Il vicepresidente della Conferenza episcopale di Germania, mons. Josef Bode, si domanda se non sia venuto il momento di “essere più giusti, visto che c’è molto di positivo, buono e corretto” in questo tipo di relazioni
Un'immagine del Gay Pride di Glasgow del 2017 |
Roma. “Una condizione generale di base è questa: parlare chiaro. Nessuno dica ‘questo non si può dire’. Bisogna dire tutto ciò che si sente con parresia e ascoltare con umilità”. Erano le parole d’ordine del Papa in apertura del Sinodo straordinario sulla famiglia celebrato in Vaticano nel 2014, che avrebbe in un biennio reso manifesta la spaccatura profonda – è sufficiente consultare le tabelle con i voti dei singoli paragrafi della Relazione finale – della chiesa su questioni quali la morale sessuale e familiare. Chi oggi discute con franchezza è la chiesa tedesca, già capofila delle aperture poi confluite nell’esortazione Amoris laetitia. Il tema è diverso, solo lambito dalla doppia assise sinodale, ma che ciclicamente torna a farsi spazio nel dibattito non solo a porte chiuse: la benedizione delle coppie omosessuali.
A riportare sotto la lente la questione era stato il vicepresidente della Conferenza episcopale di Germania, mons. Josef Bode vescovo di Osnabrück, il quale s’era domandato se non fosse venuto il momento di “essere più giusti, visto che c’è molto di positivo, buono e corretto” in questo tipo di relazioni. Da qui la proposta, peraltro già avanzata alla vigilia del Sinodo, e cioè di “considerare qualcosa, magari una benedizione”. A dare manforte a mons. Bode era subito intervenuto il vescovo di Münster, mons. Dieter Geerlings: “Non sono per il ‘matrimonio per tutti’, ma se due omosessuali danno vita a una relazione omosessuale, se vogliono prendersi cura l’uno dell’altro, allora io posso benedire questa mutua responsabilità. E’ una relazione preziosa e lodevole, anche se non in completo accordo con la chiesa”. A tentare di raffreddare aspettative e speranze di quanti vorrebbero che la chiesa benedicesse le unioni gay, si esprimesse favorevolmente sul diaconato femminile e ponesse fine al celibato dei sacerdoti, è stato però il numero uno della Conferenza episcopale, il cardinale Reinhard Marx. Lo stesso che tre anni e mezzo fa diceva ai giornalisti che i vescovi tedeschi erano uniti nel sostenere le proposte del cardinale Walter Kasper sul riaccostamento alla comunione dei divorziati risposati e che “Roma non potrà mai dirci cosa fare e cosa no in Germania”.
Stavolta Marx non vuole essere il vessillifero d’una nuova campagna d’aggiornamento dottrinario-pastorale della chiesa, e spiega che a proposito delle benedizioni per gli omosessuali proposte da qualche suo confratello “non ci sono soluzioni generali”. “Penso – ha detto in un testo diffuso dalla Conferenza episcopale – che non sarebbe neppure giusto che ci fossero soluzioni generali, perché stiamo parlando di cura pastorale per casi individuali e ciò vale anche per altri campi che non possiamo regolare. Ci sono cose – ha aggiunto – che non possono essere regolate”. L’arcivescovo di Monaco e Frisinga non esclude la possibilità che si arrivi a un rito di benedizione, ma preferisce non cavalcare il tema come invece fa il suo numero due, mons. Bode, rischiando di squassare un equilibrio quanto mai instabile con petizioni contro e a favore del Papa, correzioni più o meno filiali, richieste d’abiura. Che poi Reinhard Marx la pensi come Geerglings e Bode non è un mistero, visto che nel 2016, in un’intervista all’Irish Times, aveva osservato che “la chiesa e la società avrebbero dovuto scusarsi per come avevano trattato gli appartenenti alla comunità Lgbt”.
La proposta, ancora una volta lanciata dalla chiesa tedesca, benché smorzata ha però rinfocolato uno degli scontri più accesi che si ebbero nell’Aula Nuova del Sinodo nel 2014 e 2015, quello con i vescovi americani. Subito a Marx ha risposto infatti l’arcivescovo di Philadelphia, il combattivo Charles Chaput: “Qualsiasi cosiddetto rito di benedizione sarebbe parte di un atto moralmente proibito”, ha scritto sul periodico diocesano. “L’imprudenza di tali dichiarazioni pubbliche è – o dovrebbe essere – causa di gravi preoccupazioni. Richiede una risposta poiché ciò che accade in una realtà locale della chiesa globale risuona inevitabilmente altrove. Un simile rito – ha aggiunto Chaput – minerebbe la testimonianza cattolica sulla natura del matrimonio e della famiglia. Confonderebbe e indurrebbe in errore i fedeli. E ferirebbe l’unità della nostra chiesa”. Mons. Bode richiamava la bontà di tali unioni e allora ci si potrebbe domandare perché un atto apparentemente misericordioso quale sarebbe una benedizione può porre problemi. “Benedicendo le persone nella loro particolare forma di vita le si incoraggia in modo efficace a rimanere in questo stato”, ha sottolineato l’arcivescovo di Philadelphia: “In tutta la storia cristiana si applica un detto semplice e saggio, lex orandi, lex credendi. Stabilire un nuovo rito insegnerebbe e farebbe avanzare una nuova dottrina con il suo effetto vissuto, cioè la pratica”.
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