Modernismo e concilio, ecco come se la raccontano. Una meravigliosa serie di salti mortali, doppi e tripli, per arrivare a normalizzare l'eresia e per dimostrare l'indimostrabile. A noi invece, chissà perché i conti non tornano
di Francesco Lamendola
Il modernismo? Non è stato, tutto insieme, una eresia, anzi, la sintesi di tutte le eresie, come afferma san Pio X nell'enciclica Pascendi, che lo condanna senza "se" e senza "ma", bensì un movimento di rinnovamento e di riforma della cultura e della vita della Chiesa, che, in tale posizioni e in taluni esponenti, andò, ebbene sì, oltre l'ortodossia (ma evitiamo di chiamarla eresia, per carità; che brutta parola, e poi è passato di moda il concetto che esso definisce), ma che, in altre situazioni e in altri esponenti, conteneva dei semi positivi e addirittura profetici, tanto è vero che essi vennero ripresi e pienamente utilizzati, nonché, ovviamente, riabilitati e legittimati, da quella manifestazione del Bene Assoluto che è stato il Concilio Vaticano II.
E, per sostenere una tesi del genere, non si esita a tirare in ballo altri nomi sul filo dell'eresia, come Teilhard de Chardin, il quale, idealmente e cronologicamente, fa, appunto, da trait d'union fra il "vecchio" modernismo, quello ancora "acerbo", ma sostanzialmente fecondo e soprattutto bene intenzionato, e quella eredità del modernismo che il Concilio Vaticano II ha accolto, integrato, valorizzato e a sua volta diffuso e propagato. E così, verrebbe da dire, tutti vissero felici e contenti. Si riconosce che qualche esagerazione, qualche sbavatura, qualche intemperanza, nel modernismo, ci fui; ma si sdrammatizza il contrasto con l'ortodossia, si stemperano le incompatibilità, si attenuino le tensioni, si smussano le punte, e, alla fine, si accontentano (quasi) tutti mostrando che, dopotutto, quei signori non avevano avuto tutti i torti, perché le loro "istanze di rinnovamento" erano reali e lo si è visto, a distanza di cinquant'anni, quando, con papa Roncalli, si è aperta la radiosa stagione conciliare, che ha impresso alla Chiesa una nuova direzione pastorale, della quale siamo tuttora parte e dalla quale non è lecito neppure immaginare di poter deflettere. Una meravigliosa serie di salti mortali, doppi e tripli, per arrivare a normalizzare l'eresia e per dimostrare l'indimostrabile: cioè che la Chiesa odierna, avendo introiettato la parte "migliore" delle istanze moderniste, è diventata sua volta migliore, più aperta, più adulta, più dialogante, meno arroccata a difesa, meno diffidente verso il mondo. Cosa più importante di tutte: cade, in maniera definitiva, la pregiudiziale antimoderna: la modernità entra a pieno diritto, anzi, a bandiere spiegate, dentro la Chiesa cattolica, e, secondo quei signori, la feconda e la spinge a una fedeltà sempre maggiore al Vangelo (!), contribuendo a riportarla verso la "purezza delle origini", cioè, dicono sempre loro, verso la vera, la primitiva Tradizione, alla quale poi si è sovrapposta un'altra tradizione, non del tutto conforme al Vangelo, specialmente la tradizione tridentina, frutto - lo pensano, anche se raramente osano dirlo - di una involuzione burocratica e autoritaria, di una preoccupazione difensiva quasi paranoica, di un rifiuto sdegnoso di tutto quel che di bello e di buono stava maturando insieme alla nascita della civiltà moderna, e il cui primo frutto sarebbe stato la nuova scienza di Galilei, improvvidamente contrastata, appunto, dalla Chiesa tridentina.
Questa è la tesi portata avanti da un'opera editoriale importante, come la Storia del Cristianesimo dal 1878 al 2005, pubblicata nel 1990 dalle Edizioni San Paolo e diretta da Angelo Scola, allora patriarca di Venezia, da Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, e da Andrea Riccardi, professore di Storia contemporanea all'Università di Roma III, più noto come fondatore e ispiratore della Comunità di Sant'Egidio; quella, per intenderci, che si è specialmente segnalata nelle forme più spinte del dialogo inter-religioso e per l'opzione preferenziale per i poveri, fino a imporre l'uso di adibire le chiese e le basiliche - non le canoniche o i locali parrocchiali - a sale da pranzo e dormitori, appunto, per i "poveri" ; mentre di lui stesso si dice e si sussurra che sia molto vicino agli ambienti massonici italiani ed esteri, fra Mario Monti e gli organismi della cooperazione internazionale facenti capo alle Nazioni Unite. Non è che da un simile terzetto ci si possa aspettare una versione dei fatti particolarmente obiettiva; colpisce, nondimeno, la pretesa di presentare come una storia semi-ufficiale della Chiesa contemporanea una versione smaccatamente filo-modernista, basata sulla continuità fondamentale fra il modernismo, nelle sue istanze più "feconde", e il Vaticano II, presentato, ovviamente, come il culmine e come il punto di non ritorno nella storia due volte millenaria della Chiesa stessa. Il legame fra modernismo e Concilio, che dovrebbe essere fortemente negato, se codesti cattolici progressisti fossero in buona fede, dato che il modernismo è stato un'eresia conclamata e pericolosissima, viene invece, sia pure con alcuni distinguo, rivendicato e orgogliosamente sbandierato: così facendo, sono loro stessi a rivelarsi per quel che realmente sono, cioè non dei veri cattolici, ma degli pseudo cattolici, tutti intesi a introdurre l'eresia nel coro della Chiesa e a stravolgere dall'interno la dottrina cattolica.
Concilio Vaticano II è stato un concilio "eretico"?
L'eresia è e resta sempre e comunque eresia, cioè dottrina falsa, erronea e perniciosa
Quel legame "proibito" viene affermato, senza tanti complessi, nel secondo volume della Storia del cristianesimo 1878-2005, significativamente intitolato La Chiesa e la modernità, dove il concetto di "modernità" non presenta alcuna connotazione particolarmente avversa alla civiltà cristiana e incompatibile con essa, dove insomma la civiltà moderna non è affatto presentata come l'antitesi e la negazione della civiltà annunciata nel Vangelo di Gesù Cristo, ma, al contrario, come una civiltà vitale e feconda, molti aspetti della quale sono suscettibili di una piena intesa e di una preziosa collaborazione con la Chiesa stessa. E già questa impostazione di fondo è, a ben guardare, modernista, cioè eretica, anche senza scomodare il Sillabo di Pio IX o la Testem benevolentiae di Leone XIII, perché parte da un presupposto erroneo, sia sul piano storico, sia su quello teologico: che vi sia spazio per una intesa sostanziale fra i capisaldi della civiltà moderna - edonismo, individualismo, materialismo, scientismo, utilitarismo, relativismo, consumismo, mercificazione di ogni aspetto della vita sociale e personale - e il nucleo dell'ispirazione cristiana e della visione cristiana della vita. Il volume, a cura del teologo Elio Guerriero (direttore dell'edizione italiana della rivista Communio), reca il contributo essenziale del sociologo e storico Giorgio Campanini, autore sia della Introduzione, sia dell'ultimo capitolo, l'ottavo, dedicato al periodo del pontificato di Benedetto XV. Ecco cosa dice Campanini nella Introduzione (p. VII), intitolato Una pietra di inciampo?, con riferimento alla "questione modernista" (non al modernismo, ma alla questione modernista, o alla crisi modernista: ponendo implicitamente l'eresia modernista sullo stesso piano della legittima e doverosa repressione del movimento ad opera di san Pio X):
Sembrò che a questo progressivo incontro fra la Chiesa e le migliori componenti della modernità si frapponesse una sorta di pietra di inciampo, la questione modernista (alla quale, non a caso, è dedicata una parte consistente di questo volume). Quella che avrebbe potuto e forse dovuto essere una lenta ma costante "marcia di avvicinamento" al nuovo corso della storia conosceva al'inizio, con il modernismo, una forse troppo brusca accelerazione e, con la reazione ani-modernista, un'altrettanto brusca frenata.
Un'ampia storiografia - che in larga parte anche questo volume ha potuto utilizzare - ha fatto ormai luce sul fenomeno modernista, mostrando la vivacità ma anche le acerbità, e le ambiguità, di un movimento innovatore che si è collocato ai limiti, e talora oltre i limiti, dell'ortodossia, ma che tuttavia ha lasciato un segno profondo nella storia della Chiesa, concorrendo al rinnovamento delle scienze bibliche, all'aggiornamento della teologia, all'apertura di nuove prospettive nelle ricerche di storia della Chiesa. La vigilanza contro talune estremizzazioni del modernismo fu necessaria, ma troppo spesso si fu tentati di trasformare il libero dibattito delle idee, e la stessa libera ricerca storica, in un attentato alla ortodossia. L'elenco di grandi e santi uomini di chiesa - talora, successivamente, elevati agli in onori degli altari, come il Cardinal Ferrari e Angelo Giuseppe Roncalli-Giovanni XXIII - sospettati di eterodossia è assai lungo e testimonia la miopia, e talora l'acredine, di taluni malaccorti consiglieri di Pio X.
Nonostante tutto, dalla crisi modernista la Chiesa usciva alla fine temprata e rafforzata. Le false novità che si era da taluni preteso di introdurre venivano lasciate ai margini, mentre le autentiche novità (che poi non erano, in molti casi, se non un ritorno alla tradizione) venivano un poco alla volta accolte e recepite. Questo processo di assimilazione sarebbe stato interrotto dalla lunga e difficile stagione dei totalitarismi - alle cui soglie, in una data, come il 1922, assai significativa per la storia d'Italia e di Europa, si arrestava il pontificato di Benedetto XV - ma avrebbe dato alla fine i suoi frutti. La migliore eredità del modernismo rimasti nei confini dell'ortodossia cattolica, sia pure con non poca sofferenza, sarebbe stata alla fine recepita dal concilio Vaticano II.
Questi concetti sono ulteriormente ribaditi, nel capitolo conclusivo del volume, dallo stesso Campanini (p. 289):
Nel loro insieme, gli anni successivi alla prima guerra mondiale si caratterizzano, per quanto riguarda gli sviluppi della cultura di ispirazione cattolica, per una serie di importanti mutamenti. Placatasi la polemica antimodernista, coloro che di quella crisi erano stati gli attori e talora le vittime (e che, nonostante tutto, erano rimasti nella Chiesa) ritrovavano pieno diritto di cittadinanza e fecondavano, con i loro diversi apporti, la filosofia, la teologia, la storia, ponendo così le premesse per una ripresa della cultura cristiana.
Modernismo e concilio, ecco come se la raccontano
di Francesco Lamendola
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1. L’Ubiquità
L’ubiquità concerne l’estensione del Modernismo.
Nel passato la Chiesa sempre condannava le eresie e le dottrine eretizzanti e coglieva quest’occasione per formulare più profondamente e più chiaramente le sue dottrine. Di conseguenza, il ramo marcio della Chiesa, quello eretico, è stato tagliato dal tronco sano; e il tronco sano, nutrito da un nuovo influsso della luce di Verità, poteva ancor più gloriosamente fiorire.
Da cinquant’anni, invece, tali dottrine non sono più condannate o, se lo sono, lo sono di rado, in modo fievole e senza sanzioni. Di conseguenza, quasi tutto l’albero della Chiesa è ormai stato infestato da errori.
Quest’infestazione prende il suo spunto dal Magistero stesso, dall’insegnamento della Chiesa, della Gerarchia e del Clero. Detto insegnamento costituisce un uso illegittimo del munus docendi, affidato alla Chiesa da Nostro Signore Gesù Cristo, illegittimo e dunque anche fuori competenza: extra vires.
Osserviamo a questo punto che intendiamo il termine ‘Magistero’ come l’organo o lo strumento del munus docendi della Chiesa e ne distinguiamo due sensi: un senso positivo, che si riferisce al suo esercizio legittimo; ed un senso neutro, che si riferisce al suo esercizio simpliciter, senza specificare se sia legittimo oppure illegittimo. Che il Magistero possa essere esercitato in modo illegittimo, è evidente e solo da un ideologo può essere negato.
Il Modernismo dentro la Chiesa è difficile da combattere per vari motivi:
a) è difficile da discernere in quanto ubiquito, onnipresente – Jacques Maritain (nella foto) parla dell’‘Apostasia immanente’. Ciò significa che è divenuto parte della fabbrica propria della Chiesa o, in un’altra immagine, è divenuto troppo grande persino da vedere;
b) è difficile da comprendere, in quanto tipicamente oscuro;
c) è difficile da valutare, perché, per essere valutato, richiede conoscenze teologiche, che non sono più insegnate nei seminari o nelle parrocchie o non esclusivamente insegnate;
d) è difficile da accettare, perché richiede onestà intellettuale e coraggio, per affrontare la devastazione dottrinale della Chiesa di oggi;
e) è difficile da criticare, soprattutto per un chierico, perché questi verrebbe etichettato non solo come ‘duro’, ma anche ‘empio’ o persino ‘scismatico’ (o ‘cripto-scismatico’) verso la Chiesa, il Papa e il Magistero (inteso solo nel primo senso) e avrà da affrontare des mauvais quarts d’heure presso il suo Superiore o Vescovo e forse anche la perdita del suo apostolato. Ovviamente, più si consolida il Modernismo nel Magistero, ribadendo le nuove dottrine del Concilio Vaticano II in encicliche ed altri documenti successivi, più sarà difficile criticare.
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