. Mentre già il filosofo Jacques Derrida spiegava che la nozione di responsabilità trova la sua istituzione solo nel cristianesimo, proprio nel dramma di Abramo e di Isacco, nel suo passaggio dalla generalità alla singolarità. In Gesù che si fa agnello sacrificale “non per incarnare il fantasma ma per liberare l’uomo dal peso del sacrificio”.
Vivere nel sacrificio è infatti, dice Recalcati, la malattia del nevrotico che si manifesta in molteplici forme, per quanto di per sé sembri una contraddizione in termini: “dall’ozio al lamento, dall’aggressività all’iperattività, sacrificando sempre la realizzazione del proprio desiderio per far viver l’altro”. Il lavoro dell’analista è invece proprio quello di “disarticolare il fantasma sacrificale per porre il paziente di fronte alla verità del suo desiderio e alla responsabilità di fronte a esso”. Passaggio che obbliga a ripensare la legge del padre “in alleanza” con il desiderio, liberata dall’ombra oppressiva del super-Io. Qui Recalcati arriva a un punto centrale, o meglio, a “una fitta serie di domande che non possiamo evitare”: “Come posso assumere una forza che mi supera? Come posso decifrare correttamente la legge del mio desiderio? Come posso abitare il desiderio che a sua volta mi abita?”. E ancora, in chiave prettamente psicanalitica: “Siamo responsabili dei nostri sogni, come si chiede Freud? Di un desiderio che mi abita ma che allo stesso tempo mi trascende e mi supera?”.
In conclusione, per Recalcati la legge “non è castrazione ma esposizione alla potenza del proprio desiderio”, che pone l’uomo davanti alla propria scelta, “conscio della propria mancanza”, e in cui il regno escatologico di Dio che viene è sempre “evento” in atto. È “l’ultima ora che è giunta”, in cui “decidere adesso se vivere con lui o contro di lui”. “Radice ultima dell’obbedienza che ci insegna la predicazione cristiana”, scrive ancora Recalcati: “Fedeltà alla chiamata della parola che è chiamata della trascendenza interna del nostro desiderio”, nel “bene generativo capace di lievitare e dare frutti”, e in cui “il giusto è colui che sa essere fedele alla legge del suo desiderio”. Passaggio, chiosa Recalcati, di “massima convergenza” tra psicoanalisi ed etica cristiana.
Perché Gesù parla di una legge, che lo psicologo riconosce essere la stessa di Lacan, dominata “non dalla morte ma dalla vita”, “non morale ma extramorale”, “non repressiva ma generativa”. Resta però, infine, la croce: “simbolo più alto del sacrificio”, come storicamente indicato dalla tradizione cattolica particolare dell’Imitatio Christi, e “apoteosi della cultura colpevolizzante”, affonda lo psicologo, oppure “momento estremo” di questo passaggio “al di là del fantasma sacrificale”, cioè dell’abbandono del sacrificio? “La legge dell’amore è nuova forma della legge, di dono totale verso l’altro”, conclude Recalcati. E la salvezza “risiede nella potenza del desiderio” che “allarga gli orizzonti della vita”, nell’incontro con l’alterità che è anzitutto “quella ignota che ci abita”, “forza in grado di moltiplicare i pani e i pesci dando forma nuova al desiderio”, perché “per chi ha fede tutto è possibile”. Ai teologi l’ultima parola.


Cardinale Müller: giudizio privato decide se il matrimonio è valido o no

Secondo il Cardinal Gerhard Müller, un cattolico può concludere che il matrimonio contratto in chiesa è valido pur non avendo alcuna prova canonica per questo.

Parlando all'ultraliberale Vatican Insider (31 dicembre), Müller ha affermato che se una persona simile entra in una seconda relazione, la seconda relazione sarebbe quella valida davanti a Dio.

L'affermazione che chiunque eccetto un giudice ecclesiastico possa decidere la validità di un matrimonio è stata esplicitamente condannata dal Concilio di Trento (1545-1562). Senza dichiarazione di nullità, ovvero di annullamento nel caso del privilegio paolino, ogni seconda relazione è un peccato mortale.

Müller pertanto presuppone che il processo per determinare la validità del vincolo o la forma canonica del matrimonio Cattolico siano irrilevanti.

Foto: Gerhard Ludiwg Müller, © michael_swan, CC BY-ND#newsJzviqepjez
Müller: “Il libro di Buttiglione ha dissipato i dubia dei cardinali”
Intervista con il porporato su Amoris laetitia e la possibilità dei sacramenti per chi vive una seconda unione: «Dobbiamo collegare la parola di salvezza di Dio con la situazione concreta escludendo sia il legalismo sia l’individualismo autoreferenziale»
Per i suoi settant’anni le parole più significative sono quelle ricevute dal Papa emerito Benedetto XVI: il cardinale Gerhard Ludwig Müller ha «difeso le chiare tradizioni della fede, ma nello spirito di Papa Francesco» ha «cercato di capire come possano essere vissute oggi». E proprio in questo senso andava il corposo e articolato saggio introduttivo che il porporato tedesco ha voluto scrivere in appoggio all’iniziativa del filosofo Rocco Buttiglione, il quale ha raccolto in un volume di recente pubblicazione i suoi contributi per una lettura di Amoris laetitia al di là degli opposti estremismi ma consapevole del passo compiuto. Ormai da molti anni, prima da cardinale e poi da Papa, Joseph Ratzinger aveva parlato del problema rappresentato dai sempre più numerosi matrimoni celebrati senza fede e senza la consapevolezza del sacramento. Un problema preso in considerazione dallo stesso Müller in una lettera pastorale pubblicata all’inizio del suo episcopato a Ratisbona. In questa intervista con Vatican Insider il cardinale torna sui dubia dei cardinali e approfondisce alcuni passaggi dell’introduzione al libro di Buttiglione. 

Eminenza, perché ha sostenuto il libro del filosofo Rocco Buttiglione su Amoris laetitia 
«L’intenzione del mio amico Rocco Buttiglione in questo libro è di offrire risposte competenti a domande formulate in modo competente. Io ho voluto appoggiare questo contributo ad un dialogo onesto senza faziosità e senza polemica. In tedesco c’è un modo di dire: “chi vuole mettere pace prende le botte da tutte e due le parti”. Credo però che dobbiamo accettare questo rischio per amore alla verità del Vangelo e all’unità della Chiesa». 

Crede che il libro del professor Buttiglione abbia risposto ai famosi dubiaformulati dai quattro cardinali?  
«Sono convinto che egli abbia dissipato i dubbi dei cardinali e di molti cattolici che temevano che in “Amoris Laetitia” si fosse realizzata una alterazione sostanziale della dottrina della fede sia sul modo valido e fecondo di ricevere la santa comunione come anche sulla indissolubilità di un matrimonio validamente contratto fra battezzati».  

L’impressione che si ricava leggendo il testo dei cinque dubia dei cardinali è quella di non trovarsi di fronte a vere e proprie domande, cioè a dubbi espressi per avere una risposta in un senso o nell’altro, ma piuttosto a domande un po’ retoriche che portano verso una direzione già prestabilita. Che cosa ne pensa? 
«In tutte le mie prese di posizione, che mi sono state richieste da molte parti, io ho sempre cercato di superare le polarizzazioni ed un modo di pensare per campi contrapposti. Per questo il professor Buttiglione mi ha chiesto per il suo libro un’introduzione con il titolo “Perché si può e si deve interpretare Amoris Laetitia in senso ortodosso”. Adesso però non dobbiamo perdere tempo con la questione del modo in cui siamo entrati in questa situazione piena di tensioni, ma concentrarci piuttosto sul modo in cui ne usciamo, Abbiamo bisogno di più fiducia e più attenzione benevola gli uni per gli altri. Da cristiani non dobbiamo mai dubitare della buona volontà dei nostri fratelli ma “ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso” (Fil. 2,3) - così l’Apostolo ci ammonisce di avere tutti gli stessi sentimenti nell’amore».  

Nel saggio introduttivo al libro di Buttiglione lei parla almeno di una eccezione riguardante i sacramenti per chi vive una seconda unione, quella riguardante coloro che non possono ottenere la nullità matrimoniale in tribunale ma sono convinti in coscienza della nullità del primo matrimonio. Questa ipotesi venne già considerata, nell’anno 2000, dall’allora cardinale Joseph Ratzinger. In questo caso si può aprire la via ai sacramenti? Amoris laetitia potrebbe essere considerata uno sviluppo di quella posizione?  
«Davanti alla spesso insufficiente istruzione nella dottrina cattolica, e in un ambiente secolarizzato in cui il matrimonio cristiano non costituisce un esempio di vita convincente, si pone il problema della validità anche di matrimoni celebrati secondo il rito canonico. Esiste un diritto naturale di contrarre un matrimonio con una persona del sesso opposto. Questo vale anche per i cattolici che si sono allontanati dalla fede o hanno mantenuto solo un legame superficiale con la Chiesa. Come considerare la situazione di quei cattolici che non apprezzano la sacramentalità del matrimonio cristiano o addirittura la negano? Su questo il cardinale Ratzinger voleva che si riflettesse, senza avere una soluzione bella e pronta. Non si tratta di costruire artificialmente un qualche pretesto per poter dare la comunione. Chi non riconosce o non prende sul serio il matrimonio come sacramento nel senso in cui lo considera la Chiesa non può neppure, e questa è la cosa più importante, ricevere nella santa comunione Cristo che è il fondamento della grazia sacramentale del matrimonio. Qui dovrebbe esserci prima di tutto una conversione all’intero mistero della fede. Solo alla luce di queste considerazioni può un buon pastore chiarire la situazione familiare e matrimoniale. È possibile che il penitente sia convinto in coscienza, e con buone ragioni, della invalidità del primo matrimonio pur non potendone offrire la prova canonica. In questo caso il matrimonio valido davanti a Dio sarebbe il secondo e il pastore potrebbe concedere il sacramento, certo con le precauzioni opportune per non scandalizzare la comunità dei fedeli e non indebolire la convinzione nella indissolubilità del matrimonio».  

Siamo di fronte a un numero sempre maggiore di casi di matrimoni celebrati senza vera fede tra persone che poi dopo pochi anni (a volte pochi mesi) si lasciano. E magari successivamente, dopo aver contratto una nuova unione civile, incontrano davvero la fede cristiana e intraprendono un cammino. Come agire in questi casi?  
«Qui non abbiamo ancora una risposta consolidata. Dovremmo però sviluppare criteri senza cadere nella trappola della casuistica. Teoricamente è abbastanza facile definire la differenza fra un non credente battezzato e un cosiddetto “cristiano solo di nome” che giunge più tardi alla pienezza della fede. Più difficile è verificare questo nella concreta realtà del singolo uomo nel pellegrinaggio della sua vita. Fedele alla Parola di Dio la Chiesa non riconosce nessuno scioglimento del vincolo matrimoniale e quindi nessuna sua divisione. Un matrimonio sacramentale valido davanti a Dio e davanti alla Chiesa non può venire sciolto né dagli sposi né dalla autorità della Chiesa e naturalmente non può esserlo neppure da un divorzio civile seguito da un nuovo matrimonio. Diverso è il caso, che già abbiamo richiamato, di un matrimonio invalido fin dal principio per la mancanza di un vero consenso. Qui non si scioglie o non si considera irrilevante un matrimonio valido. Si riconosce semplicemente che quello che sembrava essere un matrimonio in realtà non lo è».  

Nel suo saggio introduttivo al libro di Buttiglione lei parla anche della diminuita imputabilità della colpa di chi «non sia ancora in grado di soddisfare a tutte le esigenze della legge morale». Che cosa significa?  
«Il peccato mortale ci toglie la vita soprannaturale nella grazia. Il suo principio formale è la volontà di contraddire la santa volontà di Dio. A ciò si aggiunge la “materia” di azioni in grave conflitto contro la dottrina della fede della Chiesa e la sua unità con il Papa ed i vescovi, la santità dei sacramenti e i comandamenti di Dio. Il cattolico non può scusarsi dicendo di non sapere tutte queste cose. Esistono però persone che, senza propria colpa grave, non hanno ricevuto una sufficiente istruzione religiosa e vivono in un ambiente spirituale e culturale che mette in pericolo il sentire cum Ecclesia. Qui c’è bisogno del buon pastore che, questa volta, non deve respingere i lupi con il suo bastone ma - secondo il modello del buon Samaritano- versare olio e vino nelle ferite e ricoverare il ferito nella locanda che è la Chiesa».  

Nel suo intervento introduttivo lei ricorda anche la dottrina tradizionale secondo la quale «per la imputabilità della colpa nel giudizio di Dio bisogna considerare i fattori soggettivi come la piena coscienza e il deliberato consenso nella grave mancanza contro i comandamenti di Dio». Dunque ci possono essere casi in cui mancando la piena coscienza e il deliberato consenso l’imputabilità è diminuita?  
«Chi nel sacramento della Penitenza chiede la riconciliazione con Dio e con la Chiesa deve confessare tutti i suoi peccati gravi dei quali egli si ricorda dopo un approfondito esame di coscienza. Solo Dio può misurare la gravità dei peccati commessi contro i suoi comandamenti perché Lui solo conosce il cuore degli uomini. Le circostanze, che Dio solo conosce, che diminuiscono la colpa e la pena davanti al suo tribunale, sono di tipo diverso da quelle che si possono giudicare dall’esterno, come quelle che possono mettere in questione la validità di un matrimonio. La Chiesa può amministrare i sacramenti come strumenti della grazia solo conformemente al modo in cui Cristo li ha istituiti. San Tommaso d’Aquino distingue il sacramento della penitenza dall’eucarestia in quanto la prima è una medicina che purifica (purgativa) mentre la seconda è una medicina che edifica (confortativa). Se le si scambia l’una per l’altra si fa danno o al malato o al sano. Chi si ricorda di un peccato grave deve prima di tutto ricevere il sacramento della penitenza. Per questo è necessario il pentimento e il proposito di evitare le occasioni prossime di peccato. Senza di questo non si dà il perdono sacramentale. Questa è in ogni caso la dottrina della Chiesa. Nella introduzione al libro di Buttiglione ho citato anche i passaggi rilevanti del magistero più autorevole. Tuttavia i credenti hanno anche diritto ad un accompagnamento attento che corrisponda al loro personale itinerario di fede. Nell’accompagnamento pastorale e soprattutto nel sacramento della penitenza il prete deve aiutare nell’esame di coscienza. Il credente non può decidere da solo in coscienza se riconoscere o meno i comandamenti di Dio come giusti e vincolanti per lui. Piuttosto noi esaminiamo in coscienza i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre opere e le nostre omissioni alla luce della Sua santa volontà. Invece di giustificarci da soli preghiamo Dio umilmente e “con uno spirito contrito” (Salmo 51,19) per il perdono anche dei peccati che non sappiamo di avere commesso. Così è possibile un nuovo inizio». 

Come si superano allora i rischi opposti del soggettivismo e del legalismo? Come si tiene conto delle singole vicende concrete, a volte drammatiche?  
«Nella visione cattolica la coscienza del singolo, i comandamenti di Dio e la autorità della Chiesa non stanno isolati l’uno davanti all’altro ma stanno l’uno con l’altro in una connessione interna attentamente calibrata. Questo esclude sia un legalismo come anche un individualismo autoreferenziale. Non è compito nostro giustificare una nuova unione che somiglia ad un matrimonio con una persona che non è il coniuge legittimo. Non ci è permesso nel nostro pensiero ritenere “mondanamente” che Gesù non possa avere preso tanto sul serio la indissolubilità del matrimonio o che essa non possa più essere pretesa dall’uomo di oggi che, a causa dell’allungarsi della durata della vita, non può resistere così a lungo con un unico coniuge. Ci sono però di fatto situazioni drammatiche dalle quali è difficile trovare una via d’uscita. Qui il buon pastore distingue accuratamente le condizioni oggettive e quelle soggettive e dà un consiglio spirituale. Egli però non si erge a Signore sopra la coscienza degli altri. Qui dobbiamo collegare la parola di salvezza di Dio, che nella dottrina della Chiesa viene soltanto trasmessa, con la situazione concreta, nella quale si ritrova l’uomo nel suo peregrinare. È bene qui ricordare anche l’antico principio per cui il confessore non deve turbare la coscienza del penitente in buona fede prima che esso sia cresciuto nella fede e nella conoscenza della dottrina cristiana fino al punto di poter riconoscere il proprio peccato, e formulare il proposito di non più commetterlo. Fra l’obbedienza a Cristo Maestro e l’imitazione di Cristo Buon Pastore non c’è un o-o ma solo un e-e».  

Le linee guida pastorali-applicative di Amoris laetitia dei vescovi della regione di Buenos Aires, elogiate dal Pontefice, sono state pubblicate negli Acta Apostolicae Sedis. Come le giudica?  
«Questa è una questione sulla quale non vorrei dare alcun giudizio. Nella mia prefazione al libro di Buttiglione ho parlato in generale del rapporto fra il magistero papale e l’autorità delle direttive pastorali dei vescovi diocesani. Non si tratta di decisioni dogmatiche o del caso di una specie di evoluzione del dogma. Si tratta solo di una possibile prassi della amministrazione dei sacramenti dato che in casi così gravi il sacramento della penitenza deve precedere il ricevimento della comunione. A questo proposito bisognerebbe però ricordare che secondo la fede cattolica il sacrificio eucaristico, la santa messa, non si può ridurre al ricevimento (con la bocca) della comunione. Il Concilio di Trento parla di una triplice modalità di ricevimento del sacramento: secondo il desiderio (in voto); il ricevimento con la bocca della santa ostia (la comunione sacramentale); l’intima unione di grazia con Cristo (la comunione spirituale)».  

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.