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venerdì 23 marzo 2018

Il diavolo in convento

Il diavolo in convento. Una memoria inedita del Sessantotto cattolico



Il cinquantenario della "rivoluzione" del 1968 si arricchisce ogni giorno di nuovi ricordi. Alcuni risaputi, altri no. Come quello – impressionante – messo ora per la prima volta per iscritto dal monaco benedettino camaldolese Guido Innocenzo Gargano, apprezzato maestro spirituale e grande studioso della Bibbia e dei Padri della Chiesa, già priore a Roma di San Gregorio al Celio, il monastero fondato da papa Gregorio Magno.
In un libro pubblicato per celebrare i 70 anni del suo confratello monaco Giovanni Dalpiaz – che oggi è priore dell'Eremo di San Giorgio presso il lago di Garda ma è anche sociologo fin dalla sua giovinezza –, Gargano ricorda che cosa accadde nella comunità monastica di Camaldoli negli anni tempestosi del dopoconcilio e del dopo Sessantotto, quando il giovane Dalpiaz fece il suo ingresso in monastero.
Dalpiaz – ricorda Gargano – veniva dall'università di Trento, covo ideologico del movimento sessantottino e fucina di terroristi armati, alcuni di matrice cattolica, che militarono poi nelle Brigate Rosse.

Dalpiaz era stato vicino a questi suoi compagni di studi, ma se ne era distaccato optando invece per la vita monastica, attratto ad essa soprattutto dal carisma dell'allora priore generale dei benedettini camaldolesi, Benedetto Calati.
Va notato che Camaldoli era da decenni un dei cenacoli più frequentati dall'intelligencija cattolica italiana.
Anche a Camaldoli, però, il Sessantotto entrò prepotentemente, stando a ciò che scrive oggi Gargano, che in quei primi anni Settanta era responsabile della formazione dei nuovi arrivati in quel monastero.
A lui la parola.
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EROTISMO, DROGHE, AIDS. IL SESSANTOTTO A CAMALDOLI
di Guido Innocenzo Gargano OSB
[…] Insieme con Gianni Dalpiaz entrarono in quegli anni a Camaldoli anche giovani provenienti da mondi estremamente diversi dal mio e probabilmente anche dal suo.
Si trattava di giovani italiani, spesso sbandati culturalmente e anche spiritualmente, che appartenevano a coloro – e furono migliaia in quegli anni – che ritornavano dall'India dove avevano sperimentato favolosi cammini spirituali indicati da santoni dell'induismo, e che erano stati indotti a sperimentare tecniche "spirituali" di ogni tipo, non escluse esperienze erotiche né uso di droghe, più o meno pesanti, di cui molti purtroppo divenivano tragicamente vittime.
Camaldoli, grazie all'appeal determinante del suo sacro eremo millenario, attrasse più d'uno di questi giovani, convinti di poter proseguire, proprio a Camaldoli, ciò che avevano assaporato in India.
Trovarono generosa accoglienza.
E noi, assai sprovveduti in queste cose, lo permettevamo – e non soltanto il sottoscritto ma anche don Franco Mosconi e don Bernardino Cozzarini, responsabili, in quegli stessi anni, dei postulanti e dei novizi, sotto il mantello di padre Benedetto Calati e con il consenso di padre Emanuele Bargellini, priore del monastero di Camaldoli e futuro successore di Calati [a priore generale dei benedettini camaldolesi].
Quei giovani erano estremamente sinceri e, a modo loro, perfino generosi, ma le esperienze pregresse avevano quasi sempre lasciato in ciascuno di loro segni indelebili, e purtroppo molto gravi, che portarono qualcuno alla morte non soltanto nell'anima, ma anche nel corpo, rendendolo vittima dell'incipiente tragedia dell'AIDS, e qualcun altro condizionato dalla presunzione di poter proseguire con l'esercizio di pratiche psicofisiche e psichedeliche, ritenute magiche risorse di piena realizzazione umana.
Non restarono ovviamente in comunità, ma ci volle qualche anno perché noi, che eravamo ingenui formatori alle prime armi, riuscissimo a rendercene pienamente conto e a consigliare loro di lasciare il monastero.
Non soltanto io, ma anche gli altri responsabili della formazione, e più ancora padre Benedetto Calati, eravamo completamente all'oscuro di certe cose, ma soprattutto eravamo all'oscuro dei meccanismi di complicità e collusioni che provenivano dall'esterno, fino al punto che qualcuno faceva arrivare, nei modi più impensati, droghe pesanti come l'LSD in comunità.
Il giovane Gianni Dalpiaz si ritrovò perciò, scegliendo Camaldoli proprio allora, nel vero occhio del ciclone, che avrebbe presentato un conto molto salato alla comunità civile ed ecclesiastica italiana. […]
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Il brano qui sopra è tratto dall'introduzione a questo volume:
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Di Guido Innocenzo Gargano www.chiesa ha pubblicato nel 2003 anche un'altra memoria scritta di quegli anni del dopopconcilio, riguardante l'abbandono totale, da un giorno all'altro, nel monastero romano di San Gregorio al Celio, dell'officiatura liturgica in latino e in canto gregoriano, sostituita da nuove celebrazioni "fatte di chitarre, di tamburi e di canti inediti in italiano":
Inoltre, più di recente, nel 2015, www.chiesa ha pubblicato di Gargano una rivoluzionaria esegesi delle parole di Gesù su matrimonio e divorzio:

> Per i "duri di cuore" vale sempre la legge di Mosè
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Nella foto di Gianni Berengo Gardin, studenti in piazza del Duomo a Milano, nel 1968.

Settimo Cielo di Sandro Magister 23 mar


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