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martedì 6 febbraio 2018

Lucciole per lucciole

    Barros, la lettera choc che smentisce il Papa
L’Associated Press ha pubblicato ieri una lettera esclusiva (QUI), redatta da Juan Carlos Cruz, una delle vittime del sacerdote cileno Fernando Karadima, una missiva che di fatto smentisce il Papa sul caso della pedofilia nel clero cileno e la copertura di alcuni vescovi. Il documento, secondo diverse testimonianze di membri della commissione pontificia per la tutela dei minori, sarebbe stato recapitato nelle mani di Francesco nell’aprile 2015 dal cardinale di Boston Sean Patrick O’Malley, presidente della stessa commissione.
Juan Carlos Cruz non denuncia soltanto Fernando Karadima, già condannato sia a livello civile che canonico, ma sottolinea la “copertura” che l’attuale vescovo di Osorno, Juan Barros, e altri vescovi (in particolare Andrés Arteaga, Tomislav Koljatic e Horacio Valenzuela) avrebbero al tempo offerto. Si tratta di alcuni sacerdoti, oggi appunto vescovi, che avevano come mentore proprio il Karadima e che, a detta di Cruz, erano «vicini» mentre le vittime venivano abusate e in qualche modo partecipavano, perché venivano a loro volta «toccati» in modo «inappropriato» dal Karadima. La lettera chiede al Papa di prestare ascolto a queste denunce e di restare fedele alla sua “tolleranza zero”.

Il “caso Barros” era esploso durante il recente viaggio di Francesco in Cile (vedi QUI e QUI), quando il pontefice fece una difesa appassionata del monsignore. «Il giorno in cui qualcuno mi porterà delle prove contro il vescovo Barros, allora parlerò», disse Francesco prima di celebrare la messa fuori dalla città cilena di Iquique. «Ma non c'è una singola prova. È tutto calunnia. È chiaro?».
Nella conferenza stampa sull’aereo di ritorno verso Roma, pur portando delle scuse e distinguendo tra la parola “prova” e quella “evidenze”, il Papa di fatto confermava che il vescovo Barros rimaneva al suo posto finché, appunto, non si fossero manifestate queste «evidenze» per inchiodarlo. Non solo. La giornalista Nicole Winfield, dell’Associated Press, presente sull’aereo fece notare a Francesco che «ci sono le vittime di Karadima che dicono che Barros fosse lì...», ma il Papa rispose: «Lei, con buon volontà, mi dice ci sono delle vittime, ma io non le ho viste perché non si sono presentate» (vedi QUI).
Ma la lettera spuntata ieri sembra appunto smentire queste affermazioni. A questo punto poi troverebbe una ragione anche il comunicato piuttosto inusuale che il cardinale O’Malley (vedi QUI) ha fatto circolare dopo la difesa che Francesco ha fatto di Barros in terra cilena, prima della conferenza stampa sull’aereo. Il cardinale statunitense, con parole molto esplicite, si metteva dalla parte delle vittime e stigmatizzava le parole del Papa, ritenendole, di fatto, poco sensibili rispetto alla testimonianza delle vittime. C’è da pensare che il cardinale di Boston, che aveva consegnato al Papa la missiva di Juan Cruz nell’aprile 2015, fosse un po’ deluso dalle parole del pontefice di cui, tra l’altro, è vicinissimo collaboratore, in quanto membro del gruppo di nove cardinali che supportano da vicino il pontefice nel governo della chiesa universale.
Di certo la faccenda mostra una certa confusione nella gestione di un caso delicato. Mentre scriviamo il cardinale di Boston si trincera dietro a un «no comment» e dal Vaticano tutto tace, l’ultimo atto ufficiale dalla Santa Sede è di qualche giorno fa, quando il 29 gennaio è arrivata la nomina papale del vescovo maltese Charles Scicluna come inviato in Cile, «per ascoltare coloro che hanno espresso la volontà di sottoporre elementi in loro possesso» sul caso Barros. Tanti avevano salutato questa notizia come l’indicazione che alcune novità, scriveva ad esempio il vaticanista Andrea Tornielli, «sono finalmente arrivate in mano al pontefice». C’è da chiedersi però come fossero state considerate le informazioni contenute nella missiva di Juan Cruz e che verosimilmente erano nella mani del pontefice dal 2015, tra l’altro proprio in quell’anno Francesco approvava il reato “di abuso di ufficio episcopale” e nel 2016 con un Motu proprio ne ratificava la procedura per colpire appunto i vescovi “negligenti”.
Tra l’altro Barros è stato nominato vescovo di Osorno proprio da Francesco nel 2015. Ma il Vaticano, attraverso la Congregazione per la Dottrina della fede, aveva già condotto su Barros e gli altri vescovi vicini a Karadima un’istruttoria che aveva portato alla decisione di esonerarli dai loro uffici. Ma con una lettera firmata dal Papa nel gennaio 2015 e inviata ai vescovi cileni quella richiesta di esonero viene bloccata e poco dopo Barros viene promosso da ordinario militare a vescovo di una diocesi, quella di Osorno.
Se la Dottrina della fede non aveva condotto una buona istruttoria sui vescovi cileni, chi ha fornito informazioni rassicuranti al Papa? Come mai la lettera consegnata dal cardinale O’Malley nella primavera 2015 non è stata considerata degna di attenzione? Quali novità hanno determinato la nomina del vescovo Scicluna? La faccenda diventa un rompicapo e uno scoglio molto difficile per il pontificato di Francesco.
Lorenzo Bertocchi
http://www.lanuovabq.it/it/barros-la-lettera-choc-che-smentisce-il-papa
Una lettera mette nei guai il Papa: nel 2015 una vittima gli avrebbe portato prove contro il vescovo insabbiatore Barros

di Franca Giansoldati
Città del Vaticano - Quando si dice che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Spunta ora una lettera che di fatto smentisce Papa Francesco sul caso della pedofilia cilena e sulle coperture dei vescovi. La lettera in questione, anticipata dalla Ap,  fu messa nelle mani del cardinale Sean O'Malley, presidente della Commissione per la Tutela dei Minori, e da questi consegnata al Papa. Porta la firma di una delle vittime e spiegava al Papa, fatti alla mano, che il vescovo Barros era un insabbiatore, un 'encubridor', di fatto un complice di padre Karadima (un prete pedofilo) e che per questo doveva essere dimesso.

Fino alla scorsa settimana Papa Bergoglio ha continuato a difendere Barros, dicendo che occorrevano delle prove, senza però fare mai menzione alla lettera che gli era stata consegnata da O'Malley. Solo la scorsa settimana Francesco ha fatto retromarcia annunciando di volere andare in fondo con le indagini e mandando in Cile un suo emissario credibile per raccogliere prove contro Barros.

La notizia della lettera apre nuovi interrogativi sulla gestione degli abusi e su come il vaticano tende ad affrontare la questione dei vescovi insabbiatori. «Il cardinale O'Malley ci disse che aveva consegnato la lettera al Papa. Ecco perché ero tanto sconvolta quando ho visto che il Papa diceva con insistenza che non aveva prove contro Barros» ha commentato Marie Collins, ex membro della Commissione pontificia per la Tutela dei Minori, dimessasi l'anno scorso dall'incarico per protesta proprio per denunciare le frizioni esistenti all'interno della curia. «Santo Padre, le scrivo perchè sono stanco di lottare, di piangere e di soffrire».

La lettera scritta da Juan Cruz è in spagnolo. «La nostra storia è ben conosciuta e non c'è bisogno di ripeterla, anche se vorrei dirle delk'orrore che abbiamo vissuto. Un orrore che mi ha ucciso dentro». La vittima poi esponeva sommariamente i fatti, le famose 'evidenze' che il Papa chiedeva alle vittime per essere credute, in questo caso il fatto che il vescovo Barros fosse presente nella stessa stanza mentre era in corso un abuso.

E dire che Papa Francesco nel 2015 aveva stabilito il reato canonico di 'abuso d’ufficio episcopale' per i pastori che non davano seguito ai casi di denuncia di violenze sui minori, prevedendo l'istituzione di una apposita sezione giudiziaria per i vescovi in seno alla Congregazione per la Dottrina della fede che però non ha mai preso il volo. Ad un tratto, l'orientamento operativo è stato come depotenziato.

Per questo motivo, poco dopo, si sono dimessi dalla Commissione per la Tutela dei Minori due membri (due ex vittime) per denunciare il muro di gomma curiale. E dire che la decisione del Papa era stata persino ratificata dal Consiglio dei nove cardinali, il cosiddetto C9. La decisione del tribunale dei vescovi era stato salutata dall'allora portavoce vaticano, padre Lombardi, con toni enfatici, sostenendo che era coerente con la linea della accountability', della assunzione di responsabilità, dei vescovi.

Il Papa aveva anche previsto  «un periodo di cinque anni in vista di ulteriori sviluppi delle presenti proposte e per il completamento di una valutazione formale della loro efficacia». Da allora la faccenda è caduta nel dimenticatoio. Salvo di essere ripescata davanti al caso Barros e alla questione, stavolta tutta italiana, del prete abusatore di Ponticelli, a Napoli. Anche in questo caso la Congregazione della Dottrina della Fede ha provveduto ad archiviare un caso emblematico in base alla documentazione ricevuta dalla curia di Napoli. Peccato che successivamente alla archiviazione vaticana sia spuntata una seconda vittima, un altro ex ragazzino finito nelle fauci dello stesso prete di Ponticelli, gettando una luce inquietante sui sistemi previsti per punire i preti pedofili.

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