ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 21 febbraio 2018

Ad impossibilia nemo tenetur

UNA CONFESSIONE "DA PAZZI"



La Confessione secondo Bergoglio cose da pazzi. I suoi farneticanti sproloqui teologici e dottrinali a proposito del "Sacramento della Confessione". "Gesù Cristo si è fatto peccato per gli uomini, si è fatto serpente e diavolo" 
di Francesco Lamendola  

 

Nel corso della meditazione mattutina nella cappella della Casa Santa Marta, il 15 giugno 2013, il signor Bergoglio, eletto papa da appena tre mesi, si lasciava andare a uno dei suoi farneticanti sproloqui teologici e dottrinali, dicendo, a proposito del Sacramento della Confessione, ovvero della Riconciliazione, queste testuali, assurde e scandalose parole, fra il silenzio assordante di quanti avrebbero dovuto insorgere fin d’allora a difesa della vera fede cattolica:

E quando noi andiamo a c confessarci, per esempio, non è che diciamo il peccato e Dio ci perdona. No, non è così! Noi troviamo Gesù Cristo e gli diciamo: “Questo è tuo e io ti faccio peccato un’altra volta”. E a lui piace. Perché è stata la sua missione: farsi peccato per noi, per liberarci. (…)
Quello che il Signore vuole da noi è proprio l’annuncio ella riconciliazione, che è il nucleo del su messaggio: Cristo si è fatto peccato per me e i peccati sono là, nel suo corpo, nel suo animo. Questo è da pazzi, ma è bello: è la verità.


Sì: parlare in questo modo, da parte di un papa, da parte di qualsiasi sacerdote cattolico, è proprio una cosa da pazzi: una cosa che non sta né in cielo, né in terra; eppure è stata tollerata, e viene tuttora tollerata, ormai da cinque anni, per disgrazia della Chiesa e per la confusione, il turbamento e l’amarezza delle anime dei cattolici, affidate a un così indegno pastore. La prima cosa che viene da pensare, infatti, è che ci troviamo in presenza di un caso psichiatrico, e anche abbastanza grave: a una personalità disturbata, a una mente disfunzionale; il tutto aggravato da un esibizionismo patologico e da una assoluta mancanza di freni inibitori, o semplicemente di modestia e coscienza dei propri limiti, che valgano a trattenere lo sciagurato dal far sapere a tutti quanto inverosimili siano le sue cognizioni teologiche e quanto pazze, avventate, devastanti per la fede, le frasi con le quali egli pretende di commentare il Vangelo di Gesù Cristo.
Tale, ripetiamo, sarebbe la prima reazione. Ma poi, riflettendo su quanto quest’uomo abbia mostrato, in moltissime circostanze, di essere furbo, di essere accorto, di sapersi muovere con estrema scaltrezza e disinvoltura nel mondo della politica e nei palazzi del potere ecclesiastico, fino a diventare, da sconosciuto prelato sudamericano, peraltro molto chiacchierato nella sua patria, il capo della Chiesa cattolica, ci si rende conto, diremmo quasi malvolentieri – perché sarebbe ancora la spiegazione meno inquietante – che non è possibile liquidare il caso Bergoglio in termini di instabilità e di problematicità della sua salute mentale. Senza dubbio siamo in presenza di qualcosa di molto più grave che una grossolana ignoranza teologica e una impulsività di carattere che mal si concilia con un ruolo come quello ricoperto da un pontefice romano; qualcosa che ha a che fare con un piano ben organizzato, con un progetto preciso per spargere la massima confusione possibile e per condurre la Chiesa verso l’implosione, e toglierle la possibilità di giocare un ruolo significativo nella grande battaglia per il controllo psicologico e spirituale dell’umanità, ingaggiata dalle forze oscure che vorrebbero ridurla in loro completo dominio.
Quanto alle specifiche affermazioni di Bergoglio riguardo alla Confessione, notiamo che non si tratta di idee che egli ha buttato lì una volta, quasi casualmente, ma di una sua ferma convinzione, altre volte ribadita: che Gesù Cristo si è fatto peccato per gli uomini, addirittura si è fatto serpente e diavolo (meditazione mattutina nella cappella della Casa Santa Marta del 04/04/2017; cfr. anche il nostro precedente articolo: Nuova bestemmia del papa: “Gesù si è fatto diavolo”, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 07/4/17 e ripubblicato il 18/01/2018). Quella prima volta, il 15 giugno 2913, Bergoglio non parlò di diavolo e di serpente, ma solo di peccato: concetto teologico audace, ma ammissibile, nel senso che Gesù ha preso su di sé i peccati degli uomini; anche se ce ne corre dal dire, come lui ha detto, che a Gesù questo piace: qui siamo già molto vicini alla bestemmia, e, in ogni caso, ad un’affermazione del tutto gratuita, gravemente irrispettosa e senza alcun senso comune. Tanto varrebbe dire che a Gesù è piaciuta la sua Passione e che gli è piaciuto esser innalzato sulla Croce: nessun cattolico, degno di questo nome, parlerebbe così e penserebbe al Signore Gesù Cristo in questi termini. Non solo: il falso papa ha anche detto, immaginando di rivolgersi a Gesù: “Questo è tuo e io ti faccio peccato un’altra volta”. E a lui piace, per cui sembra che a Gesù piaccia il fatto che noi pecchiamo, che l’uomo rinnovi sempre i suoi peccati; il che è assurdo, oltre che scandaloso. A meno che si voglia entrare in un’ottica decisamente luterana: Pecca fortiter, sed crede fortius, nella quale ciò che conta non è evitare il peccato, ma conservare la fede, pur seguitando a peccare. Fra parentesi, è molto interessante quel che diceva Bergoglio nel lontano 1985, in Argentina, nel corso di una pubblica conferenza sulla riforma protestante: l’esatto contrario di quel che dice adesso, specialmente in occasione della ricorrenza dei cinquecento anni dalla pubblicazione delle 95 tesi da parte di Lutero. C’è un articolo sul blog di Sandro Magister (www.chiesa.espressonline.it del 27/10/2016), che riporta il testo di quella conferenza: vi si dice roba da chiodi su Lutero e su Calvino, presentati sotto la luce più sinistra, e sulla loro riforma, definita un’dea “pazza”, evoluta in eresia e scisma. Niente male per uno che, da papa, parla di Lutero come di un grande e salutare riformatore, ispirato da Dio e desideroso del bene della Chiesa; mentre il suo vero ispiratore, monsignor Galantino, soggiunge che la riforma luterana è stata un dono dello Spirito Santo.
Ma che cosa dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, sul Sacramento della Confessione? Ecco:

  1. Colui che pecca ferisce l’onore di Dio e il suo amore, la propria dignità di uomo chiamato ad essere figlio di Dio e la salute spirituale della Chiesa di cui ogni cristiano deve essere una pietra viva.
  2. Agli occhi della fede, nessun male è più grande del peccato, e niente ha conseguenze peggiori per gli stessi peccatori, per la Chiesa e per il mondo intero.
  3. Ritornare alla comunione con Dio dopo averla perduta a causa del peccato, è un movimento nato dalla grazia di Dio ricco di misericordia e sollecito della salvezza degli uomini. Bisogna chiedere questo dono prezioso per sé e per gli altri.
  4. Il cammino di ritorno a Dio chiamato conversione e pentimento, implica un dolore e una repulsione per i peccati commessi, e il fermo proponimento di non peccare più in avvenire. La conversione riguarda dunque il passato e il futuro; essa si nutre della speranza della misericordia divina. (…)
  5. Colui che vuole ottenere la riconciliazione con Dio e con la Chiesa deve confessare al sacerdote tutti i peccati gravi che ancora non ha confessato e di cui si ricorda dopo aver accuratamente esaminato la propria coscienza…

Come, come? Il peccato è una degradazione della propria umanità e una ferita inferta a Dio e alla Chiesa? Il peccato è la cosa peggiore che possa accadere nella vita dell’anima? Il peccatore deve provar dolore e repulsione per il peccato commesso e fermamente proporsi di non commetterlo più? E deve confessare scrupolosamente tutti i peccati gravi di cui si ricorda? Ma non è quel che dice Bergoglio; anzi, Bergoglio dice proprio il contrario. Lui dice che a Gesù piace prendere su di sé i nostri peccati; e afferma che la Confessione non è dire a Dio il nostro peccato e ricevere il suo perdono: ha voluto precisare: No, non è così! Non basta ancora: ha detto esplicitamente (discorso alla Radio Vaticana del 2 febbraio 2016):

Se qualcuno viene da te (il sacerdote) e sente che deve togliersi qualcosa [qui il peccato diventa, genericamente, “qualcosa”], ma forse non riesce a dirlo, ma tu capisci… e sta bene, lo dice così, col gesto di venire. (…) Qualcuno viene da te è perché non vorrebbe cadere in queste situazioni (cioè il peccato), ma non osa dirlo, ha paura di dirlo e poi non poterlo fare. Ma se non lo può fare, ad impossibilia nemo tenetur. E il Signore capisce queste cose, il linguaggio dei gesti…

Dunque, Bergoglio nega che sia indispensabile confessare i peccati di cui si ha coscienza.  I casi sono due: o si ritiene superiore al Magistero, oppure lo vuole cambiare radicalmente, così, di sua iniziativa. Ma il Magistero non può cambiare, né contraddire se stesso, e mai lo ha fatto. E un papa, ha l'autorità per insegnare tutto il contrario di quel che la Chiesa ha sempre insegnato? Qui non stiamo parlando di bazzecole; stiamo parlando di un Sacramento, e di un Sacramento molto importante: quello mediante il quale gli uomini, dopo l'esperienza del peccato, tornano a partecipare alla grazia di Dio, tornano ad essere suoi figli adottivi. Se gli uomini non si accostano alla Confessione nella maniera giusta, e se il sacerdote non si pone verso di loro nel modo stabilito dal Magistero, quella riconciliazione rischia di divenire problematica, o impossibile. Si tratta, quindi, di una questione vitale: dietro il Sacramento della Riconciliazione vi è la coscienza del peccato, e il pentimento per averlo commesso. Non basta la "sincerità", sulla quale tanto insiste Bergoglio, come se fosse la sola cosa che conti, al punto da rendere non necessaria l'esplicitazione dei peccati commessi, con la risibile evocazione della massima latina ad impossibilia, nemo tenetur. Forse che per duemila anni la Chiesa, domandando al penitente la confessione esplicita dei suoi peccati, ha preteso qualcosa di umanamente impossibile? E, se anche ciò fosse impossibile umanamente, il Sacramento non è forse il manifestarsi dell’azione della grazia di Dio nell’anima del fedele, che lo rende capace di ciò che, con le sue sole forze, non saprebbe mai fare? Si direbbe che, nella visione di Bergoglio, il soprannaturale non esista. A quanti gli obiettavano che la legge divina sulla santità e  indissolubilità del matrimonio è troppo difficile da osservare, Gesù stesso rispondeva: Questo è impossibile agli uomini; ma a Dio tutto è possibile (Matteo, 25, 26). Si direbbe che, per Bergoglio, il posto del soprannaturale sia preso da una qualità puramente umana, la “sincerità” di colui che si va a confessare. Infatti la sincerità, per lui, anche se non si traduce nella confessione esplicita dei propri peccati (strana forma di sincerità, invero), prende interamente il posto del pentimento: dov'è il pentimento, nel suo modo di parlare della Confessione? E dov'è la naturale conseguenza del pentimento, cioè il fermo proposito di non rinnovare il peccato? Diremo di più: è la nozione stessa del peccato che, nella "teologia" di Bergoglio, sembra del tutto inadeguata, per non dire assente. Invece di "peccato", egli parla di "qualcosa" che il penitente si vuol togliere dalla coscienza: pare che stia parlando di un sassolino nella scarpa. Il peccato non è l'equivalente di un sassolino nella scarpa: è molto di più: è la morte dell'anima alla vita di grazia; è la disperata solitudine che scaturisce dall'offesa fatta a Dio. Ed è, anche, la degradazione della natura umana: la natura umana non è fatta per peccare, ma per tendere alla sua pienezza, cioè alla partecipazione alla vita di Dio in lei. Si tratta di uno scenario estremamente serio, per non dire drammatico: la posta in gioco è la beatitudine o la dannazione eterna.  

La Confessione secondo Bergoglio, cose da pazzi

di Francesco Lamendola
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