ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 12 maggio 2018

Le “vie silenziose”

Il Volto di Gesù Misericordioso di Don Dolindo Ruotolo


Molti di noi forse, e assai probabilmente, hanno avuto tra le mani questa immaginetta, o avranno visto almeno una volta questo Volto Santo, ma pochi conoscono la sua origine che sarà per noi edificante conoscere.
La storia è breve, semplice, tipica di quelle “vie silenziose” attraverso le quali la Divina Provvidenza ama imprimere la Sua firma.

La signora Anna di Trani racconta che nel 1960 suo padre, che all’epoca lavorava a Napoli, conobbe Don Dolindo un sacerdote che in quella città nutriva già fama di santità. Tra la famiglia di Trani e Don Dolindo Ruotolo nacque subito una grande amicizia e una folta corrispondenza epistolare.
La bontà e la saggezza del prete conquistarono l’intera famiglia, in particolare la madre Lucia, pittrice dilettante che decise di ritrarre l’umile sacerdote napoletano. Dopo che Don Dolindo vide quel quadro a lui dedicato, invitò la signora Lucia a raffigurare il volto di Gesù e gli indicò come modello la foto della Sacra Sindone, ma per tre volte la esortò umilmente a ricominciare da capo, perché non era soddisfatto del risultato ottenuto.
Vista la difficoltà, Don Dolindo, decise allora di intervenire benedicendo le mani, i colori e i pennelli della signora Lucia e affermò che Gesù “aveva scelto proprio lei” per dipingere il suo Volto. Nel 1963 la signora Lucia tornò da Napoli e si rimise all’opera incoraggiata anche dalla famiglia.
Nelle lettere che Don Dolindo scrisse, a nome del Signore, le rivelò che la realizzazione di quel Volto avrebbe aiutato tante persone a convertirsi. Finalmente con la speciale benedizione dell’umile Sacerdote, Lucia riuscì a dipingere un volto di una particolare bellezza e fascino che il santo prete, appena lo vide, commosso le disse: “E’ Lui!”.
Il quadro (una tela piccola 50×70) venne regalato allo stesso Don Dolindo e da quel momento migliaia di copie vennero distribuite in tutto il mondo. Qualche anno fa l’autrice del dipinto, all’età di novanta anni, decise di fotografare nuovamente il quadro originale con l’aiuto di un fotografo professionista ma solo in quella circostanza si accorse che il suo dipinto raffigurante il volto di Gesù era stato rubato dalla casa del santo sacerdote napoletano, ormai scomparso. Lucia sognava di vedere quel quadro accanto alla tomba del Servo di Dio, oggi meta di numerosi pellegrini di tutto il mondo, ma ci si è dovuti accontentare di una fotografia.
L’originale è scomparso, dunque, non si sa chi l’abbia, ma la Provvidenza che opera in mille modi, ha fatto in modo che l’immagine rimanesse in circolazione. Ingrandendo l’immagine qui a lato, potrete scaricarla e tenerla con voi, oppure potrete farne richiesta alla Casa Editrice Mariana.
A seguire la Lettera che Don Dolindo scrisse a Lucia, per confermare l’ispirazione di Gesù stesso.
5 febbraio 1966
Gesù all’anima tua:
Quando mi dipingevi con questa immagine ed il tuo pennello, mosso dal tuo amore, tracciava gli occhi miei, io avevo lo sguardo mio sopra di te e sulla tua famiglia. Circolano ora, dovunque, le fotografie del tuo dipinto e da ognuna di esse si irradia su di te, figlia mia, lo sguardo di benedizione che io ti rivolgo quando preghi, quando gemi, quando implori misericordia sugli altri.
Mi dipingesti nella maestà del mio volto ed ogni immagine del tuo dipinto è un’implorazione del mio regno d’amore e di misericordia sul mondo. Perciò ti benedico e moltiplico su di te e sulla tua casa le mie benedizioni. Gesù tua vita e tuo amore. Amen.
Vi benedico…
Il povero sacerdote Don Dolindo Ruotolo

Qualche tempo prima, Don Dolindo Ruotolo, fu sempre testimone di questo Amore Misericordioso di Gesù attraverso un’altro prodigio raccontato sempre da lui stesso al:
Dott. Nicola Bellantuomo –  6 dicembre 1962
Nel 1957 una signora del Messico volle fotografare un Tabernacolo Eucaristico, perché un’opera d’arte. Quando sviluppò la fotografia, con sua sorpresa, invece  del Tabernacolo trovò questo Volto di Gesù. Nessuna immagine di Gesù era sull’altare o intorno.
(qui Don Dolindo scrive ora su ispirazione) Gesù. Ti guardo con occhi di misericordia e di amore, e ti vigilo in ogni momento della tua giornata. Vengo in te Sacramentato, e dimoro con infinito amore nell’anima tua. Sta in pace, ti ho sul cuore mio.
Ti benedico + Vi benedico tutti.
Il povero sacerdote Don Dolindo Ruotolo
Laudetur Jesus Christus
https://cooperatores-veritatis.org/2018/05/11/il-volto-di-gesu-misericordioso-di-don-dolindo-ruotolo/


Consigli preziosi di Don Dolindo Ruotolo in tempo di apostasia...



Qualche giorno fa gli amici Cooperatores Veritatis hanno pubblicato un ottimo articolo che consiglio di leggere (Visita speciale, inedita, a Don Dolindo Ruotolo, per Voi) in cui offrono uno spaccato della vita e della spiritualità del Santo sacerdote don Dolindo Ruotolo, a cui tanto sono legato, in seguito ad una visita-pellegrinaggio alla sua tomba a Napoli.

Intanto vorrei qui offrire ai lettori alcuni consigli sapienti e pacificanti che don Dolindo offriva prevedendo i tempi di apostasia attuali, apostasia che già cominciava a mettere le radici negli ultimi e doloranti anni della sua vita piena di sofferenze ed immolazione per le anime da salvare.

Applicare questi consigli non potrà che giovare grandemente alle anime scongiurando i pericoli e le tentazioni contro la fede, la speranza e la carità a cui tutti possiamo essere sottoposti in questa travagliata fase della storia:


- “Arriverà tempo in cui l’agire e l’operare sarà principalmente nell’anime nostre; tempo di raccoglimento; tempo di insistere e supplicare presso il trono di Dio perché abbia misericordia di noi e dei poveri peccatori; è tempo di formazione interna, di istruire l’Anima; chi vorrà essere vero discepolo di Gesù dovrà sperimentare la Croce, il duro Calvario, la persecuzione, l’ignominia, nulla di ciò potrà essere superato se non si sarà formata l’anima nella sana Dottrina, nell’autentico spirito cristiano, calmare l’anima, vivere sobriamente senza cercare il meraviglioso e lo straordinario, ma solo la gloria di Dio e la propria santificazione, che sarà messa a dura prova… (..)

- Non è più tempo di fare propaganda, né più tempo di fare progetti e castelli, dal momento che solo il Signore deve operare per la Sua Chiesa che sarà sottoposta a dura prova.

- Con l’interna umiltà bisogna affrettare l’ora delle grandi misericordie di Dio, ma Egli cerca Anime calme, piene della Sua Pace, pronte alle sofferenze che non mancheranno; Egli cerca Discepoli pronti al martirio, e non sognatori, nessun nostalgico desiderio, poche saranno le Anime che vorranno fare la vera volontà di Dio!

- (…) Siatene certi come ogni ragionamento è vano, ed ogni persuasione personale debba infrangersi di fronte alla parola del Papa, perché attraverso di lui sopraggiungeranno le prove. Io del resto so di non aver bisogno di insistere con voi, perché vi ho formate a questo amore alla Chiesa, Sposa del Cristo ed al Papa, che in me è vivissimo…”


Nel suo commento al libro dell'Apocalisse di San Giovanni (cap. XIII), inoltre, il Servo di Dio riconosceva nei nostri tempi un momento di trionfo assoluto dell'apostasia, sotto la regia di Satana.
Ma alla fine Dio si prenderà la sua rivincita: "il male ha la sua ora ma Dio avrà il suo giorno"...


"L’anticristianesimo e i suoi corifei, tanto nel campo politico, che culturale è stato un assalto che si è andato sempre più stringendo e serrando contro la Chiesa, fino a raggiungere l’apostasia moderna, che è spaventevole, e della quale tanto poco ci accorgiamo, precisamente perché siamo in un ambiente saturo di violenze e di errori che hanno avvelenato le nazioni e le stesse anime legate alla Chiesa.

Il male ha preso tale sopravvento nel mondo, l’errore e l’ignoranza religiosa dominano talmente gli spiriti, le violenze e le persecuzioni contro la Chiesa sono così sfacciate, che non si vede come si potrà uscire da questo baratro.


Eppure il Signore trionferà anche su questa terra in questi momenti, e noi aspettiamo con incrollabile fede la manifestazione del regno di Dio per i due testimoni che attendiamo, e per i quali la bestia sarà piagata a morte".
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Don Dolindo Ruotolo, sacerdote santo
Breve profilo biografico


Dolindo Ruotolo - sacerdote e terziario francescano - è stato insieme a Padre Pio da Pietrelcina ruota del carro della Chiesa del XX sec. Un amanuense dello Spirito Santo, una sapienza infusa dall’alto, un taumaturgo di non minor potenza del confratello cappuccino, uno stigmatizzato di Cristo già nel nome, un figlio prediletto della Vergine iniziato alla sapienza delle Scritture, un servo fedele che volle essere il nulla del nulla in Dio e il tutto di Dio tra gli uomini.

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Il 6 ottobre 1882, alla vigilia della solennità della Vergine del SS Rosario, nasceva nella sua casa di Napoli - Dolindo Ruotolo - sacerdote di Cristo e figlio prediletto della Vergine Maria. Ci sono nella vita di un uomo presagi di un destino e così Dolindo portava già nel nome i paramenti sacri del suo sacerdozio d’amore.

Il Sacerdozio

Il sacerdote è un’ostia vivente offerta in Cristo a Dio Padre per la salvezza dei peccatori. Egli è il polmone dell’umanità, metabolizza la miseria del peccato nell’aria purissima della grazia e della vita eterna. Il sacerdote è un operatore di grazie, un restauratore del vasellame di Dio, la sua opera è il frutto della sua preghiera e attraverso il sacrificio e la preghiera i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i morti risorgono.

L’opera di un santo sacerdote è ignota a lui stesso, è Dio che opera in lui, egli non sa né vuole usurpare per sé il merito che è solo di Dio. Così Dolindo, che già portava nel nome la trafittura delle spine che gli passeranno le carni durante tutta la sua vita, riteneva di essere per sé un nulla, uno sciosciammocca, un incantato di Dio, un innamorato della Vergine.
Perché possa stabilirsi la comunicazione con l’infinita potenza di Dio è necessario per l’uomo occupare l’altra polarità ad essa coniugata: il nulla. Quanto più l’uomo si annulla davanti a Dio tanto più riesce a effondere la sua potenza nell’effluvio della carità. Così ha fatto il figlio suo sulla croce, così Francesco, così tutti i santi di Dio e così fece Padre Dolindo. Dunque le comunicazioni interiori, i miracoli e le conversioni possono avvenire solo in presenza di questa polarità del sé che si annulla e annullandosi rende testimonianza della gloria di Dio.

E Dio per virtù di questo incantesimo operava in lui miracoli, otteneva conversioni, diffondeva per la sua bocca un fiume di parole di vita eterna conservate, in parte, nella monumentale opera di commento biblico edito a cura delle figlie, che egli cooptò nell’opera di apostolato e che scelse da tutti gli ambienti e da tutte le professioni come pie donne, che l’avrebbero accompagnato nel suo calvario terreno.

La sua sapienza non brilla per vanagloria di umana scienza ma per il decoro di divina illustrazione dei fondamenti della fede cattolica verso cui concorre, come a sua foce, ogni percorso di umana dottrina. Riposava ancora giovinetto presso l’immagine della Vergine prediletta e tutto confuso per la disuguaglianza tra l’onere intrapreso e il naturale ingegno, poco brillante, di giovane aspirante al grande ufficio di sacerdote, si rivolse alla sua Mamma celeste e nel suo cuore così pregò: “se è volere tuo che io divenga sacerdote di Dio, versa sul capo mio i tesori di scienza e di virtù sì che io per te ne divenga degno”. Un sonno placido scese sul ciglio del devoto bambino orante e con il sonno la Madre gli instillò i sette doni dello Spirito Santo. Egli li usò dal suo risveglio e fino alla fine come tastiera del suo armonium interiore su cui cantava a gola piena le lodi della Trinità e di Maria.

Gesù e la Vergine lo visitarono con intima consolazione e come segno agli altri della loro elezione gli diedero le croci, croci di incomprensioni nella sua famiglia naturale e pastorale, croci di espiazione per il peccato dei suoi fratelli, croci di redenzione per la salvezza del gregge di Dio, che a lui veniva di notte e di giorno come a lui mandato dal loro pastore per essere mondate dalla lebbra del cuore e dalle malattie dell’anima.

Alcune vie sono famose perché furono luogo di svolte epocali nella storia del progresso dell’umanità, così a Napoli in via Salvator Rosa 58 la sostanza divina, che è il nucleo atomico dell’uomo, concresceva sotto le preghiere e le benedizioni di don Dolindo. Egli prendeva su di sé, come il cireneo, il peso della croce degli uomini per compartirlo con Gesù e a mano a mano che saliva con Cristo fino al Golgota le spalle si incurvavano, le vertebre si flettevano sotto il peso della croce, le gambe turgide per il faticoso cammino sanguinavano ribelli ad ogni fasciatura, sembrava vecchiaia ed era stigma del Cristo paziente, dell’anima triste fino alla consummazione dell’ora.

Un altro figlio di Gesù nello stesso tempo e in altro luogo -Padre Pio da Pietrelcina- compiva nel suo corpo quello che manca alla crocifissione di Gesù. Per cinque fori egli ha versato il sangue come un’icona vivente di Cristo ed egli solo, nella profondità della sua chiaroveggenza, sapeva ed indicava ai suoi fedeli che un fratello suo, Dolindo, pativa nell’anima e nel corpo uguali pene per la salvezza delle anime e per la gloria della Chiesa di Cristo.

Come costui, Padre Dolindo fu relegato nella solitudine, come Gesù fu solo sul Calvario, divenuto come uno di fronte al quale ci si copre il volto. Dolindo fu condotto dal demonio nel deserto e ivi tentato. In famiglia dubitavano di lui e fu creduto che uno spirito immondo lo possedesse, nella sua Chiesa trovò intriganti che gli tolsero l’unica consolazione che un sacerdote trova nell’afflizione: la celebrazione della Eucarestia, e per più anni stette come il salmista invocando de profundis che la voce di Dio trionfasse.

Nella tempesta che l’assalì aveva il conforto della preghiera e della intima consolazione della Vergine e di Gesù, l’estasi in cui ci pone Dio quando si parla di Lui. Non aveva forse Gesù detto ai suoi discepoli: ancora un poco e mi vedrete, ancora un poco e non mi vedrete? Dolindo stette come un cane fedele alla sua Chiesa, accucciato e in attesa che il padrone lo chiamasse a venire a mensa. Furono le prove generali per la sua esaltazione a una maggior gloria e un maggior dolore.

L’Autobiografia

L’autobiografia è un genere letterario che quando è adottato da un santo serve a umiliazione di sé stessi davanti a Dio e a edificazione della Chiesa. Come Agostino e Teresa anche Padre Dolindo, per obbedienza e sotto giuramento di dire la verità, ripercorre la storia della sua anima e dell’opera che Dio volle compiere per lui.

Quando Gesù si manifesta all’anima il cuore esulta di gioia ma nello stesso tempo intorno a lei crollano le umane certezze, anche colui che prega insieme a noi alza contro di noi il suo calcagno, l’anima cerca prove cruciali delle verità che sente in seno ma non trova nei fratelli che livori di umana miseria; allora sospira come Cristo sulla croce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Non si trova conforto che nelle verità della fede, non c’è altra prova cruciale che la fede nelle verità insegnate dalla Chiesa perché in tali verità permane saldamente il Cristo.

Così Padre Dolindo attraversa, come tutti i santi, la tempesta del dubbio; Gesù è a poppa silente. Per invidia di tali Padri Fabazzi e De Cicco fu minacciato di deferimento al Santo Uffizio. Un tale tribunale scatena, al solo nome, un’inquietudine nell’animo di ogni fedele perché annuncia all’anima desiderosa di Dio il sospetto di non conformarsi alla Chiesa. Il demonio induce nell’anima la tentazione che è tutto illusione e l’evidenza della fede è messa a dura prova dalla seduzione del nemico, che minaccia la perdizione per noi e per gli altri.
Gesù non lascia mai un’anima eletta in pena oltre il tempo necessario per la sua edificazione; durante la messa Egli veniva e con la sua pace lo innalzava al di sopra della piccolezza umana, gli faceva sentire e assaporare il gusto della Verità e misteriosamente purificava ogni fibra del suo essere dall’angoscia e dalla esitazione.

Percepiva chiaramente che il ministero sacerdotale non è solo eucaristico ma è ministero della parola, che Gesù durante il sacrificio spezza il pane della parola e la dona agli uomini per illuminazione della mente ed edificazione dello spirito, che un’eucarestia non nutrita preliminarmente dalla penetrazione della Parola è una trasmutazione del pane in pietra.

O’ Vecchiariello d'a Madonna

Non c’è santità senza devozione mariana. Il popolo, nella percezione intuitiva che possiede delle anime, aveva bene appellato don Dolindo come il “vecchietto di Maria”, quasi ad indicarne una appartenenza, il matronimico. Effettivamente don Dolindo fu tutto di Maria; egli ha celebrato le lodi più belle della Vergine, ha cantato per Lei e insieme a Lei le melodie più soavi.

Una grande parte dei suoi scritti e dei suoi opuscoli sono dedicati alla Vergine Immacolata, alla Madre del Redentore, alla corredentrice del genere umano. Maria è per lui il sospiro dell’universo e la magnificenza delle anime, il cantico della Trinità. Incomparabile resta il suo commento al Magnificat ispirato e dettato dalla Vergine che veniva a istruire il piccolo cenacolo di don Dolindo.

Alla scuola della Madre celeste si produceva una profonda riforma del cuore culminante nel suo ultimo lavoro: “Maria, madre di Dio e madre nostra”, una possente trilogia mariana composta negli ultimi anni della sua vita, tra dolori indicibili e una paralisi che gli rendeva sommamente difficile lo scrivere. Fulcro di tale devozione mariana era la preghiera del Santo Rosario, che egli recitava meditando le stazioni della vita, morte e resurrezione di Gesù sulla sua corona, costantemente impugnata e che usava come una verga mosaica per battere alle porte del cielo e impetrare grazie o come una spada contro le tentazioni e gli assalti del demonio.

I Prodigi

Infinite sono le testimonianze di guarigioni miracolose avvenute, di tubercolosi guarite, di arti risanati, di suicidi deliberati e per suo intervento non giunti a compimento, di aiuti segreti dati a tutti quelli che in segreto chiedevano. Si tratta di quei bisogni che affliggono i piccoli nelle piccole faccende quotidiane: la malattia di un figlio, un esame da superare, un lavoro da trovare, il miracolo -insomma- del pane quotidiano, il più straordinario in una città -Napoli- afflitta da sempre dalla povertà e dalla abiezione.

Il conforto agli infermi era la cura sua particolare che non interrompeva neppure se c’era pregiudizio della sua salute. Riceveva tutti, per tutti pregava, per tutti soffriva. Non amava le delicatezze del cibo e del vestito, sopportava il freddo e la fame e fu visto camminare nella neve senza calzini ai piedi.

Fu ospite indesiderato nella sua casa, lo tenevano in gran disprezzo perché era per i familiari occasione di fastidio e di guai. Non aveva predetto Gesù ai suoi amici che i nemici dell’uomo sarebbero stati quelli della sua casa? Si avvicinava ai malati più infetti e li carezzava, li baciava e là dove il ribrezzo avrebbe in altri estinto la compassione in lui eccitava la pietà. La prima comunione eucaristica era per lui l’unione mistica con Cristo crocifisso.

La sua pazienza era una virtù eroica; sapeva -per interiore ispirazione- che il male del mondo dilegua nella carità di un cuore paziente. Nell’uomo vedeva il Figlio di Dio sofferente, preferì oscurare sé stesso perché potesse brillare negli altri quella luce, quantunque tenue, che illumina ogni uomo che viene al mondo ed è la vita di Dio in noi. Nulla gli fu più caro della Chiesa, non permetteva ad alcuno di compatirlo diffamando la Madre-Chiesa. Proclamava solennemente che Essa è la Madre dei Santi, che solo nella obbedienza alla Chiesa cattolica e al Santo Pontefice possono fiorire le piante del Paradiso e che la santità è una merce che si paga al banco del dolore.

Perciò amò soffrire, e quanto più l’artrosi lo piegava come un annoso fusto tanto più sentiva la gioia dei frutti che egli portava alla Chiesa. Sostenuto su gambe ulcerate e purulenti procedeva, nel cammino lungo i sentieri dell’amore divino, verso un riposo auspicato solo nella tomba. Entrando in chiesa baciava la mano del povero questuante alla porta del tempio e a chi, contrito, chiedeva perdono per le offese fatte si rivolgeva pietoso e benigno, l’abbracciava e chiedeva -egli per primo- perdono di averne dato motivo.
Percepiva la presenza, durante la celebrazione eucaristica, della Vergine, dei Santi e degli Angeli custodi degli astanti e il suo cuore si gonfiava di gioia. Egli aveva un cuore grande, traboccante d’amore fino a forzare a cupola -per paramorfosi- l’anatomia delle vertebre toraciche. La sua benignità soccorreva le anime in bisogno anche da lontano; fu sentito coprire col suo manto nelle angosce notturne malati destinati alle sale chirurgiche, intervenire egli stesso durante operazioni chirurgiche disperate, prescrivere a malati abbandonati dalla scienza medica inconsuete e miracolose ricette sotto lo pseudonimo ìlare di dott. Cretinico Sciosciammocca.

La santità non aveva in lui nulla di burbanzoso, la sua austerità di costumi non confliggeva con la sua natura mediterranea perché la sofferenza di un santo non estingue la gioia, la manifesta. La parodia della scienza ufficiale, che usciva sconfitta dalle diagnosi e dalle terapie di Padre Dolindo era occasione per un affidamento del malato alla speranza nell’amore di Dio e della Vergine e suonavano così:- rimedio umano: sciroppo di pedate raffreddate, rimedio sovrano: balsamo di unione alla divina volontà con gocce luminose di Ave Maria-.

La sua santità fa tremare anche l’Inferno. Come i demoni si sottomettevano a Gesù e pubblicamente dichiaravano che egli era il Figlio di Dio, come Padre Pio da Pietrelcina, nelle sue lotte contro il demonio, riusciva a vincerlo per i meriti delle piaghe di Cristo, allo stesso modo Padre Dolindo, in occasione degli esorcismi che egli praticò, scacciava imperiosamente il demonio dal corpo dei posseduti imprecanti contro di lui. Si sa che i demoni obbediscono solo a chi opera con il dito di Dio; un giorno, infatti, che un demonio resistente alla pratica esorcistica si faceva beffe di lui, Padre Dolindo, afferrata una corda, cominciò a flagellarsi e con la sua penitenza inflisse a quel demonio tale dolore da costringerlo ad abbandonare la sua sventurata vittima.

Le Opere

Per Padre Dolindo l’altare è anche uno scrittoio ed egli usava lo scrittoio come un altare ove componeva nella minuta scrittura di un intelletto penetrante le infinite carte di esplicazione biblica. Egli sapeva che non bastano le intere biblioteche per narrare tutte le opere che fece, ha fatto, farà Gesù e si pone a servirlo con tanta profluvie di lucide parole e di abbondante dottrina da lasciare meravigliati chi si chiedesse donde trovasse tanta abbondanza di tempo, di carte e d’inchiostro. Veramente la sua opera esegetica è una intera biblioteca, un fondo e in tale fondo l’anima che vi si immerge attinge acqua zampillante, come quella promessa alla Samaritana da Gesù.

La valutazione della liturgia della parola, della futura messa vespertina, della caduta del comunismo ad opera di un “nuovo Giovanni polacco”, sono solo una piccola antologia delle profezie che testimoniano che Dio era con lui. Queste sono le profezie che riguardano la Chiesa ma il popolo lo venerava per le piccole profezie che riguardavano la sua piccola esistenza quotidiana e per i miracoli che gli attribuiva, continui, numerosi, straordinari.

Il popolo non ha scienza teologica della santità, ne ha una scienza positiva, perciò è un giudice autorevole perché sa quello che i teologi teoricamente sostengono, che contra factum non valet argumentum, come il cieco nato. Il popolo non fa inchieste, sa che prima uno non vedeva e poi in seguito ad una benedizione, ad una preghiera, vede o risana. Perciò la vox populi è vox Dei, quando proclama la santità dei suoi sacerdoti, perché ne conosce le virtù, e ne glorifica le virtù perché ne apprezza la carità.

Molte sono le sue opere e di lui -come di ogni Santo- può dirsi quello che Giovanni dice di Gesù: che se si volessero raccontare tutte le opere non basterebbero tutte le carte di tutte le biblioteche per testimoniarle, perché l’azione dei Santi è continua e perenne nella azione stessa della Chiesa di cui essi fanno parte nella gloria dei cieli.

La Morte

Mirabile agli occhi di Dio è la morte dei giusti. Il giusto vive costantemente nell’ora della morte, se la prefigura come il dolce abbraccio della Sposa allo Sposo. La meditazione costante della morte fa parte del precetto della Chiesa al cristiano e Padre Dolindo aveva istruito nei suoi libri, nelle sue prediche e nelle sue meditazioni i suoi seguaci sul mistero della vita, della morte, del giudizio, dell’Inferno, del Purgatorio, del Paradiso, che egli aveva illustrato con tanta ricchezza di immagini da apparire quasi uno che l’avesse, come Paolo, visitato in virtù di un mistico rapimento. Tutti i tesori, però, che Iddio ha preparato per noi devono essere scontati con l’agonia del nostro corpo mortale, che morde anche con denti cariati la carne nella quale l’anima cristiana aspira al Paradiso.

A 88 anni la morte frulla le ali al capezzale di Padre Dolindo, una broncopolmonite a focolai diffusi devasta quel mantice che aveva alimentato il fuoco dello Spirito Santo. Gli vengono applicate mignatte, praticati flebo, viene intubato. La vanità della scienza attende, in ultimo, l’inerzia del nostro corpo per far pompa del lusso dei suoi apparati.

All’alba del 19 novembre 1970, giorno della dedicazione della Basilica di SS. Pietro e Paolo, le condizioni del Padre si aggravarono; senza perdere conoscenza egli scandiva il quadrante del suo ultimo giorno con le lancette della Salve Regina. Intorno a lui si effondeva un clima di mistero. Non ingoiava più ma non cessò di desiderare quel Cibo di cui si era nutrito per l’intera sua vita. Padre Giovanni Galasso pietosamente glielo offrì dopo averlo assolto.

Nel generale raccoglimento si diffuse nell’aria un profumo di gigli, sentito dai presenti e accolto come stigma ultimo della sua santità. All’improvviso, alle 17.13, nell’ora che gli Angeli di Dio mietono la terra e presentano al Padre il raccolto da ammassare nei suoi granai, come per un’improvvisa rigenerazione del corpo, causata da una visione di cielo, la sincope degli arti contratti si distende. Il peso delle membra lèvita per una misteriosa virtù che le solleva, egli balza lieto sul letto come per andare incontro a una visione, quella della Madre sua Celeste, a cui aveva consacrato la sua vita e le sue opere.

Sorrideva il suo volto di ineffabile beatitudine, la pietà delle sue figlie spirituali adagiò il capo reclino sul guanciale e giacque nella sua casa. Il cordoglio dell’intera città di Napoli, che andò in processione a salutarlo, fu temperato dall’ammirazione della gloria che Iddio riserva ai Santi suoi.

L’amore di Gesù per i suoi amici fu tanto grande che egli lasciò l’Eucarestia come testamento della sua presenza tra i suoi; anche Padre Dolindo non si allontanò dai suoi senza una promessa, quella di impetrare dalla Vergine e da Gesù tutte le grazie di cui essi avrebbero avuto bisogno e che se avessero bussato alla sua tomba egli non avrebbe cessato di ascoltarli e di esaudirli.

Così è invalso il costume presso i napoletani di bussare per tre volte in nome della SS. Trinità, sul marmo del suo sepolcro nella chiesa della Vergine di Lourdes -a Napoli- ove giace. Quivi la pietà mista al bisogno fa lasciare sulla tomba suppliche e richieste di aiuto.
A quella tomba anche noi abbiamo bussato e abbiamo ottenuto, ben oltre ciò che avevamo chiesto. Per certificare questi fatti di cui noi siamo divenuti testimoni e a lode di Dio è stata stilata questa memoria per la diffusione della figura e dell’opera di don Dolindo Ruotolo, che per sé fu nulla ma in Dio fu tutto, cioè nulla in sé e tutto in Dio.

Fonte:
www.dolindo.org/dottrina/biografia.html

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