sono propriamente magisteriali?
1. L’Esortazione post-sinodale Amoris Laetitia non ha lasciato indifferente alcuno. Ma ecco che, secondo il parere dello stesso Papa, la sola interpretazione possibile del capitolo VIII di questo documento è quella data dai vescovi della regione di Buenos Aires in Argentina. I quali affermano apertamente che l’accesso ai sacramenti può essere autorizzato per certe coppie di divorziati risposati.
«Lo scritto è molto buono ed esplicita perfettamente il senso del capitolo VIII di Amoris laetitia, non v’è altra interpretazione», afferma il Papa in una lettera del settembre 2016. Ed ecco che lo scorso giugno, la Segreteria di Stato del Vaticano riconosce a questa affermazione lo status di «Magistero autentico».
2. Il che non mancherà di agitare di nuovo una questione già studiata da lungo tempo (1).
Posto che le autorità della gerarchia ecclesiastica restano in possesso del loro potere di Magistero, ci si può chiedere: che valore si può attribuire agli atti di insegnamento dispensati da queste autorità in carica nella Chiesa, il Papa e i vescovi, dopo il concilio Vaticano II? Occorre vedervi come fino ad oggi l’esercizio di un vero Magistero, nonostante tali insegnamenti si allontanino, in tutto o in parte, dalla Tradizione della Chiesa?
La posizione della Fraternità San pio X (2) è che a partire dal Vaticano II e dopo, la santa Chiesa è stata afflitta e continua ad essere afflitta da «un nuovo tipo di magistero, imbevuto di princípi modernisti che viziano la natura, il contenuto, il ruolo e l’esercizio del Magistero ecclesiastico».
3. Questa posizione ha ricevuto tutta l’attenzione di un rappresentante incaricato dal Sommo Pontefice, il Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, Mons. Guido Pozzo, e gli ha ispirato la problematica fondamentale di tutto il suo discorso (3), in linea con quanto sostenuto dal Papa Benedetto XVI. Lo scopo di questa problematica è di accreditare agli occhi della Fraternità il valore propriamente magisteriale degli insegnamenti conciliari, prima di farglieli accettare. Perché bisogna che essa li accetti.
Già prima delle discussioni dottrinali del 2009-2011, Benedetto XVI aveva chiaramente annunciata questa intenzione: «I problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l’accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi. […] Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 - ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità» (4).
Questo fa capire tutta l’urgenza anche attuale di questa questione cruciale, che è una questione di principio.
Noi la riesamineremo qui, sotto la forma sintetica di una questione disputata, facendo valere i diversi argomenti pro o contro, allo scopo di mettere di nuovo in evidenza la correttezza della posizione difesa fino ad oggi dalla Fraternità.
Gli insegnamenti conciliari sono propriamente magisteriali?
Argomenti pro e contro
Sembra di sì
1. Primariamente (5), la vera natura degli insegnamenti del concilio Vaticano II e del post-concilio si pone come al vertice, al di sopra di due errori estremi ed opposti, ed è per questo che occorre tracciare due linee bianche invalicabili a sinistra e a destra della via che deve condurre all’intelligenza della verità. A sinistra, la linea bianca deve evitare la posizione massimalista, che fa del concilio Vaticano II una sorta di super-dogma di natura pastorale in nome del quale si relativizza la dottrina cattolica della Tradizione. A destra, essa deve evitare la posizione minimalista, che sostiene che il Vaticano II è solo un concilio pastorale e per questo sprovvisto di ogni valore dottrinale e magisteriale.
Rifiutando le due posizioni massimalista e minimalista «occorre leggere e comprendere i documenti del Magistero del Vaticano II e dei Pontefici successivi direttamente a partire da ciò che essi intendono realmente insegnare (la dell’autore), senza lasciarsi condizionare dalla realtà virtuale o alterata fatta circolare da altri interpreti umani non autorizzati» (6). Si deve quindi ritenere che il Concilio, anche se non ha voluto proporre delle nuove definizioni dogmatiche, ha nondimeno dato un insegnamento magisteriale riguardante la fede e la morale, richiedendo l’assenso interno dell’intelletto e della volontà, al pari di altri insegnamenti di carattere pratico-pastorali, che richiedono un’adesione rispettosa quantunque differente.
2. Secondariamente, di fatto, noi vediamo che esistono degli atti di insegnamento del concilio Vaticano II e dei Papi successivi che sono propriamente magisteriali – come per esempio la sacramentalità dell’episcopato nel capitolo III della costituzione Lumen gentium o la condanna del sacerdozio femminile nella Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II – perché il contenuto, il tono e la finalità di questi atti manifestano chiaramente che il Papa intende usare in essi la sua autorità magisteriale nel senso più tradizionale.
3. In terzo luogo, il Magistero è, come insegna Pio XII, la regola prossima della verità in materia di fede e di costumi. Ora, come la Chiesa non potrebbe rimanere indefettibile per un lungo periodo senza un Papa veramente regnante, così non potrebbe rimanerlo senza che il Magistero si eserciti in atto. E’ per questo che negare che gli insegnamenti post-conciliari siano propriamente magisteriali e negare che a capo della Chiesa vi sia un Papa veramente regnante, conduce alle stesse conseguenze, e cioè a rimettere in questione le promesse fatte da Nostro Signore e a negare l’indefettibilità della Chiesa.
4. In quarto luogo, Mons. Lefebvre, parlando del concilio Vaticano II, ha dichiarato: «Esiste un Magistero ordinario pastorale che può benissimo contenere degli errori o esprimere delle semplici opinioni» (7). Egli ha anche dichiarato che bisogna giudicare i documenti del Concilio alla luce della Tradizione, per accettare quelli che sono conformi alla Tradizione (8). Quindi, ai suoi occhi il concilio Vaticano II rappresentava un «Magistero» propriamente detto.
Sembra di no
5. In quinto luogo, in una conferenza a Ecône (9), Mons. Lefebvre ha dichiarato: «Noi abbiamo il Papa Giovanni XXIII, il Papa Paolo VI e il Papa Giovanni Paolo II. […] Essi sono dei liberali. Essi hanno uno spirito liberale. […] Allora, come volete che degli spiriti liberali come questi compiano degli atti che essi stessi ritengono definitivi e che obbligano tutti i fedeli ad aderirvi in maniera definitiva? Essi non possono compiere degli atti del genere. E’ per questo che essi, sia nelle lettere, sia in concistoro, sia in pubbliche riunioni, hanno sempre espresso delle restrizioni nei loro commenti. […] Oggi vi è dunque a Roma tutto un insieme che un tempo non esisteva e che non può emanare delle leggi alla maniera in cui le emanavano i Papi in precedenza, perché costoro non hanno più lo spirito veramente cattolico su questa questione. Essi non hanno la concezione chiaramente cattolica dell’infallibilità, dell’immutabilità del dogma, della permanenza della Tradizione, della permanenza della Rivelazione e neanche, direi, dell’obbedienza dottrinale. […] E allora, vedete come tutta questa concezione che essi hanno impedisca loro di compiere degli atti esattamente nelle stesse condizioni e con la stessa concezione con cui li compivano una volta i Papi. Mi sembra ch questo sia chiaro. Ed è per questo che noi ci troviamo in mezzo ad una confusione inverosimile.»
Dunque, Mons. Lefebvre aveva perlomeno un serio dubbio sulla natura magisteriale dei nuovi insegnamenti conciliari.
6. In sesto luogo, In occasione del 25° anniversario delle consacrazioni episcopali del 1988, Mons. Fellay ha dichiarato: «Siamo dunque obbligati a constatare che questo Concilio atipico, che ha voluto essere solo pastorale e non dogmatico, ha inaugurato un nuovo tipo di magistero, sconosciuto fino ad allora nella Chiesa, senza radici nella Tradizione; un magistero determinato a conciliare la dottrina cattolica con le idee liberali; un magistero imbevuto dei principi modernisti del soggettivismo, dell’immanentismo e in perpetua evoluzione, conformemente al falso concetto della tradizione vivente, in quanto altera la natura, il contenuto, il ruolo e l’esercizio del magistero ecclesiastico.» (10).
Da cui si trae la stessa conclusione del settimo argomento.
Principio di risposta
7. Per rispondere, bisogna definire i termini della questione.
8. Definiamo il predicato della nostra questione e vediamo cos’è un atto «propriamente magisteriale».
L’atto del magistero ecclesiastico è una testimonianza resa con autorità in nome di Cristo: esso è essenzialmente l’atto di un’autorità vicaria. Quest’atto è dunque definito e limitato dal suo oggetto, che è la salvaguardia e l’esplicitazione delle verità divinamente rivelate. Al di fuori di questo oggetto, l’atto dell’autorità ecclesiastica non può corrispondere a quello di un Magistero propriamente detto (11). La retta ragione illuminata dalla fede è in grado di verificare in certi casi che l’autorità ecclesiastica viene esercitata al di fuori dei suoi limiti, precisamente quando questa autorità contraddice l’oggetto proprio del Magistero, già proposto come tale. Si tratta di un criterio negativo indicato da San Paolo nella Lettera ai Galati (12): le autorità ecclesiastiche agiscono al di fuori dei loro limiti quando danno un insegnamento contrario alle verità già definite al Magistero infallibile o proposto costantemente dal Magistero ordinario, anche semplicemente autentico. In un simile caso è dunque possibile verificare l’illegittimità e la natura non-magisteriale di un atto d’insegnamento, procedendo a posteriori ed esaminando l’oggetto di quest’atto nella relazione che esso ha con gli altri oggetti di altri atti anteriori del Magistero.
Ma questo fa sorgere la domanda sulla natura propriamente magisteriale di tale insegnamento, poiché, se l’oggetto di tale insegnamento (il suo «quod» per usare un linguaggio scolastico), è la negazione dell’oggetto del Magistero, foss’anche solo in qualche punto, ci si può chiedere se il motivo formale di tale insegnamento (il «quo») è abitualmente (e cioè in tutti i suoi atti) quello del Magistero: vi è infatti come una relazione necessaria di adeguamento tra i due. Certo, può accadere che il Papa insegni in un atto isolato qualcosa che non è l’oggetto del suo Magistero (per esempio, un’opinione teologica), senza che questo sia il segno che il suo insegnamento abituale non sia di natura magisteriale. Tuttavia, quando il Papa insegna, anche in un atto isolato, qualcosa che contraddice l’oggetto del suo Magistero (un errore grave, cioè un eresia), non è irragionevole chiedersi se non ci si trovi davanti ad un segno che il suo insegnamento abituale non sia più di natura magisteriale. Infatti, la negazione del «quod» (che è più della sua assenza) è ordinariamente il segno dell’assenza del «quo», trattandosi degli atti del potere e non del potere stesso.
9. Definiamo poi il soggetto della nostra questione e vediamo cosa sono «gli insegnamenti conciliari».
Gli insegnamenti del Vaticano II, al pari di quelli dei Papi successivi a questo concilio, sono propriamente degli insegnamenti che contraddicono, almeno in diversi punti importanti (la libertà religiosa e l’indifferentismo degli Stati, la nuova ecclesiologia latitudinarista del «subsistit», l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, la collegialità e il sacerdozio comune, la nuova liturgia, il nuovo Codice di Diritto Canonico) i dati oggettivi del Magistero costante già chiaramente proposto con la richiesta autorità.
Si tratta poi di insegnamenti che comportano per conseguenza pratica una generalizzata protestantizzazione dei fedeli cattolici. Inoltre si tratta di insegnamenti che si propongono come quelli di un nuovo «magistero» che i Papi Giovanni XXIII (13) e Paolo VI (14) hanno presentato essere di tipo pastorale, che si proponeva, come precisato da Benedetto XVI (15), di ridefinire la relazione della fede della Chiesa nei confronti di certi elementi essenziali del pensiero moderno.
10. E’ allora possibile concludere che: in primo luogo, su tutti i punti particolari e isolati in cui sono contrari alle verità già definite dal Magistero infallibile o proposte costantemente dal Magistero ordinario, gli insegnamenti conciliari non sono certo di natura magisteriale; in secondo luogo, sugli altri punti rimane il dubbio, poiché gli insegnamenti conciliari derivano globalmente da un nuovo «magistero» di tipo pastorale, la cui intenzione, «viziando la natura, il contenuto, il ruolo e l’esercizio del Magistero ecclesiastico» (16), è solo in maniera dubbia quella del Magistero propriamente detto. Ne deriva che, se noi li consideriamo formalmente come espressione di questo nuovo «magistero» (e non solo in quanto possono essere materialmente conformi alla Tradizione e possono eventualmente beneficiare dell’autorità del Magistero anteriore), questi insegnamenti conciliari sono di natura magisteriale solo in maniera dubbia.
In ragione di questo dubbio, ci sembra prudente, come regola generale, evitare di presentare nella nostra predicazione tali dichiarazioni del nuovo «magistero» come argomenti rivestiti di un’autorità magisteriale propriamente detta, al fine di non ispirare nei confronti di tali insegnamenti conciliari e post-conciliari una fiducia che alla lunga si rivelerebbe nociva per lo spirito dei nostri fedeli.
Ciò posto, su tutti i punti isolati in cui tali insegnamenti sono materialmente e apparentemente conformi alla Tradizione (come per esempio la condanna del sacerdozio femminile nella Ordinatio sacerdotalis), la stessa prudenza non ci impedisce di tenerne conto e di trarne tutte le conseguenze ragionevolmente possibili, utilizzandoli in un modo o in un altro, in base al grado di autorità magisteriale, come argomenti particolari ad hominem o come materia di insegnamento o di riflessione teologica.
11. Questa doppia conclusione si impone per il fatto che noi giudichiamo l’albero dai suoi frutti, conformemente al metodo sostenuto e seguito da Mons. Lefebvre: «Senza rigettare in blocco questo Concilio, penso che sia il più grande disastro di questo secolo e di tutti i secoli passati sin dalla fondazione della Chiesa. In questo, io non faccio che giudicarlo dai suoi frutti, utilizzando il criterio che ci ha dato Nostro Signore (Mt. VII, 16)» (17).
Questo giudizio è in effetti la conclusione di un ragionamento a posteriori, in cui si risale dall’oggetto dell’insegnamento alla dubbia natura magisteriale di tale insegnamento, come dall’effetto alla sua causa formale. Questo carattere dubbio dell’insegnamento si accentua allorché chi detiene l’autorità afferma in più un cambiamento al livello della sua intenzione. E appare ancora più fondato se si tiene conto della mentalità liberale che infetta il suo spirito.
12. Questa doppia conclusione è da considerare vera non speculativamente, ma praticamente parlando. Non è infatti una conclusione dogmatica stabilita dalla fede o dalla teologia. E’ solo una conclusione stabilita dalla prudenza soprannaturale e dal dono del consiglio (18). Essa è dunque vera fino a nuovo ordine e fatto salvo il futuro giudizio del Magistero della Chiesa, che sicuramente Dio susciterà per chiarire tutti i dubbi suscitati dalla presente crisi.
Risposta agli argomenti
13. Al primo rispondiamo che tale argomento, in ciò che contesta la posizione «minimalista», deriva logicamente da un doppio postulato.
Il primo postulato è quello della continuità sistematica di tutti gli insegnamenti conciliari con la Tradizione, in nome della inerranza del Concilio: si tratta precisamente di un postulato e cioè di una posizione non verificata e non verificabile, poiché i fatti la contraddicono.
Il secondo postulato è quello della mens secondo la quale gli autori degli insegnamenti conciliari avrebbero avuto l’intenzione di esercitare un atto di Magistero anche non infallibile: e anche qui si tratta di un postulato, poiché questa intenzione non è provata.
Noi abbiamo delle ragioni più serie per presumere in tutti i successori di Giovanni XXIII e Paolo VI, l’intenzione radicale e ordinaria di collegarsi ai presupposti liberali e personalisti del pensiero moderno.
Nel suo libro pubblicato nel 1982, Les Principes de la théologie catholique [I princípi della teologia cattolica], il cardinale Joseph Ratzinger afferma che l’intenzione fondamentale del concilio Vaticano II è contenuta nella costituzione pastorale Gaudium et spes (19). Il Prefetto della Fede vi afferma: «Questo testo svolge il ruolo di un contro-Syllabus nella misura in cui rappresenta un tentativo di riconciliazione ufficiale della Chiesa col mondo come esso era diventato dopo il 1789».
Nel 1984, lo stesso cardinale Ratzinger ha dichiarato anche che il Concilio è stato convocato per fare entrare nella Chiesa delle dottrine che sono nate fuori da essa, dottrine che vengono dal mondo (20).
Nel discorso del 22 dicembre 2005, egli afferma anche che il concilio Vaticano II si è proposto di definire in maniera nuova «le relazioni tra la fede della Chiesa e certi elementi essenziali del pensiero moderno».
Dunque, il Vaticano II si è dato il compito di armonizzare la predicazione della Chiesa con i princípi del pensiero moderno e liberale derivati dal 1789. E questa è la stessa constatazione fatta da Mons. Lefebvre alla fine del Concilio: «Abbiamo assistito al matrimonio della Chiesa cattolica con le idee liberali. Significherebbe negare l’evidenza, essere volontariamente ciechi, non affermare con coraggio che il Concilio ha permesso a coloro che professano gli errori e seguono le tendenze condannate dai Papi citati prima, di credere legittimamente che le loro dottrine fossero state sancite e approvate» (21). Più tardi, a Ecône, dirà: «Dunque, vedete, come questa concezione che essi hanno impedisce loro di attuare degli atti esattamente nelle stesse condizioni e con la stessa concezione con cui lo facevano prima i Papi» (22).
Questa intenzione fondamentale non è stata rigettata, essa è stata sempre implicitamente mantenuta nei riferimenti abituali (e più spesso esclusivi) che gli uomini di Chiesa fanno al concilio Vaticano II. Essa rende dubbia la natura magisteriale della predicazione abituale di questi uomini di Chiesa.
14. Al secondo rispondiamo che, anche se si ammette per pura ipotesi (dato e non concesso) che gli insegnamenti conciliari siano su alcuni punti conformi alla Tradizione, tali punti si trovano inseriti in una sintesi globale che è contraria alla Tradizione cattolica di sempre.
Noi possiamo attenerci al principio d’analisi che ci ha lasciato Mons. Lefebvre: «il Concilio è stato distolto dal suo fine da un gruppo di congiurati e ci è impossibile entrare in questa congiura quand’anche ci fossero molti testi soddisfacenti in questo Concilio. Poiché i buoni testi sono serviti per fare accettare i testi equivoci, minati, a trabocchetto» (23).
Questo che Mons. Lefebvre dice del Concilio preso globalmente, può dirsi anche, in maniera analogica, di tutti gli insegnamenti post-conciliari presi globalmente: noi non possiamo ratificare questo nuovo «magistero», quand’anche in esso ci fossero molti testi materialmente soddisfacenti, poiché questi testi materialmente buoni si inscrivono formalmente in una logica cattiva e servono per farne accettare altri equivoci, minati, a trabocchetto. D’altra parte, anche sui punti segnalati a mo’ di esempio, non è difficile dimostrare che la conformità agli insegnamenti della Tradizione è più apparente che reale. La sacramentalità dell’episcopato come insegnata da Lumen gentium (24) e i presupposti epistemologici dell’Ordinatio sacerdotalis (25) si collocano in un’ottica che solo in maniera dubbia è quella della Tradizione.
15. Al terzo accordiamo che l’indefettibilità della Chiesa rende necessarie l’esistenza e l’esercizio perpetuo di un Magistero vivente, ma neghiamo che la dubbia natura magisteriale degli insegnamenti della gerarchia a partire dal Vaticano II comporterebbe l’assoluta assenza di qualsiasi esercizio di qualsiasi Magistero in tutta la Chiesa, E questo per due ragioni. Innanzi tutto, e fondamentalmente, perché il Magistero vivente, il cui esercizio è necessario per l’indefettibilità della Chiesa, non si riduce al Magistero presente (26), poiché integra tutti gli atti del Magistero passato. Poi perché il Magistero presente si esercita come tale nel quadro di un’azione comune ordinata e non si riduce alla sola attività del Papa né alla sola attività comune di tutti i vescovi. L’unità e la perpetuità dell’esercizio del Magistero vengono mantenute basta che si abbia almeno una parte dei pastori, e perfino uno solo, che restano fedeli alla trasmissione della fede (27). E il dubbio che noi poniamo riguarda tutto l’insegnamento posteriore al Vaticano II visto da un punto di vista propriamente logico e non cronologico: è dubbio ogni insegnamento formalmente conciliare, nel senso in cui procede secondo la formale intenzione indicata nel principio di risposta e adottato comunemente dalla gerarchia, volente o nolente, nella sua predicazione ufficiale.
Qui l’obiettante pone un dilemma che può ricondursi a questi termini: o il «magistero» conciliare presente è il Magistero della Chiesa o non lo è, e visto che il Magistero della Chiesa non può non essere, ne consegue che il «magistero» conciliare presente è il Magistero della Chiesa. Ma questo significa dimenticare che la regola della verità in materia di fede e di costumi è sufficientemente stabilita nella Chiesa in maniera propria alla condizione umana, e cioè a partire dal fatto che il Magistero si esercita attraverso alcuni atti d’insegnamento di alcuni pastori passati o presenti, ma non necessariamente attraverso tutti gli atti dì insegnamento di tutti i pastori. Ogni fedele può ricorrere a questi pochi atti e appoggiarvisi, con la certezza richiesta di trovare in essi la garanzia di cui ha bisogno per professare la sua fede nell’unità cattolica della Chiesa, e questo quand’anche la Provvidenza permettesse per qualunque durata una certa carenza in tutti gli altri atti. Come sottolinea Franzelin, già citato, l’epoca dell’arianesimo manifesta seriamente la possibilità di una simile situazione.
16. Al quarto rispondiamo che la citazione attribuita a Mons. Lefebvre è tratta fuori dal suo contesto. Si tratta di una nota che precisa il vero significato di certi punti richiamati nello scambio epistolare tra Mons. Lefebvre e il cardinale Ratzinger: «Supponendo che i testi del Vaticano II siano degli atti magisteriali, tre fatti rimangono innegabili. Innanzi tutto, a differenza di tutti i concili ecumenici anteriori, il Vaticano II ha voluto essere un “Concilio pastorale” e non ha definito alcun punto di dottrina nel senso di definizione irreformabile. Di conseguenza, i documenti di questo Concilio derivano tutt’al più dal Magistero ordinario della Chiesa, in cui non è escluso che si incontrino degli errori». E questo «supponendo» (dato e non concesso) dà tutto il senso vero della citazione. Tenuto conto di questo, da tale citazione non si può trarre l’argomento che vorrebbe trovarci l’obiettante. D’altronde, la fine della nota precisa: «aggiornare la Chiesa, cioè metterla in accordo con gli errori moderni per farla uscire per così dire dal suo ghetto, voltando le spalle alla Tradizione, veicolo della fede, equivale ad un’eresia mostruosa. E’ questo che fa il Vaticano II: il matrimonio della Chiesa con l’ideologia del ‘89».
Il vero pensiero di Mons. Lefebvre è tuttavia più complesso e pieno di sfumature di quello che potrebbe apparire e visto da una nota isolata, citata in controsenso. Per rendersene conto, basta scorrere le diverse conferenze in cui il fondatore della Fraternità si esprime sulla questione nel corso degli anni. Ci si può rendere conto che Mons. Lefebvre parla raramente del Vaticano II come di un Magistero. E quando lo fa, le precisazioni che egli apporta dimostrano che questo termine non può essere applicato all’ultimo concilio nel suo significato proprio e abituale. Egli richiama infatti «un magistero che distrugge questo Magistero [di sempre], che distrugge questa Tradizione» (28); «un magistero nuovo o una concezione nuova che è peraltro una concezione modernista» (29); «un magistero sempre più mal definito» (30); «un magistero infedele, un magistero che non è fedele alla Tradizione» (31); «un magistero che non è fedele al Magistero di sempre» (32); «un magistero nuovo» (33). In una corrispondenza ufficiale indirizzata al Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Mons. Lefebvre ha espresso il seguente giudizio: «un magistero nuovo senza radici nel passato, e a maggior ragione contrario al Magistero di sempre, può essere solo scismatico, se non eretico» (34).
Ecco cos’è rappresentativo della riflessione condotta da Mons. Lefebvre di fronte all’ampiezza di questo fenomeno inedito introdotto nella Chiesa dal Vaticano II.
Con la quinta e la sesta concordiamo per ciò che si tratta di una verità pratica e di una conclusione prudente, non per ciò che si tratta di una verità speculativa e di una conclusione dogmatica o teologica – salvo futuro judicio Ecclesiae.
NOTE
1 – La riflessione condotta all’interno della Fraternità da più di dieci anni ha portato a circoscrivere sempre meglio i problemi. Cfr. per esempio: Mons. Lefebvre, «Vaticano II. L’autorità di un concilio in questione», Istituto Universitario San Pio X, Vu de haut n° 13, 2006; Autorité et réception du concile Vatican II. Études théologiques. Quatrième symposium de Paris (dal 6-7 all’8 octobre 2005), Vu de haut, fuori serie, 2006; Fraternità Sacerdotale San Pio X, Magistère de soufre. Études théologiques sur le concile Vatican II, Iris, 2009; Don Jean-Michel Gleize: «Magistère et foi», Courrier de Rome n° 346 (536) luglio-agosto 2011; «Une question cruciale», Courrier de Rome n° 350 (540) dicembre 2011; «Magistère ou Tradition vivante», Courrier de Rome n° 352 (542) febbraio 2012; « À propos d’un article récent », Courrier de Rome n° 358 (548) settembre 2012; «Pour un Magistère synodal?», Courrier de Rome n° 390 (581) ottobre 2015.
2 - Mons. Lefebvre, « Lettera del 20 dicembre 1966 al cardinale Ottaviani » in J’accuse le Concile, Éd. Saint-Gabriel, Martigny, 1976, p. 107-111; Mons. Fellay, «Déclaration à l’occasion du 25e anniversaire des sacres épiscopaux, 27 giugno 2013», n° 4 in Cor unum, n° 106, p. 36 ; Don Jean-Michel Gleize, Vatican II en débat, 2e partie, capitolo XI, n° 19, Courrierde Rome, 2012, p. 196.
3 - Le idee guida sono state sintetizzate nella conferenza del 4 aprile 2014, rivolta ai membri dell’Istituto del Buon Pastore, e pubblicata sul sito internet Catholicae Disputationes : « Le concile Vatican II : renouveau dans la continuité avec la Tradition ». Questo assunto è stato analizzato e rifiutato in dettaglio nei due seguenti articoli: «40 ans plus tard », e «40 ans passés autour du Concile», Courrier de Rome n° 382 (572), dicembre 2014.
4 - Benedetto XVI, « Lettera del 10 marzo 2009 ai vescovi della Chiesa cattolica» in La Documentation catholique (DC) n° 2421, p. 319-320.
http://www.unavox.it/Documenti/doc0196_BXVI-a-vescovi.htm
5 - Pozzo, ibidem, p. 8.
6 - Id, ibidem, p. 11.
7 – Fideliter n° 46, luglio-agosto 1985, p. 4; Cor unum n° 21, pp. 3032; e n° 101, p. 29 e ss.
8 – Mons. Lefebvre, Conferenza del 2 dicembre 1982 a Ecône, Vu de haut n° 13, p. 57.
9 – Conferenza a Ecône del 12 giugno 1984, Cospec n° 111.
10 – Mons. Fellay, Dichiarazione in occasione del 25° anniversario delle consacrazioni episcopali, 27 giugno 2013, n° 4, in Cor unum n° 106, p. 36.
http://www.unavox.it/Documenti/Doc0543_Dichiarazione_FSSPX_25esimo_anniversario.html
11 – San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, 2a 2ae, questione 104, articolo 5, corpus e ad 3.
12 – Gal 1, 8.
13 - DC n° 1387, col. 1382-1383 e DC n° 1391, col. 101.
14 - DC n° 1410, col. 1 348 ; DC n° 1462, col. 64.
15 - DC n° 2350, col. 59-63.
16 – Mons. Fellay, Dichiarazione in occasione del 25° anniversario delle consacrazioni episcopali, 27 giugno 2013, n° 4, in Cor unum n° 106, p. 36.
http://www.unavox.it/Documenti/Doc0543_Dichiarazione_FSSPX_25esimo_anniversario.html
17 – Mons. Lefebvre, Ils L’ont découronné, Éditions Fideliter, 1986, p 23. [Lo hanno detronizzato, ed. Amicizia Cristiana, 2009, p. 9].
18 - Mons. Lefebvre, « Conferenza à Écône, 5 ottobre 1978 », Cospec, n° 060A et 060B.
19 - Les Principes de la théologie catholique. Esquisse et matériaux, Téqui, 1982, pp. 423-440.
20 - Cardinale Joseph Ratzinger, Entretiens sur la foi, Paris, Fayard, 1985, p. 38 [Rapporto sulla fede, Cinisello Balsamo, Ed. Paoline, 2° ed, 1985, p. 34 ].
21 – Mons. Lefebvre, «Letera del 20 dicembre 1966 al cardinale Ottaviani» in J’accuse le Concile, Éd. Saint-Gabriel, Martigny, 1976, p. 107-111.
http://www.unavox.it/Documenti/Doc0472_Lettera_Lefebvre_al_card_Ottaviani_20.12.66.html
22 – Mons. Lefebvre, « Conférence à Écône du 12 juin 1984 », Cospec n° 111.
23 - ID., J’accuse le Concile, p. 10.
24 - Don Jean-Michel Gleize, «Une conception collégiale de l’Église vue comme communion» in Istituto Universitario San Pio X, Vatican II, les points de rupture. Actes du Colloque des 10 et 11 novembre 2012, Vu de haut n° 20, 2014, pp. 31-44 ; «Évêque de Rome?», Courrier de Rome n° 376 (566) maggio 2014.
25 - Don Jean-Michel Gleize, Vatican II en débat, 2° parte, capitolo X, n° 21, Courrier deRome, 2012, p. 176-178.
26 - Cfr. «40 ans passés autour du Concile », Courrier de Rome n° 382 (572), dicembre 2014; «Seulement le Magistère?», Courrier de Rome, febbraio 2016; Don Jean-Michel Gleize, Vatican II en débat, 2° parte, chapitre XI, n° 28, Courrier de Rome, 2012, p. 204-205.
27 - Cfr. Jean-Baptiste Franzelin, La Tradition divine, tesi 12, Corollario, n° 209, Courrier de Rome, 2008, p. 149-150.
28 - Mons. Lefebvre, «Conferenza a Écône, 29 settembre 1975» in Vu de haut n° 13, p. 23.
29 - ID., «Conferenza a Écône, 13 gennaio 1977» in Vu de haut n° 13, p. 51.
30 - ID., «Conferenza a Écône, 13 gennaio 1977» in Vu de haut n° 13, p. 52.
31 - ID., «Conferenza a Angers, 20 novembre 1980» in Vu de haut n° 13, p. 53.
32 - ID., «Conferenza a Écône, 10 aprile 1981» in Vu de haut n° 13, p. 55.
33 - ID., «Conferenza a Écône, 10 aprile 1981» in Vu de haut n° 13, p. 56.
34 - ID., «Lettera dell’8 luglio 1987 al cardinale Ratzinger», in Vu de haut n° 13, p. 62.68
di Don Jean-Michel Gleize, FSSPX
Pubblicato su Courrier de Rome, n° 606 gennaio 2018
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