di Francesco Lamendola
La “scoperta” - cui abbiamo finito per arrenderci, assai malvolentieri, davanti all’evidenza - della illegittimità sostanziale del Concilio Vaticano II, pone sul tavolo, inevitabilmente, un ulteriore, drammatico interrogativo: che cosa pensare, quale giudizio dare sull’opera dei sei pontefici che si sono succeduti alla guida della Chiesa durante e dopo il Concilio, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco? Su quest’ultimo, veramente, il nostro giudizio è netto e senza la minima incertezza, e chi ci ha seguiti fin qui ben lo conosce: semplicemente pensiamo che egli non è un papa, è un falso papa, peggio ancora, è un nemico della Chiesa cattolica e quindi si pone oggettivamene come il capo dei nemici di Gesù Cristo; lo si chiami come si preferisce: contro-papa, anti-papa, o anche anti-cristo, nel significa preciso del termine, colui che si oppone a Gesù Cristo e all’avvento del suo Regno, ma non attaccandolo frontalmente, bensì spacciandosi per un suo seguace, per un suo continuatore, mentre egli è la negazione di tutto ciò che Gesù Cristo ha fatto, ha detto e soprattutto di tutto ciò che Gesù Cristo rappresenta: la nostra Redenzione per mezzo del Figlio di Dio, il Verbo incarnato che ha sofferto, per amor nostro, la Passione e la Morte, per poi Risorgere dal sepolcro e salire al Cielo. E poco c’importa se lo si debba considerare un falso papa anche in senso strettamente giuridico, a norma del codice di diritto canonico: anche se ben quattro sono state le irregolarità della sua elezione (il fatto che è un gesuita; il fatto che non erano trascorsi quindici giorni dalla rinuncia del suo predecessore; il fatto che durante la votazione si è trovata una scheda in più; le circostanze oscure della rinuncia di Benedetto XVI e quindi il sospetto di una invalidità della sua rinuncia), la cosa veramente grave è la sostanza del suo pontificato: il peggiore che mai si sia visto sotto il profilo dottrinale, fino all’eresia conclamata, e, quel che è ancor peggio, con una arroganza, con una rozzezza brutale, con una mancanza di scrupoli e di carità verso i cattolici scandalizzati dal suo dire e dal suo agire, quali mai si erano visti, da secoli e secoli.
Ma che dire degli atri cinque papi? Che dire di quei pontefici ai quali è toccato in sorte di guidare la Chiesa negli anni del post-Concilio? Se il Concilio è stato un concilio illegittimo, truffaldino ed eretico, e se il suo esito è stato quello di portare la Chiesa fuori dall’alveo della Tradizione, verso la deriva modernista, che dire di quei cinque pontefici, i quali, almeno in apparenza, sostanzialmente hanno proseguito nella linea segnata, appunto, dal Concilio stesso, affermando ripetutamente la necessità di valorizzare e realizzare pienamente quel nuovo orientamento che nel Concilio era emerso, presentandolo come un benefico evento, voluto e ispirato direttamente dallo Spirito Santo, benché sia inimmaginabile che lo Spirito Santo abbia prestato la sua ispirazione alla rivoluzione liturgica (perché di una rivoluzione si è trattato), ai nuovi discutibilissimi indirizzi pastorali e alla stesura di documenti teologicamente erronei, come Nostra aeate, Dignitatis humanae e Gaudium et spes, i cui esiti stanno apparendo oggi in tutta la loro disastrosa gravità? Può essere che costoro, pur rendendosi conto che esistevano dei gravi pericoli, delle infiltrazioni estranee nel corpo della Chiesa, una minaccia di adulterazione della dottrina e della morale, abbiano fatto del loro meglio per modificare la rotta, per correggere gli errori e per sanare gli abusi, però sforzandosi di evitare alla Chiesa il trauma intollerabile di un’aperta denuncia e dell’inevitabile scandalo che essa avrebbe comportato? Che abbiano cercato di portare in luce quel che c’era di buono e di valido nella riforma conciliare, e di lasciar cadere silenziosamente il resto? Oppure, al contrario, essi non solo avevano visto e compreso tutta la gravità della rottura che il Concilio aveva provocato con la millenaria Tradizione, ma condividevano tali obiettivi e sottoscrivevano pienamente non solo il Concilio, ma anche il suo cosiddetto “spirito”, cioè lo spirito rivoluzionario e la volontà di rottura, nonché il disegno di traghettare la Chiesa verso qualcosa di nuovo e di diverso da ciò che essa è sempre stata, progettando lucidamente la sovversione della dottrina e della fede cattolica?
Fumo di satana? dopo la morte di Pio XII, la massoneria ecclesiastica ha assunto il controllo del collegio dei cardinali
Naturalmente, di fronte a questa grave alternativa, chiunque abbia un po’ di amore e di rispetto per la Chiesa, chiunque veda in lei la madre di tutti i credenti e la custode della Verità soprannaturale di Cristo, vorrebbe potersi appigliare alla prima delle due possibilità. In tal caso, ecco che gli amletici tentennamenti di Paolo VI, gli scontri di Giovanni Paolo II con certi settori progressisti, perfino le subitanee, traumatiche dimissioni di Benedetto XVI apparirebbero sotto una luce nuova e deporrebbero a favore dellabona fides di quei pontefici, impegnati in una lotta drammatica per tenere dritta la barra del timone della navicella di san Pietro, contro le forze dissolutrici che seguitavano a complottare per condurla completamente fuori rotta. Perfino la morte improvvisa e scioccante di Giovanni Paolo I potrebbe acquistare un nuovo significato: il generoso sacrificio di un uomo che ha dato la vita per tentar di arginare le forze della distruzione, le quali, davanti alla sua risolutezza, non hanno esitato a ricorrere al delitto. Viceversa, se fosse vera la seconda possibilità, ci troveremmo di fronte a una Chiesa che ormai da mezzo secolo è caduta in potere di forze oscure, votate alla sua perversione e alla sua distruzione finale; forze capaci di controllare il collegio cardinalizio e, quindi, anche l’elezione di tutti i papi che si sono succeduti dopo la morte di Pio XII, e che, perciò, sono stati scelti con il criterio di essere a parte del complotto, magari in forma parzialmente inconsapevole (quante volte i rivoluzionari si sono serviti, nella prima fase, di qualche utile pedina mandata avanti in buona fede, per preparare il terreno e aprire la strada alle fasi successive); forze che, dal 1958, non hanno più allentato la loro presa sulla Chiesa e che hanno posto in minoranza gli elementi ancora sani dell’alto clero, e favorito in ogni modo il disordine dottrinale, e anche morale, fra il basso clero e fra i fedeli laici, insegnando una assurda tolleranza verso il peccato, con la scusa della misericordia, ma col reale obiettivo di scardinare gradualmente, fino all’auto-distruzione completa, il sistema di valori sui quali la Chiesa si regge.
Confessiamo che noi per primi abbiano preferito attenerci, per molti anni, alla prima delle due interpretazioni, forse per il desiderio di non dover affrontare una realtà ancor più sconvolgente e minacciosa. Era meglio credere che il vertice della Chiesa fosse rimasto sempre sano e che gli ultimi pontefici avessero fatto del loro meglio per contrastare l’azione deleteria della massoneria ecclesiastica e di altre forze estranee, non cattoliche e anticattoliche, i cui interessi convergevano e convergono tuttora nel perseguire un graduale spostamento della Chiesa su posizioni sempre meno ortodosse e sempre più ambigue, sempre più compromesse con lo spirito del mondo, al fine di procedere, in una fase successiva – quella che ora stiamo vivendo - a una demolizione frontale e sistematica degli ultimi bastioni dell’ortodossia, sia sul piano dottrinale, sia su quello morale, e realizzare l’autodistruzione della Chiesa, sotto il naso del clero e dei fedeli e perfino con la loro volonterosa partecipazione. Un progetto veramente diabolico, vastissimo, audace, quale mai i nemici della Chiesa avevano osato concepire, dai tempi lontani in cui essa lottava per sopravvivere contro le forze infernali di uno Stato asservito al potere dei demoni, adorati sotto la forma delle divinità pagane e assetati di sangue, di abusi d’ogni genere, di scandalosi disordini sessuali, tali da degradare la dignità della persona e da allontanare più che mai l’umanità dal rapporto filiale con il suo Creatore. Era rassicurante, pur nella estrema gravità della situazione complessiva, sapere che al comando della nave c’erano ancora degli uomini fidati, dei veri pastori sorretti dallo Spirito di Dio; era relativamente rassicurante pensare che essi, anche nelle peggiori tempeste, avrebbero lottato strenuamente, con l’aiuto della Grazia, per contrastare le forze del male e per scongiurare il pericolo di un naufragio, pur nella consapevolezza che molti teologi, cardinali, vescovi e sacerdoti erano ben decisi a lottare, in buona o cattiva fede, per vanificare i loro sforzi e portare la nave sugli scogli: per realizzare il “vero” Vangelo, secondo loro, o, piuttosto, per distruggere l’opera realizzata in quasi duemila anni dallo Spirito Santo per offrire agli uomini uno strumento efficace di comunione con Dio e, quindi, di salvezza eterna. Sì, questa interpretazione, drammatica e insieme patetica, degli ultimi sei pontificati, era, almeno in una certa misura, più rassicurante dell’altra: perché è cosa certa che se i soldati di un esercito si rendessero conto, nel bel mezzo della guerra, che il loro comandante in capo è un traditore, colluso col nemico, si verificherebbe un crollo morale e la maggior parte di essi getterebbe le armi e si disperderebbe, disperando di qualunque salvezza. Tuttavia, sono troppi gli elementi che non tornano e che l’altra lettura, invece, spiega assai meglio.
Se davvero, dopo la morte di Pio XII, la massoneria ecclesiastica ha assunto il controllo del collegio dei cardinali, come pensare che abbia eletto sul soglio di san Pietro degli uomini che non fossero di assoluta e provata fedeltà? Certo, vi sono delle grandi differenze – di personalità, ma anche di stile pastorale, fra quei sei pontefici. Inoltre, alcuni di essi sembrano aver lottato contro le forze della dissoluzione: Paolo VI, con la Humanae vitae, ha osato opporsi al partito dei teologi e dei vescovi progressisti, i quali, infatti, lo hanno platealmente e duramente contestato; inoltre, subito dopo la fine del Concilio, egli disse che la Chiesa si era aspettata una nuova primavera, invece era venuto l’inverno. Aveva anche parlato del fumo di satana in Vaticano. Giovanni Paolo II, poi, era giunto allo scontro frontale sia con la teologia della liberazione, sia con i vertici dell’ordine dei Gesuiti, che si stava presentando, già allora, come l’organo trainante della graduale deriva liberale e modernista in seno alla Chiesa; era sfuggito miracolosamente a un attentato alla sua vita; aveva tenuto fermo sulla dottrina cattolica circa la famiglia, il celibato ecclesiastico, la condanna della sodomia e il rifiuto di qualsiasi ipotesi di riconoscimento delle unioni omosessuali. InfineBenedetto XVI, paragonato a Bergoglio, sembra essere stato un papa addirittura conservatore, ligio alla dottrina, perfino desideroso di restaurare taluni aspetti della Tradizione: come altro interpretare il motu proprio Summorum Pontificum, che autorizzava il ritorno al Vetus Ordo Missae? (In realtà non c’è nulla da autorizzare e nulla da restaurare, perché niente e nessuno hanno mai abolito il Vetus Ordo, ma solo l’arroganza sfrontata dei progressisti ha fatto questo; e la proibizione di celebrare la santa Messa secondo il Vetus Ordo, imposta, fra le altre cose, ai Francescani dell’Immacolata, è una pura e semplice prepotenza di Bergoglio). Eppure, anche tali gesti e situazioni vanno giudicati tenendo conto dell’azione complessiva di quei pontefici. La quale – ci rendiamo conto che sarebbe necessario ben altro spazio e ben altra copia di dati, ma qui vogliamo solo fornire un colpo d’occhio complessivo – suggerisce, purtroppo, l’alta probabilità che sia veritiera, piuttosto, la precedente interpretazione, per quanto sgradevole e allarmante ciò possa risultare.
Dunque, vediamo. Giovanni XXIII, che ebbe contatti con la massoneria durante le sue missioni all’estero e forse fu proclamato massone del trentatreesimo grado quand’era nunzio in Francia, convocò un concilio ecumenico contro il parere dei cardinali più prudenti, i quali, come Pio XII, immaginavano e temevano quel che avrebbe potuto accadere. Era vecchio e malato, e tuttavia gettò la Chiesa in quel terribile azzardo, lasciando che a gestire le conseguenze fosse qualcun altro: come si deve giudicare, obiettivamente, un simile comportamento? Ricordiamo, per inciso, che durante il suo breve, ma decisivo pontificato, ebbe inizio la seconda e più terribile persecuzione ai danni di colui che è stato forse il più grande santo del XX secolo: Padre Pio da Pietrelcina. Sì: il “papa buono” lasciò che fosse indegnamente perseguitato san Pio, anzi, molte cose lasciano pensare che la persecuzione sia partita proprio dal Vaticano. Altra “coincidenza”. San Pio fu uno dei pochi che vide e soppesò, in tutta la sua gravità, la minaccia rappresentata dalla massoneria ecclesiastica, e diede l’incarico spirituale di combatterla al sacerdote Luigi Villa, che spese tutta la sua vita in tale opera eroica e sconosciuta (e ancor oggi, infatti, pochissimi conoscono il suo nome). La “vendetta” della massoneria fu di riempire la chiesa di san Giovanni Rotondo, ove riposa il corpo del grande santo, di simboli massonici.
Per Paolo VI, i sospetti di una sua affiliazione massonica sfiorano la certezza (cfr. il nostro vecchio articolo: Paolo VI era massone?, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 15/02/2008). Anche i rilievi sulla porta di bronzo della cattedrale di san Pietro, a Roma, nonché il sacello della madre di Montini, sarebbero decorati con simboli massonici, peraltro ben visibili a tutti. Di Albino Luciani è difficile parlare: un mese di pontificato è veramente troppo poco. Sappiamo, però, dalla viva testimonianza di chi lo frequentò assiduamente negli anni in cui fu vescovo di Vittorio Veneto, cioè gli anni del Concilio, che egli era entusiasta di quel che stava accadendo al vertice della Chiesa. E questo è un fatto; che, certo, si può interpretare in vario modo, perché siamo ben lungi dal pensare che tutti quanti salutarono con gioia le “novità” conciliari fossero a parte della congiura. Di Giovanni Paolo II ricordiamo che fu il vero precursore di Bergoglio nelle pose teatrali, nel culto della propria personalità, nel puntare alla mobilitazione delle masse più che alla qualità dell’azione pastorale; ebbe anche la debolezza imperdonabile di confidare che fonti pessime avrebbero dato buoni frutti: i finanziamenti dei banchieri criminali alla I.O.R., per sobillare l’azione anticomunista di Solildarnosc, e la presenza di cardinali-banchieri come Paul Marcinkus, amici di Calvi, Sindona e Ortolani, son cose che si sarebbero fatalmente ritorte contro chi le adoperava con tanta spregiudicatezza: il comunismo venne abbattuto, non solo in Polonia, ma anche in Unione Sovietica, ma al prezzo di una Chiesa gravemente compromessa e sempre più infeudata ai poteri massonici e finanziari. Non si va insieme col diavolo impunemente; e nemmeno un papa è autorizzato a pensare, con Machiavelli, che il fine giustifica i mezzi. Il comunismo sarebbe caduto comunque, era solo questione di tempo, e la Chiesa poteva e doveva resistere al mortale abbraccio con il suo peggiore nemico; ma Wojtyla era un uomo ambizioso ed egocentrico, e ciò spiega la sua impazienza: voleva legare il suo pontificato al trionfo sul comunismo e al ritorno della Chiesa polacca alla libertà religiosa.
E i papi del post-concilio, che pensare di loro?
di Francesco Lamendola
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