La metamorfosi di Delrio: dal saio dossettiano all'eskimo
Il ditino puntato e saccente contro il premier e le accuse continue di fascismo al governo. L'ex ministro Delrio abbandona lo stile da monaco dossettiano che lo ha contraddistinto per vestire i panni dell'agit prop comunista. Il nuovo governo spiazza quel mondo cattocomunista di cui Delrio fa parte e che ora perde il suo potere.
Graziano Delrio rimprovera il premier Conte
A vederlo con quel ditino puntato da maestrina non si direbbe che l’ex ministro Graziano Delrio provenga da una storia monacale di cattolico impegnato nella politica. Con quello spirito di servizio che il suo mentore Dossetti senior aveva impartito a tutti i suoi “figli spirituali”: low profile e potere. Poco clamore, molto ascendente nelle mani. Infatti Delrio il suo esordio nella politica che conta lo fece senza suonare la grancassa, andando a fare colazione all’ora delle Lodi alle sei di mattina da Carlo De Benedetti, e in ufficio si recava a piedi, con le mani dietro la schiena nel faticoso saliscendi dei sette colli, come se avesse ancora un po’ di mistica attaccata alle scarpe.
Disinteressato, quasi a dire: “Guardate che se sono qui è solo per spirito di servizio, potrei essere tranquillamente in un altro posto perché io la politica la fo mica per interessi personali”: mai una polemica, prima con Letta, poi con Renzi, mai una sbavatura. Mai uno scandalo, mai una chiacchiera. Neppure quando da ministro delle Infrastrutture dovette dire di no al collega agli Interni Marco Minniti che chiedeva la stessa cosa che Salvini oggi ha fatto attirandosi le ire di mezze cancellerie europee. Perché per Delrio un no era un no. Era il suo no, autorevole e compassato.
La scuola era quella del dossettismo, cattolicesimo sociale, declinazione non più democristiana, ma ormai saldamente unificata nei campi rossi degli ex (mai) nemici comunisti.
Oggi invece punta il ditino indice alla Camera rimproverando al premier incaricato Conte in fase di fiducia un errore imperdonabile: “Piersanti, si chiamava Piersanti”, gli urla dal suo banco impartendo a questo parvenu foggiano una lezione che se la ricorderà per tutta la vita. Il povero avvocato degli italiani aveva dimenticato il nome del fratello del presidente della Repubblica che fu ucciso da Cosa Nostra nell’80. Nei giorni caldi delle trattative di governo qualche bestiaccia social aveva tirato fuori offese alla sua memoria.
Allora il povero Conte sentì suo dovere esprimere in Parlamento una parola di solidarietà a Mattarella. Ma, sarà stata l’emozione, sarà stato il parlare a braccio, fatto sta che a Conte uscì di bocca un “congiunto”. Così Delrio si incaricò di dare una lezioncina di storia al premier, cui già aveva rimproverato di non essere pronto per guidare il Paese. Il siparietto è diventato virale e in questo modo Delrio si è ufficialmente ritagliato il suo quarto d’ora di celebrità tra i video trend topic della rete.
La metamorfosi di Delrio è tutta in quel ditino indice puntato in alto da omileta del deserto. Il ministro monaco nella sua nuova veste di capogruppo Pd alla Camera ha operato la sua trasformazione diventando un agit prop con eskimo e togliendosi, San Francesco al contraio, il saio dossettiano. Ma con un linguaggio che proprio non gli appartiene. Accusa il premier di essere un pagliaccio, non proprio un complimento né un segno di rispetto.
E scopre parole nuove che Dossetti pronunciava quando la situazione si faceva grave e tremebonda: “Fascista”, “Fascisti”, “Squadristi”, urla a chiunque gli capiti a tiro del neonato governo. Come quando i bambini scoprono le parolacce nuove, non c’è verso di farli smettere, stanno tutto il giorno a metterle dentro in ogni discorso, così Delrio alla guida della pattuglia ridotta e senza più potere dei deputati Dem, usa la parola fascista con quella pesantezza di sguardi da sembrare quasi che ci creda.
12 giugno: “Conte? Un pupazzo, Salvini: pericoloso xenofobo”; 1 giugno: “Governo del cambiamento? Anche quello fascista lo era”; 31 maggio: Delrio, l'attacco choc a Salvini: "La Lega? Partito neofascista". Il capogruppo del Pd alla Camera: "Quello di Salvini è un partito neofascista, lavora e cena con i neofascisti europei"; 16 maggio Delrio: "Comitato Lega-M5S come gran consiglio fascismo"; 6 febbraio: Delrio: “Il fascismo è tornato, la politica non può più tacere”. E così via di fascismi andando.
Eppure Delrio è l’uomo che quando Di Maio provò ad avanzare un timido abboccamento con i Dem, dalle parti del Colle, si pensò che eventualmente il suo nome potesse essere adatto a guidare un governo Pd-M5S. Accanto al presidente Mattarella infatti, si racconta che spesso ci sia un fidato e, anch’egli low profile, consigliere. Quel Pierluigi Castagnetti che di Mattarella è amicissimo e di Delrio è praticamente padre politico avendo favorito la sua scalata al potere fin da quando scelse per lui il miglior collegio reggiano per farsi eleggere in Regione e iniziare la sua cavalcata.
Invece la storia è andata come è andata e Delrio si è ritrovato nel non facile compito di guidare la pattuglia parlamentare di un ex partito di maggioranza che per sopravvivere e farsi sentire deve alzare i toni. E’ proprio vero che il potere logora chi non c’è l’ha. E lui lo ha perso, almeno in questo giro. Così come a perderlo sembrano esserlo tutte quelle cooperative sociali che in questi anni hanno fatto un bel business con i clandestini spacciati per richiedenti asilo. Un affare che ha portato molti soldi nelle casse di coop di estrazione cattolica, molte delle quali soprattutto nella rossa Emilia di Delrio, provenienti da quel mondo cattolico democratico che è poi la culla culturale dell’ex sindaco di Reggio.
Con la decisione del ministro degli Interni infatti, a perdere una bella fetta di potere è proprio quel mondo cattolico sociale che ha trovato in giunte cattocomuniste molto ascolto alle proprie ambizioni. E la paura di perdere fette di “mercato”, come noto, fa novanta. Infatti il mondo cattocomunista e dossettiano, rappresentato ai massimi livelli proprio da Delrio, è quello che va più in crisi con il blocco dei porti. Proprio quel mondo che più diceva di non volere potere più se ne prendeva.
Intellò della buona causa lo dimostrano. Il tweet di Alberto Melloni che cita Berlinguer e poi il Vangelo di Luca di Gesù che nasce in una mangiatoia perché non c’era posto negli alberghi, è uno dei simboli di questa perdita di potere, alimentata da un ricatto morale che accusa appunto di essere fascisti tutti gli altri. Una tecnica che ha fatto la fortuna del marxismo culturale italiano per decenni.
Che dire? Forse che i cattocomunisti hanno compiuto la loro, ultima, definitiva trasmigrazione. Parafrasando Fantozzi, verrebbe quasi da chiedere a Delrio & company: “Scusi, sarete mica diventati…comunisti?”.
Andrea Zambrano
http://www.lanuovabq.it/it/la-metamorfosi-di-delrio-dal-saio-dossettiano-alleskimo
AUSTRALIA
Inizia l'opera di demolizione del segreto confessionale
In Australia una legge impone ai sacerdoti di violare il segreto confessionale per i pedofili. Ingiusta e dannosa. Produrrebbe l'effetto contrario perché nessuno si confesserebbe più e verrebbe meno il riparare il male fatto. Così, applicandola a aborto e omicidio, si aggiungerebbero altri casi e a rischio sarebbe la salus animarum.
In Australia è stata varata una legge regionale che impone ai sacerdoti cattolici di Canberra di violare il segreto confessionale qualora il penitente sia un pedofilo (tempo fa una proposta simile venne fatta anche in Irlanda). Se il prete entro 30 giorni non denuncia quanto ascoltato in confessionale finirà nei guai con la giustizia. La legge entrerà in vigore il 31 marzo del 2019.
Vediamo cosa dice il Codice di diritto Canonico sul segreto confessionale: “Il sigillo sacramentale è inviolabile; pertanto non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa” (can. 983 § 1). Il Catechismo della Chiesa cattolica ripete nella sostanza questa indicazione e aggiunge: “Questo segreto, che non ammette eccezioni, si chiama il ‘sigillo sacramentale’, poiché ciò che il penitente ha manifestato al sacerdote rimane ‘sigillato’ dal sacramento” ( n. 1467). Il sigillo sacramentale copre tutto ciò che si è ascoltato in confessione: i peccati (mortali e veniali); le eventuali spiegazioni complementari (circostanze di luogo e di tempo, il fine, i complici etc.); la penitenza imposta; la negata o differita assoluzione; le condizioni di vita del penitente, ovviamente se apprese solamente nel confessionale. L’obbligo di osservare il segreto grava anche su coloro i quali hanno avuto modo, seppur non intenzionalmente, di ascoltare la confessione. Il sigillo sacramentale è da rispettare anche in caso di negata assoluzione.
Il confessore se rivela direttamente il contenuto della confessione incorre nella scomunica latae sententiae, ipso facto ossia per il fatto stesso di aver rotto il sigillo sacramentale (can. 1388). Se invece lo rivela indirettamente, ossia fa intendere senza però essere esplicito, le pene sono diverse. Anche chi, non essendo il confessore, ha appreso il contenuto della confessione e lo rivela incorre in alcune gravi pene canoniche.
Dunque non si può mai rivelare quanto appreso in confessionale, nemmeno per fini nobilissimi, quali la sicurezza nazionale o l’evitare altri crimini. Il sacerdote chiamato in un giudizio canonico non può rivelare nulla, nemmeno se autorizzato dal penitente stesso (can. 1550, § 2, n. 2). Terminata la confessione il sacerdote non può far riferimento alle cose apprese nemmeno con il penitente stesso, a meno che non sia lui a volerlo. C’è un solo caso in cui lecitamente si può venir meno seppur parzialmente a questo obbligo: alcuni peccati possono essere perdonati solo con l’autorizzazione del vescovo o del Papa. In queste ipotesi è prevista una particolare procedura perché il confessore informi ad esempio il suo vescovo della necessità della sua autorizzazione, ma solo con il consenso del penitente, senza rivelare troppi dettagli e soprattutto non rivelando l’identità del penitente.
E se il confessore rischiasse la vita? Anche in questo caso la Chiesa impone il silenzio. Così Giovanni Paolo II in un discorso del marzo del 1994 tenuto ai membri della Penitenzieria apostolica e ai padri penitenzieri delle basiliche romane: “la divina istituzione e la legge della Chiesa lo [il confessore] obbligano […] al totale silenzio usque ad sanguinis effusionem”. Fino all’effusione del sangue. Ne ha dato prova san Giovanni Nepomuceno che incarcerato e torturato per ordine di Venceslao IV, re di Boemia, non volle rivelare quanto appreso in confessione dalla sposa del re, Giovanna di Baviera. Il suo segreto finì in fondo al fiume Moldava nel 1393. Il divieto di rompere il sigillo sacramentale è di diritto divino come rammenta lo stesso pontefice sempre nella medesima occasione prima accennata: “Avendo Nostro Signore Gesù Cristo stabilito che il fedele accusi i suoi peccati al ministro della Chiesa, con ciò stesso ha sancito, l’incomunicabilità assoluta dei contenuti della confessione rispetto a qualunque altro uomo, a qualunque altra autorità terrena, in qualunque situazione”. Da ricordare infine che il nostro codice di procedura penale tutela il segreto confessionale, nonché tutto quanto appreso in virtù del ministero sacerdotale. Così anche l’art. 4 del Nuovo accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana, siglato il 18 febbraio 1984.
Ma veniamo ora ai motivi per cui esiste il sigillo sacramentale, indicando prima quelli meno importanti e poi quelli più significativi. In primo luogo si lederebbe la buona fama del penitente (ovviamente questa motivazione non reggerebbe di fronte a crimini odiosi come la pedofilia). In secondo luogo si verrebbe meno alla giustizia, ossia si defrauderebbe il penitente della fiducia che ha riposto nel confessore. Dato che il confessore opera in persona Christi e Cristo non tradisce mai, il tradimento del segreto violerebbe un precetto di morale e di fede. In terzo luogo il segreto ha un significato altamente simbolico: le colpe nella confessione vengono distrutte dall’amore di Dio e non rimane più nulla di esse, nemmeno il ricordo. Infine indichiamo il motivo principale e lo facciamo usando le parole di mons. Christopher Prowse arcivescovo di Canberra e Goulburn il quale, sul Canberra Times, ha criticato aspramente la neo legge australiana: “Senza quel sigillo, chi sarebbe disposto a liberarsi dai propri peccati, a cercare il saggio consiglio di un sacerdote e a ricevere il misericordioso perdono di Dio?”.
In altri termini, il motivo fondante del segreto confessionale sta nella salus animarum. Ordinariamente come si fa scampare all’Inferno per aver compiuto dei peccati mortali? Con la confessione. Se la lingua del confessore andasse a briglia sciolta molti, forse moltissimi non si confesserebbero più, mettendo in serio pericolo la loro salvezza eterna. Di fronte al pericolo dell’Inferno non c’è esigenza della magistratura che tenga. La Chiesa ha dunque blindato questo sacramento per rassicurare i fedeli: vieni, Dio ti accoglie e nessun ostacolo si deve frapporre tra te e la sua misericordia salvifica.
Poi, in relazione al caso della legge australiana, vi sono alcuni motivi che suggeriscono che tale legge sia non solo ingiusta ma anche, per paradosso, dannosa. Sempre mons. Prowse afferma che “se il sigillo viene rotto anche la possibilità remota di consigliare al violentatore di costituirsi viene meno”. Insomma ci bruceremmo almeno una possibilità di consegnarlo alla giustizia, tenuto conto che il pedofilo impenitente di certo non si confesserà. Inoltre esiste un’altra motivazione per cui è inutile eliminare il segreto confessionale: a chi si confessa ed è sinceramente pentito di questo crimine orribile il confessore necessariamente indicherà come penitenza anche l’obbligo di costituirsi alle autorità civili. La soddisfazione di questa pena temporale è inevitabile se c’è pentimento. Infine accenniamo ad un’altra ragione per cui questa legge non è accettabile. Se la Chiesa chinasse il capo a questa decisione non si vedrebbe il motivo per cui mantenere il segreto confessionale anche per omicidi, stupri, violenze domestiche, rapine, delitti di mafia, etc. L’effetto trascinamento farebbe ben presto sparire il segreto confessionale relativamente a tutti i reati.
Tommaso Scandroglio
http://www.lanuovabq.it/it/inizia-lopera-di-demolizione-del-segreto-confessionale
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