Segni dei tempi e nuove vocazioni: suore cameriere, monaci gastronomi. In Europa edifici religiosi trasformati per usi profani. L’abito non fa il monaco ma quanto sarebbe bello riconoscere già dall’abito l'uomo o donna di Dio
di Roberto Pecchioli
Le suore di Santa Marta possiedono nella bella città ligure di Chiavari un antico convento con istituti scolastici di ogni ordine e grado. Lì è stata formata l’istruzione e l’educazione morale di generazioni di bambine e ragazze del Tigullio. Adesso è largamente ridimensionata l’offerta scolastica, tra denatalità e calo delle vocazioni religiose. In compenso, parte del grande edificio vicino al mare è stato trasformato in albergo, ed alcune monache fanno le cameriere e le operatrici turistiche.
La TV dei vescovi, in linea con analoghe trasmissioni di molte altre emittenti, ha un programma quotidiano di cucina affidato ad un frate cappuccino. Molti conventi e monasteri sono trasformati in “bed & breakfast” o agriturismo, con i superstiti religiosi a fungere da albergatori, cuochi, guide turistiche, sguatteri o maggiordomi.
Dovunque in Europa, edifici religiosi di antica bellezza vengono trasformati o venduti per usi profani, con ordini religiosi e curie vescovili convertite in agenzie immobiliari. Segni dei tempi, di cui prendiamo atto con tristezza. Quello che non riusciamo proprio ad accettare è che gli operai della vigna del Signore facciano tutt’altro rispetto alla loro vocazione.
La cosiddetta scelta antropologica, lascito improvvido del Concilio Vaticano II, ha trasformato la Chiesa in una struttura più interessata a Babilonia che a Gerusalemme, per usare il linguaggio del grande medioevo cristiano. Teologi alla moda come Karl Rahner hanno enunciato la stravagante teoria del cristiano anonimo, secondo la quale tutti gli esseri umani hanno una consapevolezza latente di Dio in tutte le esperienze. Poiché tale esperienza è “la condizione di possibilità" per conoscere e per la libertà come tale, essa è definita trascendentale, come in Kant, il protestante che innalzò l’illuminismo sino al punto da definirlo la filosofia che ha fatto uscire l’umanità dall’infanzia. La salvezza ha carattere universale, è quindi rivolta anche alle anime naturaliter christianae, talché risulta pura superbia la pretesa della Chiesa di essere l’unico strumento di salvezza e, alla fine, diventa superflua la sua stessa presenza.
In quest’ottica, anche il ruolo dei consacrati si affievolisce, per cui nulla di strano che religiose e presbiteri svolgano, di fatto, professioni e mestieri “mondani”. Non era così diversa l’idea dei preti operai, nella Francia del dopoguerra. E’ ormai raro incontrare per strada un sacerdote che vesta l’abito talare, e non sono pochi quelli che non si fanno riconoscere neppure dal collarino, da una croce sul risvolto della giacca, o, più spesso, del maglione. Diverse monache girano senza calze d’estate, e la sciatteria personale sembra l’elemento comune dei membri del clero. L’abito non fa il monaco, ma quanto sarebbe bello riconoscere già dall’abito un uomo o una donna di Dio !
Quanto sarebbe meglio, inoltre, poterne apprezzare una certa “gravitas” comportamentale, un linguaggio che non indulgesse al gusto corrente, al semplicismo compagnone, talora alle scurrilità. Saranno i tempi, sarà l’astuzia della ragione di una Chiesa al passo con la storia, non compresa da vecchi gufi come chi scrive, ma non sembra che il prestigio e la presa della religione cattolica siano in ascesa, da quando ha abbandonato abito e linguaggio tradizionali. Ogni domenica, chi ascolta l’Angelus di Bergoglio ha il piacere di sentirsi augurare il buon pranzo dal vicario di Cristo ( ?), ma quasi mai ascolta parole di spiritualità, di richiamo ai principi della santa Chiesa, di monito rispetto al faticoso dovere di salvare la propria anima, e, possibilmente, quella altrui. Anzi, il silenzio sull’anima, sul destino ultimo di tutti e di ognuno, è, come oggi si dice, assordante.
In compenso, si aderisce alle manifestazioni promosse da un movimento politico, come il Partito Radicale, che ad un cuore cattolico non può che ripugnare. Divorzisti, abortisti, sostenitori e promotori dell’eutanasia e dell’omosessualismo, favorevoli all’uso di droghe dietro la cortina dell’antiproibizionismo, sono tenuti in palmo di mano dall’ospite di Santa Marta, che ha definito Emma Bonino, quella che procurava aborti con pompe di bicicletta, una grande italiana contemporanea. Nulla di strano, dunque, che le suore di Santa Marta, che hanno educato alla vita generazioni di donne e di madri, favorito splendide vocazioni religiose, diffuso sapienza e fede, facciano le colf. Almeno avranno la mutua, l’Inps, forse anche un orario di lavoro definito, magari formeranno sindacati per difendere i loro diritti di lavoratrici. I frati cuochi diventeranno stelle televisive, forse la loro competenza gastronomica farà innalzare l’istogramma degli ascolti.
Ad un cristiano sbarcato dal passato – un passato che durò quasi venti secoli, però- fa impressione non ascoltare più il nome di Dio, non sentire più la cura per le anime, quella direzione spirituale e quella fraterna, ma inflessibile correzione dei comportamenti che associavamo all’abito ed alla vocazione. Non ci sembra neppure di intravvedere l’esempio che tanti religiosi seppero dare con semplicità, quella quotidiana santità che era come un profumo, un anticipo del divino. Simone, futuro Pietro, lo disse a Gesù ( Giovanni, 6,68) con quello stupore di bimbo che è il segno più sicuro della fede: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.” Oggi, abbiamo gli ingredienti per un buon pranzo, secondo l’augurio e le intenzioni dell’uomo vestito di bianco, indichiamo gli orari dei musei cittadini e consegniamo a frettolosi viaggiatori, a semplici turisti le chiavi delle stanze ristrutturate che un tempo si chiamarono celle .
Il grande cardinale Siri, poco prima di morire, scrisse che malattie come l’AIDS sapevano di castigo di Dio per il disordine morale e sessuale di troppi. Venne insultato e zittito come un vecchio non più padrone di sé dall’interno stesso della Chiesa. Se parlasse oggi, verrebbe smentito in diretta televisiva dalla sala stampa vaticana , subirebbe la reprimenda di monsignor Becciu e probabilmente verrebbe espulso con ignominia dalle emittenti cattoliche per difetto di misericordia.
Tanti parroci, anche animati dalle migliori intenzioni, fanno del loro ufficio una sorta di volontariato di assistenza sociale. Gran cosa, ma da bambini, a “dottrina”, come si diceva, ci spiegavano che le buone opere si dovevano fare in nome e per amore di Dio, e che quello era il significato della parola carità. Una madre di ottimi sentimenti , parlando della frequentazione dell’oratorio parrocchiale da parte dei suoi figli, si disse felice ed ammirata del prete, perché “ i bambini non li fa pregare, non parla mai di Dio, non li spaventa con il paradiso e l’inferno”. Viene da chiedersi perché si sia fatto sacerdote, quel curato, e magari suggerire alle aspiranti monache di munirsi di un diploma dell’istituto alberghiero. Da sempre, sappiamo che il servizio sacerdotale è una vocazione, una chiamata misteriosa di quel totalmente altro che si fa vivo in coloro che sceglie. Avere una vocazione è sentire tutta la forza di un’identità o di un’appartenenza, che si vuole manifestare, estendere, condividere. Il resto è mestiere, o, come disse il Carducci dei manzoniani del suo tempo, tirare quattro paghe per il lesso.
E’ difficile immaginare una chiamata divina per le rispettabili professioni di assistente sociale, operatore turistico, cuoco, psicoterapeuta, immobiliarista, tesoriere dell’ otto per mille. A questo sembra ridotta la vita religiosa, non solo cattolica. E tuttavia, ogni decadenza inizia dall’alto, ed anche i più grandi imperi sono crollati dall’interno, per implosione. Alla Chiesa non capiterà, la pietra su cui poggia non è di questo mondo, ma il declino è rovinoso, penoso e non di rado fa chiedere anche ai più fedeli perché l’Eterno acconsenta.
E’ ovvia la crisi di vocazioni: nessuno vuol donare la sua vita ad un Dio light , ad una Chiesa che chiede scusa anche di esistere, che nega compulsivamente e con foga nichilistica tutto ciò che ha affermato per secoli, in uno sbalorditivo cupio dissolvi da parte di chi dovrebbe essere scudo, baluardo, katechon contro il nichilismo. Nessuno, poi, avrà mai una vocazione da vivere dalle 8 alle 17, in orario d’ufficio, timbrando il cartellino con fine settimana libero e ferie pagate. Se la scelta è esclusivamente antropologica, meglio un impiego pubblico di assistente sociale o l’impegno in qualche ONLUS, per i più dotati intellettualmente più lucroso uno studio da psicologo che la dura battaglia spirituale del confessore, come il grande San Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars. Altrettanto, un camice bianco da infermiera , una normale cattedra scolastica o un onesto impiego nel vasto mondo dei servizi alla persona, sono più facili da conquistare e vivere rispetto all’arduo esercizio quotidiano dell’obbedienza, della preghiera e del lavoro richiesto alle religiose.
E poi, come deve essere dura avere una vocazione da cui è pressoché sparita la trascendenza, la conquista della salvezza eterna, lo stesso apostolato, derubricato a proselitismo e vivamente sconsigliato, anzi definito una sciocchezza da chi occupa “quella” cattedra.
Pietro, un pescatore di nessuna cultura ma di grande cuore, volle farsi crocifiggere a testa in giù perché si considerava indegno di quell’altro, di chi chiamò lui Simone, “Kepa”, la pietra su cui edificare la sua Chiesa. Nel grasso, sazio, vecchio, disperato Occidente, avere la vocazione a testimoniare Dio non è facile per mille motivi. Ma non facciamone degli impiegati di una struttura qualunque, umana, per la quale vale la regola di Weber, la persistenza degli aggregati, l’autoreferenzialità. Non è una società per azioni, e neanche, vivaddio, una organizzazione di utilità sociale.
Rivorremmo le suore che pregavano Dio, recitavano rosari, i frati che hanno fondato l’Europa, convertito milioni di esseri umani, ed anche quelli che si sono dedicati alla vita contemplativa. Così inutile, secondo lo sporco mondo, così incompresa anche da quella larga parte della chiesa che non la apprezza e la avversa come un rottame del passato, forse perché si vergogna dell’esempio.
E pensare che i nemici più empi e violenti della religione hanno sempre teso a distruggere e profanare conventi e monasteri, sapendo che tra quelle mura, attraverso quelle preghiere e in quelle anime dedicate al Signore c’era davvero il baluardo, la resistenza più intensa, invincibile, al male ed al suo principe.
Rivorremmo anche vocazioni che non si infrangessero nel buio di seminari, ove, evidentemente, come ammonì oltre quarant’anni fa Paolo VI, non solo deve essere penetrato il male di pensieri non cattolici, ma lo stesso fumo di Satana, se troppi consacrati, al di là delle idee e del modo di vivere il sacerdozio, mantengono condotte private sconcertanti che, in tempi diversi, si definivano scandalo.
Per questo, non resta che la preghiera, sommessa ma continua, umile e sorretta da vite oneste, affinché non si avveri la terribile domanda posta nel vangelo di Luca: il Figlio dell’Uomo quando tornerà sulla Terra troverà ancora la fede? I suoi custodi, credono al Credo ?
Roberto Pecchioli
NUOVE VOCAZIONI: SUORE CAMERIERE E MONACI GASTRONOMI
di Roberto Pecchioli Articolo d'Archivio
Del 09 Novembre 2016 e del 19 Febbraio 2018
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