«Quelli che usurpa in terra il loco mio»: quando il sommo poeta per bocca di S.Pietro manifesta la sua opinione (e non era soltanto sua) che l’elezione di Bonifacio fosse stata irregolare e quindi egli non fosse papa legittimo
di Francesco Lamendola
Nel XXVII canto del Paradiso, san Pietro in persona se ne esce in una violentissima invettiva contro papa Bonifacio, chiamandolo usurpatore e ribadendo il concetto per ben tre volte, al punto da far arrossire di vergogna il coro delle anime beate: di vergogna, sia chiaro, non per le parole da lui pronunciate, ma per la verità in esse racchiusa, e cioè l’estremo avvilimento in cui è caduta la Chiesa, sotto la guida di un falso papa (versi 22-36):
Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, / il luogo mio, il luogo mio che vaca / ne la presenza del Figliuol di Dio, // fatt’ ha del cimitero mio cloaca / del sangue e de la puzza; onde ’l perverso / che cadde di qua sù, là giù si placa». // Di quel color che per lo sole avverso / o nube dipigne da sera e da mane, / vid’ ïo allora tutto ’l ciel cosperso. // E come donna onesta che permane / di sé sicura, e per l’altrui fallanza, / pur ascoltando, timida si fane, // così Beatrice trasmutò sembianza; / e tale eclissi credo che ’n ciel fue / quando patì la supprema possanza.
Dante, come molti suoi contemporanei, pensava che Bonifacio non fosse un papa legittimo, sia per le modalità della sua elezione, e cioè per le circostanze più che dubbie in cui avvennero le dimissioni del suo predecessore, Celestino V, il quale, si disse, vi fu letteralmente obbligato da Bonifacio stesso, e poi rinchiuso in condizioni inumane e fatto testé morire, affinché la sua sola presenza non creasse problemi al successore; sia perché, una volta eletto, non svolse degnamente le funzioni di capo della cristianità e vicario di Cristo in terra, ma trascurò colpevolmente la direzione degli gli affari spirituali e la cura delle anime, per concentrarsi sull’aspetto mondano, politico e finanziario del suo potere, peraltro abusandone oltre ogni limite.
Osservava il critico Manfredi Porena a proposito di queste vibranti terzine di Dante (La Divina Commedia, Bologna, Zanichelli, 1975, p. 860, nota ai vv. 22-24):
Qui il poeta, per bocca di S. Pietro, manifesta la sua opinione (e non era soltanto sua) che l’elezione di Bonifazio fosse stata irregolare, e quindi egli non fosse papa legittimo. Notare l’efficacissima doppia ripetizione delle parole “il loco mio”, che esprime potentemente l’affetto di San Pietro alla sedia pontificale e lo sdegno di vederla male occupata. “Vaca ne la presenza” ecc. è come dire “agli occhi di Cristo è vacante”: di Cristo, perché il papa è il Suo vicario. 25-27. Il “cimitero” di San Pietro è il Vaticano, dove egli è sepolto; o forse, meglio, Roma in genere, ché a quei tempi sede del pontefice era il Laterano, non il Vaticano. “Cloaca” ecc.: luogo ove si raccolgono tutte le crudeltà e tutte le turpitudini: delle quali vergogne Lucifero, caduta dal Cielo, si rallegra laggiù all’Inferno Ecco l’immagine del diavolo amici di Bonifazio VIII, che secondo me si riflette nel “pape Satan” di Pluto [cfr. Inf., VII, 1 sgg.].
Perciò, anche se il ministero petrino, per Dante, è sempre degno del massimo rispetto, e per questo si sdegna rievocando l’episodio dolorosissimo dell’oltraggio di Anagni, quando Bonifacio fu catturato per ordine del re di Francia (veggio in Alagna entrar lo fiordaliso / e nel vicario suo Cristo esser catto / Veggiolo un’altra volta esser deriso; / veggio rinnovellar l’aceto e il fele, / e tra vivi ladron essere anciso: Purg., XX, 86-90), egli non ha alcun dubbio sul fatto che Bonifacio è destinato all’Inferno, tra i simoniaci (Inf. XIX, 5), né mostra alcuna esitazione nel dichiarare chiaro e tondo che Bonifacio, agli occhi di Dio, e quindi anche della cristianità, è un papa illegittimo, e indegno della carica cui è stato eletto. Di più: dice che è un amico del diavolo, il quale si rallegra, nel profondo dell’Infermo, per i disastri spirituali e materiali che costui ha provocato, da che è stato indegnamente eletto, dopo la precipitosa abdicazione e la cattura del suo predecessore.
Gesù consegna le chiavi della Chiesa a San Pietro
Dante è uno che parla chiaro, e che non teme mai di dir la verità; e, se qualcuno si duole delle sue parole, dice Cacciaguida, tanto peggio per lui: e lascia pur grattar dov’è la rogna (Par. XVII, 129); o, se si vuole, tanto meglio, perché Dante, conscio della sua altissima missione, non proclama il vero per il gusto di ferire, ma per offrire agli uomini la possibilità di ravvedersi e, così, di salvarsi:ché se la voce tua sarà molesta / nel primo gusto, vital nodrimento / lascerà poi, quando sarà digesta. Concetto profondamente cristiano, che la teologia morale definisce col termine di correzione fraterna del peccatore. Se qualcuno vede uno scandalo, una situazione che può trarre le anime a perdizione, non può fare finta di nulla; deve parlare, deve correggere il peccatore, deve fare quanto sta in lui per mettere in guardia tutti quanti, nel caso di uno scandalo pubblico: dopo di che, ciascuno si assumerà le proprie responsabilità. Dio non chiederà conto ad alcuno del peccatore che non si è voluto pentire; però chiederà conto di chi non lo ha ammonito, prima che fosse troppo tardi (cfr. Ezechiele, 33, 8 sgg). Così pensa Dante e così ogni vero cristiano; non è possibile pensarla diversamente, su questo argomento. E adesso veniamo a noi. La situazione che stiamo vivendo è terribilmente simile a quella in cui vissero i contemporanei di Dante. Anche noi abbiamo assistito alle strane, inspiegabili dimissioni di un pontefice, Benedetto XVI, e alla strana, irregolare elezione di un altro, Francesco; eppure non abbiamo fatto una piega. Abbiamo accettato tutto, abbiamo mandato giù ogni eventuale dubbio o perplessità. Si è addirittura formato un “partito” dei sostenitori di Francesco, una specie di super tifoseria organizzata, con tanto di giornali, oggetti devozionali e santini a lui dedicati, come se fosse già nel numero dei Santi e come se fosse cosa bella e lecita adorare un papa vivente perfino più di Dio stesso. I fan di Bergoglio non dicono mai, o quasi mai, che una certa cosa è scritta nel Vangelo; non citano Gesù Cristo: citano Bergoglio, e ripetono, con aria petulante: Lo dice anche papa Francesco. Con quelle parole si direbbe che essi siano convinti di aver tagliato il nodo di ogni questione, di aver evocato una formula potentissima, irresistibile, e soprattutto, incontestabile. Lo ha detto Francesco; che volete di più? Ci mancherebbe che qualcuno osasse contraddire una sola parola, un solo gesto di Francesco… E se questa non è idolatria, ci manca pochissimo perché lo sia.
Ma partiamo dall’inizio, cioè dalle dimissioni di Benedetto XVI. Un papa può dimettersi, come un ragioniere dà le dimissioni presso la direzione della sua azienda? Il diritto canonico non lo esclude, ma è un evento che si è verificato pochissime volte: l’ultima, appunto, al tempo di papa Celestino V (nell’anno di grazia 1294). E provocò un clamore immenso, uno scandalo enorme. In particolare, il sospetto che tutti, più o meno, hanno avuto, anche se quasi nessuno lo ha manifestato apertamente – splendida cartina al tornasole dell’ipocrisia del politicamente corretto che domina i nostri mass media e la totalità dei cosiddetti vaticanisti – è che Ratzinger sia stato vittima di un ricatto, o, quanto meno, di una pressione indebita e minacciosa, peraltro di natura indefinibile, e sulla quale ciascuno è libero di sbizzarrirsi. Ma è evidente il perché di quel silenzio assordante: se davvero, come del resto quasi tutti sospettano, papa Benedetto è stato forzato alle dimissioni, ne consegue che tali dimissioni sono invalide. È un principio elementare del diritto: nessuno è responsabile degli atti che compie sotto grave costrizione; e quegli atti non assumono valore giuridico, ma risultano nulli e come se non ci fossero mai stati. Ora, se le cose cono andate in quel modo, ne consegue che le dimissioni di Benedetto è come se non ci fossero mai state; di conseguenza, è come se l’elezione di Francesco non fosse mai avvenuta. Non può essere considerata valida una elezione pontificale se essa ha luogo come risultato di una congiura che ha obbligato il suo predecessore ad andarsene. E che Bergoglio fosse estraneo a tale congiura, è tutto da vedere; ma, anche se lo fosse, resterebbe il fatto della non validità della sua elezione.
Abbiamo assistito alle strane, inspiegabili dimissioni di un pontefice, Benedetto XVI, e alla strana, irregolare elezione di un altro, Francesco e senza fare una piega
E ora parliamo dell’elezione di Bergoglio in se stessa, cioè astraendo - per mera accademia – da ciò che l’ha preceduta, le subitanee e misteriose dimissioni di Benedetto. Vediamo perché almeno quattro grosse ombre pesano sulla validità della sua elezione. Primo: Bergoglio è un gesuita, e i gesuiti, al momento di entrare nell’ordine, sanno, e giurano, di non accettare mai l’elezione a cardinale, né, tanto meno, a sommo pontefice. Fa parte della regola voluta da sant’Ignazio di Loyola, e mai modificata o messa in discussione, né dentro, né fuori l’ordine gesuita. Anche Bergoglio si è sottomesso a quella regola, quando ha preso i suoi voti: dunque, sia lui, sia i cardinali che lo hanno eletto, hanno trasgredito in maniera lampante e plateale a ciò che la regola stabilisce. Ricordiamo che l’arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, gesuita pure lui, per poter accettare la nomina a cardinale, dovette attendere una apposita dispensa. Ma quella dispensa non è mai arrivata al signor Bergoglio, per la semplice ragione che non è mai stata chiesta. Nessuno ha sollevato il problema; i cardiali elettori hanno fatto finta di niente e lo hanno eletto, come se nulla fosse. Nessuno dei giornalisti, nessuno dei vaticanisti accreditati, nessun fedele cattolico ha alzato la mano per chiedere: Scusate, come mai è stato eletto papa un gesuita? Sono forse cambiate le regole dell’ordine? Invece, nessuno ha chiesto nulla; così come, nei mesi seguenti, nessuno ha alzato la mano in sala stampa, o in qualsiasi altro luogo, anche sui giornali cosiddetti cattolici, per chiedere: Scusate, ma cosa hanno fatto di male i Francescani dell’Immacolata? Per quale ragione il papa li sta perseguitando con tanta durezza? E già questo unanimismo omertoso ha qualcosa di strano, di inquietante. Ancora più strano, se paragonato con il clima di sospetto e malfidenza che accompagnava ogni singola parola e ogni singolo gesto di papa Benedetto. A lui, non ne passavano buona neppure una; e i più maldisposti, i più implacabili, i più ingenerosi nei suoi confronti, erano proprio i cattolici, i cosiddetti cattolici progressisti: quelli che ora suonano la fanfara per Francesco. Ebbene: proprio quelli che stavano col fucile spianato, per cogliere in fallo papa Benedetto, alla prima frase imprudente, o semplicemente estrapolata in maniera tendenziosa - ricordate la famosa lezione magistrale di Ratisbona? e ricordate come quegli avvoltoi si affrettarono a berciare che Benedetto avrebbe dovuto scusarsi con gli islamici, per averli “offesi”? - ora esultano in maniera scomposta e adulatrice per la “misericordia” di Francesco, per il rinnovamento ecclesiale attuato da Francesco, per il nuovo volto che Francesco sta dando alla Chiesa, e, manca poco, anche al Vangelo. A nessuno di costoro viene in mente che ciò sa un tantino di eresia; a nessuno, a quanto pare, vengono in mente le parole ammonitrici di san Paolo (Gal. 1, 8-9): se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L'abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!
Il gesuita Bergoglio è un vero "Papa"?
«Quelli che usurpa in terra il loco mio»
di Francesco Lamendola
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