È accaduto un fatto molto grave, che sta imprimendo un andamento anomalo alla vicenda della storia umana. L’uomo moderno è arrivato a dubitare di tutto: "è venuto il tempo di dirigere i passi fuori dalla palude della modernità"
di Francesco Lamendola
Alla domanda di Gesù ai suoi discepoli, dopo che molti seguaci temporanei lo avevano abbandonato: Volete andarvene anche voi?, san Pietro rispose a nome di tutti: Signore, e da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna! Così, anche l’uomo moderno, l’uomo figlio della civiltà nata con l’Umanesimo e culminata con l’illuminismo, il positivismo, lo scientismo odierno, impastato di materialismo e, paradossalmente, anche di scetticismo, pessimismo e nichilismo, arrivato al limite estremo della delusione, dell’amarezza, della solitudine, deluso e tradito da tutte le ideologie che lo avevano sedotto, potrebbe e dovrebbe esclamare: Signore, e da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!
Tutte le altre filosofie, tutte le altre dottrine, tutte le altre fedi lo hanno illuso e poi lo hanno lasciato più vuoto di prima, ogni volta un po’ più scoraggiato, ogni volta un gradino più in basso sulla via della disperazione.
Alla fine, l’uomo moderno è arrivato a dubitare di tutto: di se stesso, degli altri, delle cose, della natura, delle sue stesse invenzioni, di quel cielo vuoto che forse non è vuoto, di quella dimensione oltre la morte che forse non è il nulla; ha finito per dubitare anche della sua stessa ombra. Ma io chi sono, infine?, si chiede, da almeno un secolo. Uno, nessuno e centomila, si risponde da solo, sulla scia di numerosissimi “maestri”. Sono questo e anche quello: ma, soprattutto, sono tutto e sono niente, perché la vita scorre, non ha forma, e quindi non ha identità, non ha presente, non ha passato, non ha futuro, non ha ricordi, non ha speranze, non ha certezze, non ha nulla di saldo in cui credere, nulla di vero a cui aggrapparsi, nulla di buono con in cui cercar consolazione. Sì, perché l’uomo moderno è triste, infinitamente, indescrivibilmente triste: di una tristezza immensa, senza fondo, che gli si è appiccicata addosso come un sudario di morte e che non lo lascia mai, lo accompagna sempre, quando veglia e quando dorme, quando maledice e quando ama, quando si adira e quando è spaventato. Una tristezza totale, radicale, leopardiana: la tristezza di chi non si stupisce più di nulla, non crede più a nulla, non pensa che ci sia altro che il nulla; e pensa che tutto, tutte le cose belle, le cose che ci allietano, che ci fanno intravedere un po’ di bene, non sono altro che vaneggiamenti, abbagli, miraggi, malintesi, perfino equivoci linguistici. I filosofi del linguaggio, come uno stormo di avvoltoi, piombano sui di lui e gli chiedono: Ma che vuol dire essere felici, che cos’è la felicità? Non è nulla di reale; è una chimera, una semplice aspirazione, una invenzione necessaria, ma priva di consistenza, fatta della stessa sostanza dei nostri sogni, come direbbe Shakespeare. Per non morire di disperazione, abbiamo inventato l’idea della felicità, dicono costoro; solo che nessuno l’ha mai vista, nessuno l’ha mai conosciuta, nessuno l’ha mai sperimentata: dunque, non è qualcosa di reale, qualcosa che abbia uno statuto ontologico: è un nome, un flatus vocis, un fantasma.
Oh, l’uomo moderno ha provato a seguire tanti maestri. Da John Locke a Bertrand Russell, a Marco Pannella ed Emma Bonino. Ha provato a seguire Marx, Engels, Lenin e Stalin, e poi Gramsci, Marcuse, Horkheimer. Ha provato a seguire Proudhon, Bakunin, Malatesta e Kropotkin, fino a Cohn-Bendit e, ultimamente, Michel Onfray. Ha provato a seguire Kant, Hegel, Comte, Spencer, Popper. Ha provato a seguire Rousseau, Robespierre, Tocqueville, Roosevelt, Kennedy, Obama. Ha provato a seguire Nietzsche, ora interpretandolo a destra, ora a sinistra, e perfino accostandolo a Hitler. Ha provato a seguire Heidegger, Sartre, Camus e Dio sa quante avanguardie, movimenti, esperimenti. Ha provato a seguire Allan Kardec, madame Blavatsky, e poi Rudolf Steiner, e poi Krishnamurti, e Osho, e Yogananda, e Dio sa quanti maestri orientali e pseudo orientali. Ha provato a seguire sir James Frazer, e Lévy-Strauss, e Mircea Eliade, e René Guénon, e Julius Evola, e magari anche Aleister Crowley. Ha provato a seguire Freud, poi Adler, poi Jung, poi Reich, poi Fromm, poi Lorenz, e poi… Ha provato ad affidarsi ai teosofi, agli spiritisti, ai rivoluzionari di sinistra e di destra, ai liberali, ai democratici, ai comunisti, ai fascisti, ai nazisti, ai protezionisti, ai liberisti, ai colonialisti e agli anticolonialisti, ai razzisti e agli antirazzisti, agli autoritari e agli anarchici, agli esistenzialisti, agli strutturalisti, e anche al culto degli extraterrestri, senza dimenticare la magia, la negromanzia, l’occultismo e il satanismo, con tanto di sacrifici umani. E quando si è stancato di adorare le idee, ha incominciato ad adorare le cose, sempre più basse: prima l’intelligenza per conquistare il potere, poi il potere in se stesso (Machiavelli); prima la scienza per ottenere il dominio, poi il dominio da solo (Bacone); infine il ventre, il piacere, il denaro, la fama, il proprio io narcisista. Da ultimo, si è messo a corteggiare il nulla e la morte. Ovunque ha trovato sentieri interrotti, vicoli ciechi, porte sbarrate col catenaccio; ma ogni volta aveva avuto la sensazione di avere imboccato la strada giusta, la strada risolutiva, quella che avrebbe fatto di lui un essere grande, forte, sicuro, invincibile, sicuro di se stesso, innamorato della vita. Però non era vero, e ogni volta, dopo un poco o dopo parecchio, si è reso conto di non aver trovato quel che cercava, anche se sovente non è stato abbastanza onesto con se stesso, né abbastanza coraggioso, da confessare la sconfitta e da fare un leale mea culpa, da assumersi la responsabilità di aver preferito le scorciatoie, le strade oblique, tutto ciò che avrebbe potuto dargli il massimo senza dover impegnare se non il minimo di se stesso. Ma la vita non funziona così: a chi dà poco, essa ricambia con poco; a chi gioca al risparmio, essa fornisce prodotti scadenti; a chi vuol tutto e subito, non concede nulla di nulla; a chi cerca le soluzioni più facili, essa vende solo fumo e illusioni, che costano poco o nulla, ma valgono meno di niente.
Ora che ha toccato con mano il disinganno, il vuoto e la nullità di tante promesse, di tante ricette, di tante formule che parevano miracolose, e si è accorto che nulla mai cambierà nel mondo, se egli non proverà a cambiare se stesso; e dopo aver compreso che l’uomo non riuscirà mai a cambiare se stesso, se non fa appello a Qualcuno che sta al di si sopra di lui, e che, solo, può fornirgli le forze che gli mancano, la purezza e la rettitudine delle quali ha bisogno per procedere, è venuto il tempo di tirare le somme e di dirigere i passi nella direzione giusta, fuori dalla palude della modernità, fuori dal labirinto delle funeste illusioni, risalendo a ritroso, come un salmone, la corrente torbida e semi-avvelenata di questa anticiviltà, disumana e perciò antiumana, sempre più simile a un deserto infuocato, a un inferno privo di qualunque speranza di redenzione. Un numero crescente di persone, finalmente, è arrivato alla conclusione che non si può vivere semplicemente assecondando le proprie tendenze animalesche, e che non si può vivere senza un ideale; ma, poiché tutti gli ideali sperimentati nella modernità hanno fallito, bisogna cercare altrove quella fonte viva che disseta per sempre, quel pane vivo che è sceso dal Cielo per placare non la fame del corpo, che tornerà comunque a far sentire i suoi morsi, ma quella dell’anima, che è fame di un cibo duraturo, di un cibo che estingue per sempre la fame interiore. Molte persone, talune delle quali partendo da premesse perfettamente materialistiche, sono arrivate a rendersi conto che la vita non può risolversi in un continuo “errare” (come diceva Ariosto), in un vagare inquieto e sempre insoddisfatto alla ricerca di un eterno oggetto del desiderio; che non può consistere solo in un perpetuo aggirarsi nel labirinto delle proprie passioni e delle proprie illusioni; che il suo vero, unico scopo, è quello di conoscere, amare e servire Colui dal quale l’abbiamo ricevuta, Colui dal quale ogni cosa ha avuto origine e preso movimento: l’Amor che move il sole e l’altre stelle. Egli ci ha dato tutti gli strumenti perché potessimo farlo; ci ha dato la ragione naturale, e poi la divina Rivelazione; infine si è fatto Uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, a morire per amor nostro, ma non era uno di noi, ed è tornato al Padre, in attesa dell’ultimo giorno, quando verrà ancora, per giudicare i vivi e morti, e il suo Regno non avrà più fine.
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È accaduto, però, un fatto molto grave, che sta imprimendo un andamento anomalo alla vicenda della storia umana. Proprio quando gli uomini, simili al figlio prodigo della parabola evangelica, delusi dallo sperpero della loro eredità, si stanno mettendo in cammino per tornare dal Padre, gettarsi ai suoi piedi e confessargli: Padre, abbiamo peccato contro il Cielo e contro di Te; non siamo più degni di essere chiamati tuoi figli; trattaci come gli ultimi dei tuoi servi, proprio ora il clero, quel clero che per millenovecento anni ha tenuto accesa la fiammella della fede nei popoli, ha insegnato e amministrato i Sacramenti, ha ottemperato al comando di Gesù: Andate per tutta la terra a battezzare e predicare il Vangelo, e ne ha reso sovente testimonianza con il sangue dei martiri, quello stesso clero ha tralignato, si è lasciato sedurre dallo spirito del mondo, si è invischiato in false dottrine, dall’apparenza ingannevolmente dolce come il miele, ma, nella loro essenza, amare ed estremamente pericolose, come un potentissimo veleno. Sicché gli uomini affranti, sfiniti, delusi, che tornano verso la Chiesa, non vi trovano più, fedelmente custodito, ciò di cui avevano scoperto la fame e la sete: il Pane vivo disceso dal Cielo e l’Acqua viva promessa da Gesù alla donna samaritana, capace di spegnere la sete una volta per sempre; non vi trovano la Parola di Dio, che rasserena, fortificata e rincuora; ma vi trovano parole tutte umane, solamente umane, miseramente umane;parole altisonanti, ma vuote e lontanissime dal vero spirito del Vangelo, come inclusione, discernimento, accompagnare: parole-truffa, escogitate al preciso scopo d’ingannare i fedeli, di ammorbidire la limpida severità del Vangelo, di addomesticare la santa volontà di Dio nei confronti degli uomini. E dove Gesù ha detto: L’uomo non divida ciò che Dio ha unito, essi – il gesuita Sosa Abascal, per esempio – insinuano: Sì, ma Gesù parlava in un contesto preciso, a un pubblico preciso; non bisogna assolutizzare, non bisogna estrapolare; e poi, chi lo sa cosa disse realmente? Non c’erano mica i registratori, allora, per catturare le sue esatte parole! Ancor peggio fa il signor Bergoglio, il falso papa che usurpa la cattedra di Pietro, il quale non perde occasione, ogni santo giorno, per rinnovare i suoi discorsi carichi di voluta, perfida ambiguità: discorsi umani, troppo umani, che trasudano dubbio, incertezza, relativismo; discorsi che non spengono la sete e non placano la fame, anzi, aumentano la confusione, il turbamento, l’amarezza.
Signore, e da chi andremo?
di Francesco Lamendola
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