ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 11 maggio 2018

La cul-tura della nuova chiesa

A VOI PIACE QUESTA CHIESA?



 
Il principio gnostico della "coincidenza degli opposti". Sinceramente, a voi piace questa chiesa? La sfilata Met Gala 2018, autorizzato dal signor Bergoglio con modelle vestite coi paramenti sacri, già indossati da "papi veri"
di Francesco Lamendola   


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La sfilata di alta moda Met Gala 2018, a New York, autorizzato dal signor Bergoglio e benedetto dal cardinale Timothy Dolan, arcivescovo della Grande Mela, con attrici e modelle vestite coi paramenti sacri indossati, fra l’altro, dai papi del XX e del XIX secolo, il tutto dietro pagamento di una ingente somma di denaro (ma non si sa quale), è solo l’ultimo esempio. Certo, a molto cattolici non sarà andata giù di vedere la cantante e attrice Rihanna vestita da papa, anzi, da papessa, tacchi a spillo, le cosce ben tornite in vista, trucco e sguardo da maliarda sotto la tiara papale; o l’attore e modello Jared Leto vestito e truccato addirittura da Gesù Cristo, ma in salsa barocca, e l’attrice Jennifer Lopez conciata con un abito a forma di croce. E meno ancora avranno gradito l’idea che non si è  trattato di una semplice (si fa per dire) coreografia blasfema, però “laica”, bensì di un evento largamente preannunciato e reso possibile dalla fattiva e volonterosa collaborazione del vertice della Chiesa; né avrebbe potuto essere diversamente, dato che decine di pezzi “storici”, indossati da parecchi pontefici, vengono direttamente dal Vaticano e non sono affatto delle banali imitazioni.
Naturalmente si è voluto far passare il tutto per un evento “culturale”, invocando non si sa quale influsso della religione cattolica sulla moda profana, ma è ben noto che si può spacciare per cultura qualsiasi cosa, specie se si annusa l’odore dei soldi (che non puzza mai, come osservava l’imperatore Vespasiano); così come, ad esempio, si fanno passare per eventi culturali perfino gli orripilanti Gay Pride, in modo da giustificare l’adesione di istituzioni come le università statali, e da mobilitare i finanziamenti pubblici da parte di comuni, province e regioni. Sta però di fatto che il “red carpet” more catholico ha avuto, innegabilmente, un sapore discretamente blasfemo, per non dire un sentore sulfureo, tanto che a più di qualcuno la papessa afroamericana seminuda e il Cristo in look barocco devono aver fatto venire in mente, come minimo, una certa pagina del Libro dell’Apocalisse, quella ove si parla degli ultimi trionfi della grande Babilonia, la prostituta sacrilega che sguazza nel sangue dei martiri, e dello scorrazzare diabolico delle schiere di Gog e Magog, in vista della battaglia finale tra il Cielo e l’Inferno.

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 Rihanna vestita da papa

Ma in fondo, di che stupirsi? I cattolici ne hanno mandate giù di ben altre, da quando il signor Bergoglio è stato eletto al soglio pontificio nel marzo del 2013, dopo le fulminee e (tuttora) inesplicate dimissioni del suo predecessore. L’8 dicembre del 2015, per esempio, i cattolici di tutto il mondo hanno potuto ammirare, si fa per dire, la facciata della basilica di San Pietro, a Roma, massimo tempio e cuore pulsante della cristianità, illuminata, di notte, da potentissimi riflettori e trasformata praticamente in un maxischermo a cielo aperto, per mostrare le gigantesche immagini di leoni, tigri, pantere, scimmioni, pappagalli, coccodrilli, squali, cannibali con l’osso fra i capelli e via profanando. In quel caso, l’iniziativa era partita non dal Metropolitan Museum of Modern Art di New York, ma direttamente dalla Banca Mondiale, potere forte per eccellenza e simbolo del totalitarismo finanziario globalista. Il messaggio era stato fin troppo chiaro: non più l’Immacolata Concezione di Maria, e tanto meno il santo Natale del nostro Signore, Gesù Cristo, tutta roba ormai vecchia e stravecchia, buona per i bigotti e le nonnine, ma ciò che deve essere adorato è la nuova religione del clima, dell’ambiente, degli animali, dell’ecologia e del controllo della popolazione. Anche in quel caso, ovviamente, l’iniziativa era stata vagliata e approvata dal vertice della Chiesa. Logico: non aveva forse, il signor Bergoglio, il 24 maggio di quello stesso 2015, varato la sua famosa enciclica ecologista, Laudato si, per far capire a quegli zucconi dei cattolici che è passato il tempo in cui ci si deve preoccupare di Dio e della vita eterna, ma è venuto quello in cui un buon cristiano si prende a cuore lo stato dell’ambiente, i mutamenti climatici, il buco nell’ozono, la fusione dei ghiacciai, la sopravvivenza della foresta vergine e delle specie animali in essa viventi, dato che anche lui è un cittadino di questo mondo e non la cede a nessuno in fatto di sensibilità ecologica e di responsabilità ambientale?
Potremmo fare altri esempi, alcuni clamorosi, altri spiccioli: dalla cattedrale di Santo Stefano, a Vienna, trasformata in sala concerto per le esibizioni canore di Conchita Wurst, entusiasticamente lodata (o lodato? vacci un po’ a capire) dal cardinale Schönborn, a quella chiesa di Verona in cui un solerte neoprete bergogliano officia la santa Messa con i burattini, in nome della leggerezza e della creatività; e passando attraverso chiese  basiliche trasformate in refettori, dormitori e cessi pubblici, a maggior gloria della Comunità di Sant’Egidio e del sacro e intangibile principio dell’accoglienza innanzitutto, preferibilmente in salsa islamica e africana. Ma il denominatore comune è sempre quello: il neoclero sta mandando una serie di messaggi, di sicuro effetto scenografico, altamente significativi: i cattolici devono attrezzarsi, devono adeguarsi e uniformarsi: ciò che credevano di sapere della loro religione, e della loro stessa fede, è interamente da cambiare: oggi è all’ordine del giorno la religione del signor Bergoglio, fatta di sorrisi e ammiccamenti con Scalfari, Pannella e Bonino, cioè i signori e le signore del divorzio, dell’aborto, dell’eutanasia, della droga libera, delle libere unioni e dei matrimoni gay. Per troppo tempo i cattolici hanno creduto che la loro fede fosse una via verso il Cielo; ma ora la neochiesa li sta velocemente catechizzando e ri-programmando, contrordine compagni, cioè fratelli, il neovangelo non è la via per il Cielo, ma per la terra, bisogna essere più che mai cittadini di quaggiù, lavare i piedi ai poveri, metterli a dormire nelle chiese; lavare il sangue dall’altare dei preti sgozzati e poi invitare i fratelli islamici a far la comunione insieme a loro; bisogna ammettere che gli ebrei erano nel giusto e lo sono tuttora, evidentemente anche quando hanno accusato e crocifisso Gesù Cristo: perché se erano nel giusto, se l’Antica Alleanza è sempre valida, allora è vero che Gesù è stato solo un impostore, e bene hanno fatto a rifiutarlo, processarlo e condannarlo. O no? Se la logica non  un’opinione; se, perfino in tempi di relativismo imperversante, due più due fa ancora quattro, e non tre o cinque, allora dire che gli ebrei, i “fratelli maggiori”, sono già nella grazia di Dio, senza affatto bisogno di convertirsi, restando circoncisi e fedeli alla loro tradizione, allora non si capisce bene cosa sia venuto a fare sulla terra un certo Gesù Cristo, non si capisce bene con quale faccia tosta (Dio ci perdoni) si sia presentato al popolo d’Israele, il popolo eletto, dicendo: il Messia che aspettavate, che i vostri padri aspettavano da centinaia d’anni, è finalmente arrivato; sono io che vi parlo! Eh, via, che arroganza, che mancanza di tatto: bisogna pure ammettere, se questo era lo stato delle cose, che pure Anna e Caifa, e tutti gli scribi e i farisei, un po’ di ragione ce l’avevano, ad inquietarsi con quello strano personaggio che si permetteva di entrare fin dentro il Tempio ad insegnare e ammaestrare le folle, e a riempir loro la testa di idee più strane ancora. Ma insomma chi si credeva di essere, dopotutto? Non avrà mica pensato, per caso, di essere Domineddio?

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 L'icona gay e delle "teorie gender": Conchita Wurst, l’uomo perfetto del futuro (ormai presente), che è l’androgino originario, maschio e femmina nello stesso tempo

Ma tornando alla procace Rihanna vestita da papessa e al Met Gala newyorkese, ripensando al bel Jared Leto vestito e truccato nientemeno che da Gesù Cristo, con tutta la sfilza dei signori e delle signore milionari, dei giornalisti e dei fotografi, e riflettendo che quei paramenti sono stati indossati dai vicari di Cristo degli ultimi cento e cinquant’anni, uomini che avrebbero dato la vita, se necessario, per difendere quegli abiti e ciò che rappresentano, non si può fare a meno di misurare fino a che punto il vertice della neochiesa modernista ha trascinato in basso la religione cattolica e anche l’istituzione che essa indegnamente rappresenta. Quel che stanno facendo quei signori è semplicemente inconcepibile; e il fatto che molti cattolici non se ne accorgano neppure, che non lo percepiscano, o, peggio, che lo approvino (il Meta Gala è stato occasione di generosi finanziamenti per il Vaticano? bene: così ci saranno più soldi da usare per i poveri!) è un indice di quanto la vera fede si sia inaridita e si sia spenta nelle anime, di quanto la dottrina sia stata oscurata, di quanto la pastorale sia stata pervertita e trasformata in spettacolo da baraccone o peggio, in vera e propria profanazione delle cose più sacre. Quei signori hanno la risposta pronta ad ogni possibile obiezione: ma come, essi dicono, non capite che il corpo vale più del vestito, e che non bisogna fermarsi alla superficie, non bisogna idolatrare le apparenze? Fanno passare gli altri per dei formalisti e dei bigotti gli altri, quelli che si scandalizzano; essi, dall’alto della loro (pretesa) superiorità morale, sono a posto, possono tranciare sentenze e assegnare pagelle a tutti quanti: quello che fanno, lo fanno a fin di bene: et omnia munda, mundis, sì o no? E così, loro seguono la sostanza del Vangelo, mentre chi non è d’accordo si attacca alla forma. Ben pensata, no? Pare quasi vera…

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 Le piazze vuote (debitamente nascoste) parlano da sole e sono il fallimento del pontificato più disastroso della storia della Chiesa

Ad ogni modo, c’è una ratio profonda dietro ogni mossa della neochiesa; non si tratta, se non ai livelli più bassi, d’improvvisazioni estemporanee, ma di tappe pianificate con cura, tasselli di un mosaico che risponde a un disegno preciso, studiato in anticipo, soppesando tutte le eventualità. L’idea di fondo della neochiesa è lo gnosticismo, un’eresia antichissima, che è stata più volte sconfitta e creduta estirpata per sempre, e ogni volta, invece, magari a distanza di secoli e in regioni completamente diverse, è riapparsa, più forte di prima.

Sinceramente, a voi piace questa chiesa?

di Francesco Lamendola
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Grande l’indignazione da parte di chi, credente o con almeno un po’ di buon senso, ha potuto vedere la carnevalata del Met gala di New York, ampiamente descritto su Riscossa Cristiana riprendendo un pezzo di Ferraresi sul Foglio. Indignazione ancora più feroce se si pensa al grande contributo che la Santa Sede ha voluto dare all’iniziativa, soprattutto per mezzo del card. Gianfranco Ravasi, il quale evidentemente ha trovato le porte aperte anche della Sacrestia Pontificia che risulta dipendente dalle scelte dell’ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice diretto da mons. Guido Marini, già maestro delle sfarzose cerimonie dell’epoca Benedetto XVI e ora zelante ministro per la semplificazione liturgica del governo bergogliano.
Questa iniziativa, sbattutaci in faccia dai media, non è però un bizzarro fungo apparso in quattro e quattr’otto nel giardino della Chiesa; come per tutti i problemi di oggi affonda le radici nei decenni che ci precedono.
Dopo il Concilio Vaticano II ci fu urgenza di rifare completamente l’immagine della Chiesa, attratti dal crescente potere di telecamere e rotocalchi. Tutto doveva sembrare moderno, semplice, alla portata dell’uomo moderno. Le anticaglie risultavano non solo fuori luogo ma addirittura imbarazzanti. Questo spiega il grande accanimento verso l’arte sacra in generale cui assistiamo da un cinquantennio a questa parte. Varato il nuovo rito della Messa e accantonata per sempre la vecchia teologia che mal vi si intona, è stato il turno dei simboli. L’illumismo ecclesiale che mal sopporta l’esteriorità e la simbologia liturgica per ridurre la fede e il culto ad una faccenda squisitamente intimistica e personale, ha in realtà dato un peso enorme alla portata di questo patrimonio che, per forza di cose, è anche di valore artistico e storico. E’ partito così il restyling ecclesiastico che con grande coerenza -tocca riconoscerlo- ha attuato nella pratica ciò che si scriveva sui testi. Provo a fare un riassunto dei principali ambiti di intervento:
1) L’altare verso il popolo, vera grande novità. Esagerazione persino per il Lutero demolitore dell’Eucarestia, è stato il cavallo di battaglia del nuovo corso liturgico. Oggigiorno si ripete fino allo sfinimento che “conta la sostanza” e che “Dio non guarda le esteriorità” ma all’epoca significò molto arrivare a questo risultato per poter arrivare ad una nuova messa con una nuova teologia. Gli antichi altari non servono più, nei casi più drastici sono stati demoliti o “appianati” per permettere al sacerdote di utilizzarli dall’altro lato. Gli altari laterali hanno subito la stessa sorte in numerosissime chiese.
Esempio di bellezza contemporanea inserita perfettamente in una cattedrale del XVIII secolo
2) le balaustre. Cambiando la gestione degli spazi e soprattutto il modo di ricevere la Santa Comunione, le balaustre sono state quasi dappertutto rimosse; spesso riciclate per fare altro, molte volte dimenticate in qualche cantina.
3) i paramenti sacri. Il nuovo rito prevede grande sobrietà nei simboli e nei gesti, perciò anche il vestiario è stato notevolmente ridimensionato già nelle norme ufficiali, ancora di più nella prassi (perché una volta aperto il recinto…). A farne le spese: le coltri funebri, i paramenti neri, i manipoli, i veli da calice, le borse del corporale, le pianete. Ci furono diverse scuole di pensiero circa il pensionamento di questi paramenti: chi fu per la vendita, chi per il baule in soffitta, chi per il drastico falò dietro la chiesa (scelta tutt’altro che infrequente).
4) l’organo. Anche per gli strumenti musicali fu un brutto momento: se in poche occasioni si optò per la demolizione, ci fu un diffusissimo abbandono nell’utilizzo e nella manutenzione di questi preziosi strumenti che in molti casi sono inutilizzabili.
Per i numerosissimi edifici sacri costruiti in questo cinquantennio non ci fu problema perché fu possibile realizzarli in maniera completamente nuova e adatta ai tempi.
Il risultato? L’enorme patrimonio di suppellettili e paramenti sacri non fu più adatto al nuovo corso. Ci fu una massiccia alienazione (basti vedere ancora oggi come mercatini dell’antiquariato o siti online vendano sistematicamente questi oggetti, spesso anche reliquie!) o addirittura l’eliminazione fisica. Spesse volte questi oggetti vengono acquistati e utilizzati per usi profani. Alcune volte per rituali sacrileghi. Nel nord europa vengono vendute addirittura chiese intere e un’agenzia specializzata si occupa dello smercio dell’ingente arredo liturgico.
Un grande magazzino di oggetti e arredi sacri in Olanda
 La liturgia si è così spogliata di tantissimi e potenti simboli che le si confacevano da secoli, lasciando un vuoto nei fedeli che vi assistono e che vengono sempre rimproverati di “non capire sufficientemente” e di essere “spiritualmente infantili” avendo bisogno di cose esteriori per pregare.
Le nuove generazioni di sacerdoti sono certamente più preparate dal punto di vista della tutela del patrimonio artistico -materia di insegnamento nei seminari- ma non hanno alcuna preparazione liturgica per poter valorizzare questi manufatti non solo dal punto di vista artistico ma anche spirituale, che sarebbe il vero fine di questi oggetti. Così oggi si trovano basiliche e cattedrali dove per vedere paramenti e argenterie tocca pagare un biglietto, mentre sull’altare maggiore il sacerdote celebra rivestito di paramenti dozzinali e con suppellettili da Ikea. Mi viene in mente un aneddoto: una zelante signora di parrocchia che lavorava come inserviente in un asilo di suore, notò che le bambini giocavano a vestire le bambole con pizzi e ricami sacri lasciati dalle reverende per farle giocare. Questo episodio può essere letto in due sensi: conferma la non-curanza verso gli oggetti sacri che sto descrivendo ed è a sua volta simbolo di una chiesa moderna che si trova a giocare con cose che non conosce!
Non ci si può stupire allora davanti allo squallore della moda newyorkese né tantomeno del contributo entusiastico di cardinali e monsignori. Il loro intento l’hanno raggiunto: profanare i simboli sacri. Utilizzarli a loro piacimento per comunicare qualcosa che non è più sacro ma altro, sia esso un significato intellettuale oppure erotico, come si è visto. I simboli sono così dei feticci, svuotati del loro significato. Ciò si può capire da diversi fenomeni, apparentemente diversi tra loro:
1) l’estetismo: la tendenza molto diffusa nel dare grande peso ai simboli sacri e alla loro giusta valorizzazione, senza però considerare il nocciolo della questione, ovvero la forma liturgica e la sua conseguente teologia. E’ il primo passo che può evolvere in qualcosa di buono, ma da solo è un disastro. Si vedono spesso chiese ben allestite e sacerdoti ben vestiti ma con ritualità da far accapponare la pelle. Per inciso: anche la high church anglicana utilizza pianete, argenterie e paramenti da urlo. Peccato siano protestanti.
2) l’erudizione: quando si valorizzano le forme e si inquadrano anche i contenuti corretti ma poi non si è in grado di trasmettere i loro significati alla comunità. E’ il vizio di certi ambiti tradizionalisti dove si da per scontato che tutti siano sbucati da un varco temporale e abbiano conosciuto gli anni ’40. Dare per scontato qualcosa nella liturgia ha portato solo ai disastri che sappiamo: occorre studiare, approfondire e soprattutto trasmettere e far capire.
3) il pauperismo: di gran voga negli ultimi anni. Benvenuti nel mondo in cui per sembrare poveri tocca spendere mucchi di soldi. E’ facile reperire su internet la quantità esorbitante di paramenti poveri che sono stati comprati Oltretevere per dare l’immagine del pontificato sobrio, alcuni utilizzati solo una volta e poi finiti chissà dove. Per dare qualche numero, papa Francesco ha finora utilizzato in celebrazioni pubbliche solenni (dunque senza contare le messe quotidiane): 70 casule bianche, 13 rosse, 18 verdi, 14 viola, 50 mitrie e ben 20 bastoni pastorali, uno più brutto dell’altro.  Negli anni ’70 si spese una fortuna per rimuovere la tappezzeria rossa dalle pareti dei Sacri Palazzi e sostituirla con una più sobria moquette beige. Così l’effetto tristezza dilagò via via nelle comunità parrocchiali. Anche in questo caso i simboli sono utilizzati per veicolare un altro messaggio che non ha a che vedere col sacro: l’esaltazione di sé come moralmente superiore. L’effetto sulle masse è da sbadiglio: basti vedere il tracollo dei fedeli in piazza S. Pietro e giù giù fino alle parrocchie che ne sono affette.
Non scandalizzatevi: il pastorale è brutto ma non si può dire perchè è fatto col legno dei barconi affondati a Lampedusa!
 4) il doppio fine: qui si va su un terreno pericoloso. Da una parte c’è il pregiudizio dei liturgisti radical chic di definire checche coloro che si occupano con dedizione di arredi e suppellettili sacre, dall’altra il sospetto non infondato che questo interesse abbia secondi fini. L’accostamento tra tema sacro ed erotismo è stato ben marcato anche nel red carpet newyorkese, dove croci e simboli sacri facevano bella mostra su abiti provocatori e scollacciati. Il tema blasfemo del religioso/a lussurioso non è certo una novità del settore. I simboli sacri purtroppo possono servire per questa diabolica commistione, facendo da schermo su situazioni personali di fragilità o di dubbia identità.
Tutte questi risvolti hanno un’unica identica radice: lo svuotamento del simbolo del suo significato autentico e l’inserimento di un nuovo contenuto arbitrario. A New York non si è trattato di un errore dunque. E’ una strategia ben mirata. D’altronde lo dice lo stesso card. Ravasi parlando del materiale prestato alla mostra:
“La selezione offerta dalla mostra è marcata da un’indubbia qualità sontuosa: essa è stata esaltata nell’epoca barocca ma è rimasta nell’ornamentazione liturgica dei secoli successivi. Si voleva, così, per questa via proclamare la trascendenza divina, il distacco sacrale del culto dalla ferialità quotidiana, lo splendore del mistero”
Della serie: della trascendenza divina e dello splendore del mistero ora non ci importa e ci teniamo a farvelo capire. Sugli effetti di questa secolarizzazione liturgica c’è poco da dire: il disastro è sotto gli occhi di tutti ed è ridicolo sostenere che si tratti di un incidente di percorso.
Lo scimmiottamento andato in scena l’altro ieri al Met gala è stata l’ennesima occasione per dileggiare la Chiesa del passato. Peccato che la Chiesa del presente non si sia accorta di essere stata essa stessa dileggiata da quelli che considera amici. Commenta infatti così Anne Wintour, organizzatrice dell’evento e direttrice di Vogue America:
Com’è stato lavorare col Vaticano invece che soltanto con gli stilisti?
Da non crederci: non solo non rispondevano alle email. Non rispondevano a me. E quando ho chiesto perché, mi hanno spiegato che il Vaticano risponde solo alle lettere scritte a mano. Ma io sono ostinata, lo sanno tutti. Ho scritto lettere e mi sono presentata di persona. E quando il curatore Andrew Bolton mi ha detto che era contento perché dopo 10, forse 15 tentativi avevano mandato 5 paramenti dalle loro collezioni storiche, ho commentato: chiedine almeno altri 30. Alla fine, guarda caso, ne sono arrivati molti, molti di più. Infatti sarà un’edizione memorabile, probabilmente la più grande di tutte: oltre alle sale del Metropolitan Museum, gli abiti saranno esposti in altre gallerie compresi i bellissimi chiostri che ci sono Uptown. E non ci sarà solo moda ma anche arte e altri pezzi storici provenienti dal Met”.
Così coloro che spendono tante energie per essere al passo con le mode, vengono derisi comunque per essere antiquati. Avete voluto la bicicletta per inseguire il mondo? Ora pedalate.

– di Andrea Maccabiani

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