ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 13 aprile 2018

Gli araldi gioiosi del Dio della risata

QUEL VIRUS MODERNISTA



Quel virus modernista che parte da lontano. I frutti perversi del Concilio il Gesù che somiglia a Conchita Wurst e i papà gay. Un messale del 1973: a partire da quegli anni uno scisma silenzioso ha avuto inizio dentro la Chiesa 
di Francesco Lamendola  


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In questi giorni ha suscitato rumore, e giustamente, la pubblicazione di un catechismo per fanciulli, edito dalla salesiana LDC, in cui compaiono un Gesù Cristo con barba e baffi che pare la fotocopia di Conchita Wurst, e una coppia di scattanti papà gay coi loro pargoletti che camminano su un prato, beati e contenti, evidentemente come esempio di famigliola normalissima e “cristiana”. Ci si chiede se sia questo il modo di accostare i bambini alla religione cattolica; e come i salesiani, gli eredi di san Giovanni Bosco, abbiano potuto arrivare a tanto. Un genitore che si trovi fra le mani un tale “catechismo” non può che gettarlo da canto, con un fremito di disgusto, come quando, nel corso di una scampagnata, si allunga la mano per prendere il cestino dei panini e si trova un grosso rospo velenoso, accucciato tra l’erba. Invece del nutrimento, il pericolo; invece di una cosa buona, una cosa cattiva; invece della serenità, l’amarezza. Questo è ciò che provano tantissimi cattolici, ai nostri giorni, quando entrano in una chiesa e si accingono a partecipare alla santa Messa: sono in cerca di Dio, della Parola del Signore, hanno fame e sete di Gesù Cristo, della sua Presenza, e invece trovano dei preti modernisti, i quali si sbizzarriscono in buffonate liturgiche che li offendono e li disgustano, in omelie tutte impregnate di spirito mondano, sovente sguaiate, irriverenti, che non hanno nulla di cattolico; e li spingono a uscire da quel luogo con un senso d’infinita delusione, con il peso di una tristezza insopportabile.


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La nuova famigliola normalissima e “cristiana” di Bergoglio: Gesù Cristo con barba e baffi fotocopia di Conchita Wurst e una coppia di papà gay e pargoletti

Eppure la verità è che il male modernista, questa malattia, questo virus insidioso, che odia il cattolicesimo e lo vuole stravolgere, finché lo abbia ridotto alle dimensioni e alle “esigenze” del mondo moderno, vale a dire finché non lo abbia distrutto, lasciandone forse, tutt’al più, la semplice scorza, se sta esplodendo oggi, covava però da molto tempo, anzi, da molto tempo era già visibilmente all’opera: bastava farci attenzione. Ma, a quanto pare, chi avrebbe dovuto fare attenzione, non vedeva, non sentiva e non parlava. E poi, con lo smantellamento pratico della Congregazione per la Dottrina della Fede, cioè con l’auto-eliminazione dell’organismo preposto a vigilare sull’ortodossia della dottrina, l’ultima possibilità di fermarlo e di combatterlo è sparita: e il virusmodernista ha avuto campo libero. Sbagliano, perciò, quanti credono che il problema sia di oggi, e che si chiami Jorge Mario Bergoglio. Certamente costui sta dando l’ultima spallata; ma l’edificio era già vacillante da anni, da decenni. La Chiesa cattolica non era più la stessa dal conclave del 1958 e, soprattutto, dal Concilio Vaticano II. Vi era entrato un spirito nuovo, che immediatamente ha dato i suoi frutti perversi: una insofferenza verso tutto ciò che è tradizione; una impazienza nei confronti della spiritualità, del raccoglimento, perfino della preghiera; una sopravvalutazione dell’azione, innalzata quasi al rango di nuova teologia; un progressismo disordinato, puerile, ma ostinato, intollerante, deciso a rimuovere ogni ostacolo innanzi a sé. E l’ostacolo, naturalmente, era ed è rappresentato non dai nemici, occulti e dichiarati, della Chiesa, non da quanti odiano Gesù  Cristo e il suo Vangelo, anche se, per tattica, fingono amicizia con i cattolici progressisti, bensì i cattolici rimasti fedeli a ciò che la Chiesa è ed è sempre stata. Sono stati loro, quasi da un giorno all’altro, a divenire l’oggetto degli strali, delle offese, del disprezzo di tutto questo clero modernista, invasato dall’idea del cambiamento e convinto che il nuovo sia sempre migliore dell’antico, senza tener conto che la Verità è perenne e non cambia.
Queste riflessioni ci si presentavano alla mente l‘altro giorno, quando anche a noi è capitato di allungare la mano per prendere qualcosa di buono e l’abbiamo ritratta con ribrezzo davanti a una cosa cattiva; e abbiamo fatto la “scoperta”, nello stesso tempo, che quella cosa cattiva era lì non da ieri, ma da anni, da decenni, e che per tutto quel tempo non aveva smesso di ammorbare l’aria intorno a sé, e chissà a quante anime aveva già causato del male. Eravamo entrati nella chiesa di un piccolo paese nella vasta pianura tra Veneto e Friuli: una chiesa grande, bella, molto antica, anche se l’aspetto attuale tradisce i numerosi rifacimenti operati nel corso di secoli e secoli. Presso la porta, su un banchetto, c’era un  Messale, un comunissimo Messale dell’Assemblea cristiana. Un po’ vecchio, a giudicare dal dorso mezzo strappato; ma un Messale è sempre un Messale, cioè una miniera di preghiere e spunti di meditazione: perciò lo abbiamo preso e ci siamo seduti a sfogliarlo. Quasi subito ci è caduto l’occhio sulla pagina in cui si parla delle nozze di Cana; una lunga lettura dispiegava la similitudine di Cristo come lo Sposo della sua Chiesa. Dopo aver insistito alquanto sul banchetto nuziale quale momento di gioia per gli sposi e per tutti gli invitati, e paragonato la celebrazione eucaristica alla comunione sponsale, a un certo punto l’autore del brano affermava:
Se la gioia è una caratteristica dei tempi messianici, il cristiano dovrebbe essere un messaggero di gioia. Egli sa di essere “salvato”, per questo può vivere nella gioia.
E invece se c’è un aspetto nel quale i cristiani oggi sono particolarmente vulnerabili è proprio questo. Il vangelo [in minuscolo nel testo originale] che viene predicato nelle nostre Chiese ha il tono gioioso di un “lieto messaggio” di liberazione e di vittoria o non viene proclamato stancamente con i toni neutri e grigi di una legge da sopportare?
Quanto c’è di vero nel cliché di certa letteratura che presenta il cristiano triste, pessimista, pauroso di commettere peccato, che parla di rinuncia e mortificazione? Se un estraneo entra nelle nostre chiese ha l’impressione di trovarsi tra un popolo di liberati? Siamo i testimoni del Dio vivente o siamo i “becchini” del Dio dei morti?
“Dobbiamo riconoscere il valore di questa critica e chiederci se la nostra mancanza di gioia dipenda dal fatto che siamo cristiani o non piuttosto dal fatto che non lo siamo abbastanza” (P. Tillich).

Crediamo che le domande retoriche e l’auspicio in esse racchiuso, di una chiesa tutta gioia, risate e barzellette, dove non si parla mai di cose fastidiose come il peccato, abbiano trovato ora la piena realizzazione e che l’estensore di quel brano di prosa possa ritenersi soddisfatto, vedendo la piega che hanno preso oggi le cose. C’è la Messa con i burattini, la Messa con l’aperitivo, la Messa con i balli, la Messa con le danzatrici sacre di Shiva, la Messa con gli islamici, la Messa con i luterani, la Messa con il vescovo che canta dall’ambone le canzoni di musica leggera; poi c’è il vescovo che va a spasso per il presbiterio in sella alla sua bicicletta nuova fiammante, e c’è il prete che si dichiara omosessuale e contento in faccia ai suoi fedeli; c’è la Messa con le chitarre, le nacchere e i tamburelli, e c’è la Messa senza il Credo, perché il prete dice di non crederci; c’è la Messa dove il prete presenta ai fedeli, festosamente, due lesbiche appena “sposate” in municipio e c’è la Messa dove il prete spara l’acqua santa con lo spruzzo d’un fucile giocattolo di plastica; c’è la Messa dove il prete si presenta coi pattini ai piedi e va su e giù fra i banchi, e c’è la Messa dove il prete fa lo spogliarello sexy e rimane con indosso la maglietta della squadra del cuore; c’è la Messa che viene abolita per “rispetto dei migranti”, magari il giorno di Natale, e c’è la Messa dove il prete rifiuta di dar la Comunione a chi non prende l’Ostia con le mani. Insomma ce n’è per tutti i gusti e le opinioni, tranne che per i cattolici veri, i quali, davanti a tale scempio, restano feriti, confusi, amareggiati, e si allontanano, forse per sempre, dalla Chiesa. Peggio per loro; anzi, meglio così: senza di loro, senza la zavorra che essi rappresentano, la riforma di Bergoglio potrà procedere con passo ancora più spedito. Le pecorelle si perdono e non tornano all’ovile? Ma Bergoglio non è mica come Gesù Cristo, che le andava a cercare; lui è meglio di Gesù Cristo, sia ben chiaro: è più moderno, deciso, efficiente, radicale. E più misericordioso, si capisce; ma solo coi non cattolici.

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Senza parole

Tutto è bene quel che finisce bene, dunque. Ora i cattolici non sono più i “becchini” del Dio dei morti, sono gli araldi gioiosi del Dio della risata, con il signor Bergoglio che dà sempre il buon esempio, raccontando barzellette a destra e a manca, anche dove meno sarebbe opportuno, ad esempio nei conventi di clausura. Lo stesso Bergoglio che non risponde ai suoi cardinali quando è interpellato su questioni di fede, e che li lascia morire senza aver dato neanche una risposta alla loro richiesta di udienza privata; lo stesso Bergoglio che, fin dai primi mesi del suo pontificato, ha commissariato i Francescani dell’Immacolata e da cinque anni li tiene in ostaggio nelle loro case, rifiutando di lasciarli “passare” nelle diocesi e nelle parrocchie, in pratica ponendo loro l’alternativa di sottomettersi o lasciare l’abito religioso; quello stesso Bergoglio si è imposto come il re della risata, dei nasi da pagliaccio, dei sombreri, e ride a crepapancia coi suoi fedelissimi, ride a più non posso quando è in pubblico e sotto i riflettori (ride con la bocca, storcendola in un ghigno, ma con gli occhi no, non ride, quelli restano freddi e duri); anche se poi, nella mensa della Casa Santa Marta, mangia da solo con pochissimi pretoriani, voltando le spalle a tutti gli altri. Ma c’è ancora una cosa da notare in quel brano profetico, che abbiamo appena riportato: la citazione di Paul Tillich. Il quale, per chi non lo sapesse, non è un sacerdote o un teologo cattolico, né un direttore spirituale, ma un teologo protestante del XX secolo, e uno dei più radicali: vale a dire uno dei più lontani dalla dottrina e della spiritualità cattolica. Straordinario, no?, che per dare forza a un ragionamento, il Messale dell’assemblea cattolica citi un teologo protestante radicale; perché, anche se il signor Bergoglio ha voluto celebrare i cinquecento anni dello scisma luterano con fanfare e coriandoli, il protestantesimo è una cosa ben diversa dal cattolicesimo, i suoi dogmi sono in contrasto frontale con quelli cattolici, la sue idee su Dio, sull’uomo, sulla grazia e sul peccato sono agli antipodi di quelle della Chiesa cattolica. Incuriositi, siamo andati a controllare la data del Messale che avevamo in mano: il 1973, con visto, nulla osta e imprimatur, tutto nella debita forma. Sempre più interessante.  
Quel virus modernista che parte da lontano

di Francesco Lamendola

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