I “tempi eroici” non saranno MAI la “sostituzione” dei sacerdoti “sposati”, o l’attribuzione ad essi con i “viri-probati”, ma la LOTTA, IL BATTERSI per mantenere fede al celibato sacerdotale, emblema della Chiesa di Cristo, libera, casta e cattolica! (Giovanni XXIII)
Ringraziando una e-mail nella quale ci viene chiesto: “ma chi sono i viri probati?”, ne approfittiamo per approfondire, non soltanto il termine, ma anche per spiegare che non sono loro la soluzione al problema del calo delle vocazioni.
Marco ci chiede chiarimenti sull’uso di questo termine e desidera capire perché non sarebbe questa la soluzione al problema, che male ci sarebbe e che in fondo, nel tempo degli inizi della Chiesa, c’erano preti sposati, rifacendosi ad un articolo nel quale il cardinale Beniamino Stella, Prefetto della congregazione per il Clero – cliccare qui – affermerebbe appunto questa eventualità. Ma la questione non è proprio come viene descritta nell’articolo.
Il termine “viri probati” è una espressione usata già da Papa Clemente nella sua Lettera ai Corinti “Essi (gli Apostoli) istituirono quelli che abbiamo detto ( vescovi – presbiteri e diaconi) e in seguito stabilirono che, quando sarebbero morti, altri uomini provati (Viri Provati) succederebbero nel loro ministero. Quelli che furono in tal modo istituiti dagli apostoli … noi non crediamo giusto respingerli dal ministero” (XLIV, 3) e che fu ripresa dal Vaticano II nella Lumen Gentium per confermare l’eventualità in cui possano essere ammessi al sacerdozio cattolico – in modo e tempi straordinari – “uomini sposati di vita cristiana impeccabile, matura e provata“.
Dunque abbiamo “vir-viri” che significa “uomo-adulto-vero uomo-maschio” da non separarsi da “probati-provati” che ne è il completamento: uomini provati, maschi che hanno superato una prova e sono trovati conformi a farsi carico di ulteriori mansioni.
Venendo al nocciolo della questione si nota subito come, l’attuale discussione, sia stata sospinta ad una traduzione forzata a senso unico del termine, implicante – per i modernisti e progressisti – al solo significato di “uomini SPOSATI” mentre, nelle intenzioni patristiche se è vero che nel “viri probati” si inserivano anche uomini sposati che avessero dato prova di fedeltà alla Chiesa e alla sana dottrina, non è affatto vero che la Chiesa primitiva, con questo termine, intendesse significare “solo loro”, gli sposati-adulti-anziani, come oggi si vuol far credere.
E’ evidente che c’è in atto una grave manipolazione dei fatti passati, con una sorta di archeologismo cattolico atto ad imporre, prepotentemente, una revisione del sacerdozio cattolico. Insomma, c’è molta mala fede, tra le dette mezze verità.
Infatti, rileggendo attentamente la Lettera di Papa Clemente, la prima a parlare dei “viri provati” dice testualmente: “e in seguito stabilirono che, quando sarebbero morti (diaconi, presbiteri e vescovi), altri uomini provati (Viri Provati) succederebbero nel loro ministero. Quelli che furono in tal modo istituiti dagli apostoli … noi non crediamo giusto respingerli dal ministero“, notiamo che non sta parlando esclusivamente di “viri SPOSATI”, ma di Uomini PROVATI “Quelli che furono in tal modo istituiti dagli apostoli…“. In effetti e nella sostanza qui sono indicati TUTTI GLI UOMINI, MASCHI CHE, ricevuta l’istruzione degli Apostoli, trovati PROVATI ossia fedeli all’insegnamento ricevuto, sono ordinati “diaconi, presbiteri e vescovi”, in sostanza è la conferma del sacerdozio al maschile e poi anche in tempi di crisi o di straordinarietà, potevano essere ordinati altri “viri probati”, sempre e solo al maschile.
Quale era la straordinarietà del tempo di cui si parla? LA PERSECUZIONE e non il “calo di vocazioni”…. Bisogna anche dire che, la prima contestazione contro il celibato sacerdotale si scatenerà con violenza inaudita dall’eresia di Martin Lutero. Dopo un periodo di relativa calma sull’argomento, si riaccendono i riflettori con l’eresia Modernista e la “nouvelle theologia” del secolo scorso, fino a trionfare subdolamente attraverso il concilio Vaticano II che, tuttavia, resiste all’impatto, difenderà tenacemente il celibato sacerdotale, ma non condannerà più alcuna eresia in materia. Poco prima dell’apertura del Vaticano II, al famoso Sinodo Romano il 26.1.1960, Giovanni XXIII chiarisce in questi termini la situazione:
- «Soprattutto Ci accora che per salvare qualche lembo della propria dignità perduta si possa da qualcuno vaneggiare circa la volontà o la convenienza per la Chiesa Cattolica di rinunziare a ciò che per secoli e secoli fu e rimane una delle glorie più nobili e più pure del suo sacerdozio. La legge del celibato ecclesiastico e la cura di farla prevalere resta sempre un richiamo alle battaglie di tempi eroici, quando la Chiesa di Cristo dovette battersi, e riuscì, al successo del suo trinomio glorioso, che è sempre emblema di vittoria: Chiesa di Cristo, libera, casta e cattolica.»(cliccare qui)
I “tempi eroici” non saranno MAI la “sostituzione” dei sacerdoti “sposati”, o l’attribuzione ad essi con i “viri-probati”, ma la LOTTA, IL BATTERSI per mantenere fede al celibato sacerdotale, emblema della Chiesa di Cristo, libera, casta e cattolica!
All’ultimo concilio, così, uscirono allo scoperto le serpi che, muovendosi contro il celibato sacerdotale, iniziavano a spingere le varie motivazioni attraverso un archeologismo cristiano falsificato. Si incominciava ad insistere, subdolamente, sul fatto che – il celibato sacerdotale – non è dogma ma una virtù, un consiglio evangelico…. Vero è che, grazie a Dio, la stragrande maggioranza dell’episcopato auspicava invece per la conservazione del celibato nella sua interezza e chiedeva che ne fossero approfondite le basi teologiche, specie quelle bibliche e patristiche, per dare RISPOSTE OGGETTIVE ai defenestratori, mettendo in evidenza il rapporto vitale del sacerdote, in forza dell’ordinazione sacramentale, con Cristo (che aveva dato testimonianza propria della convenienza di rimanere celibi per quel ministero) e la sua opera salvifica, col popolo fedele, della cui santificazione è incaricato, e con tutti gli uomini per procurarne la salvezza. In questa luce andava visto il celibato, e non tanto come una legge basata su considerazioni storiche e disciplinari, dogmatiche o solo virtù evangelica, quasi fosse meno importante.
Infatti durante il concilio, dopo il clamore suscitato dalla stampa per la notizia sparsasi che alcuni Vescovi, preoccupati per la scarsità del clero celibatario, avrebbero presentato degli interventi sul matrimonio dei sacerdoti nella discussione per il Decreto sul ministero e la vita sacerdotale, il 10 ottobre 1965 Paolo VI comunicò al Cardinale Eugenio Tisserant, Presidente del Consiglio di Presidenza del Concilio, che non riteneva opportuno un dibattito pubblico su questo argomento così grave e delicato. Mentre egli stesso si sarebbe adoperato perché il celibato fosse sempre meglio osservato e reso convincente agli stessi sacerdoti, i Padri erano tuttavia liberi di trasmettere per iscritto le loro osservazioni in proposito…
Insomma, com’era solito Paolo VI risolvere le questioni, RAGGIUNSE UN COMPROMESSO: aprire al diaconato per gli uomini sposati, ma non al sacerdozio, sperando che con questo gesto riuscisse a mettere a tacere le discordanze sul celibato sacerdotale e, nel Decreto sul ministero e la vita sacerdotale (n. 16) il Concilio, oltre a precisare che la continenza per il regno dei cieli, raccomandata da Cristo Signore «è sempre stata considerata dalla Chiesa come particolarmente confacente alla vita sacerdotale», aggiunge che «certamente essa non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente dalla prassi della Chiesa primitiva e dalla tradizione delle Chiese orientali, nelle quali, oltre a coloro che assieme a tutti i Vescovi scelgono con l’aiuto della grazia di osservare il celibato, vi sono anche eccellenti presbiteri coniugati».
La verità di un fatto incontestabile è tuttavia usata per coprire l’arroganza e l’audacia avvelenata di chi usa la verità per affermare, alla fine, una rivoluzione della dottrina sul Sacerdozio ordinato. Paolo VI cerca in buona fede di venire incontro a quanti volevano comprendere al meglio la dottrina e come spiegarla al mondo, ma lo fa con modi compiacenti, compromissori, per poter trovare un compromesso di intenti. Infatti, dopo aver esposto le motivazioni cristologiche, ecclesiologiche, escatologiche e pastorali sul VALORE DEL CELIBATO, il concilio sottolinea che per motivi fondati sul mistero di Cristo e della sua missione, il celibato «dapprima raccomandato ai sacerdoti, in seguito è stato imposto come una legge della Chiesa latina a tutti coloro i quali si presentano agli Ordini sacri». Perciò «torna ad approvare e confermare tale legislazione per quanto riguarda coloro che sono destinati al presbiterato» ed «esorta i presbiteri, i quali hanno liberamente abbracciato il sacro celibato seguendo l’esempio di Cristo e confidando nella grazia di Dio, ad aderirvi con decisione e con tutta l’anima e a perseverare fedelmente in questo stato, sapendo apprezzare questo dono meraviglioso che il Padre ha concesso e che il Signore ha così esplicitamente esaltato (cf. Mt 19,11) e avendo anche presenti i grandi misteri che in esso sono rappresentati e realizzati».
Il resto è storia. I progressisti e i modernisti non placarono le loro ire mentre, intere conferenze episcopali come quella tedesca, attendevano pazientemente l’ora propizia soddisfatti, per il momento, che il tabù sul celibato era incrinato, era stato aperto e che ora era solo questione di tempo, per loro fu di certo una vittoria.
Sarà Giovanni Paolo II a riprendere l’argomento nel 1992, dopo una nuova ondata di proteste contro il celibato sacerdotale provenienti, infatti principalmente dalla Chiesa in Germania, attraverso l’esortazione “Pastores dabo vobis”, vedi qui, nella quale, ripartendo dai principi raggiunti dal concilio e da Paolo VI, inserendo al suo interno non tanto dei “nuovi elementi”, ma approfondimenti dell’autentico celibato inteso dal Vangelo che non è la semplice astensione da una vita sessualmente attiva nella paternità genitrice, ma la cui rinuncia a questa attività è in effetti l’unico modo per ottenere da Dio una fecondità assai più grande e vasta che si trova nel celibato ordinato al sacerdozio, dice:
- “Poiché il carisma del celibato, anche quando è autentico e provato, lascia intatte le inclinazioni dell’affettività e le pulsioni dell’istinto, i candidati al sacerdozio hanno bisogno di una maturità affettiva capace di prudenza, di rinuncia a tutto ciò che può insidiarla, di vigilanza sul corpo e sullo spirito, di stima e di rispetto nelle relazioni interpersonali con uomini e donne. Un aiuto prezioso può essere dato da un’adeguata educazione alla vera amicizia, ad immagine dei vincoli di fraterno affetto che Cristo stesso ha vissuto nella sua esistenza.”(n.44)
Da non sottovalutare che in tutto il testo, Giovanni Paolo II non cita mai i “viri-probati”, ed infatti lui fu tenace difensore del celibato ministeriale cattolico, ad imporsi letteralmente non contro i “viri-probati”, bensì nella loro strumentalizzazione, in prospettiva di “sostituirli ai sacerdoti mancanti”.
Già durante il concilio, molti furono contrari all’ammissione di viri probati al sacerdozio, perché avrebbe costituito di certo un primo passo per la soppressione del celibato, in quanto una soluzione locale diventerebbe ben presto universale. Giovanni Paolo II, di questa opinione e con tanti altri, sapevano bene che non si sarebbe mai risolto così il problema delle vocazioni, come consta dalle esperienze delle Chiese ortodosse e delle comunità protestanti che pur avendo pastori sposati, sono in piena crisi e per nulla in espansione.
Ma ciò che temeva Giovanni Paolo II e lo stesso Ratzinger-Benedetto XVI era ed è la formazione di due categorie di sacerdoti:
- – quella di prima classe, cioè i sacerdoti celibi non intralciati nel loro ministero, come avviene del resto nel mondo ortodosso nel quale, infatti, possono accedere alla nomina di Vescovo solo coloro che provengono dal clero celibe;
- – l’altra di seconda classe, che dovendosi occupare anche della propria famiglia, avrebbe comunque problemi ad occuparsi a tempo pieno della parrocchia, specialmente nei Tempi come Natale e Pasqua quando, i genitori, prendono le ferie per stare nelle proprie famiglie e con i propri figli. Inoltre da non sottovalutare seri problemi anche sociali ed economici: lo stipendio adeguato (se poi avesse una pensione propria, quante entrate verrebbe ad avere, insieme allo stipendio della moglie?), comunque più in generale mezzi per gli studi e la sistemazione di figli, approvvigionamento per l’affitto di casa, eventuali vedove o orfani, stabilizzazione in parrocchie che diventano quasi vitalizie e persino ereditarie, come del resto è stato già tutto sperimentato dai protestanti, ma senza alcun successo di soluzione anzi, con l’aggravante di spese ulteriori che gravano sulla comunità parrocchiale.
Naturalmente non vogliamo chiuderla in un problema economico, il concetto di due categorie di sacerdoti sarebbe a dir poco aberrante e diabolico!
Veniamo alla conclusione che, la questione dei “viri-probati” è davvero l’ennesimo Cavallo di Troia per filtrare ben altro. Pochi studiano davvero che per la tradizione orientale, che ammette all’ordinazione uomini già sposati ma non permette di contrarre matrimonio agli ordinati da celibi né ai vedovi di risposarsi, ha spinto i Padri stessi a non affermare un nesso necessario tra sacerdozio e celibato. Però i Padri orientali hanno incoraggiato sempre i confratelli latini a mantenere intatto l’obbligo del celibato che essi stessi mantengono, infatti, nel clero indicato per le nomine a Vescovi.
Uno studio statistico effettuato nel 1985 – riportato In Celibato e Magistero, cit., p. 259 – con tremila sacerdoti dimostrò che «l’80% di quelli che avevano abbandonato il ministero dopo il Concilio tra i 30 e i 70 anni di età, attribuivano la loro decisione al vuoto e alla solitudine del cuore, piuttosto che alle esigenze sessuali»…. Purtroppo, in una società in larga parte non più improntata ai valori e comportamenti cristiani, la sessualità ha assunto un significato fondamentalmente alterato (persino dentro la Chiesa con l’ambigua esortazione Amoris laetitia), tanto che, già nelle prime fasi di sviluppo, appaiono normali modi di sentire e di comportarsi non affatto favorevoli a scelte di vita quali il matrimonio o il celibato consacrato o sacerdotale, del quale infatti nulla si disse nei due recenti Sinodi sulla Famiglia. Non si ha quindi una visione positiva né della sessualità e neppure della castità, e non si orienta la gioventù ad una matura vita sentimentale che deve sbocciare e crescere nella sua autentica purezza sia nel celibato quanto nel matrimonio.
I “viri-probati”, pertanto, non sono la soluzione al problema. Bisogna INSEGNARE ai giovani che il legame tra sacerdozio e celibato non è semplice UNA tradizione e tanto meno l’obbligo impostodispoticamente dall’esterno con pericolo di sminuire lo sviluppo psichico, creare traumi e scissioni interiori e dare adito a dolorose infedeltà. Esso fluisce coerentemente dallo stile di vita di Gesù testimoniato dalla Rivelazione, da cui sono nati impulsi per determinate attuazioni.
Ora Gesù, che si è donato una volta per sempre all’intera Chiesa e si rivolge, attraverso di essa, con amore a tutta l’umanità, nel popolo di Dio ha costituito il ministero sacerdotale, il cui stile, che deve riflettere quello del Maestro, è quello della castità nel celibato, e si è concretizzato nella tradizione, senza affatto contraddire il dato rivelato e svilire il valore sacramentale del matrimonio. Non dimentichiamo infatti che Sacerdozio e Matrimonio sono due dei sette Sacramenti ben distinti e indipendenti fra loro, ma come tutti e sette i Sacramenti, sono anche correlati tra di loro nel comune servizio alla Chiesa, nelle Famiglie e nella società.
Spiegava il gesuita padre Alfredo Marranzini, in uno studio sul celibato sacerdotale, dell’ottobre 2007:
- “La proposta di ordinare uomini sposati o viri probati, che ancora taluni si ostinano ad avanzare per l’attuale scarsità di sacerdoti, in alcuni luoghi, va esaminata piuttosto nella presente situazione di illanguidimento o estinzione di fede, che esige una nuova evangelizzazione. La scarsità di clero, laddove si verifica, obbliga ad una pastorale vocazionale, la quale tenga conto che ogni vocazione al sacerdozio, al pari di ogni vocazione cristiana, è la storia di un ineffabile dialogo fra Dio e l’uomo, tra l’amore di Dio che chiama e la libertà dell’uomo che nell’amore risponde a Dio, vissuto però non in modo individualistico e intimistico…”
e ancora sottolinea:
- “Ad ovviare, per il momento, alla privazione della celebrazione eucaristica per alcune comunità, è da promuovere lo scambio generoso di sacerdoti tra Chiese particolari che ne hanno in abbondanza e quelle che ne scarseggiano e utilizzare i diaconi i ministri istituiti, perché si possa ascoltare la parola di Dio e ricevere il corpo del Signore già consacrato da presbiteri celibi. L’ordinazione sacerdotale di uomini sposati, oltre a toccare la visione globale del sacerdozio, complica, piuttosto che risolvere problemi pastorali, perché, fra l’altro, non potrebbe prescindere da vincoli familiari ineludibili, importerebbe ulteriori decisioni e dati tali da creare forti pressioni per più ampi cedimenti…”
Affermava Giovanni Paolo II:
“L’amicizia con Gesù Cristo, questo è il motivo più profondo per cui è così importante per il sacerdote una vita di celibato, totalmente nello spirito dei consigli evangelici. Avere il cuore e le mani libere per l’amico Gesù Cristo, essere totalmente disponibili e portare il suo amore a tutti, questa è una testimonianza che in un primo momento non viene compresa da tutti. Ma se offriamo questa testimonianza dal di dentro, se la viviamo come forma esistenziale dell’amicizia per Gesù, crescerà di nuovo nella società anche la comprensione per questa forma di vita che è fondata nel Vangelo”.
Laudetur Jesus Christus
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