ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 31 maggio 2018

Non è Dio che ci ha voltato le spalle

LE CAMPANE DI HOCHWALD


Torneranno a suonare le campane di Hochwald: Dio ci ha abbandonati? l’Europa di oggi somiglia al villaggio alpino di Hochwald dopo la tempesta delle guerre napoleoniche. Una gentile leggenda scritta da un sacerdote tirolese 
di Francesco Lamendola  

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Nel romanzo Die Glocken von Hochwald (Le campane di Hochwald), il sacerdote tirolese Sebastian Rieger (1867-1954), noto con lo pseudonimo di Reimmichl e autore di una cinquantina di libri, ma conosciuto soprattutto per i suoi calendari popolari, che entravano in tutte le case, immagina che uno strano e inspiegabile fenomeno si sia prodotto nel villaggio alpino di Hochwald. Dopo l’invasione francese e la guerra del 1809, che ha sconvolto la vita di quelle valli solitarie e causato lutti e distruzioni, e dopo il venir meno dell’estrazione mineraria, che aveva alimentato nei secoli la vita del villaggio, la chiesa è stata distrutta e infine sia la parrocchia sia il comune sono stati spostati nel villaggio di Niederwald, situato più a valle, fiorente per le attività agricole. Ma nel vecchio villaggio semi-abbandonato, talvolta, misteriosamente, si ode il suono delle vecchie campane: campane che, al tempo in cui la chiesa era stata distrutta, erano scomparse e mai più ritrovate. Esso pare uscire dalle profondità della Parete Nera, la montagna piena di gallerie, ai cui piedi era sorto il villaggio. La vecchia Threinl, una contadina ottantenne tutta rugosa, racconta ai giovani, nella luce incerta del tramonto che arrossa le pendici del monte, la cui vetta sfavillava di ghiacciai, che le campane, qualche volta, suonano ancora, e infatti molti le hanno udite. Coi suoi occhi quasi spenti per l’età, la nonnina assicura di riconoscere bene le loro voci, quella della campana grande che segna il tempo e quella della vecchia campanella: come un leggero vibrare, che qualcuno invece attribuisce a un’eco delle campane della pianura, ma che lei sa bene essere proprio il suono delle vecchie campane. E a chi le obietta che nessuno avrebbe potuto compiere un’impresa così ciclopica, come quella di portare lassù, sulla Parete Nera, le campane di Hochwald, neppure mille uomini tutti insieme, lei risponde che quella, infatti, non è stata opera umana, ma che gli Angeli hanno portato fin lassù le campane per volere della Madonna, dopo che il povero villaggio è rimasto senza la sua chiesa e senza più Dio.

Questa gentile leggenda, scritta da un prete cattolico che nutriva un affetto sconfinato per la sua terra, la sua gente e la sua antica tradizione cristiana, e che per questo era amato e stimato da tutti i suoi concittadini, suscita in noi delle profonde riflessioni e qualche malinconico confronto, in questa nostra Europa post cristiana del 2018, sfacciatamente dominata dalle banche e dall’usura, come denunciava, negli stessi anni in cui scriveva Reimmichl, un’altra grande anima cristiana, il futuro san Massimiliano Kolbe, e anche un grande poeta che forse cristiano non era, o non lo era nel senso corrente, ma che certo nutriva un profondo amore e rispetto per la civiltà europea generata dal cristianesimo, l’americano Ezra Pound. Schiacciata dall’usura e dalla speculazione finanziaria, ma anche abbrutita, dall’interno, dall’abbandono delle sue migliori tradizioni e dal dilagare del materialismo, dell’edonismo, del consumismo e del culto di cento altri idoli pagani, l’Europa di oggi somiglia al villaggio alpino di Hochwald dopo la tempesta delle guerre napoleoniche, che significò, per quelle valli appartate, l’irruzione della modernità, con le parole d’ordine della Rivoluzione francese e l’inizio dei processi di modernizzazione che hanno significato, per il nostro continente, la perdita delle sue tradizioni, delle sue radici e della sua stesa anima. Come per il villaggio tirolese la tempesta del 1809 fu solo il principio di una radicale trasformazione, che avrebbe investito tutti gli ambiti della vita, materiali, intellettuali e spirituali, così per noi, europei nati dopo la Seconda guerra mondiale, gli anni del boom economico e della rapida, capillare americanizzazione hanno portato, insieme ai film di Hollywood e alla Coca-Cola, la distruzione sistematica di ciò che oltre mille anni di storia avevano costruito e accumulato di bello e di nobile, dallaDivina Commedia alle cattedrali e dalla Summa theologiae di Tommaso d’Aquino alla musica di Bach. Ci domandiamo perciò, se in questo deserto in cui abbiamo trasformato il nostro continente sentiremo mai più il suono delle campane, se udremo mai più la voce degli Angeli che ci chiamano e ci scongiurano di rivolgere nuovamente le nostre anime a Dio.

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Siamo rimasti senza il suono delle campane? non è Dio che ci ha voltato le spalle, ma siamo stati noi a voltare le spalle a Lui.

Il sentimento più diffuso fra le persone, oggi, o almeno fra quelle che noi conosciamo, sembra essere lo scoraggiamento. Non c‘è più un orizzonte di speranza; si respira ovunque un senso di oppressione, di chiusura e anche di tristezza; è come se le persone si stessero ripiegando su se stesse, a somiglianza dell’erba di un prato rinsecchita dalla siccità. Qualcuno borbotta: Dio ci ha abbandonati!, ma, ovviamente, non è Dio che ci ha voltato le spalle, ma siamo stati noi a voltare le spalle a Lui. Abbiamo rincorso gli idoli e ci siamo genuflessi davanti ad essi, porgendo loro i nostri sacrifici; ora ci meravigliamo e ci rammarichiamo per il silenzio di Dio. Abbiamo fatto del nostro meglio, o piuttosto del nostro peggio, per non udire più la sua voce, la voce del Buon Pastore; abbiamo chiuso il cuore e gli orecchi alle voci degli Angeli, alle dolci preghiere della Madonna. Siamo rimasti senza il suono delle campane perché abbiamo disertato le chiese e perché abbiamo trasformato anche le chiese in luoghi profani, dove si svolgono discorsi profani, un fastidioso chiacchiericcio che non solo non aiuta le anime a incontrare Dio, ma le allontana ancor più da Lui, perché le confonde, le frastorna e le raggira con parole dal sapore umano, troppo umano (come direbbe Nietzsche).
I preti non sembrano più annunciatori di Dio, ma sindacalisti, politici, attivisti dei movimenti per i diritti civili.Parlano sempre e solo dell’uomo e dei suoi diritti: ne rivendicano di sempre nuovi, puntano il dito contro questo e contro quello, che impediscono di attuarli come si dovrebbe; hanno sempre bisogno di un nemico da accusare. Ma questo nemico non è mai il diavolo, e non è mai l’egoismo che si annida nel cuore degli uomini. No, questo discorso non lo fanno, non ne sono proprio capaci, perché sarebbe un discorso impopolare: invece di applausi, costerebbe loro fischi e risposte piccate. E loro vogliono piacere agli uomini, mica al Signore: sono passati i tempi nei quali san Pietro diceva ai capi dei giudei: Bisogna piacere a Dio piuttosto che agli uomini, e lo diceva rischiando il martirio. Oggi i preti della neochiesa, debitamente progressisti e “di strada”, non sanno parlare d’altro che dei “poveri”, e non si accorgono che i più poveri di tutti sono proprio loro, perché hanno perso la fede; e, subito dopo, lo sono i loro parrocchiani, che sono rimasti senza pastori, e si stanno sbandando in tutte le direzioni, insidiati dai lupi pronti a sbranarli. Chi è più povero, infatti, di un prete che si riempie la bocca di parole, perché nella sua anima non splende più la luce di Dio; e di un cattolico che va in chiesa cercando una parola di vita eterna, come la cerva assetata che anela ai rivi delle acque, e invece non trova altro che discorsi umani, politici, sindacali, economici, sociologici? È per questo che le anime vanno in chiesa: per sentir parlare di psicologia e di psicanalisi, per sentir celebrare gli dei che hanno tradito e che hanno fallito, il comunismo e il consumismo? Oppure ci si va soprattutto per incontrare il Signore, per comunicarsi con il Corpo e il sangue di Gesù Cristo? E alloraperché i neopreti vogliono trasformare la santa Messa nella indecorosa passerella del loro esibizionismo, del loro narcisismo, del loro smisurato, patologico egotismo? È per vedere il prete che sale all’altare sui pattini, o pedalando con la bicicletta attraverso la navata; è per vederlo dire Messa con i burattini, o con la promessa dell’aperitivo; ed è per sentirgli dire che lui non fa recitare il Credo, perché non ci crede, o perché inviti all’altare una coppia omosessuale, invitando i fedeli a farle festa e dicendo che si augura al più presto un riconoscimento ecclesiastico delle unioni gay? Ed è per ricrearsi lo spirito, ascoltando il vescovo che, dall’ambone, con il pastorale stretto in mano, intona le ultime canzoni di musica leggera, con la disinvoltura di un disc jockey di terz’ordine?

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La neochiesa si è dimenticata di Cristo, celebrando i falsi dei che hanno tradito e fallito: il comunismo e il consumismo

Se la peggiore povertà è la lontananza da Cristo, allora la neochiesa ha veramente toccato il punto più basso dell’umana miseria. E, quel che è peggio, ha trascinato nella sua miseria anche le masse dei fedeli, molti dei quali hanno smesso del tutto di andare alla santa Messa e di accostarsi ai Sacramenti. Conosciamo personalmente parecchie persone che non vogliono più andare in chiesa perché hanno il cuore sanguinante a causa dello spettacolo indecente cui devono assistere, da quando codesti neopreti modernisti e progressisti che hanno gettato la maschera. Non è vero che sono soprattutto i giovani, quelli nati e consacrati dopo il Concilio; ce ne sono parecchi di maturi e anche di anziani, e sono, a volte, i più scatenati, i più scomposti, i più brutti. 

Torneranno a suonare le campane di Hochwald?

di Francesco Lamendola
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