ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 17 marzo 2018

Giacché si flagella la sua parola

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Cristo doppiamente flagellato


Per Cristo i flagelli sono raddoppiati, giacché si flagella la sua parola. […] Fu flagellato dai flagelli dei giudei; è flagellato dalle bestemmie dei falsi cristiani […]. Quanto a noi, facciamo ciò che egli stesso ci aiuta a fare: «Io, quando mi erano molesti, mi rivestivo del cilicio e umiliavo nel digiuno l’anima mia [Sal 34, 13]» (sant’Agostino,Trattati su Giovanni, X, 4).

Ancora una volta, le parole dei Santi si dimostrano attualissime, anche se la situazione che avevano direttamente di mira non è la stessa. Mai, come oggi, si flagella di nuovo Cristo nella Sua parola – bestemmiando così la Sua stessa Persona di Verbo incarnato – distorcendola o mistificandola fino a farle dire l’opposto. Il caso dell’indissolubilità del matrimonio è solo quello più evidente, ma i principi introdotti con la rivoluzione antropologica, surrettiziamente realizzata nella Chiesa con il pretesto di aggiornarla, sono tali da annullare tutta la Rivelazione. Il punto di partenza e di arrivo di ogni discorso religioso, infatti, non è più Dio, ma l’uomo (peccatore) con le sue “fragilità”, le sue esigenze, i suoi problemi. La manipolazione linguistica ha fatto scomparire responsabilità e peccato, troppo scomodi per una facile quanto illusoria proposta di felicità terrena a buon mercato.

Avallare le trasgressioni più gravi della Legge divina o cassare le condanne dottrinali del passato in   nome di un ecumenismo ipocrita e indifferentista: ecco le bestemmie dei falsi cristiani con cui oggi si flagella il Redentore. Ciò che, oltre a questo, fa molto soffrire è vedere tanti fedeli e sacerdoti in buona fede che ingoiano tutto con una superficialità disarmante: ecco il risultato di decenni di prassi pastorale che, alla cura d’anime, ha sostituito tutta una serie di pratiche basate sul sentimentalismo di presunte esperienze spirituali, sul sensazionalismo di periodici raduni oceanici, sul narcisismo di un autocelebrarsi senza oggetto né merito… L’azione soprannaturale della grazia è scambiata, a seconda degli ambienti, per sensazioni fisiche, emozioni piacevoli o risultati sociologici; anche là dove, in opposizione alle derive socialeggianti, ci si picca di essere spirituali, si finisce spesso nelle sabbie mobili di chi gusta se stesso convinto di gustare Dio.

La radice del male – mi sembra – è sempre la stessa: l’aver messo in primo piano l’esperienza umana al posto dell’iniziativa divina. È naturale che, quando il Signore interviene nella vita di una persona, essa se ne renda conto e sperimenti, in un modo o nell’altro, l’irruzione della grazia; ma la grazia, per la sua essenza soprannaturale, rimane sempre al di là di qualsiasi esperienza, né si esaurisce in questa o quella particolare esperienza religiosa. Ripiegarsi su ciò che si prova, a lungo andare, diventa una forma di idolatria che taglia fuori l’anima dal circuito della grazia; tale insidia va smascherata per tempo ed evitata con decisione, prima che diventi una trappola mortale per la vita interiore. Non c’è niente di peggio che essere convinti di aver raggiunto un buon livello di maturità spirituale per via di riscontri sensibili che, probabilmente, non hanno affatto una causa trascendente, ma sono semplicemente effetto di meccanismi psicologici: in questi casi, il più delle volte, non c’è modo di persuadere le persone a rimettersi in discussione.

Un buon maestro di spirito è capace di distinguere subito tra un frutto genuino dell’azione dello Spirito Santo e una mera reazione della psiche a fattori ambientali; ma dove trovarlo? Non c’è nulla di male, di per sé, nel fatto di sentirsi bene in quel certo gruppo di preghiera o in quel dato luogo di pellegrinaggio; ma se il motivo, in fondo, è sostanzialmente umano, non bisogna attribuirlo a Dio, perché così Lo si abbassa a una realtà di questo mondo e ci si rende impermeabili alla vera grazia, che segue vie diverse (di solito ardue e dolorose, in quanto deve prima purificare l’io peccatore). Le persone che desiderano solo stare bene, quando pregano, non sono disposte a lasciarsi trasformare dal fuoco celeste, che deve eliminare le scorie per far brillare il metallo. Un ciocco di legno umido, posto nel camino, deve spurgare tutta l’acqua prima di potersi accendere.

Come controllare se, nella vita spirituale, non si è caduti in trappola o magari non ci si stia cadendo? Verificando se e come si prega anche da soli, se si è perseveranti nella preghiera anche nell’aridità e nella tentazione, se si rivolge abitualmente lo sguardo interiore al Signore piuttosto che a sé stessi e ai propri pensieri, emozioni, sentimenti… poi esaminando le relazioni con il prossimo, se sono improntate a una carità paziente e discreta piuttosto che al giudizio, alla mormorazione, alla maldicenza e alla recriminazione. Se sono presenti questi vizi, bisogna interrogarsi seriamente, come pure sul modo in cui si reagisce di fronte alle prove o contrarietà che la Provvidenza permette o dispone: c’è ribellione, agitazione, sconforto, o accettazione umile e serena, affidamento fiducioso e collaborativo, confidente invocazione e intercessione? Ogni albero si riconosce dai frutti; se non sono buoni, lungi dallo scoraggiarsi (che è tipico indizio di orgoglio) ci si rimbocca le maniche per chiedere le grazie necessarie a progredire… e per correggersi.

Un criterio oggi particolarmente efficace per verificare la qualità della propria vita interiore, poi, è l’effetto che hanno sulla mente e sul cuore le bestemmie con cui i falsi cristiani continuano a flagellare Cristo: chi le prende per buone ha di che preoccuparsi gravemente, chi almeno rimane perplesso ha qualche speranza, chi non riesce proprio a ingoiarle è sulla buona strada, purché non si insuperbisca per questo. La tentazione di mettersi a sbraitare è molto forte – lo capisco – ma non porta da nessuna parte, se non a spegnere la vita dello Spirito nell’astio e nella rivolta, con il rischio di separarsi dalla Chiesa. Sant’Agostino ci ha mostrato la via da seguire: rivestiamo il cilicio (non solo accettando pazientemente la prova, ma – perché no? – anche fisicamente), umiliamoci nel digiuno (con la prudenza necessaria per non mettersi fuori gioco da sé), cogliamo ogni occasione per far penitenza (soprattutto quelle che ci procura il prossimo)… e offriamo tutto per la Chiesa militante, perché il suo Sposo non l’abbandoni al tradimento, ma ne abbia infine pietà.

Lo scopo della vita cristiana non è star bene in questo mondo, ma meritare la felicità nell’altro; essa non serve a godere di sé o ad autoaffermarsi, bensì a imparare a soffrire bene offrendo per la salvezza propria, dei propri cari e del mondo intero; non è una ricerca di conferme da parte di un gruppo di elezione, ma una severa scuola di superamento di sé in una quotidiana autodonazione. Il Signore sa che abbiamo bisogno di sostegno e di consolazione, ma non ci vizia con continue grazie sensibili, alle quali rischieremmo di attaccarci più che a Lui. Non a caso la Messa tradizionale, che ha forgiato stuoli di Santi, esige dal sacerdote e dai fedeli una radicale espropriazione di sé, dei gusti personali e delle attese soggettive per sostituirli con i veri doni di Dio, quelli che fanno crescere interiormente chi cerca davvero Lui e non se stesso. Smettiamo anche noi di flagellare il Cristo con l’inavvertita pretesa di metterlo al servizio della nostra pace e del nostro benessere; solo così la nostra offerta sarà gradita e porterà il suo frutto.

Ogni ricerca di cui Dio non sia l’oggetto, è implicitamente una ricerca di sé, e ogni ricerca di sé è a danno proprio (Madre Maria Ildegarde Cabitza, 1905-1959).

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